Intorno
all’epoca di fondazione dei due ospizi nell’alta valle dell’Astico, girano le solite
supposizioni. Una che li farebbe risalire al X secolo in seguito alle famose
donazioni dell’imperatore ai vescovi di Vicenza e Padova e l’altra che li data
un paio di secoli prima ad opera dell’Ordine Benedettino. Questi aveva infatti ampi possedimenti presso la pieve di Caltrano, che è considerata la matrice di tutte
le chiese della zona. Se l’ospizio di San Pietro divenne poi
il nucleo dell’omonimo abitato, quello di Brancafora rimase per lunghi secoli isolato
nell'alta valle, avendo per compagna solo l’adiacente chiesetta di Santa Maria.
Fino
al XVIII secolo, infatti, la località è indicata come Santa Maria di Brancafora
e, a differenza di San Pietro, fu meta di pellegrinaggi devozionali fin dai
suoi primi secoli. La devozione alla Madonna di Brancafora interessò
sempre gli abitanti della valle e dei vicini altopiani. Non solo, antiche
testimonianze trecentesche annotano di pellegrini provenienti addirittura dalla
pedemontana vicentina (Piovene, Bassanese, ..), e da quella trentina (Calceranica,
Caldonazzo, Levico..). L’abate Dal Pozzo, scrive dei pellegrinaggi
annuali che vi si facevano da parte delle comunità parrocchiali dei Sette Comuni,
di Tonezza, Folgaria e Lavarone nel 1700. I numerosi lasciti riferiti
all’area dell’alta Valsugana, documentati negli Atti Visitali, provengono da
questa devozione. Si può dire che questa chiesa fu per lunghi secoli l’unico
antico santuario mariano della nostra zona e il costante riferimento per tutte le sue comunità.
Un
tempo i pellegrinaggi devozionali, collettivi o individuali che fossero, erano
molto sentiti e praticati, anche a costo di interminabili fatiche e infinite incognite e pericoli. Lo dimostra la stessa presenza di due ospizi in
valle, che avevano appunto lo scopo di assistere i pellegrini di passaggio.
Le
mete erano varie: la Terrasanta su tutte. Questa però solo nei due secoli del
dominio crociato (1100-1290), poi con la conquista musulmana tale destinazione
divenne inaccessibile fino ai tempi moderni. Si rivitalizzò quindi quella a
Roma, centro della cristianità e il Cammino di Santiago, che portava nella
Galizia spagnola alla tomba di San Giacomo Maggiore. Non ho trovato notizie di
antichi pellegrinaggi in Terrasanta delle nostre genti, mentre non era loro estraneo
quello, pur lunghissimo, a Compostela. Anche il mio cognome, Spagnolo, pare derivare
proprio da questa devozione da parte di un mio avo di Rotzo nel XIV secolo.
Alla
chiesa di Brancafora, facevano un tempo capo tutti i masi sparsi nella conca
terminale della valle dell'Astico e in parte anche sui vicini altopiani, finché non si
consolidò in parrocchia sul principio del XVI secolo. Oltre alle contra’ di Pedemonte,
serviva dunque anche Luserna, nonché Ponteposta, Montepiano e Giaconi, pur
situati sull’opposta riva dell’Astico. Fu infatti solo dalla seconda metà del
settecento che furono erette a parrocchia le comunità di Luserna, Casotto e
Lastebasse.
Discorso
a parte merita la giurisdizione diocesana di questa chiesa, dato che rimase
sotto Padova fino al 1785, nonostante il territorio di Pedemonte appartenesse
al principato vescovile di Trento e all’impero asburgico da oltre due secoli. A
questa appartenenza è legato anche il diritto di giuspatronato (diritto di
scelta del parroco) che i conti Trapp di Caldonazzo esercitarono attivamente fino
a due secoli fa. Dal 1964 fa parte della diocesi di Vicenza, dopo esserlo stata di quella di Trento, anche ben oltre la dissoluzione dell’Impero Austro-Ungarico.
Era
questi dunque il santuario della nostra gente; il posto dove ci si poteva recare
a piedi rimanendo all’interno del proprio areale e potendo quindi appoggiarsi
su parenti e conoscenti per il viaggio. Un viaggio certamente breve, addirittura in giornata,
per i paesi contermini, di qualche giorno per quelli più lontani. Lo fu fino al
1729, quando nella conca del Palustel, sull’altopiano di Piné, non apparve la
Madonna ad una pastora locale. Da allora in poi fu quel santuario a calamitare i pellegrinaggi
della nostra zona e la chiesa di Brancafora perse un po' del richiamo e dello status
che ebbe fin dalle sue origini.
Nàre a Caravajo, nàre a Pinè, o semplicemente ala
Madona, divenne d’abitudine da noi. Ci si andava ovviamente a piedi,
portandosi appresso le piaghe del corpo o dell’anima che si volevano
sanate o alleviate. Si ricordano ancora in paese
viaggi di speranza e fede a piedi, di madri o padri, che portarono sulle spalle
il figlio disgraziato fino a Pinè, per affidarlo a quella Taumaturga. Finché
il miglioramento delle comunicazioni dopo la guerra non fece gravitare queste
devozioni sul santuario per eccellenza dei vicentini: Monte Berico. Ma lì ci
sia andava in treno o con la corriera, ed è un’altra e più moderna storia.
Sarebbe
bello che si rievocassero queste antiche abitudini della nostra gente facendo
si che ogni anno, da ogni parrocchia dell’areale predetto, parta a piedi una
delegazione di pellegrini, che attraverso i vecchi percorsi di allora, converga e s'incontri a Brancafora il 15 di agosto,
festa dell’Assunta, per una celebrazione solenne. Penso che la locale Pro Loco non
avrebbe poi particolari problemi a rifocillare i novelli pellegrini, vista la concomitanza della sagra, anzi!
Gioverebbe
senz’altro a ricordare che proprio in quel luogo, nonostante i secolari confini religiosi,
civili, nazionali e giurisdizionali della zona, la nostra
gente trovò per lunghi secoli un riferimento sentito, costante e comune.
Gianni
Spagnolo
VI-VII-MMXVI
Grazie Gianni per questa magnifica finestra aperta sulla storia della nostra valle,
RispondiEliminain particolare sul piccolo santuario di Santa Maria di Brancafora. La tua documentazione
è preziosa per conoscere un passato che ci è sempre vicino, ci segue come un'ombra, fa parte della nostra vita. Lo abbiamo nel sangue. E poi, il tuo racconto risveglia nella mente le condizioni di vita di qualche secolo fa: la povertà, la sofferenza, la rassegnazione, la lotta contro le intemperie e anche la fame... E' uno stimolo per misurare la nostra condizione di vita con quella dei nostri antenati. E riflettere! Sì, riflettere quando ci lamentiamo per un... sassolino nelle scarpe.