【Gianni Spagnolo © 20X25】
Per i nostri emigranti in Francia, specie i tanti che stazionarono sulle Alpi Occidentali, sarà forse stato il primo dilemma con la lingua francese: le sapin* o el sapìn?
I Nostri erano avvezzi ad entrambi: sapevano infatti per esperienza che per manipolare le sapin serviva el sapìn, anche se non sapevano di essere avvezzi, dato che loro non erano sapins. Non era comunque un grosso problema, dato che la maggior parte di loro dovettero darsi da fare più con la pietra che con gli abeti, pur se se al paesello avevano maneggiato meglio il sapìn che il ferro da mina.
El sapìn era, assieme alla scure e al segòn, un attrezzo indispensabile per i boscaioli e quello principe dei segàti, nonché dei cavalàri. Quel lungo arnese dal becco d’aquila aveva da sempre la funzione di muovere i tronchi e dunque ampiamente usato nei lavori dei boschi, nelle menàde e nelle operazioni di segheria.
Fra i tanti attrezzi infilati sotto alle travi del nostro bàito, il sapìn, da bocéta, mi faceva un po’ impressione. Di menàre, menaròti, segùni a dò man, cùgni, stcione e sogàti, intuivo la funzione, ma mi sfuggiva quella di quel grande utensile dalla lama adunca e spopositata e con quella strana tetéla in fondo. Ce n’erano di diverse epoche: uno era visibilmente forgiato a mano e di foggia antica, dato che penso appartenesse al mio bisnonno, ma probabilmente era un lascito addirittura anteriore.
La Prima Guerra Mondiale aveva fatto strage di sapins nei nostri boschi, mentre la Seconda archiviò anche le attività boschive della nostra gente, disperdendola in giro per il mondo a fare altri mestieri. I sapìni restavano perciò nelle nostre case come testimoni di un'epoca; forse meglio dire un'epopea! Entrambi, sia i sapìni che i sapins, appartenevano ormai ad un mondo perduto.
Sulle montagne si ripararono infatti le immani devastazioni della guerra piantando abeti rossi, escludendo gli avessi, che prima, assieme ai faggi e ad altre specie endemiche, le popolavano in colonie ben più significative. Mio nonno raccontava di avessi secolari che ci volevano tre o quattro uomini per abbracciarli. Anche l'Avez del Prinzep, la tanna per eccellenza delle nostre zone, non ha più retto il testimone e s'è schiantato. La monocoltura dell'abete rosso ha cambiato l'originaria fisionomia dei boschi, facendolo diventare praticamente l'unica pianta d'alto fusto dei nostri Altopiani, il dittatore assoluto. La recente tempesta Vaia ci ha mostrato che, forse, anche nei boschi servirebbe maggiore democrazia.
Non ho mai saputo come si chiamasse in italiano el sapìn; solo adesso, andandomelo a cercare di proposito, apprendo che si chiama, senza troppa fantasia: tiratronchi.
* Sapin è il termine francese per l'abete bianco, che da noi si chiama: avesso o tanna.
Mon beau sapin, roi des forêts,
RispondiEliminaQue j’aime ta verdure !
Quand, par l’hiver, bois et guérets,
Sont dépouillés de leurs attraits,
Mon beau sapin, roi des forêts,
Tu gardes ta parure.
O albero, o albero,
risplendi nella notte !
Le luci tue scintillano,
come le stelle brillano.
O albero, o albero,
risplendi nella notte !