martedì 8 settembre 2020

Gavètaphone

Gianni Spagnolo © 200906
Anche il nostro smartphone, o telefonino intelligente, è stato fanciullo.  Cioè s’è evoluto al grado attuale di funzioni e complessità partendo da inizi ben più rudimentali e rustici. La sostanziale differenza risiedeva nel fatto che la sua tecnologia era allora alla portata dei suoi utilizzatori, anch’essi fanciulli; bociasse, per essere precisi. I quali utilizzatori saranno stati senz’altro meno scaltri con i pollici di quelli moderni, ma ben più industriosi con la tecnologia di base e l’immaginazione.
Si partiva da una scatola di lucido da scarpe di banda, di quelle col galletto  di lato, e si praticava un foro sul fondo al centro dei due involucri usando un chiodo, o la forbice della mamma (1). Quindi bisognava procurare uno spago sottile e lungo; l’ideale era la gavéta (2), oppure quel bel filo cerato scuro usato dagli scarpari, che dava una nota chic all’apparecchio. I due estremi dello spago andavano infilati ciascuno nei forellini di ogni coperchio e assicurati con un bel nodo doppio ai capi in modo che non potessero fuoruscire. Poi ci si distanziava della lunghezza del filo in modo da tenderlo pulito e si parlava nel coperchio, mentre il compagno dalla parte opposta si portava l’altra mezza scatola all’orecchio per ascoltare. Naturalmente poi si dovevano invertire i ruoli, per buona pace del gioco. Il divertimento era assicurato, unito anche alla compiacimento dell’assoluta padronanza tecnologica del mezzo.
Le funzioni erano quelle basilari: si parlava e si ascoltava solo, e a turno. Non si potevano mandare messaggi, né faccine o like e non si poteva andare in rete, anche se allora di campo ce n’era parecchio e anche con tanti operatori. Per la verità, qualche volta capitava anche di  prendere la rete, ma era quella di una passaja, che dava accesso al massimo all’orto o al punaro, ed era più un castigo che altro. Per le faccine invece non era un problema: quelle ce le facevamo di persona con tanto di slenguassi. Non c'era da preoccuparsi neanche per i like o i dislike; anche quelli erano diretti e ci mandavamo a cagare con grande scioltezza in tempo reale. A dire il vero la ricezione lasciava un po' a desiderare, ma alla carenza sopperiva la fantasia, che non mancava di certo.
Ecco, forse è proprio la fantasia che oggi è carente: se si trova tutto pronto, facile ed accessibile, come si fa ad esercitare l’immaginazione?

Lo spunto e la foto sono di Cesco Coga (Francesco Lorenzi), che ringrazio. 

1.- Nel secondo caso era importante non farsi scoprire, ma tanto ci arrivava lo stesso, perché poi doveva portarla a gussare, ed erano sbéchi o savatà.
2.- La gavéta è un filo di canèvo grezzo sottile e resistente, che allora si trovava sempre nelle case perché serviva per un'infinità d'impieghi. 

1 commento:

  1. Ricordi di gioventù fantasia tanta nel trovare con cose semplici e costruire oggetti per divertirsi. Lo spago di canevo era anche filato e fatto in casa. In granaio nea casa ne avevo un gomitolo,era grossolano con tanti rigonfiamenti perché filato a mano. Quanti ricordi il granaio era territorio di scoperte di cose abbandonate e non più usate.

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