Caro Babbo Natale, ti scrivo per chiederti scusa.
Da
bambino non ho mai creduto nella tua esistenza perché ho sempre saputo
che i regali li portavano papà e mamma. Oggi però voglio recuperare il
tempo perduto: a 43 anni ho scoperto che esisti. Meglio tardi che mai.
Non
parlo di fughe consumistiche della fantasia (per quello c’è Amazon) ma
di vitale immaginazione, quella facoltà che ci consente di non
accontentarci della realtà così com’è, quella fonte da cui sgorga il
possibile e quindi l’arte del racconto. E anche tu. Perché dovrei
credere di più all’esistenza di Ulisse, Romeo e Anna Karenina e meno
alla tua? I personaggi delle grandi storie sono ipotesi narrative con le
quali facciamo parlare la realtà quando sembra esser diventata muta,
cioè assurda.
«Assurdo» viene infatti da «sordo» e
l’immaginazione è l’apparecchio acustico che ci restituisce il canto
delle cose, permette loro di «toccarci» di nuovo.
Per questo,
caro Babbo Natale, abbiamo bisogno di te. Se tu non ci fossi come
potremmo credere che la vita è una sorpresa? Che il desiderio è il fuoco
dell’esistenza e che l’immaginazione ne è il combustibile? Senza
immaginazione come si fa a desiderare? E senza desideri come si fa ad
essere vivi?
Se quei tuoi regali non comparissero almeno una
volta l’anno, misteriosamente, che ne sarebbe di quel bambino che siamo
stati, quando avevamo fiducia nel mondo e nella vita, e non avevamo
ancora cominciato a nasconderci dietro le svariate maschere e armature
che nostro malgrado siamo costretti a portare nella vita, per non farci
troppo male?
Quel bambino aveva desideri nitidi ed essenziali:
voleva amare ed essere amato, non doveva far altro che essere per
esistere, poi — direbbe Pirandello — ha cominciato a esistere senza più
essere, dimenticandosi che la felicità è custodire quel pezzo d’anima
che solo Dio conosce. Per questo solo i bambini, ha detto Cristo,
entrano nel regno dei cieli, perché i bambini possono e sanno solo
ricevere, come si fa con i regali. Per questo sei «babbo», un padre: uno
che dà la vita in forma di pacchetti sotto l’albero. Al tuo essere
padre si aggiunge l’aggettivo della nascita: «natale». E i regali sono
una «sorpresa» perché non ci dimentichiamo che ogni vita è una sorpresa,
una cosa mai vista: regale, appunto, cioè degna della nascita di un re.
Per questo dovremmo forse smontare la versione della storia
secondo cui porti i regali solo a chi si comporta bene, perché a Natale
non conta chi e come sei, ma che ci sei: sei «reale» (per un gioco della
nostra lingua «regale» si dice anche «reale»). Il male che hai fatto
viene dimenticato e ti meriti un regalo, perché a Natale, grazie a Dio,
si nasce sempre un’altra volta: non ce lo si merita, accade e basta.
E
poi abiti nelle lande gelide del Nord e nessuno sa come tu faccia a
consegnare i regali a tutti in una sola notte, con l’aiuto di renne ed
elfi. Insomma tutto quello che ti riguarda è così ben inventato che non
può che essere reale.
Per questo, ora che credo nella tua esistenza, vorrei farti delle richieste.
Donaci
di nuovo l’immaginazione, quella capacità di vedere che cosa manca alle
cose per trovare il loro compimento, così che ce ne prendiamo cura: un
giardiniere, guardando un seme, immagina la rosa; un maestro, guardando
l’alunno, immagina l’uomo. Senza questa immaginazione, sguardo profetico
e amante sulle cose, non sappiamo proprio come prendercene cura.
Vorrei
poi che ci restituissi il senso della sorpresa, perché ci ricordiamo
che le persone che abbiamo accanto, per quanto possano avere difetti e
limiti, sono pur sempre una sorpresa, e se li perdessimo da un momento
all’altro, poi li rimpiangeremmo, perché loro erano anche, ma non solo i
loro difetti o limiti...
Poi vorrei che ci donassi di nuovo il
senso del mistero, che ci consente di trovare il «nuovo» in ogni cosa,
anche quella più consueta. Al «nuovo» abbiamo sostituito il «recente»,
che però è nuovo solo per un istante e per accumulo, invece il «nuovo» è
ciò che, pur rimanendo lo stesso, dà sempre qualcosa ad ogni incontro,
perché è inesauribile: un amore, un libro, un posto...
Per
ultimo, caro Babbo Natale, vorrei che tu restituissi a me e a chi lo ha
perso il bambino che ti sta scrivendo, il bambino dimenticato strada
facendo, tra sconfitte, compromessi e menzogne. Dammi la forza e il
coraggio di essere quel bambino perché solo lui sa ricevere la vita come
dono e quindi essere felice. Ma forse, se ti sto scrivendo, questo
desiderio lo hai già esaudito, perché scrivere è ascoltare il desiderio e
renderlo possibile. E che cosa è la vita se non desiderio? E il
desiderio se non immaginazione? E l’immaginazione se non amore che si
prende cura del mondo quando lo vediamo ferito o solo ancora incompiuto?
Scusa se ti ho chiesto troppe cose, ma così fanno i bambini.
Per fortuna che esisti, Babbo Natale. Ora che sono diventato bambino, sì
che sono grande...
martedì 22 dicembre 2020
Lettera a Babbo Natale
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Girovagando
Il passo internazionale “Los Libertadores”, conosciuto anche come Cristo Redentore, è una delle rotte più spettacolari che collegano l...
Bellissima lettera che mi fa pensare alla lettera che ricevò Virginia, una bambina americana, nel 1897.La troverete qui :
RispondiEliminahttps://www.ilpost.it/2011/09/22/si-virginia-babbo-natale-esiste/
Le cose essenziali della vita sono quelle che né i bambini né gli adulti possono vedere.