venerdì 31 luglio 2020

Il futuro in una danza


Era quel catino la mia vasca da bagno.
Mia sorella lo riempiva di acqua del pozzo, e metteva il recipiente al sole perchè l'acqua si scaldasse, poi mi ci infilava dentro.
Ebbene sì, quel catino è lo stesso dove nonna lavava quei quattro ciottoli che si adoperavano per mangiare e ciottoli rende al meglio l'idea, perchè visto che l'acqua in casa non c'era e per tutto si doveva tirare sù dal pozzo con le brocche, si stava attenti e si adoperava quel bene prezioso, in modo parsimonioso, quindi si mangiava in un unico piatto o addirittura sul pane, per dover sciacquare poi il meno possibile.
Sapevano bene i nostri vecchi che l'acqua, insieme agli altri tre elementi, aria, terra e fuoco, andavano rispettati, più che usati senza discriminazione
, sapevano che se si voleva che la natura fosse benigna con noi, bisognava essere benigni con lei per primi. E lo sapevano senza guardare su internet solo alzando il naso e annusando il vento, così come sapevano che tempo avrebbe fatto.
Il progresso va avanti e il processo di deterioramento delle nostre risorse ci dicono è inarrestabile, con le relative conseguenze.
Ma la realtà è che noi non stiamo andando tranquilli verso il futuro, noi “marciamo” imperterriti come soldati col passo dell'oca.
Io sarò la solita romantica sognatrice, ma mi pare che forse, “andare verso il futuro” dovrebbe somigliare più che al marciare, ad una danza... dovremmo magari soffermarci, fa
re qualche piroetta, fare qualche passo di lato, correre, saltare, meravigliarci ogni volta, e tornare anche sui nostri passi, certo!
Del resto, anche il tango si balla così: un passo avanti e due indietro...
Dana Carmignani

Frammenti di saggezza

Gli uomini non permettono ad alcuno di occupare i loro poderi e, se nasce una minima controversia sui confini, mettono mano alle pietre e alle armi.
Tuttavia sopportano che altri si intromettano nella loro vita, anzi, vi introducono essi stessi quelli che ne diventeranno i padroni.
E mentre non si trova nessuno disposto a spartire il proprio denaro, a quanti ciascuno distribuisce la propria vita!
Sono tirchi nell'amministrare il patrimonio, ma prodighi nel gettar via il proprio tempo, la sola  cosa per cui l'esser avari farebbe onore!
Cerca di ricordare quando sei stato fermo nei tuoi propositi; quante giornate sono trascorse proprio come avevi stabilito; quando sei stato padrone di te stesso; cosa hai realizzato in una vita così lunga e quanto della tua vita ti è stato sottratto dagli altri senza che ti rendessi conto di quel che perdevi, e il tempo che ti hanno portato via l'inutile dolore, la sciocca allegria, un'avidità insaziabile, il frivolo conversare.
Vedrai quanto poco, in definitiva, ti sia rimasto del tuo; allora capirai che muori prematuramente.
Quale ne è dunque la causa?
E' che vivete come se doveste vivere per sempre, non vi ricordate della vostra precarietà; non osservate quanto tempo è già trascorso, lo sciupate come se ne aveste in abbondanza, mentre invece proprio quella giornata, che state dedicando a qualcuno o a un affare qualsiasi, potrebbe essere l'ultima.
Temete tutto come mortali, ma desiderate tutto come immortali.

SENECA-DE BREVITATE VITAE

giovedì 30 luglio 2020

Ricordando Monsignor Alberto Carotta

Reverendissimo Arcivescovo Lauro Tisi, Reverendi Sacerdoti, Congiunti di Don Alberto, Signori Sindaci e Amministratori di Pedemonte e Luserna, Autorità e Comunità Parrocchiali presenti.

Porgo il mio saluto ad ognuno di Voi e pensieri affettuosi per il nostro Don Alberto, in qualità di coetaneo e amico carissimo, con il quale ho vissuto l’infanzia e la prima gioventù nei tempi lontani di Don Arcangelo Riz e Don Ettore Pederzolli impareggiabili maestri di vita oltre che educatori severi di un catechismo rigido e illuminato, guida fondamentale di vita spirituale e cristiana.
Oggi Don Alberto ritorna tra noi preannunciato dal suono delle nostre campane e di Luserna, fuse in una unica melodia a memoria della nostra comune identità storica tutt’ora testimoniata, anche dall’antico sentiero delle origini, fonte di immaginazione collettiva che tutt’ora espande nelle due Comunità reminiscenze affettive e voglia di stare assieme per superare le frequenti solitudini.
In questi ultimi anni questi lembi si storia portavano anche a Te reminiscenze di un passato lontano, ma non dimenticato, che per noi anziani rappresenta ancora un prezioso sostegno di vita.
Anche per questo il tuo domenicale salire a Luserna per la Santa Messa era, oltre che dovere di scelta pastorale, motivo di gioia da consumare nell’abbraccio della storia e nella sacralità della devozione ai Supremi Valori.
Animato dallo zelo e dal desiderio di memorie imperiture hai scritto per noi il Libro delle origini, Brancafora, dove le parole sono sentimenti e amore, esperienze di vita, desiderio di donare un volto a Pedemonte con lineamenti profondi della nostra esistenza fisica territoriale altrimenti consegnata al destino di una espressione geografica marginale, insignificante, ignorata e chiusa tra le pieghe dei monti. Grazie Don Alberto anche per questo privilegio.
Don Alberto, hai rappresentato fino ai nostri giorni con gande dignità, intelligenza e prestigio, uno degli ultimi preziosi anelli di congiunzione dell’antica appartenenza della nostra Parrocchia all’Arcidiocesi di Trento dalla quale siamo stati separati, ignorando il tacito dissenso della Comunità, per motivi ispirati più dalle ragioni del secolo, che al dovere di un riordino dei servizi religiosi per i quali ora esprimiamo gratitudine alla Diocesi Berica.
Caro Don Alberto, rimangono incancellabili i frequenti momenti della Tua presenza tra noi nella gioia e nella sofferenza, come rimangono indimenticabili i pellegrinaggi con la nostra Comunità nelle lontane terre dell’Impero per ricordare i momenti della dolorosa esperienza del nostro profugato: Braunau,Vorarlberg, Boemia e altri luoghi remoti dove sono tutt’ora sepolti nostri congiunti, soprattutto bambini, che abbiamo il dovere di ricordare in un luogo dedicato alla memoria a testimonianza che ”nel nostro cuore nessuna croce manca”.
Caro Don Alberto, con fede e amore infinito per Gesù ti sei unito a noi nella esperienza di sofferenza, tutt’ora viva, di questo male oscuro che perseguita l’umanità e che ha spento molte vite anche nel nostro Paese. In questi ultimi tempi il nostro Campo Santo testimonia più che mai la nostra fragilità e il suo amore di grembo materno per l’accoglienza dei nostri Cari.
Ora Tu sei con loro al cospetto della suprema bellezza del Signore e la Madonna. Dà ad ognuno il bacio della pace e una carezza come simbolo di unione tra i nostri cuori.
Don Alberto, circa 10 giorni or sono ero a Luserna con Te e amici, e ancor prima a Trento con Mario e Alberto, per parlare dei 150 anni della nostra Chiesa e dare lustro a questo evento straordinario anche a memoria delle sue origini quando la Comunità era riuscita nell’intento nonostante la sua endemica povertà. Anche in questo compito eri per noi Angelo Custode e guida sapiente impegnata all’idea con profonda cultura animata dalla fede, convinto che il nostro Paese onorerà ora questa circostanza con il dovuto sostegno.
Don Alberto in questo momento in cui ci stiamo avviando ai riti di congedo ti prego di rimanere spiritualmente vicino a tutti noi.
Prega, come Tu sai pregare con voce meravigliosa, presso l’Altissimo, per il futuro delle nostre Comunità; per gli anziani affinchè la grazia divina li sostenga, gli ammalati perché trovino conforto nelle loro famiglie e le locali strutture di accoglienza, i giovani affinchè scelgano il nostro Paese come progetto finale di vita e luogo di fioritura per nuove esistenze.
Don Alberto chiudo con un grande abbraccio, che vuole essere universale e amplesso affettuoso da custodire nel cuore sigillato per l’eternità. Un rinnovato grazie alle Autorità Religiose e Civili presenti, alle Comunità partecipi a questo solenne momento di amicizia e vicinanza per un grande fratello che ha varcato la soglia del Cielo. Partecipo ancora il personale cordoglio ai congiunti di Don Alberto testimoni di appartenenza ad una grande Famiglia della quale devono sentirsi fieri e onorati.
Pedemonte, 23 luglio 2020
Bruno Scalzeri

Segnalato da Mario Pesavento - Emigrazione e gemellaggio con Valdastico

La notte di Vaia

Le drammatiche immagini, riprese dall'alto, del più grande disastro ambientale mai avvenuto sull'Altipiano dei Sette Comuni. Il documentario è stato realizzato dal pilota altopianese Fabio Ambrosini Bres che con il suo parapendio ha sorvolato fin da subito le zone colpite. Presentato al Trento Film Festival 2019.
Scuole comunali di Rotzo
sabato 1 agosto 2020
(da Biblioteca civica di Rotzo)


Non sono più tra noi


Becco di Filadonna - dedicate ad AGOS da Alessandro Toldo african, nella speranza di poterci andare assieme














mercoledì 29 luglio 2020

I video di Gino Sartori - il sentiero dei grandi alberi






Dove andrà a finire la cometa Neowise?



Dal primo agosto la Neowise, la cometa che sta facendo impazzire il mondo di chi ama il cielo notturno, non sarà più visibile a occhio nudo. Ma dove andrà a finire?


Le comete sono oggetti meravigliosi. Ci raccontano storie che vengono da lontano sia nel tempo, perché la loro origine risale all’origine stessa del Sistema Solare, che nello spazio, perché spendono la maggior parte della loro vita nei luoghi più remoti del nostro sistema planetario.

La cometa C/2020 F3 Neowise non fa eccezione. Scoperta a fine marzo dal telescopio spaziale omonimo, il cacciatore di corpi minori Neowise, il 3 luglio scorso ha raggiunto il perielio, il punto più vicino al Sole di tutta la sua orbita. Il perielio è anche il momento più rischioso per una cometa, che talvolta proprio in quel punto dell’orbita finisce col frammentarsi a causa dell’intensa interazione con la nostra stella (una cosa che abbiamo visto anche di recente con la cometa Atlas). Per la stessa ragione, il perielio è anche il momento in cui una cometa raggiunge il massimo della sua attività, le due code si fanno più lunghe, luminose e spettacolari.

La coda di una cometa è visibile solo fintanto che la cometa resta attiva, una cosa che in genere succede solo finché si trova nel Sistema Solare interno, all’interno dell’orbita di Giove. Solo in quel tratto di orbita l’interazione con il Sole è abbastanza intensa da causare l’attività cometaria.

Per questa ragione la Neowise, così come le altre comete, è visibile solo per una manciata di giorni: dopo il perielio è diventata via via più visibile fino al 23 luglio, il momento di massima vicinanza alla Terra. La cometa stava già diventando meno attiva in quella fase, perché già si stava allontanando dal Sole, ma nel frattempo si stava anche rapidamente avvicinando alla Terra e alzando sull’orizzonte nel cielo notturno: ecco perché proprio attorno a quella data ha raggiunto il massimo di visibilità, che l’ha portata a essere una delle comete più luminose fin dai tempi della Hale-Bopp nel 1997.

Dopo il 23 luglio, oltre che dal Sole, la Neowise ha iniziato ad allontanarsi anche dalla Terra. A partire dal 1 agosto la cometa non sarà più visibile a occhio nudo e proseguirà nel suo viaggio verso il Sistema Solare esterno e poi verso la Nube di Oort, quell’insieme di decine o centinaia di miliardi di comete che circonda il nostro sistema planetario.

Verso la Nube di Oort


Il Sole si è formato a partire da una nube di gas e polveri. La nube è collassata verso un punto, lì dove si sarebbe poi formata la stella centrale. La maggior parte del materiale della nube è andato ad accrescere la stella nascente, una parte è fuggita nello spazio interstellare, e un’altra parte si è invece appiattita su un disco attorno al piano equatoriale della stella.


Nella parte centrale del disco si sono formati i pianeti terrestri, da Mercurio a Marte, e gli asteroidi della Fascia Principale. Nella parte più esterna invece si sono formati i due giganti gassosi, Giove e Saturno, e i due giganti ghiacciati, Urano e Nettuno, così come gli oggetti della Fascia di Kuiper e i vari pianeti nani (Plutone, Makemake e molti altri).

Proprio nella regione di Urano e Nettuno, dove le temperature erano così basse da portare i materiali della nube a condensare in ghiaccio, si sarebbero formate anche le comete. Attraverso l’interazione con i pianeti giganti, poi, alcune sarebbero state lanciate verso il Sistema Solare interno, diventando le comete di breve periodo, come la Halley o la Swift-Tuttle, che tornano a farsi vedere con un periodo minore di 200 anni. Altre, come appunto la Neowise, sono state invece lanciate nel sistema solare esterno, andando a formare la cosiddetta Nube di Oort.

La Nube di Oort è un’enorme regione sferica popolata da comete a lungo periodo che si trovano quasi sempre a grande distanza dal Sole, tra duemila e 50mila unità astronomiche, e che di tanto in tanto tornano a fare visita alla loro stella. Tutte le comete che formano la Nube hanno orbite strane, molto inclinate rispetto al disco iniziale su cui si sono formate, estremamente allungate e schiacciate. E il loro periodo di ritorno è estremamente lungo: secoli, millenni o decine di migliaia di anni. La stessa cometa Neowise non tornerà a fare capolino nel Sistema Solare interno prima di quasi 7000 anni.

Nel suo passaggio precedente, avvenuto forse attorno al 5000 a.C., la Neowise potrebbe essere stata osservata dagli uomini dell’età della pietra che ne potrebbero essere rimasti sgomenti, spaventati. Oggi tocca a noi, uomini e donne del XXI secolo, che la ammiriamo e che condividiamo la sua immagine sul web. 
E al suo prossimo passaggio, tra sette millenni, chi ci sarà ad ammirare le sue bellissime code e come reagirà alla sua vista?
Luca Nardi



Ospedale di Santorso: la crisi della neurologia - il rischio della chiusura della stroke unit potrebbe mettere in pericolo la Comunità

La storia del declino della sanità nell’Alto Vicentino sembra non finire mai. Ora è il reparto di Neurologia a vivere una crisi devastante. Già prima del Covid, a Santorso c’erano solo 4 specialisti neurologi sugli 8 previsti. Adesso 2 medici stanno andando via, di conseguenza ci troveremo con un quarto dei necessari.
Poiché anche Bassano è in difficoltà, dal 1 Luglio spesso c’è, dalle 16 alle 20, un solo neurologo in servizio per un territorio di 370mila abitanti! Di notte i pazienti con problemi neurologici vanno a Vicenza, perché non c’è un neurologo reperibile di guardia né a Santorso, né a Bassano. Inaccettabile!
Siamo fortemente preoccupati, poichè temiamo che la crisi del personale possa determinare la chiusura della Stroke Unit di Santorso. Questa preoccupazione ci impone di intervenire prima che sia troppo tardi. Si tratta di un servizio che effettua interventi di urgenza per l’ictus. Così come l’emodinamica è essenziale per l’infarto cardiaco, così la Stroke Unit è indispensabile per questa patologia. Insieme, queste due tipologie di malattie, dette del sistema cardiocircolatorio, rappresentano la più diffusa causa di morte nella popolazione. L’ictus è la maggiore causa di disabilità permanente, anche grave, nella popolazione adulta.
Quando si verifica un ictus, quel che conta è la rapidità di intervento. “Time is life”, si dice, ed è proprio così. Si deve intervenire entro pochissime ore con interventi specifici farmacologici e di chirurgia endovascolare, da effettuarsi in centri specializzati, con personale adeguatamente formato.
La conseguenza diretta della possibile mancanza di una Stroke Unit in un territorio come l’Alto Vicentino, molto ampio geograficamente e con 180mila abitanti, sarà che chi subirà un ictus dovrà essere portato in altri ospedali più lontani. Questo allungamento dei tempi di trasporto per qualcuno si tramuterà in perdita di funzioni cerebrali e motorie fondamentali, per qualcuno significherà la privazione della stessa vita.
Non si può rimanere indifferenti di fronte a rischi così gravi per una intera Comunità. L’Alto Vicentino vuole dalla Regione risposte chiare ed immediate, pretende interventi celeri perché la neurologia sia rafforzata e la Stroke Unit non venga chiusa!


martedì 28 luglio 2020

Orgoglio e pregiudizio


Gianni Spagnolo © 200724
Non sono mai stato fanatico di calcio; neanche un po'. Mi ritengo un italiano anomalo, anche per la mia allergia ad altri caratteri nazionali che ci vengono pregiudizialmente affibbiati. Da emigrante genetico, posso dire di aver raramente avvertito orgoglio per il mio passaporto. E lo dico con amarezza. Sono fiero del mio retaggio, questo sì, ma ciò a prescindere dagli esiti risorgimentali.
Quella fatidica sera che l’Itala diventò campione del mondo battendo la Germania 3-1, ero montato di capoposto in una caserma del Settimo, perché pareva fossi l’unico a non essere invasato dall’evento. I personaggi con qualche stella o striscia, s’erano dileguati per assistere comodamente alla finale in altri luoghi. Quelli restanti, cioè la truppa burbante e i nonnetti che non erano riusciti neanche a rimediare una 36h, erano assiepati allo spaccio o dovunque ci fosse un televisore. Al servizio di picchetto furono perciò assegnati i soggetti più sfigati del battaglione e non c’era da stare per niente sereni; si montava ancora col colpo in canna per le disposizioni antiterrorismo degli anni di piombo.
Ogni giorno portavo la mia squadra all’adunata a passo di corsa, scattando sugli attenti impettiti al gracchiante richiamo dell’Inno di Mameli. Lì ne sentivo di ogni, fra imprecazioni, maledizioni e commenti irriferibili. Vero è che la naja sembrava una competizione continua a chi faceva meno, pur nell'indomito Corpo degli Alpini. Per dei ragazzoni assonnati reduci dall’odiata “reazione fisica”, correre all'adunata di buon'ora ad  omaggiare la bandiera che s'innalzava lenta al suono stentoreo del patrio inno, non era certo il massimo. Ma in fondo erano gli stessi sessantenni di oggi che, armati di cappello vistosamente addobbato, tutti impettiti e con una improbabile pancia in dentro, si commuovono fieri all’alzabandiera del monumento dei Caduti e in ogni altra patria ricorrenza. Vabbè, bisogna essere anche un po' indulgenti: si sa che alla sera siamo tutti leoni.
Ma non divaghiamo e torniamo alla fatidica finale.
L’Italia vince il suo terzo Mondiale battendo lo storico ed arcigno avversario, che tanto insidiò i petti dei baldi alpini nei conflitti del Novecento. Così la truppa prorompe in piazza d’armi fra grida, abbracci, schiamazzi e incontenibili espressioni di giubilo. Bisogna festeggiare! Giustamente ed adeguatamente!
Ecco che, di colpo, s’era dissolto il fatidico dubbio di Massimo d’Azeglio sul fatto che, fatta l’Italia, occorresse fare gli Italiani.
Gli Italiani c’erano, eccome se c’erano! Erano lì belli fatti e volevano gagliardamente onorare la propria bandiera al suono glorioso del mamelico Inno introdotto dall'insulsa marcetta reale; in un’apoteosi d'orgoglio e tripudio nazionale. Scatta perciò immediatamente la caccia spasmodica a qualche stella, striscia, o finanche baffo che autorizzi l’alzabandiera fuori ordinanza, metta su il disco e illumini a giorno il piazzale, consentendo a quegli Italiani di onorare con prorompente e insopprimibile orgoglio i simboli nazionali. Peccato che erano tutti impegnati a festeggiare altrove; perciò quel salame calcisticamente ateo, che era di capoposto, rimaneva di fatto l'unica autorità di presidio. Ma costui si rifiutò ostinatamente di aderire alle richieste, nonostante le accuse di oltraggio alla nazione, omissione di patriottismo, intesa col nemico e altre amenità, rischiando il linciaggio a furor di truppa. Non è che a me dispiacesse il risultato, per carità, solo che non migliorava di nulla la mia scala di valori. E poi, le consegne son consegne!
Memore di questi giovanili eventi, assisto con fastidio ai rigurgiti di patriottismo sbandierato che periodicamente emergono, associati a fenomeni effimeri e spesso travisati. Tra questi le manifestazioni di “orgoglio italiano” sortite dall’emergenza Covid-19. Con il confinamento, dopo i coretti e le scritte "Andrà tutto bene", sui balconi sono apparse le bandiere italiane ed è partita la fanfara mediatica sui social. Oggi, a distanza di qualche mese di assolata estate e con quelle bandiere scolorite, sgualcite, sporche e stracciate dal sole e dal vento, varrebbe la pena di chiedersi che concetto abbiamo della bandiera nazionale. Cioè se sia un simbolo, da esporre e curare col dovuto rispetto, oppure uno straccio da esibire per seguire la moda del momento e poi dimenticarlo appeso come una pezza da piedi. 
Alcuni hanno inteso l’esposizione dell'italico vessillo come l’unione della nazione nella lotta contro il virus; anche se fatico a capire dove starebbe la bravura del chiudersi in casa. Altri la vedevano  una rivendicazione d’orgoglio nazionale, pur non ricordando in vita mia momenti nei quali l’Italia sia stata più umiliata e bistrattata, all’estero e qui da noi, come negli ultimi mesi. Mi chiedo da quando, accettare passivamente di tutto, sia diventato motivo d’orgoglio anziché di vergogna. Intanto, più i nostri soci europei ci isolavano e disprezzavano, tanto più si moltiplicavano i video che mostravano l’orgoglio di essere italiani. E su questi val la pena di riflettere un po'.
C'era chi insisteva sulla varietà delle prelibatezze italiane, contrapposta alla supposta pochezza di quelle più boreali. Va bene: il cibo è cultura, storia, geografia. La nostra cucina è apprezzata per varietà, qualità e fantasia, ma non è un po’ riduttivo rispondere al disprezzo dei nostri amici europei con i soliti stereotipi "spaghetti, pizza e mandolino"? L’Italia non può vantare altri contributi alla cultura mondiale?
Infatti ci sono altri video che mostrano, come fonte di vanto nazionale, l’antichissima e ricchissima storia della nostra penisola, le cento città con i loro campanili, i monumenti e i paesaggi; ricordano il diritto, la pittura, la musica, la moda… Beh, sembra ragionevole ricordare con fierezza tutte le cose belle e importanti che l’Italia ha dato al mondo. Tuttavia questo, più che suscitare in me l’orgoglio d’essere italiano, fa tristezza e vergogna. Mi spiego: tutta la trafila di monumenti e opere d’arte sbandierati, che attirano da noi milioni di turisti ogni anno, sono testimonianza della grandezza dell’Italia… di un tempo. 
Tutto quello che mostriamo con compiacimento al mondo è frutto dell’ingegno, dell’amore e del lavoro degli italiani morti e sepolti da secoli. Certo, fino al Cinquecento l’Italia era un faro nel mondo; magari fino alla fine del Settecento, valà. Ma poi? C’è qualcosa, dall’Ottocento in avanti, che varrebbe il viaggio?
Anche il meglio della cucina italiana vive di tradizione e territorio, cioè del passato. E poi, siamo davvero convinti che in Italia si mangi così divinamente? In casa e in famiglia, intendo, dato quello che si vede in giro e l'omologazione dei gusti al costante ribasso.
Lasciando a parte le sette arti e anche quella culinaria, qualcuno dirà che l'industria e la moda italiana hanno tenuto alta la bandiera nazionale anche nel Novecento! Vero, benissimo, ma ora? Siamo ancora in grado di esprimere eccellenze a livello mondiale? Sorvoliamo sugli incredibili nostri paesaggi naturali, che non abbiamo certo creato noi, ma semmai sono stati modellati dalle generazioni passate. Quelle presenti invece, più che a modellare sembrano intente a devastare.
Ma arriviamo al punto. L’eredità va, in qualche modo, meritata. Non ha senso gloriarsi di ciò che hanno fatto i nostri avi, se noi non siamo in grado di fare altrettanto e magari meglio. Il merito va a loro, non certo a noi. A noi spetta, piuttosto, la vergogna di aver sprecato un patrimonio culturale immenso, di averlo lasciato inaridire, di averlo disperso. È pur vero che l’eccellenza non s'improvvisa; è necessariamente frutto di generazioni di passione, studio, intuizioni e duro lavoro. Ma è proprio per questo che è un frutto delicato: non nasce spontaneamente, ha bisogno di continue cure e attenzioni. Non basta ereditare: bisogna mantenere e alimentare l’eredità che abbiamo ricevuto. Altrimenti si disperde e si dissipa.
Questo processo (eredità, conservazione, consegna), ha un nome che abbiamo purtroppo imparato a disprezzare: si chiama "tradizione". La modernità disprezza la tradizione, per questo non riesce a produrre frutti paragonabili a quelli del passato: ha deciso di non nutrirsene. Abbiamo spezzato la buona tradizione che ci legava a quell’Italia della quale andiamo così fieri. Certo, si parla di conservare e tramandare il meglio, ben consci che non tutto ciò che richiama la tradizione è automaticamente degno. Anche mafia, camorra, e tante esecrabili abitudini sono purtroppo diventate tradizionali. 
E dunque mi chiedo: che motivo d’orgoglio c’è in tutto questo?


lunedì 27 luglio 2020

Le balote par aria

Gianni Spagnolo © 200721
Siamo a San Pietro, nell’estate del 1790, giusto 230 anni fa. Son già trascorsi sei anni dalla Vicinìa che ha deliberato i mezzi di finanziamento per la costruzione della nuova chiesa e il progetto sta prendendo finalmente forma. https://bronsescoverte.blogspot.com/2020/07/anca-san-piero-i-conta-balote.html
In verità, la nuova chiesa sarà consacrata soltanto di lì a mezzo secolo, perché si stanno profilano tempi assai grami per la nostra gente e che dilungheranno di un bel po’ la fabbrica del tempio. Ora però i Nostri hanno gli occhi rivolti al cielo e sono assillati da un angoscioso dilemma: come fare il soffitto? Lo si vuol fabbricare a volto reale, cioè in pietra massiccia (quella tenera di Vicenza ndr) sul progetto d'un certo Casalin, oppure a cantinelle intonacate, più veloce, leggero ed economico? La questione pare non essere sciocchina e sicuramente c’era una sproporzione nei costi, per cui  la decisione viene saggiamente rimessa all’assemblea dei capifamiglia del colonnello, con procedure di stampo svizzero.
Ecco dunque che la domenica dell’8 agosto del 1790, dopo la messa grade e come al solito, Francesco Lorenzi, Governatore del colonnello di San Pietro, chiama gli uomini a raccolta. Alla presenza di due testimoni foranei espressamente chiamati: Giacomo f. Gio:Maria Dal Martello di Roana e Domenico f. Zuane Dal Pozzo detto Crose di Rozzo, e del nodaro Antonio de’ Lai dal Collo dai Forni, si  procede alla votazione col rodato sistema delle balote e dei doppi bussoloti. I Sanpieroti, ciò, pare vogliano fare le cose per benino e scelgono alla quasi unanimità, con uno solo voto a sfavore, di erigere il soffitto con volto reale. Con l’occasione s’incaricano anche i componenti del comitato dei fabbricieri eletti a gestire l fase operativa del progetto. Sono ovviamente l parroco: don Bartolomeo Gianesini, il capellano: don Antonio Toldo, il governatore: Francesco Lorenzi, il capo di cento (della Milizia dei 7C ndr): Antonio Toldo e Zuanne Fontana, agente; poi seguono: Iseppo Lorenzi, Antonio f. Mattio Bonifaci, Francesco Gianesin e Zuanne Lucca f. Stefano.
Tralascio anche stavolta la trascrizione del verbale, che potrete leggere in originale nella foto.
Ci sono un paio di cose che mi legano a quella chiesa. Uno è il vecchio fonte battesimale, in massiccio marmo rosso d'Asiago sul quale venni battezzato - come penso buona parte di chi mi legge - e che ora è relegato nella cappella del cimitero in uno strano connubio fra la vita e la morte. L'altra è una bella credenza in stile vagamente liberty che ho in cucina. Questa è stata fabbricata settant'anni fa con le tavole di larice massiccio ricavate delle travi del tetto della vecchia chiesa demolita. Si trattava di rimasugli della costruzione delle porte laterali di quella attuale, conservati nel sottochiesa, dove aveva allora il laboratorio di falegname Checo Mistro. Un larice rosso fiammeggiante dalle stupende venature, tagliato probabilmente al posterno sull'impluvio dell'alta Val dei Mori due secoli prima che io venissi al mondo.

Frida Kahlo disse a suo marito Diego:


Non ti chiedo di darmi un bacio.
Non chiedermi scusa quando penso che tu abbia sbagliato.
Non ti chiederò nemmeno di abbracciarmi quando ne ho più bisogno,
non ti chiedo di dirmi quanto sono bella, anche se è una bugia,
né di scrivermi niente di bello.
Non ti chiederò nemmeno di chiamarmi per dirmi com'è andata la giornata,
né di dirmi che ti manco.
Non ti chiederò di ringraziarmi per tutto quello che faccio per te,
né che ti preoccupi per me quando i miei animi sono a terra,
e ovviamente, non ti chiederò di appoggiarmi nelle mie decisioni.
Non ti chiederò nemmeno di ascoltarmi quando ho mille storie da raccontarti.
Non ti chiederò di fare niente, nemmeno di stare al mio fianco per sempre.

Perché se devo chiedertelo, non lo voglio più...

domenica 26 luglio 2020

La pagina della domenica



IL VANGELO DELLA DOMENICA

In quel tempo Gesù espose un'altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo.
Il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra.Ancora, il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Avete compreso tutte queste cose?». Gli risposero: «Sì». Ed egli disse loro: «Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche».


LA POESIA

Notte d'estate

L'acqua della fonte
suona il suo tamburo
d'argento.
Gli alberi
tèssono il vento
e i fiori lo tingono
di profumo.
Una ragnatela
immensa
fa della luna
una stella.
Garcia Lorca


LA FRASE

Chi ti sta ad ascoltare, ti sta parlando in un modo bellissimo

IL PROVERBIO

La pioggia di Sant'Anna è una manna

IL VIDEO

Molti hanno visto l'alba, ma quante persone hanno visto sorgere la luna? Questo video è stato girato al faro di Byron Bay, nell'estremo nord del nuovo Galles del sud in Australia, il punto più orientale del continente.
Grazie alla sua posizione geografica unica, la visione e la fotografia sono possibili solo localmente.


RIFLESSIONI

La solitudine è tua, la tristezza è tua.
Non sei ancora riuscito a trovare un modo di vivere con loro, quindi continueranno a riemergere.
Puoi sfuggire buttandoti nel lavoro. Puoi sfuggire impegnandoti in qualche occupazione o relazione o nella società, in questo e in quello, nei viaggi, ma non se ne andrà, perché è parte del tuo essere.
Ogni uomo nasce da solo nel mondo.
Arriva attraverso i genitori, ma da solo.
E ogni uomo muore da solo di nuovo, quando esce da questo mondo. 
E tra queste due solitudini, continuiamo a illuderci, a ingannare noi stessi.
Bisogna farsi coraggio ed entrare in questa solitudine.
Per quanto all’inizio possa apparire duro, difficile, i risultati sono straordinari.
Quando hai trovato un modo di conviverci, quando inizi a goderne, quando non la percepisci come tristezza, ma come silenzio, quando comprendi che non c’è modo di sfuggirla, ti rilassi."
Osho



RELAX



Mura piene di vita: una giostra che gira!

Non mi ero mai accorta prima, non ci avevo fatto caso, ma un bel giorno mi sono resa conto che…
La vita che mi girava intorno era tanta ogni giorno: rumori di passi, tanti passi, grida e discorsi, porte che sbattevano, l’orologio che segnava le ore, il suono della campanella, sospiro di studenti e professori e aule, aule piene di adolescenti che si impegnavano a comprendere, per crescere.
Sì, ora avete capito, sono la scuola Secondaria di primo grado di Valdastico, che è attigua alla scuola Primaria, quindi capite la confusione che regna nei cambi d’ora o nei momenti d’intervallo!
Io amo i ragazzi e i bambini, i professori, le maestre i bidelli e qualsiasi persona che, entrando dalla porta, possa portare testimonianze di vita o conoscenze varie. Io sono attiva e sempre pronta, da settembre a giugno; ogni giorno attendo che le aule si riempiano di giovani vite e così mi sento felice. Li vedo ogni anno quelli che iniziano la prima classe... Timidi, in disparte, agitati… io so che è normale e che tra un po’ di tempo prenderanno coraggio e allora sentirò i richiami dei prof anche con loro!
Le vacanze che durante l’anno scolastico mi portano un po’ di respiro sono, come sempre, programmate già dall’inizio dell’anno, quindi io conosco bene i periodi: Natale, carnevale, Pasqua. In quei giorni mi gusto il silenzio che regna sovrano tra le mie mura, in tutte le aule, nella palestra, ma so che passeranno pochi giorni e poi riaccoglierò i miei ragazzi tra le braccia, certa che con me, grazie agli insegnanti, imparano, comprendono, crescono e spero che tutti diventino dei “bravi ragazzi”.
Tutto normale per una scuola, direte voi, sì, fino alle vacanze di carnevale che non sono state le solite, quest’anno 2020. Le mie porte non si sono più aperte, i passi non si sono più sentiti, il vociare tra i corridoi era scomparso, niente campanella, niente ricreazioni in cortile, niente di niente, silenzio irreale! Sacche da ginnastica e cartelline varie, libri sotto i banchi erano rimasti lì, certi di essere usati al più presto, ma…
Ho poi saputo che i ragazzi e i bambini frequentavano le lezioni da casa, a causa di un virus che obbligava tutti a non uscire… da non credere! Mi sono sentita sola, abbandonata e anche triste… allora io non avevo più ragione di esistere? No, assolutamente no! Si potranno fare le lezioni e i programmi previsti, collegandosi on-line, ma vuoi mettere il ritrovarsi insieme, chiacchierare con gli amici, raccontarsi, confidarsi, ridere, scherzare durante le pause, mentre in classe ci si confronta, ci si aiuta, si apprendono nozioni e notizie, si impara a stare insieme con ragazzi che non si conoscono, con i professori con cui si fa un percorso di vita… Non ci credo che sia la stessa cosa, proprio no! 
Ho atteso, giorno dopo giorno, con la speranza di vederli riapparire invece… Ancora e sempre silenzio assoluto, rotto solo dal ticchettio dell’orologio a muro, per me quasi spettrale. Giorni che si sono susseguiti nella calma diventando mesi di solitudine, un lungo tempo che non era quello delle vacanze estive. Mentre rimuginavo su tutto questo problema, pensavo ai maschi che di sicuro erano cresciuti, mentre le femmine si saranno fatte più signorine, più carine… ah! Se mi mancavano! E i Prof? Sento tanto la loro assenza, mi piace ascoltare le loro chiacchiere in sala professori, conoscere le loro vite raccontate in pochi minuti al cambio dell’ora, mentre si danno consigli per qualche ragazzo… E poi, seguirli mentre spiegano le loro materie nelle aule, con ragazzini vivaci che a volte fanno perdere il filo del discorso… Mi mancano anche i bidelli, angeli custodi della scuola, che mi tengono pulita, che sono amici degli studenti e dei professori, soccorritori in caso di bisogno, persone importanti per tutti.
Un giorno di giugno, solitario come sempre, un rumore di chiavi nella serratura, mi ha fatto destare dal mio torpore: finalmente qualcuno!
Avrei voluto gridare per la felicità, ma sono stata a osservare: gli insegnanti erano venuti a prendere il loro materiale, lasciato lì senza pensare che non avrebbero potuto usarlo... toccavano i cassetti, i libri sugli scaffali, i registri e tutto quello che era rimasto lì ad aspettare, quasi con rispetto, con la sensazione di toccare qualcosa di importante, in silenzio…
In quel silenzio ho sentito i loro pensieri: toccare quelle cose che erano abitudinarie, li ha fatti commuovere, perché si erano resi conto di quanto fossero speciali. Anche a loro mancava tanto la scuola, questa è la loro missione, quello per cui si sono preparati, è un pezzo importante della loro vita… Una mancanza per loro, per me, per i bidelli, per i ragazzi… Sì, ne sono certa, nonostante molti non amano frequentare il mio edificio, sono sicura che ci sia stato un vuoto grande, un enorme buco, un libro con tante pagine bianche che sarebbero state scritte insieme: dipinte con i colori dell’amicizia, con allegria, ma anche con difficoltà, con giorni più o meno buoni, ma non da soli, sempre insieme, perché la più grande mancanza è stata l’assenza dei rapporti con i propri coetanei. Per tutte le scuole, di ogni grado e categoria, questo lungo periodo di vuoto, ha tolto tanto e credo che sarà difficile colmarlo, ma ce la metteremo tutta, parola mia!

Ora sono tornata ad essere silenziosa e solitaria, ma questo per me è un periodo normale: è estate, tempo di vacanze! Ora spero tanto che, nonostante tutte le difficoltà che ci saranno, a settembre tutto ricominci e che la giostra della vita torni a girare fra le mie mura, nelle aule, nel cortile davanti a me e allora sì che tornerò a essere felice, anzi, tutti torneremo ad essere felici e ad apprezzare di più le scuole che abbiamo nel nostro territorio e il ruolo dei maestri, insegnanti, professori, bidelli...
Arrivederci a settembre, io vi aspetto!
LA SCUOLA DI VALDASTICO

Ho scritto questi pensieri, mettendomi nei panni della nostra scuola, per ricordare un periodo difficile, nella speranza di un futuro migliore.
Lucia Marangoni








Forme Cerati dopo la prima guerra mondiale - foto da Alda Toldo


sabato 25 luglio 2020

Anca a San Piero i conta balote

Gianni Spagnolo © 200719
A decidere di fare le cose son capaci tutti, poi però bisogna avere i mezzi e la determinazione per attuarle. Successe così anche a San Pietro per la costruzione della chiesa nuova; non quella che vediamo ora, ma la precedente che durò fino al 1928. 
Il 22 maggio del 1781, infatti, fu indetta la Generale Vicinìa dei capifamiglia del paese per deliberare la costruzione del nuovo tempio, dato che quello esistente era in cattivo stato e troppo piccolo per le esigenze del paese. Era allora parroco don Bartolomeo Gianesini, un prete locale cui non difettavano caparbietà e senso pratico, per cui riuscì a convincere la popolazione della necessità di metter mano ad una nuova chiesa. Quella Vicinìa perciò dette preponderante consenso all’opera, ma non ne precisò i termini temporali né dove reperire le relative risorse. Tra il dire e il fare, si sa che c’è di mezzo il mare, e ormai erano trascorsi già tre anni senza che si battesse chiodo. Ciuciàr schéi ai paesani s’era rivelato probabilmente più arduo del previsto, visto che le cose si trascinavano inconcludentemente e perciò occorreva un dest-riga. Serviva soprattutto una bella pensata per trovare la quadra e poter contare su introiti sicuri per mantenere la promessa che i sanpieroti avevano fatto nientemeno che al Signor Iddio.
Ecco che allora, a tre anni dalla prima delibera, Francesco fu Gio:Battista Gianesini, Governatore del colonnello di San Pietro, riconvoca l’assemblea dei capifamiglia. Bisogna mettere ai voti la proposta di assegnare alla costruzione della nuova chiesa la terza parte dei proventi che il comune di Rotzo corrispondeva annualmente alla sua frazione, e ciò per sei anni consecutivi a partire dal 1790.
La votazione avviene per mezzo delle balote, ovvero inserendo la propria balota nel bussoloto bianco per esprimere voto favorevole alla proposta, o nel bussoloto nero per rigettarla. Viene precisato, qualora ce ne fosse bisogno, che la somma doveva essere amministrata da un cassiere cauto e sicuro, scelto dall’assemblea stessa. I 34 capifamiglia procedono alla votazione approvando la proposta a larghissima maggioranza, con solo 2 contrari. Stavolta non trascrivo il verbale della Vicinìa riprodotto nella foto d’apertura, dato che è breve e scritto con grafia comprensibile, per cui chi vuole può leggerlo in originale.
La balota era una pallina di pezza che veniva introdotta nel bussoloto immergendovi il braccio fino al polso, così da ottenere due risultati: cadendo la balota non faceva rumore e non si poteva capire che voto si fosse espresso, fosse anche l’astensione. Questo ovviamente qualora la votazione fosse stata segreta piuttosto che palese. A volte ciascun votante aveva in mano due balote: una bianca e una nera e lasciava cadere quella prescelta in un unico bussoloto e poi si procedeva al conteggio avendo già il colore delle balote assegnato il preciso significato della scelta. In questa votazione, come anche in quella di Pedescala, i bussoloti sono due a rappresentare le opzioni in campo e dunque la votazione dovrebbe essere palese; a meno che i votanti non introducessero la mano in entrambi i bussoloti in sequenza, mascherando così il proprio voto. Non c’è dato di sapere l’esatto meccanismo di espressione di questa delibera paesana, ma si sa che nei territori della Serenissima le votazioni potevano essere anche piuttosto complicate, come abbiamo visto nel caso dell’elezione al Dogado. https://bronsescoverte.blogspot.com/2020/06/la-bala-de-oro.html
Alla fine la nuova chiesa fu costruita, addirittura invertendone l'orientamento rispetto alle precedenti, che avevano l'entrata verso la valle e l'abside a levante, all'uso antico. Da oriente infatti sorgeva il sole e la luce evocante il Cristo. Questa nuova costruzione venne invece rivolta verso la piazza, come l'attuale. Sorgeva, come le precedenti, sullo sperone roccioso che occupava buona parte della piazza attuale ed era collegata al paese attraverso una scalinata di una ventina di gradini.  Il cantiere non ebbe comunque vita facile, dato che la chiesa fu infine consacrata solo nel 1838, cioè ben 54 anni dopo. All'orizzonte si profilavano infatti anni bui in cui crollarono una ad una le istituzioni politiche e capitarono sconvolgimenti meteorologici con corollario di carestie e pestilenze che misero a dura prova la nostra popolazione. Per buona parte dei successivi cinquant'anni, infatti, avrebbe imperato il "primum vivere"!
Neanche un secolo e mezzo dopo, tramontata la Serenissima, dissolte le potenze succedutele, avvenuta l’Unità d’Italia e dopo una guerra devastante, sarà un altro prete proattivo, don Antonio Fontana, a metter mano all’edificazione della chiesa esistente, spostandola indietro e facendo spazio alla piazza. Lo sperone roccioso che sosteneva il tempio fin dai tempi del primo ospizio  e caratterizzava il profilo del paese, venne demolito. Rimarrà al suo posto, ormai a perenne memoria, solo il vecchio campanile del 1768, dal basamento forato che dava accesso un tempo alle case dietro la chiesa.
Costituiva grande merito per i parroci costruire una nuova chiesa o anche solo rimodernarla; spesso era il viatico per la promozione a monsignore. Anche per la popolazione era però occasione di orgoglio e impegno corale. Sforzo che non era solo economico, ma soprattutto di lavoro nelle corvée di costruzione, dove partecipavano un po’ tutti, inclusi i bambini impiegati nel trasporto dei materiali più minuti. 
I tempi cambiano, si sa, e così anche le necessità, le priorità e la considerazione dell'Alto Fattore. Oggi forse anche quella angusta chiesetta settecentesca sarebbe sufficiente per i bisogni paesani e la maestosa costruzione attuale, affiancata dallo sproporzionato campanile, è probabilmente destinata ad sfidare i secoli. 

venerdì 24 luglio 2020

Pedescala fra balotamìnti e bussoloti

Gianni Spagnolo © 200717
I Sette Comuni tennero sempre in grande conto la loro libertà e le loro prerogative e privilegi, difendendoli a spada tratta nei confronti di tutte le Signorìe che si avvicendarono nel trascorso millennio: dai Vicentini ai Padovani, dagli Scaligeri ai Visconti, per finire al lungo e fecondo sodalizio con la Serenissima. Gestirono perciò in autonomia il governo della Federazione e lo fecero per ben 548 anni, fino al 1807, quando Napoleone decretò la fine di questa veneranda nazione. Da noi la democrazia non era dunque un concetto ignoto o avveniristico, come nella gran parte delle realtà del tempo, ma una pratica consolidata nella definizione degli affari interni delle comunità. L’organo deliberativo e consultivo principale era la Vicinìa, ovvero l’assemblea plenaria dei capifamiglia terrieri, cioè aventi diritto di voto, che si esprimeva a maggioranza. Ne erano escluse le donne, i maschi non a capo di famiglia e i residenti foresti, ma per l’epoca costituiva comunque un eccezionale regime di libertà e condivisione delle scelte.
Le modalità di espressione e scrutinio dei voti potevano avvenire in vario modo, palese o segreto, a seconda dell’importanza dell’argomento. Per chiamata nominativa (come avvenne per la ratifica dell’unione di San Pietro con Rotzo nel 1578), o con strumenti più riservati e complessi come le balote intei bussoloti.
Propongo di seguito il verbale della votazione tenutasi a Pedescala nel 1792 per l’elezione del Governatore della Frazione ed effettuata appunto con la modalità dei bussolotti. Si trattava di scegliere, tramite ballottaggio fra i due candidati a Governatore: Crestan f. Nicolò de Pretto e Francesco f. Nicolò Antonio Giacomello.
Leggiamo la trascrizione del verbale riportato in originale nella foto:

Anno domini 1792, indizione decima, giorno di domenica 5 del mese di Agosto, nella sacrestia della chiesa del colonnello di Pediscala (e loco solito ove si convocano le vicinìe) Pertinenza di Rozzo, Vicentino distretto. Presenti li dom:i Matteo di Iseppo e Nicolò f. Zuane ambi Cerato delli Forni, testimoni pregati.
Dom:o Simon f. Lunardo Mattiello governatore di detto colonnello col mezo de Francesco de Pretto Vice Decano fu convocata la predetta Vicinìa, more solito per divenire alla votazione del nuovo Governatore dove intervenuti in questo Sacro Locco li capi di familia dietro allo invito. Il suddetto Mattiello Vostro Governatore Vi propone per novello Governatore la persona di dom:o Crestan f. Nicolò de Pretto locchè ballotato al confronto di dom:o Francesco f. Nicolò Antonio Giacomello  proposto da Voi componenti il colonnello stesso, quello avrà maggior quantità de voti (sarà) il moderno Governatore.
Perciò chi vuole il suddetto Crestan de Pretto ponerà il loro voto nel Bussoloto Rosso al SI, e chi non lo vuole nel nero al NO.
Balotato, et aperto il Rosso al SI furono voti N. 17 - Nel Nero al NO: N. 7.
Francesco Giacomello nel Rosso al SI: N. 15 - Nero al NO: N. 9
Sicché restò eletto per nuovo Governatore il suddetto de Pretto, 
et sic. Omissis Votantibus.
Antonio de Lai Nodaro Publico di V. A. (Veneta Autorità)

Vediamo che la votazione si svolge con un sistema un po’ insolito, in quanto entrambi i contendenti sono soggetti a votazione distinta, dove contano sia i voti a favore che quelli contrari al candidato. Non erano quindi solo i Veneziani a perderse via  coi bussolotti per l’elezione del Doge, anche gli Stoner non erano da meno. Qui il ballottaggio ha un significato letterale, dato che si tratta proprio di contare le balote trate rento intei busoloti. Contar balote sembra perciò una caratteristica distintiva della politica da secoli ;-). 
Siamo 1792 e son passati tre anni dalla presa della Bastiglia. Da tre mesi sono scoppiate le guerre rivoluzionarie francesi e in Europa si sta preparando il turbine napoleonico. Di lì a cinque anni cadrà infatti la millenaria Repubblica Veneta e poco dopo cesserà definitivamente anche la nostra piccola, originale e indipendente Federazione.

Potenza del nome

[Gianni Spagnolo © 25A20] A ben pensarci, siamo circondati da molte cose che non conosciamo. Per meglio dire, le vediamo, magari anche frequ...