Ciao Carlo
ad un anno di distanza
ti saluto come quel giorno:
Ciao Amico Mio
“Ciao Bocia!”
§§§§§
Io e te ci siamo sempre visti in edicola, trecentosessanta giorni l’anno ci dicevamo insieme. Trecentosessanta, non trecentosessantacinque, perché cinque giorni l’anno i quotidiani non escono, e sia per me che per te, era un grosso problema, perché bisognava pur sempre trovare qualcosa da leggere! Quante cose ci siamo raccontati Carlo! Quanto hai letto Carlo! Ieri insieme a Giovanni ho visto il tuo studio, dove passavi il tuo vero tempo libero, dove leggevi di tutto, dove forse riuscivi a non sentire il campanello di casa. Non sentire il campanello di casa per te era l’unico modo per riposare davvero perché a nessuno hai mai saputo dire di no dicendo che il tuo era giorno di riposo. Non c’erano confini tra i tuoi pazienti e quelli degli altri medici, non c’era confine tra la tua vita privata e la tua missione di medico. Tutto era affidato all’intelligenza delle persone di saper non approfittare della tua infinita disponibilità.
Ieri, ho chiesto a Giovanni, come mai lì in evidenza c’era “Antologia di Spoon River” di Edgar Lee Masters. Mi ha risposto che era l’unico libro riletto da te molte volte.
Vedi Carlo, per me è stato come trovare la chiave di lettura degli anni che ci hai regalato. “Spoon River” è una raccolta epigrafe della vita di tutte le persone di una comunità, scritta con lo scopo di raccontare la vita umana tutta dentro un piccolo paese.
Ho subito pensato che solo tu potresti scrivere la Spoon River di Posina, di Pedemonte, di Lastebasse, di buona parte di Valdastico, di mille persone anziane e sole, di tante contrade di cui hai visto morire l’ultimo abitante.
Ho subito pensato cosa ci hai messo nel tuo lavoro, oltre a ciò che ti veniva richiesto. Hai scelto di vivere impregnandoti della vita degli altri, ascoltando le loro confidenze, le loro paure, convinto com’eri che solo vivendo vicino agli altri, vivevi per davvero.
Ma vedi, Carlo, io sarò anche Bocia, ma non voglio che tu passi solo per l’uomo buono di una piccola comunità chiusa. Io, e tu lo sai bene, non riesco a dimenticare la dimensione pubblica, e voglio chiedermi fino in fondo chi sei stato tu, chi e che cosa oggi questi paesi hanno perso. Per rispondermi ho bisogno di tanti volti, dei tanti casi sociali dei comuni di questa Valle, degli ultimi che in questa valle sono nati e vissuti, o degli ultimi di colore, razza e culture diverse che qui sono arrivati o arrivano nel bisogno. Tutte persone che tu in ogni modo hai avvicinato. Non servono esempi perché sarebbero mille. Per me e per questa valle, Carlo, sei stato maestro anzitutto di tolleranza, testimone di come le persone si guardano e si aiutano indipendentemente da dove vengono, da costumi e religioni diverse dalle nostre.
Carlo, io qui dentro non ti avevo mai visto, io sono tra quelli che qui dentro in Chiesa ci vengono ogni domenica. Eppure vedi Carlo, ti ho visto vivere la dote più difficile per un cristiano meglio di chiunque, ovvero vivere l’altro, semplicemente come una persona cui stare vicino, nero o bianco che sia, di questa o quella religione. Sento che il tuo esempio ci mancherà Carlo, eppure voglio che rimbombi, in una valle aperta a chiunque possa e voglia viverla. Come la vuoi tu. Come Giulia e come Giovanni l’hanno sempre vissuta.
Sono tre mattine che non ti vedo alle 7 e 20. Dovrò abituarmici Carlo. Come Tiziano Faccio da Roveré Veronese, come tutti noi.
“Ciao Carlo.” “Ciao”. Bocia.
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