I protagonisti di questa storia sono inventati, la traccia principale è partita da un fatto di cronaca raccontato tra una bussata di briscola e un bicchier di vino nella mitica osteria dalla Nìnele.
Che serata buttata, con questo caldo si stava meglio fuori, me ne stavo andando, ma dal tavolo da gioco sentii una parola strana mai sentita: ”violà”. Incuriosito tornai sui miei passi e facendo finta di seguire la partita a carte ascoltavo … All’inizio degli anni trenta il nostro bosco portava ancora i segni della passata guerra, in molte zone squadre di operai stavano impiantando giovani abeti per una corretta crescita del bosco, i boscaioli stavolta non tagliavan, ma facevano nascere. La sera, finito il lavoro, si trovavano in miseri capanni, per i più fortunati qualche locale di una malga. Stefano , con la sua squadra era nella malga Mandrielle; a nord delle casare c’era una zona molto distrutta e tra chiusure di trincee e rimboschimento si guadagnava onestamente il pane. Giù in paese aveva una moglie e una figlia di sedici anni di nome Emma. Le due donne ogni mercoledì portavano in malga dei viveri e qualche cosa di necessità, la figlia era sempre felice di incontrare il padre, la madre un po’ meno, ma questa è un’altra storia. Settembre era iniziato, ma l’estate era ancora ben presente nella valle. Vestite il più leggermente possibile e con ai piedi gli zoccoli di legno chiamati “sgàlmare”partirono di buon mattino. Emma portava sulle spalle un vecchio zaino militare con dentro del pane , un salame e un bottiglione di vino destinato a tutta la squadra del padre, la mamma in una sacca di juta aveva della biancheria e un contenitore di legno per acqua. Verso le sette di mattino di quel settembre 1933 erano ai Baise; sulla strada incontrarono la Nena con la sorella che, con fare agitato, cercavano il piccolo Lino, a sentir loro era sparito, ma con frasi di ottimismo si salutarono e se lo trovavano sù per la Singéla certamente lo avrebbero indirizzato verso casa. Poco prima del “sojòlo” videro il bambino, tranquillo e spensierato, stava giocando a tirare sassi giù verso la Torra, chiamarono la Nena e tutto proseguì per il verso giusto, Emma pensò: “ tremendo stò bocia a tri ani el va zà in giro da solo, sarà uno che da grande el narà in giro par el mondo”. L’acqua fresca del Salto fu una benedizione, il tratto S. Piero – Baise era per Emma uno sforzo faticoso e dopo il rinfresco ricevuto da quell’acqua fresca e limpida ripartì con una nuova energia. Il sole illuminava le cime del monte di Casotto e il leggero vento che si sente verso il Buso portava i profumi della nuova mattina estiva, con un passo svelto e sicuro si gustarono il piano dei Fundi e al nuovo capitello Emma lesse a voce alta la supplica: Proteggeteci sul nostro cammino, un segno cristiano e via verso cima Singéla. Alla svolta della Manetta incontrarono dei giovani in camicia nera alla ricerca di acqua, gli dissero che erano accampati più in alto in località la Porta, sistemati come militari con un gruppo di Avanguardisti in un campo Dux. Gli occhi di Emma incrociarono lo sguardo dei giovani coetanei , avrebbe voluto conversare di più, ma la strada era ancora lunga per Mandrielle, disse solo che scendendo verso valle dopo tre curve c’era acqua e raccomandò loro di non sporcarla. Dalla cima del Sojo Alto la visione della valle era stupenda, la sosta era gradita da entrambi e guardando le balze del monte di Casotto si rifocillarono con della polenta fredda e salame. La mamma di Emma, visto che dovevano passare per la Porta, si preoccupò, si mise fretta e invitò la figlia a incamminarsi. Al bivio con la strada che porta a Camporosà presero a destra per la valle del Trugole; la valle per la sua profondità si presentava con boschi intatti e superbi, e subito un odore di fumo e cucina fece ricordare alle due donne che l’accampamento era vicino. A lato della strada sia a destra che a sinistra le tende facevano da cornice al rumore delle sgàlmare; molti giovani si avvicinarono, un graduato, che sembrava un cappellano militare, riportò ordine e chiese alle donne il motivo del loro passaggio. Con un ”buon viaggio” il cappellano le congedò e subito il passo si fece più svelto arrivando alla pozza delle Carésse in breve tempo. L’acqua era di un verde smeraldino e l’erba alta delle sponde veniva accarezzata da piccole onde mosse da un leggero vento fresco; Emma gridò alla vista di una biscia che attraversava il piccolo lago, poi ne fu incuriosita e si fermò a guardarla mentre con la testa fuori dall’acqua non si decideva sul da farsi, avrebbe voluto stare lì per vederla uscire e chiese alla madre se poteva fermarsi, la madre stizzita le disse che lei andava avanti e l’avrebbe aspettata alla malga. Mandrielle non era molto lontana, proseguendo dritti verso la val delle Spinelle in venti minuti si arriva e la strada Emma la conosceva molto bene. Dopo circa cinque minuti lasciò la pozza per inoltrarsi nell’ombra della valle delle Spinelle; si accorse solo allora di essere sola, cercò di non pensarci e affrettò il cammino. Dove la valle si fa più stretta e buia sentì dei passi dietro di lei, si voltò, e vide come un’ombra scura che le coprì il viso, si sentiva stringere e tirare, non poteva vedere niente né tantomeno gridare, una forza sconosciuta la stava trascinando via dal sentiero, fra la tensione e la coperta che non la faceva
respirare bene, svenne. Si risvegliò parecchio tempo dopo, il viso del padre chino sul suo, la voce familiare che le chiedeva come stava. La scena che si presentava non lasciava dubbi, la giovane Emma subì una vile offesa, i suoi vestiti erano in disordine ed era chiaro che un vigliacco si era sfogato su di lei. Nel sentiero che ritorna alla pozza delle Carezze qualcuno trovò un bottone nero di una misura insolita per i vestiti normali, in seguito avvicinando il Curato del paese, Stefano si accorse che la forma e colore dei bottoni del prete era uguale a quello perso in valle delle Spinelle. Un tremendo sospetto verso il cappellano avanguardista si fece avanti, era l’unico che aveva nel suo corredo la veste e quindi l’aveva usata per coprire il volto di Emma. Questo pensò il padre e nella sua mente tramava già come vendicarsi di quella orribile vicenda. Nel frattempo Emma si ristabilì del tutto e aiutata dal suo coriaceo carattere dimenticò il fatto e cercò di persuadere il padre a fare altrettanto. Non fu così. Richiamato alle armi prese parte alla campagna di Grecia e le vicende belliche portarono il suo reparto a condividere una missione con un reparto di camicie nere. Conobbe dei soldati che erano stati al campo dux alla Porta, seppe anche il nome del cappellano e dove esattamente si trovava in quel momento. Cercò e lo trovò, parlò al tenente cappellano, ma quando fu in procinto di mettere in pratica un piano contro di lui i greci attaccarono su tutto il territorio e la battaglia fu arrestata con parecchi morti fra cui il prete militare. Ebbe fortuna e alla fine tornò al paese sano, raggiunse la figlia e con il suo aiuto morale e la generosa possibilità economica del marito di Emma aprì una piccola bottega di riparazione e vendita biciclette in quel di Thiene, divenuta in seguito una ricercata officina per motocicli.
La partita a briscola era quasi finita e dalla porta aperta una voce di donna “papà nemo dai, la mama la zé in pizzeria a Setecà che la ne speta…” Un avventore si alzò, passò vicino al tavolo e toccandomi la spalla disse: vìditu zòvane… i la gà contà giusta, ma i se gà desmentegà de dire che la singéla de storie brute la ghe ne ga altre, bisognarìa podér savérle tute, ma zé difìssile contarle desso, fursi pì vanti…Ma chi zelo sto chì? chiese un giovane dopo aver tirato un colpo di biliardo… l’è un dal paese che però l’abita a Thiene, da tanti ani.
Piero Lorenzi
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