venerdì 25 dicembre 2020

Il Natale di Pirminio Pompeo


"Noi siamo quello che quelli prima di noi sono stati, io sono mia madre e mio nonno e generazioni di gente contadina con la schiena curva sulla terra, ma ritta di fronte ai potenti. Questa è una storia vera di quei giorni del Natale 1940"  

Quando dal cielo chiuso incominciarono a cadere i primi radi fiocchi di neve, sembrava non dovesse durare, invece durò.

Per cinque giorni e cinque notti non smise più di nevicare e il paese in cima alla montagna, per cinque giorni e cinque notti, rimase in silenzio e senza fiato. All’alba del sesto giorno si alzò un vento teso da nord-ovest, il cielo si stracciò in bioccoli chiari schiudendo spazi di azzurro sempre più ampi, l’aria, vibrante di vapore, brinando si saturava di scintille gelide.

Maddalena quel mattino non se la sentiva proprio di uscire da sotto le tante coperte che si era gettata addosso per proteggersi dal freddo che assediava la sua casa, sapeva che doveva farlo, ma cercava di rimandare quel momento il più a lungo possibile. Sentiva il marito affaccendarsi in cucina, non era venuto a dormire neppure quella notte, il pover’uomo si stava consumando di troppi mali, il più grande: quello di avere condotto la propria famiglia alla miseria.

Era testardo il Pirmin, testardo come il mulo dei Giècchela, niente riusciva a fargli cambiare idea. Eppure non passava giorno che lei non lo rimproverasse:
«Vai dal podestà e chiedi, se non chiedi nessuno può darti una mano».
«Io non chiederò mai nulla a questi vigliacchi che ci hanno fatti scappare dalla Francia». E poi aggiungeva: «Sono un vecchio socialista e conservo nel cuore quello che ci detto il Filippo Turati quel giorno a Grenoble». E mentre diceva così, si batteva forte il petto e poi tossiva e allora correva a nascondersi in camera.

La Maddalena si alzò, svegliò la più grande delle sue due bambine che dormivano in fondo al letto e poi uscì in cucina, il marito aveva messo sul fuoco un po’ di latte annacquato, più acqua che latte, per la colazione delle bambine e caffè di orzo per loro due.
«Neppure questa volta ti hanno chiamato per la squadra degli spalatori e lo sanno che non abbiamo più un centesimo».

Il Pirmin non la ascoltò, accolse in cucina la figlia più grande con un sorriso e le versò quel liquido biancastro nella tazza. La bambina bevve il suo latte annacquato senza una parola, sapeva che quelli non erano giorni buoni per la sua famiglia, da quando erano venuti via da Bonneval sur Arc in Francia a causa della guerra vigliacca, come diceva il suo papà, non c’erano più stati giorni buoni per loro.
Il Pirmin passò il resto della mattina a guardare il lavoro degli spalatori che si erano messi di buona lena a liberare il paese dal suo involucro gelato, di tanto in tanto uno di loro gli si avvicinava e, con fare furtivo, gli diceva che non era colpa loro se non c’era posto per lui. Il Pirmin scuoteva la testa: «Non preoccuparti compare vedrai che un giorno…» poi, più stanco che se avesse lavorato, se ne tornò a casa.

Andrea Nicolussi Golo 

pubblicato su altitudini.it


2 commenti:

  1. Il Pirmin aveva proprio ragione : è stata una brutta guerra ! Miei genitori sono rimasti separati per 7 anni : uno in Francia, l'altra con la bambina piccola(mia sorella) in Italia. Tanti dicevano "ma perchè fanno la guerra a la Francia che ci da lavoro e soldi per vivere ?

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  2. bravissimo Andrea, raccontaci ancora, non smettere

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