giovedì 5 novembre 2020

W l’asilo



01 -

02 – Pesavento Carlo (Maestro)

03 -  Leonardo Sella

04 – Sartori Saveria (Maestra Severina)

05 -

06 - Bonifaci Rinaldo

07 – Toldo Antonio (Toniti)

08 – Toldo Loreto

09 -

10 - Slaviero Ireneo

11 -

12 – Lorenzi Giuseppe (Bepi sindaco)

13 – Nicolussi Antonio (Campanaro)

14 – Stefani Adolfo

15 – Stefani Ernesto (Dottore)

16 - Lucca Giovanni (Danéla)

17 – Niero Eraldo (Farmacista)

18 -

19 -

20 – Bonifaci Mario (Panettiere)

21 -

22 - don Aldo Bordin

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24 – Lorenzi Giuseppe (Marcantonio)

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26 – Bonifaci Leonardo (Nardo Bàise)

27 – Lorenzi Felice (Felisson)

28 – Sartori Angelina (Lina Tota)

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30 – Suor Longina

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【Gianni Spagnolo © 20X23】

La fotografia in calce dovrebbe essere stata scattata il 12 giugno 1952 e riferirsi alla celebrazione del 50° anniversario di fondazione dell’Asilo di San Pietro intitolato alla Regina Margherita di Savoia. La costruzione di questa scuola per l’infanzia rientrò nelle molteplici iniziative sociali intraprese dall’allora parroco don Antonio Fontana nel periodo anteriore alla PGM, quando il paese visse un periodo di rinnovo urbanistico e di espansione edilizia, stimolato dalla crescita demografica e dalle attese, poi tragicamente disilluse, della Belle Époque. 
Con l’aumento della popolazione, una scuola per i nuovi arrivati si rendeva alquanto necessaria e fu edificata giusto sulla metà di quel nuovo asse viario che era divenuta Via Regina Margherita. Su quella direttrice s’espanse infatti il paese con la costruzione di nuove e più moderne abitazioni sui due lati della nuova strada, che tagliava trasversalmente il piede delle Jare sostenuta da una muratura ciclopica in pietra. Inizialmente le case sorsero sulla parte a monte, per poi occupare quella a valle prevalentemente in seguito alla ricostruzione post bellica. 
L’inizio di questo fervore edilizio iniziò con la sistemazione della piazza, ovvero con l’arretramento delle fontane e la costruzione della gradinata d’accesso alla piazza e poi via via s’allargò verso la Campagna. Fra le prime abitazioni di questa fase ricade la casa dei Toldo-Stciantisi, costruita all’inizio della nuova Via verso il 1880, accanto al luogo prima occupato da una pozza per abbeverare il bestiame, che raccoglieva le acque sorgive che vi fluivano dalle rive soprastanti. Risale a quell’epoca anche l’edificazione delle scuole comunali di Via Carlo Alberto, che bilanciavano l’abitato verso S-E, tuttavia la direttrice che prese lo sviluppo del paese puntò decisamente a N-O e non s’è più arrestata, fagocitando la Campagna, la Rocchetta e, ultimamente, i Cerati. Quella direzione fu condizionata dalla costruzione, nel 1911, del nuovo cimitero oltre la Val dell’Orco, che da allora delimitò il confine fra il regno dei vivi e quello dei morti. E poi dicono che i nomi non significano niente!
L’asilo era affidato alle suore della Sacra Famiglia, che portavano al petto l’ovale metallico che la rappresentava. Ai miei tempi erano tre, se non ricordo male: suor Carmina, Suor Longina e suor Maria. Mi ha sempre incuriosito chi fosse la mente originale che assegnava il nome di religione alle suore professe di questo Istituto, perché a me parevano inutilmente astrusi. Vabbè, a noi interessava giocare nel cortile all’ombra del tiglio, cacciare le formiche, dindolarse sulle gondole del simitero vecio e cose così. Un po’ originale era la gestione della disciplina, regolata dalla pratica dei “guantini neri”. Due manopoline nere, bordate di rosso come la veste dei monsignori, finivano per legare le manine dei più discoli e indisciplinati per la giornata oggetto del misfatto. Il cibo, almeno dal mio singolarissimo punto di vista, era argomento da sorvolare, ma forse perché allora ero nella fase in cui anche mia madre acquisì meriti affini alla santità nel tentativo di incontrare le mie preferenze. Infatti allora jero tuto misso, mentre in seguito ho evidentemente recuperato. Per fortuna che c’era il pane degli angeli, ovvero gli sfridi della preparazione delle ostie, che le suore ci davano per compensare il nostro coinvolgimento nella loro preparazione. 
Le religiose gestivano anche una scuola pomeridiana di cucito, alla quale partecipavano le ragazze, perché non era ancora tempo di emancipazione dai cosiddetti lavori di genere. Io ho imparato ad attaccare i bottoni da militare e perciò non saprei come classificare questa attività domestica. Si veniva accompagnati all’asilo per manina, col grembiulino azzurro, il fiocco d’ordinanza e una sportina prismatica di moplen col manico, sempre rigorosamente del colore di genere e tutta bucherellata, che conteneva la merenda. Graditissima l’eventuale puntata da Stefanìn per comprare una fiaschetta di un liquido dolce e rossastro dai misteriosi ingredienti, ma per questa eventualità serviva essere accompagnati dalla nonna o dalla sorella, perché io ero del tutto incapiente. Costava 5 lire, il soldo più piccolo di allora, quello con la balena.
Oltre a quello del sugo e della minestra, nel cortile dell’asilo aleggiava periodicamente anche un'acre odore di freschìn, per via  che Stefanìn metteva in moja el bacalà proprio sulla fontanella all’angolo del muro di cinta. In stagione il tiglio lo copriva con i suoi intensi effluvi e ci bombardava con i suoi caratteristici semi svolazzanti, le cui palline s’attaccavano con facilità ai vestiti e perciò erano oggetto di scherzi ed esperimenti vari. All’asilo scoprii che esistevano altri esseri umani nella valle, non solo i soliti che incontravo in paese. Non eravamo soli: venivano all’asilo fanciulli anche dal Maso, dai Sella e dal Casotto che erano quasi uguali a noi, però avevano la faccia di quelli da rentolà, dove io pensavo non esistesse consesso civile. Analogo shock lo provai in terza elementare quando unificarono le scuole con le Forme e anche da lì arrivarono bambini con il pollice opponibile. Vabbè, io abitavo nella piazza del capoluogo e non potevo sapere tutto quel che succedeva agli estremi confini della Terra.
Ma veniamo alla foto, dove, fra le varie personalità di scettro, di palanca e di croce effigiate, nonché di qualche imbucato, emerge una palese incongruenza: l’assenza del parroco. Possibile che in una ricorrenza così speciale per la parrocchia e le pie suore manchi proprio il prete? Il reverendo qui fotografato non è infatti il titolare della parrocchia, don Aldo Bordin; potrebbe forse essere il cappellano, ma non v’è certezza. Va detto che don Aldo era stato appena nominato parroco di Arlesega, in quel di Padova, anche se vi fece l’ingresso ufficiale solo il sei di luglio. Mah! Forse la datazione della foto non è corretta o magari il reverendo era impegnato dall’avvicendamento, va a sapere. Oltre che dal Comune e dalle Suore, l’onere del mantenimento dell’asilo fu supportato in quegli anni anche dai fondi americani dell’AAI; è perciò verosimile che qualche personaggio della foto non identificato e dalla grinta meno paesana, sia rappresentante di questo ente.

3 commenti:

  1. E' presente il parroco don Aldo Bordin (22). Credo di non aver dubbi in merito. Forse ho un dubbio sulla data della foto, che potrebbe essere di qualche anno prima del 1952. Infatti in quel anno era già parroco don Emilio Garbin. Tra le suore la n. 32 è Suor Adriana, che ogni mattina suonava l'armonium alla Messa dei defunti delle ore 6.00, e noi bambini attorno, in circolo, si cantava... e poi a casa per la colazione, e a scuola. Particolari: don Aldo aveva sempre delle scatolette di anici (rotonde che si facevano girare e lasciavano cadere da un buchetto il piccolo nero anice).... Si portava anche dell'erba per i conigli delle suore e Suor Longina ci ricompensava con dei pezzettini di carote secche... Mai più viste da allora queste delicatezze gastronomiche.
    Anonimo

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    1. A detta delle persone che lo conobbero e che ho interpellato in merito, il prete indicato in foto (22) non è il parroco allora in carica Don Aldo Bordin. Mario Marco (20) fu sindaco dal giugno 1951 all'agosto del 1953, quindi la foto va collocata in quella finestra temporale.

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  2. (03) si chiamava Leonardo Sella, autore del libro "Giorni sereni sulle Prealpi"

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