sabato 26 settembre 2020

Al sabo, al scuro e soto le coerte..

【Gianni Spagnolo © 20IX21】
Qui all'inizio di Sarcedo, appena fuori Thiene, troneggia ancora l’imponente fabbricato del “Barcon.” Fu costruito nel decennio 1660-1670 dai conti Franzan come villa padronale e divenne, dopo la decadenza della nobile famiglia e diversi passaggi di proprietà, villeggiatura estiva del Collegio delle Dame Inglesi di Vicenza a fine Ottocento. Nel 1907 venne acquistato dalla Curia di Padova, che lo adibì a  sede, prima del Collegio Vescovile e, dal 1922 al 1969, del suo Seminario Minore. Attualmente l'intero complesso è proprietà di privati e in precario stato di conservazione.  
In quel collegio si sono formati gran parte dei sacerdoti diocesani che abbiamo conosciuto e anche molti laici cosiddetti studià.  Allora il seminario era spesso l’unica possibilità per avviare allo studio i ragazzi più promettenti delle famiglie popolari, anche se  non avevano la spinta vocazionale e terminavano con il ginnasio o proseguivano poi in istituti laici. I parroci stessi tendevano ad avviare a questi studi i nipoti, giacché l’essere parente d’un prete costituiva un buon viatico di promozione sociale e un investimento per le famiglie.
M’è capitato recentemente fra le mani il libretto che narra un po’ le vicende quotidiane di quei collegiali e le ferree regole che ne ritmavano la vita nell’Istituto. L’ha scritto un ex-allievo: Giovanni Sartoratti (Caro Vecchio Barcon – Edizioni Alborg Sas – Padova 2001), con un approccio fra il rigore documentaristico ed l’affetto nostalgico, come capita a volte riferendosi ai ricordi dell’adolescenza.
Io non ho mai frequentato un collegio, ma ho vissuto qualche anno nel terrore d’esserci spedito. 
A te paro in colejo!” Era la perentoria affermazione di mia madre quando la facevo bacilare massa
Il collegio doveva perciò essere la massima disgrazia che potesse capitarmi e il luogo capace di piegare anche il più indomito spirito ribelle. Questa minaccia era generalmente sufficiente a rimettermi in careggiata, pur avendo io del collegio un’idea assai vaga. Me lo figuravo come una specie di tetra e lontana Fortezza dello Spielberg, di pellicana memoria, con le grate di ferro spesse un pollice, dove arcigni maestri ti istruivano a vistcià e da dove non si sarebbe tornati a casa per un bel po’; forse mai.  L’esperienza del "colejo" che avevano i nostri, poteva invece essere mutuata all'ingrosso proprio da istituti come il Barcon, o da enti benefici che si prendevano cura dell’educazione dei fanciulli o sopperivano alle carenze delle famiglie.
Al Barcon, in verità, non sembrava che vita fosse così terribile, almeno stando all’epoca e a quanto ne scrive il Sartoratti. Certo, il rigore morale ed educativo era pervasivo, ma pare che molti ne abbiano conservato un ricordo tutto sommato positivo. Va da sé che non dovette essere facile far convivere qualche centinaio di ragazzi dei diversi anni dell’adolescenza e nel pieno fulgore del loro sviluppo, per cui una rigorosa disciplina era nelle cose. 
In quel contesto dunque tutto era meticolosamente regolato. Per esempio, era consentito esprimersi esclusivamente in lingua italiana e chi sgarrava subiva limitazioni nel cibo con l'efficace sistema della "chiave" che ne assegnava il controllo agli stessi colpevoli. In pratica, a chi  scappava el stranboto in dialeto veniva consegnata una chiave, che questi doveva passare, come un testimone, al primo che ci fosse caduto dopo di lui. A chi rimaneva la chiave fino all'ora di pranzo o cena, veniva decurtata la razione di pane. Anche le funzioni più personali erano oggetto di strane procedure. Nelle lunghe e affollate camerate una luce rimaneva accesa tutta la notte e si spegnava solo per un paio di minuti al sabato, quando ciascuno doveva provvedere svelto al cambio della biancheria intima nella totale oscurità e pudicizia. Non oso immaginare quanti dei più piccoli, nell'ansia di far presto, indossassero magari le mutande col patelòn roverso. La cadenza del cambio, una volta alla settimana, era peraltro in linea con le abitudini igieniche d'allora e non deve stupire. Sorprende un po’ di più che di notte quei collegiali, dovessero, del caso, fare i propri bisogni sul vaso da notte, ma stando rigorosamente sotto le coperte, come narra l’autore; sempre a tutela del decoro e della modestia.
Per quelle operazioni lì mi sa che ci voleva un po' di pratica, che non credo venisse adeguatamente insegnata ai ragazzi dagli educatori. D’altra parte, immagino che l’argomento, visto che i soggetti erano intrisi d'ecclesiastico pudore, non abbia lasciato ai posteri gran documenti di quelle peripezie. Perciò un po' di laica curiosità resta. 

1 commento:

  1. Da Thienese di origine non conoscevo tutta la storia del fabbricato "Barcon",sempre vista abbandonata! Grazie!

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