giovedì 31 luglio 2014

Valdastico Nord. Il comitato del 'no': 'Brava Moro e bravi quei sindaci non asserviti al potere'

Qualche settimana fa non sono riuscita a commentare l’articolo apparso su Thiene On Line riguardante la lettera inoltrata al Premier Renzi dai sei sindaci contrari al completamento della Valdastico Nord.






Non posso però esimermi dal farlo ora che i signori della Lega-Liga di Marano mi hanno dato l’imbeccata giusta.

Credo sia più che palese che i sindaci sono “vittime di un disegno superiore”. Se non “vittime”, marionette abilmente manovrate, peggio ancora, con il loro asservimento, sembrano essere complici di qualcuno che cerca di far di tutto per chiudere il cerchio ad esclusivo suo beneficio.

Coraggiosi questi sei sindaci che hanno deciso di muoversi contro corrente dimostrando di non essere assoggettati al potere e di saper ragionare con la loro testa.

Il discorso tecnico, economico, ambientale viene appena citato nella lettera. Essi parlano di “decisioni prese senza coinvolgere tutti gli attori, di discussione completamente evitata”. Qui si punta il faro su uno dei diritti fondamentali che ultimamente sembra essere passato di moda: il diritto alla parola e ad una decisione condivisa a livello collettivo.

Sono passati due anni da quando ad Arsiero è stato presentato il progetto preliminare della Valdastico Nord, ma le modalità non sono per niente cambiate. Si sa, l’allora Presidente della Provincia di Vicenza, nonché Presidente della Società Autostrade Schneck potè tranquillamente evitare il dibattito, spegnere i microfoni per non dare spazio alle domande dei presenti. In fondo, davanti a lui, la maggioranza di quelle persone faceva parte di quella che lui ha definito “comunità Amish, persone ignoranti, non dotate di capacità analitica” che non avrebbe potuto capire la bontà di questa opera faraonica.

Il Presidente Schneck è talmente accecato dalla sete di potere, è talmente smanioso di arrivare a ottenere questa concessione, che per la Valdastico Nord si dimentica le buone maniere, continuando a dare ad intendere che la decisione è univoca e che lui può parlare a nome di tutti.

E’ successo cosi anche l’anno scorso, quando ha chiesto la delega ai sindaci per parlare in loro vece a Roma (rappresentando il Presidente della Provincia che pensa al bene dei cittadini, o il Presidente della Società Autostrade che pensa alle tasche proprie?)

E quest’anno ci risiamo: l’esimio non ha visto l’ora, subito dopo le elezioni, di planare sui sindaci appena insediati, alcuni freschi di nomina, per chiedere loro di firmare una lettera affinchè la Valdastico Nord venisse inserita come opera prioritaria nello “Sblocca Italia” (lettera prestampata, uguale per tutti, inviata dalla mail della Direzione Società Autostrade).

Quindi, cari signori della Liga/Lega, quando le decisioni si calano dall’alto chiedendo solo una firma, quando ai primi cittadini, che ci rappresentano, viene negata la possibilità di un confronto condiviso, chi vuole può assecondare ed essere “vittima del sistema”, ma c’è anche chi si sente in diritto e in dovere di denunciare un modus operandi che deve finire.

Collegandomi alla bellissima frase citata dai sindaci - “non si avvisano le rane quando si sta per drenare lo stagno - ci sentiamo tutti un po’ rane oggi. Perché chi pensa ai propri interessi ha tutti i vantaggi a lasciarci nell’ignoranza.

Un grazie, quindi, ai sindaci che hanno avuto altro da dire. E a lei, Sindaco Moro, non molli! Rappresenta tanti comuni cittadini che si battono per la trasparenza e il rispetto delle leggi.


Un ultimo pensiero: avrei voluto sottoscritta questa lettera anche dai sindaci della “mia” vallata, invece qui, purtroppo, c’è solo l’eco del silenzio….


Denise - Comitato NO Valdastico NOrd -

Autostrada



Venezia - Festa del Redentore 2014

(segnalata da Alago)

CLICCATE QUI 
guardate che meraviglia!

Contra' Lucconi

(solo e soltanto per AGOS, un omaggio da parte di Alago)

La ballerina bianca detta "boarina" che se ne va a spasso per la Cavallara


Per me sapeva che sarebbe passato Alago...
 

Pasticcio di patate e funghi

E’ un contorno saporito e sfizioso che puo’ trasformarsi in un piatto unico con aggiunta di un po’ di prosciutto o magari delle salsicce sbriciolate! 

Se amate i piatti piu’ “legati”, potete arricchire questo pasticcio con della besciamella, magari aromatizzandola con un po’ di rosmarino! 
Ingredienti per 4 persone:
300 gr. di patate
300 gr. di funghi (che volete voi)
150 gr. di stracchino
 20 gr. di parmigiano grattugiato
sale - pepe - 1 spicchio d'aglio


Preparazione


Pulite i funghi con un panno umido, togliete le radici e tagliateli a fettine sottili.
In una padella rosolate uno spicchio d’aglio. Togliete l’aglio ed aggiungete i funghi ed un po’ di sale.
Fate cuocere a fiamma viva, girando spesso. Cuocete una decina di minuti.
Sbucciate le patate e tagliatele a fette spesse circa mezzo cm.
Cuocetele 5 minuti in acqua bollente, dovranno ammorbidirsi leggermente, senza sfaldarsi. 
Scolatele e salate.
In una terrina grande mettete un filo d’olio. Aggiungete le patate, i funghi e lo stracchino.
Continuate fino a terminare gli ingredienti. Alla fine spolverate con il parmigiano ed un po’ di pepe.
Cuocete in forno preriscaldato ventilato a 180° per circa 15-20 minuti.
Ed ecco pronto il pasticcio di patate e funghi!
(by OKS)





Nonno Edo racconta 3)


QUANDO LA “SINGELA” S’INGELA…









L’autunno è ormai inoltrato, l’inverno sta per arrivare, il freddo comincia a farsi più intenso e le giornate diventano sempre più corte. Sul sentiero della Cingella, attorno alle piccole sorgenti che si trovano lungo il percorso, si formano i primi ghiaccioli che, piano-piano, invadono tutto il tracciato creando una specie di manto trasparente, un velo di ghiaccio che copre tutta la mulattiera e la fa sembrare di cristallo. Da questa condizione atmosferica viene il detto “Quando la Singela s’ingela”! Anche i fili d’erba sembrano collane di perle, prostrate verso il terreno che si sta addormentando, ogni cosa attorno assume un aspetto diverso quasi incantato. Specialmente quando la prima neve si posa dolcemente sui sassi, sui cespugli, sugli alberi, su tutto il paesaggio, componendo dei disegni meravigliosi, quasi fiabeschi. Guardando in alto, dal paese di San Pietro, si può capire quando i candidi fiocchi stanno per cadere, a questo punto il nonno prende lo zaino e si appresta a partire. Sente come un richiamo, una voce che gli viene da dentro, come qualcosa di misterioso che lo sprona a recarsi nei luoghi che tanto ama. Così, passo dopo passo raggiunge attraverso la mulattiera il “Sojo Alto”, dove si ferma, accende il fuoco e si gode in pieno il paesaggio. Seduto accanto ai rami che bruciando infondono calore, i suoi pensieri si perdono tra le faville che salgono al cielo, tra le fiamme di quel fuoco, riesce quasi a vedere le ombre, le sagome delle persone che hanno percorso quel sentiero.Ora gli tornano alla mente tutti gli episodi di cui ha sentito raccontare, episodi tragici, dove uomini e animali erano costretti a lavori rischiosi, specialmente d’inverno, quando il percorso era a dir poco impraticabile.  Nel momento in cui il manto nevoso era caduto abbondantemente, il transito dei carri era impossibile, quindi il trasporto del legname veniva fatto a traino;i grossi tronchi venivano collegati a due a due con le “s-cione” e nei percorsi più ripidi, venivano applicate delle catene ai tronchi di testa per rallentarne la corsa. Il nonno ricorda quando il padre, durante il percorso dalla Porta a Cima Cingella, fu trascinato con il suo mulo nella ripida valle del Trugole. I tronchi si erano impigliati accavallandosi ed erano usciti dalla strada facendo finire uomo e mulo in fondo al precipizio. Miracolosamente l’uomo fu salvo, ma per il dispiacere di aver perso la sua bestia, tornò a casa lasciando agli altri carrettieri la possibilità di spartirsi la carne. Quel sentiero ha visto molti fatti tragici, che a volte compromettevano la vita delle famiglie e anche l’esistenza stessa delle persone. Il “biroccio” di Giovanni Basso, uscì dal sentiero in località “buso de Paolo” e scivolò in fondo alla Val Torra. Il mulo ancora vivo, ma agonizzante, fu trovato sul tracciato dell’acquedotto e per non vederlo soffrire inutilmente, fu abbattuto sul posto.  Nella zona dei “Casteliti”, Giovanni Sartori (Minai), si salvò grazie a una macchia di grossi faggi, che arrestò la corsa del suo carro in cima a un precipizio di 200 metri. In quel luogo esiste ancora un’immagine sacra, come era fatto spesso, in caso di scampato pericolo. Molti sono i quadri o le piccole statue poste in quel percorso, per ringraziare, ma soprattutto per ricordare. In località “Carbonare” c’è una statua di S. Antonio, messa in occasione della vicenda che Giovanni Sella visse di persona uscendo dalla strada, fortunatamente riportò soltanto escoriazioni su tutto il corpo. Per la grazia ricevuta, pose al primo figlio il nome di Antonio. Qualche centinaio di metri più sotto, prima del “costo del Baù”, da una piccola fessura nella roccia, sgorga un filo d’acqua purissima, qui tutti si fermavano per bere e assaporare quel dono prezioso e tanto gradito. E’ in questo luogo che, Daniele Spagnolo scendendo con il suo pesante carico di tronchi, nel punto dove la strada si fa più stretta, si trovò a sbattere con l’asse del “biroccio” contro la roccia, il carico si rovesciò andando a finire sulla strada sottostante; un grande spavento, ma per fortuna le persone rimasero incolumi. Quando poi la neve era molto alta, una ventina di uomini andavano a spalarla, per aprire un varco fino alla “Porta”. Circa negli anni ’50, Domenico Pesavento tornato dall’Argentina, trovandosi presso la fontanella di “Daniele”, ricordava quanto aveva pensato a quei luoghi quando era lontano, a quanto era importante il ricordo di quello zampillo d’acqua che nasceva tra la roccia e diventava meraviglia della natura. Una natura che regala tante cose belle, che sa sorprenderci con le sue semplici grandezze, ma che a volte può essere causa di dolori. Anche Felice Pierotto uscì di strada nello stesso punto dove, Augusto Lorenzi (Barattieri) si era salvato per puro caso. Vivere vicende come queste, ritrovarsi vivi per miracolo, prendere coscienza che le cose sarebbero potute andare peggio…Quanti e quali saranno stati i pensieri di questi uomini, uomini coraggiosi, sprezzanti del pericolo in nome soltanto del sostentamento delle loro famiglie.
Il nonno adesso parla con il cuore gonfio…,la storia lo riguarda da vicino, ricorda che la sua famiglia possedeva un cavallo da traino, un grigio-ferro di nome mario, che era di grande aiuto per il loro lavoro. Un giorno, Urbano Sella, fratello di Edoardo, insieme all’amico Adriano Campanaro, stava scendendo per la mulattiera con un carico e a metà “Pontaron”, il freno del carro si ruppe, a nulla valsero gli sforzi per farlo fermare, si arrestò solo in cima al burrone sotto al capitello di “Baston”. La povera bestia, sfinita e lacerata in varie parti, fu soppressa a casa su consiglio del veterinario, con enorme dispiacere di tutta la famiglia.
Il fuoco si è quasi spento, è ora di fare ritorno a casa, ma passando per il “covolo dela vecia”, dove i ricordi di bambino si fanno più vivi, pare quasi di sentire le voci di chi raccontava storie incredibili e paurose. Quando i bambini venivano portati su per la “Singela” a far legna o fasci d’erba con i “grandi”, perché stessero tranquilli veniva raccontata a tutti la stessa storia: in quella grotta viveva una vecchia che usciva solo per portare al pascolo le sue capre. Così, passando, i ragazzini stavano in silenzio e si ritenevano fortunati se non vedevano la vecchia… Adesso, in quella grotta un tempo teatro di storie spaventose, il nonno ha pensato di allestire un presepio, per ricordare i fatti avvenuti in quel percorso, ma anche per dar modo a chi va a fare una camminata in mezzo ai boschi, di ammirare una riproduzione particolare della Natività con tutto il paesaggio circostante. E’ diventata una piacevole tradizione: il presepe trasforma una fredda grotta in un caldo ambiente natalizio,  il “covolo dela vecia” è meta di molti che vogliono portarsi fin lassù per uno sguardo e una preghiera. Ci auguriamo di cuore che questa iniziativa continui, ringraziando nonno Edo,
speriamo che quel presepe doni a tutticoloro che lo visitano, la gioia, la pace e la serenità che si possono trovare quando si è lontani dal fragore, dal correre della vita, assaporando ciò che questo piccolo angolo di paradiso può darci.
Lucia Marangoni

mercoledì 30 luglio 2014

Luglio anomalo al Gorgo - guardate che spettacolo!

(by Nicolò Lorenzi che ringrazio infinitamente)













El quiss de Piero: andò sémo?



Spala paltàn

Luglio 2014 - da dimenticare -


 Odette la me scrive che dal'Assa no se passa...


e ala Pria?

La Val Torra




La Val Torra, valle misteriosa ed oscura, fu, per molti secoli la sola via di comunicazione fra l’Altopiano dei sette Comuni e la Val d’Astico. Il suo nome deriva, secondo alcuni storici, da  THOR  dio del tuono, divinità dei popoli  cimbro tedeschi. E’ una  valle lunga circa dieci chilometri che, partendo dall’Astico, dopo circa novecento metri é cavalcata da un ponte in pietra , di circa venti metri, costruito un secolo fa da un celebre scalpellino, tale Giovanni Sartori, dai Lucca, autore di diverse altre opere. Questo ponte congiunge il paese di San Piero con quello di Casotto e si chiama Ponte delle Sleche (in lingua cimbra: sentiero in pessime condizioni). 

Partendo da qui,  la valle si incunea in un forra (gola, canyon) con strapiombi da ambo le parti  alti in certi punti più di duecento metri;  la sua larghezza è di non più di dieci metri. Pericolosissima all’inverno per i candelotti di ghiaccio di cinque, sei metri di lunghezza, cinquanta, sessanta centimetri di circonferenza,  che quando cadono provocano il fragore di una bomba.  Si allunga così per circa quattro chilometri fino allo "Spissaròto" ove ha luogo la presa d’acqua dell’acquedotto di San Pietro.



 
Il torrente prende la sua forma  nell’impluvio della località Bìsele, patria delle famiglie ROSSATO, detti GALENI. Dopo circa  seicento metri si infila in un canyon di cinquanta metri di profondità e di sei metri di larghezza, cavalcato da un ponte in cemento e carrozzabile ora, ma che un tempo era una misera passerella in legno che serviva per alimentare gli abitanti del Bìsele di farina macinata nei mulini della Val d’Astico e portata fin quassù a spalle passando per Belfiore, Luserna. Di qui passavano le raccoglitrici di funghi che, partendo da Luserna, venivano nelle nostre  montagne a funghi russi, cochi, brise ecc. Il giorno dopo li portavano a Trento a venderli. Di ciò posso testimoniare per averle incontrate più di una volta alla Porta e fin nel Trugole. Quando le vedevo mi facevano paura: erano tutte infagotà sù con un gran fazzoletto in testa,  la faccia rossa, i oci sbarà fora, el bigòlo con le do séste tacà sù... Via a gambe levate!...  

Sembra che in una enorme pietra posta accanto al ponte  fosse stato scolpito un gallo con sotto questa scritta: “Quando questo gallo canterà... la famiglia ROSSATO scomparirà”...






Da sempre la TORRA fu confine orografico naturale fra gli abitanti della sinistra di origine veneta e quelli destra Casotto. Divenne pure di Stato quando nel  1600 la Repubblica di Venezia la consegnò alla diocesi di Trento  di fatto nelle mani dei conti TRAPP.       
Sembra che verso l’anno 1100 si siano stabiliti nel nostro Altopiano  dei coloni provenienti dalla Baviera, colpita a quei tempi da grande carestia. Stabilitisi a Luserna  verso l’anno 1400, alcune famiglie scesero e si stabilirono prima a Belfiore, dissodando le magre zone piane e vivendo di pastorizia, e poi, quando la Val d’Astico risultò più sicura, nell’attuale paese. Verso il 1740 ebbero la loro prima chiesa dedicata a San Giovanni Nepomuceno.                                                                               


Sotto i conti Trapp, Casotto ed il vicino Pedemonte divennero  paesi austriaci, con la bandiera dai colori asburgici:  giallo e nero e con l’aquila.   Un servizio di dogana, un ordinamento familiare  scolastico e religioso in tutto conforme al Codice Civile Austriaco e con una “REGOLA” propria alla gestione del patrimonio comunale. E' stupefacente e forse anche ammirevole come ancor oggi, dopo un secolo, abbiano nel cuore il nostalgico ricordo di Francesco Giuseppe e della "zia Zita" (molti  hanno ancora oggi i loro ritratti appesi in casa) e questo malgrado tutte le sofferenze, le umiliazioni, le privazioni  patite solo nei quattro anni di guerra ’15-’18: rinchiusi a BRAUNAU in baracche fatiscenti, trattati come prigionieri, obbligati anche giovanissimi a lavorare, un vestito e un paio di scarpe l’anno! Fuori dalle baracche potevano leggere a caratteri cubitali: “ITALIENIER  RAUS “... 


E chi non ricorda la solenne cerimonia  dell’agosto scorso, la posa della corona nella casa natale del Capitano SCHÜTZEN  G. B. Sartori e l’inaugurazione della strada del Bersaglio a : STANDSCHÜTZEN COMPANIE  di Pedemonte e Casotto?! I Standschützen (tiratori al bersaglio), si dicevano ”Eredi di una tradizione secolare, difensori della loro terra, fedeli servitori dell’imperatore”, il TIROLO come sola patria. Erano giovani, meno di diciassette anni ed anziani di più di cinquanta. Vestivano giacca e pantaloni di panno, calzettoni di lana, scarpe chiodate, sul bavero cucita  l’aquila tirolese. Il primo soldato italiano caduto alle marogne nella Val d’Astico fu opera di uno schütze di Casotto. Furono  questi stessi schützen che, partiti i soldati italiani, si precipitarono a San Pietro  depredando e devastandone le case! E, massimo sacrilegio, rubarono le campane per fonderle e fare cannoni! 

E questo, non fu loro mai perdonato! 
   


E' per questo che fino a qualche tempo fa, quando dai Baise o dai loti si vedeva uno da Casotto dall’altra parte della Torra, si gridava:
"PAGA LE CAMPANE" e l'eco della valle ripeteva... ANE... ANE... ANE  
E loro offesi rispondevano:
"PAGA TO MARE, REGINA DELE P... 
ANE... ANE.. ANE"
Lino Bonifaci

martedì 29 luglio 2014

El quiss de Riccardo

Semo fora stajòn..., ma avanti i stesso...
(aiutini: tuti nati a San Piero: 
1 purtroppo è già andato avanti, 
3 non abitano più in Paese, 
uno solo è residente a San Piero)

Singelando...



timidi fiorellini sembrano essere sbocciati 
per essere fotografati













(by Riccardo Stefani)



lunedì 28 luglio 2014

Novalesa

Novalesa” è un comune di circa, attualmente, seicento abitanti, ma un centinaio di anni fa aveva una popolazione tre volte superiore ed una grande importanza strategica, trovandosi nella Val Cenischia. E' situato lungo la “Via Maestra” o "via franchigena" o “romea” che fa parte della “antica strada” di Francia che dal XIII fino al XIX secolo conduceva al Colle del Monceniso. Il passaggio della strada internazionale faceva del paese, ai piedi del valico, una tappa fondamentale decretandone la prosperità economica ed artistica.
Il Passo del Moncenisio durante questi secoli conosce il suo periodo migliore.
Principale asse commerciale tra Italia e Francia veniva costantemente tenuto aperto dagli abitanti del paese anche d'inverno in cambio di privilegi.
Gli uomini, che dietro lauti compensi, provvedevano al trasporto di uomini e materiali attraverso il valico a quota 2083 metri, utilizzavano rudimentali portantine e muli e venivano chiamati “Marrons” perchè nelle discese si servivano di “slitte” formate da un insieme di rami, chiamate “ramasses”.
A Novalesa si potevano trovare degli esperti carrozzieri che smontavano e rimontavano le carrozze per permetterne il trasporto, a dorso di muli, attraverso il valico. 
In epoca napoleonica, fu costruito un nuovo tracciato di strada verso la Francia, che escludeva la Val Cenischia, quindi Novalesa, decretandone l'inesorabile declino.
Situata a dieci chilometri da Susa e ad una sessantina da Torino, oggi Novalesa è conosciuta sopratutto per la sua Abbazia, fondata da Obbone il 30 gennaio del 726. In principio per la cura degli infermi e l'assistenza ai pellegrini, ma in realtà per il controllo del Valico del Moncenisio. I Monasteri a quei tempi avevano valore strategico e servivano spesso come basi di partenza per le incursioni contro il nemico. Distrutto dai Saraceni nel 906, fu ricostruito nel XI secolo dai Benedettini, i quali furono sostituiti dai Circestensi ed al tempo di Napoleone dai Trappisti di Tamiè (Francia). Nel 1855 il governo piomontese soppresse l'Abbazia. Gli edifici messi all'asta furono trasformati in albergo per “cure termali”, la biblioteca data al Seminario, i Manoscritti trasferiti nell'archivio di Stato. 
Nel 1972 la provincia di Torino acquista il complesso monastico e lo affida ai Benedettini di Venezia per riportare, se possibile, quello che rimane, agli antichi spendori.
Celebre ed antica (1152) trovasi pure “La Chiesa Parrocchiale di Santo Stefano” che racchiude numerose tele preziose della scuola del Caravaggio, di Rubens... ed altri celebri pittori.
Sparse per il paese molte case signorili narrano con la loro bellezza l'antico passato splendore. Novalesa possiede pure un MUSEO di arte sacra ed uno che racconta la vita montana del passato. Nonchè, sparse sul territorio, una miriadi di Cappelle dedicate ai vari Santi: San Rocco contro la peste, che si racconta sia passato di là e Sant'Anna per una apparizione della Madonna. La Cappella San Sebastiano, che serviva per dare religiosa sepoltura ai morti di peste, i quali NON potevano entrare nella chiesa parrocchiale. S. Sebastiano era proclamato protettore dei viandanti e dei pellegrini che, vista la zona impervia ed il clima nordico, ne avevano estremo bisogno.
La Cappella della Madonna di Rocciamelone.” Non il celebre Santuario Rifugio Santa Maria; che si trova in vetta al famoso monte Rocciamelone a 3538 metri, con la statua della Madonna in bronzo, trasportata in vetta dagli Alpini del battaglione Susa ed inagurata il 28 luglio del 1899. Lo stesso anno in cui fu costruito il nostro capitello della GIOA.
Momenti di grande fervore religioso nel nostro paese.
Non quella, ma la ”Cappella della Madonna del Rocciamelone” a Novalesa, costruita in segno di ringraziamento a seguito del voto formulato il 28 Settembre del 1944 ed inagurata il 4 giugno 1950.
....26 giugno 1944: giorno macchiato di sangue e cosparso di tante lacrime che Novalesa non dimenticherà mai. Novalesa deve essere bruciata delenda est, gridavano i nazisti costringendoci a lasciare le case. TUTTI gli abitanti sono radunati sullo “Spazio” all'entrata del paese. Quella giornata la passiamo così con tanta paura ed il cuore pieno di angoscia. Al rientro nelle abitazioni lasciate incostudite, venticinque famiglie non trovano un loro caro, partito, portato via con gli autocarri. Ecco allora la speranza e la certezza che la MAMMA Celeste ci verrà in aiuto... ed i venticinque partiti sono ritornati. Così scriveva una donna, con tanta fede, che aveva vissuto quella orribile giornata!
Altre cure a su nel ciel ha la Vergine Maria.....” A far ritornare i prelevati ci pensarono i partigiani che dopo una giornata di guerriglia a colpi di mitra e cannonate con grandi perdite di vite umane da ambo le parti, poco sopra il paese, alle Granges Savines, erano riusciti a sgominare e a mettere in fuga due compagnie di nazisti. Costoro si erano asseragliati nelle case, prendendo la popolazione in ostaggio. Con un audace colpo di mano, 80 partigiani della Div. Stellina, per stanarli, escogitarono l'espediente di impaurire il nemico, sparando con il mortaio e le mitragliatrici, facendogli credere di essere circondato da imponenti forze. All'imbrunire il Comandante dei partigiani, preceduto da una bandiera bianca, si avvicinò alle case occupate dai nazisti, ottenendone, dopo lunghe trattative, “la resa” alle seguenti condizioni: liberazione immediata di tutte le persone civili e militari detenute nelle carceri; consegna di tutti gli effetti in armi e materiali; salva la vita a tutti e libertà agli ufficiali tedeschi.



Ed è per mantenere sempre vivo il ricordo di tutti gli Alpini e di TUTTI gli altri eroi che sacrificarono la loro giovane vita per la nostra libertà, che gli Alpini di Grenoble parteciparono alla costruzione di un Sacrario, in quello spazio all'entrata di Novalesa e che tutti gli anni vi si recano in pellegrinaggio e depongono una corona di fiori.

Per quanti anni ancora? Cinque erano gli Alpini in quel giorno di cui un nostro convalligiano ottantaquatrenne, ed un trevisano novantaquatrenne che quindici giorni fa ”è andato avanti” come dicono gli imperiali.

Nella corriera di lusso, a due piani, grand confort, che ci portava al paese eravamo sessanta persone. Una quindicina gli uomini, il resto tutte donne, fra le quali qualche vedova d'alpino. La persona più giovane aveva certamente più di settant'anni. Alla cerimonia della posa della corona al monumento degli alpini caduti, eravamo si e no una quindicina di persone. Dietro la mia osservazione al Capogruppo:

Ah, benedéto, el me dise in veneto... quisti quà i se vegnisti in gita... i ga inpienà el portabagagli della corriera de pachi de botiglie de vin e pasta, adesso i se inpiena dò de magnare i se inbriàga de barbera e dopo aver ronchedà tuto el viàio de ritorno, i riva a Grenoble, tutti contenti!” e al prossimo anno...
Lino Bonifaci


Grande Guerra. Da Schio e Valli prendono il via gli eventi per il centenario

La Grande Guerra cominciò proprio oggi, esattamente 100 anni fa. E ancora oggi le montagne di questo luogo di confine ne portano le cicatrici.
Per non dimenticare e rendere omaggio alla vita di quei ragazzi morti troppo giovani, Schio e Valli del Pasubio si sono stretti la mano e hanno deciso di aprire il centenario con celebrazioni importanti, concerti, tributi, preghiere e manifestazioni di pace.

In primo piano i 2 Sindaci Valter Orsi e Armando Cunegato, che hanno visto le loro città protagoniste di eventi che hanno avuto come parole chiave ‘la pace per evitare la guerra’.
Sabato pomeriggio a Schio al Sacello Ossario della Ss. Trinità di Schio il primo cittadino Valter Orsi ha voluto una cerimonia civile in omaggio alle giovani vite dei numerosi caduti della prima guerra mondiale che riposano nel monumento. Con Orsi, le autorità cittadine e il Sindaco di Valli del Pasubio Armando Cunegato ha presenziato l’Arciduca Markus d’Asburgo-Lorena, ultimo erede ufficiale dell’impero austro-ungarico nipote di Francesco Giuseppe e dall’amata Sissi.
Sabato sera Valli del Pasubio è diventata la cornice del ricordo. Con un concerto in piazza organizzato da Ascom di Schio del pianista Paolo Zanarella (in origine avrebbe dovuto essere a Forte Monte Maso, nell’anfiteatro esterno che affaccia sulle Dolomiti, ma il maltempo ha scombinato i piani), il primo cittadino Armando Cunegato ha accolto l’Arciduca d’Asburgo-Lorena, il Sindaco di Schio Valter Orsi, il presidente Ana (Associazione Nazionale Alpini) Luciano Cherubini e il suo predecessore Giuliano Galvanin e altre autorità. Oltre al pianoforte del Maestro Zanarella si è esibito in canti a tema il Coro di Villaverla e Arsiero e si sono ascoltate poesie, declamate da 3 lettori di grande espressività, che hanno rievocato gli anni tra il 1915 e il 1918.
“Sulle creste del Pasubio, che era la porta d’entrata d’Italia – ha spiegato il presentatore della serata – non c’erano distinzioni. I cafoni campani, gli scugnizzi napoletani, i braccianti siciliani e i contadini del nord erano tutti accomunati da una cosa: la paura di morire. La guerra non è umana – ha concluso – ma noi questa sera vogliamo conservare l’umanità e dobbiamo continuare a farlo anche quando le istituzioni sembrano volercela strappare”.

Anna Bianchini Thiene on line

Passeggiata al Gorgo



La canicola è terribile in questi giorni di agosto, la Valle silenziosa, nelle ore pomeridiane non si vede in giro anima viva, io non posso stare chiusa in casa e m'incammino come un'anima in pena verso il sentiero che porta al Gorgo per cercare un po’ di frescura. L'orario non è dei migliori, con il sole cocente c'è pericolo di incontrare qualche vipera e perciò mi devo concentrare e guardare bene dove metto i piedi e con il mio bachéto sposto l'erba davanti al percorso per spaventarle, però non ho paura e ogni tanto per riprendermi mi siedo all'ombra delle viti; il caldo e il silenzio m'inducono a sonnecchiare.


Ad un certo punto una piacevole frescura m'invade, alzo lo sguardo e a farmi ombra c'è un Angelo Custode, mi tende la mano e da quel momento non mi sento più sola, davanti a me qualcun'altro controlla il percorso e la passeggiata diventa leggera, quasi non sento più il caldo e la stanchezza e in un attimo arrivo al bivio del Gorgo. 
Mi dirigo verso il sentiero sulla destra che porta in una zona a me sconosciuta, più avanti c'è un bellissimo ponticello di sasso tutto coperto di muschio; si sente il rumore dell'acqua, il terreno è scivoloso, tra l'altro il ponte è sprovvisto di protezione, piano piano lo attraverso con la voglia di scoprire luoghi nuovi. Proseguo ancora per un breve tratto, ma poi desisto perchè la boscaglia è troppo fitta e la preoccupazione di dover riattraversare il ponticello mi attanaglia, meglio farlo subito!!! 

Questa volta trovo il coraggio di guardare di sotto, lo spettacolo mi attira:  l'acqua scorre nella direzione del Gorgo incanalandosi vicino a dei massi giganteschi di colore ambrato che sembrano formare dei tetti a protezione delle parti asciutte del terreno, la curiosità è troppo grande e così mi metto a cercare il sentiero che porta laggiù. 
Arrivata a destinazione mi tolgo le scarpe, attraverso il ruscello e mi siedo sotto a quei massi ad ammirare la bellezza del luogo; anche l'acqua è speciale, pulita, cristallina ed io mi disseto senza tante preoccupazioni. Vorrei che il tempo si fermasse, chissà che cosa nascondono tutte queste rocce, comunicheranno tra di loro? 
Prima che mi vengano cattive idee, il mio Angelo Custode sorridendo mi fa segno di alzarmi e mi riporta sulla via giusta; ora il sentiero si trasforma in passerella artificiale,
stiamo andando verso il laghetto dove c'è una spiaggia sassosa molto accogliente e all'ombra dei salici piangenti mi stendo e mi godo il pomeriggio, cullata dal rumore della cascata. 
Un senso di pace e di sicurezza mi pervade; ho come la sensazione che si stia aprendo un futuro dolce e radioso e che ciò non debba mai finire. 
Sulla via del ritorno per un tratto percorro il boschetto alla destra  degli scalini artificiali, il terreno è soffice e gli alberi novelli alti e sottili lasciano filtrare il sole che di lì a poco diventerà tiepido; distratta dalle mie emozioni mi ritrovo al Capitello e mentre imbocco la strada pianeggiante che porta ai Pertile vedo il mio Angelo Custode scomparire velocemente tra le viti là dove mi aveva raccolta qualche ora prima per accompagnarmi con pazienza e dolcezza senza nulla chiedere. 

Molte volte ho ripercorso quei luoghi e dintorni immaginando di essere una giovane Pellerossa, ma sempre certa di essere protetta da ogni pericolo, sentendomi sempre più sicura nel mio cammino di crescita. 
Sembrerà strano, ma durante tutta la mia vita nei momenti difficili e cruciali ho sognato quell'Angelo, non sembrava però un sogno, ma realtà e ciò mi ha aiutato moltissimo a proseguire più forte di prima. 
Ho imparato che la capacità di sognare è ciò che permette all'essere umano di porsi nuovi obiettivi e di non considerare finito il proprio cammino terreno.  
Floriana Ferrarini
                                    

Potenza del nome

[Gianni Spagnolo © 25A20] A ben pensarci, siamo circondati da molte cose che non conosciamo. Per meglio dire, le vediamo, magari anche frequ...