Il cielo restò grigio e pesante per tutta la giornata, nessun accenno di neve, ma la tepa della piazza la aspettava da un momento all’altro.
Passato il Natale e compiti permettendo, la nostra attenzione era rivolta al cielo; la voglia di slittare con i nostri bolidi pattinati si faceva sempre più forte, la mia slitta da tempo era insaponata.
Sovente, dandoci una specie di turno, si aiutava il campanaro Toni a tirare le corde delle campane; ogni sera, venti minuti prima della Messa, sostavo sulle scale in ferro che portavano dentro il campanile (povero campanile, pochi anni fa ha festeggiato i duecento anni, ma nessuno si è ricordato di lui, ne son passate di generazioni sotto il suo arco...).
Con tempismo svizzero Toni arrivò, più o meno mi salutò, e con passo pesante si diresse verso la scala; il suo odore, un misto d'incenso e zucchero, mi pareva molto più marcato del solito. Infilando la grossa chiave nella porta disse: "doman matina ghe zé la neve", il suo antico dolore alla schiena la chiamava.
Quella sera, la campana più piccola suonò con rinnovato vigore. La mattina seguente, appena sveglio, mi precipitai alla finestra ... ne ero sicuro, già l’orecchio mi diceva tutto, non si sentiva niente, solo in lontananza le prime badilate di spalatura mi facevano capire che stava per cominciare il divertimento.
La nevicata si presentava copiosa, lo spessore era già alto e in un secondo ero sotto l’abete della piazza. Uno alla volta tutti i miei amici raggiunsero l’albero e dopo le prime occhiate fra di noi, si decise sul da farsi; non si poteva andare sulla pista delle rive, troppa era la neve che cadeva, ma la battaglia a suon di palle di neve già stava cominciando.
Ogni passante che transitava per la piazza era sotto tiro, innocue, le nostre palle di neve disturbavano il loro incerto cammino, ma non fu cosi per lo stradino comunale Emo.La sua figura era sempre presente a noi giovani, noi per le strade in cerca di guai, lui per le strade per lavoro, sempre pronto a un: "vé casa ... cosa feu qua?";forse in noi vedeva la fonte dei suoi lavori extra, causa rotture delle lampadine, le fionde a quei tempi facevano danni.
A metà mattina, preceduto dal rumore caratteristico del ferro sui sassi, passò lo spartineve, trainato dal Lamborghini giallo di Cirillo, mitico trattore ancor oggi esistente e funzionante, credo abbia circa sessant’anni, prelevato direttamente da Cento (Ferrara) e portato a S.Pietro nei primi anni cinquanta; in seguito vidi il Genio meccanico del padrone che in quattro ore trasformava il mezzo, da cingolato a gommato, tutto da solo.
L’azione fu fulminea e imprevista, mai avrei pensato di fare un tiro così preciso e diretto; la palla di neve, pressata per bene , dopo una lunga parabola si schiantò sulla testa del povero Emo. Il silenzio e lo sgomento precedettero una sonora risata collettiva, interrotta dai lamenti del malcapitato, il quale, con la lingua arrotolata in bocca, si stava avvicinando pericolosamente a noi. Nello stesso momento, dalla via Rotzo arrivarono in loco due ragazzi un po’ più grandi di noi; uno dei due, vedendo la scena, volle tirare una boccia di neve verso Emo per farlo arrabbiare ancora di più; intravidi il gesto e questa volta la palla di neve non fece una parabola, ma direttamente dalla mano del lanciatore alla nuca dello stradino comunale, il colpo ricevuto lo stordì e, complice una scivolata, crollò sulla neve.
A quel punto la scena fu tragicomica, ci demmo alla fuga, pensando ai due colpi che affondarono il buon Emo, ridemmo tutta la mattina, ma la cosa per fortuna fini lì, non partì nessuna vendetta contro di noi, forse con berretto e sciarpa nessuno ci riconobbe, forse ...
Non contenti, la sera stessa, lo scivolo di ghiaccio da noi prodotto in piazza, fece un paio di vittime, ricordo Bepi Baga, uscito dalla Messa volò in aria con tutte e due le gambe, nelle ricaduta battè la testa sul ghiaccio con dolorose conseguenze, credo che la sua imprecazione contro di noi dimori ancora nella barba di S.Piero, testimone silenzioso sopra la porta della chiesa.
Piero Lorenzi
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