PARCO DEI PALMENTI – PIETRAGALLA
Foto Giovanni Lancellotti
Il Parco dei Palmenti di Pietragalla simbolo della civiltà contadina: l’architettura rupestre lucana tra arte e ingegno.
“I palmenti” di Pietragalla sono uniche e originali forme di architettura rupestre, con impatto paesaggistico davvero notevole e in grado di suggerire per certi versi scenari e atmosfere fiabesche.
Realizzati in pietra e disposti su diverse quote, formano una composizione armonica in grado di fornire un colpo d’occhio che suscita interesse e curiosità soprattutto verso chi li osserva per la prima volta.
E’ un aggregazione di oltre 200 costruzioni, esempi di architettura rurale, dei veri e propri laboratori per la produzione del vino, frutto dell’intuizione e dell’ingegno dei vignaiuoli pietragallesi.
Queste costruzioni, degna testimonianza della civiltà contadina di un tempo, erano infatti adibiti alla pigiatura e alla fermentazione del mosto in apposite vasche (palmenti) per poi ottenere il prodotto finito (il vino), da qui la denominazione di palmenti.
COME RAGGIUNGERE L’ITINERARIO
Questi esemplari laboratori, se ne stimano poco più di 200, che hanno funzionato fino alla fine degli anni 70, sono ubicati nel territorio di Pietragalla, in provincia di Potenza.
La zona, in passato denominata zona TOFI, è caratterizzata dalla presenza di rocce arenarie che affiorano dal terreno.
Lo studio condotto dall’architetto Maria Donata De Bonis per la preparazione della sua tesi di laurea proprio sui palmenti, attesta lo stato di fatto aggiornato agli inizi degli anni 2000, 2002 per la precisione. Da sopralluoghi eseguiti in maniera certosina è emerso che i palmenti totalmente censiti sono 211 di cui 55 sono inservibili (33 privi di tracce, 19 semi abbattuti e 3 ruderi), 69 risultano in buone condizione e 87 versano in situazione precaria.
ORIGINE DEI PALMENTI
Il nome “Palmenti” deriva dal latino “Paumentum”, l’atto del pigiare, del battere, da cui deriva il termine pavimento.
Ci si può chiedere perché i palmenti siano stati creati proprio in quel luogo. La risposta potrebbe essere questa: la maggior parte delle coltivazioni di viti si trovava sulle colline di Poggio Sedano, nella contrada Cuneo e nella Fornace, tutte terre poste ad est del paese, in corrispondenza della via Breccia, anche se col tempo la vite si è diffusa altrove.
La scelta si spiega inoltre con la natura del terreno, formato da rocce tufacee piuttosto facili da lavorare.
Poiché nelle vicinanze erano presenti già dei palmenti, costruiti in parte nella roccia, a qualcuno è balenata l’idea di costruire in quel luogo dei manufatti per pigiare l’uva.
In mancanza di prove certe si potrebbe formulare una proposizione in base a qualche documento che attesterebbe la presenza dei palmenti a partire dalla seconda metà del 1800.
Nel giornale degli Atti di Intendenza di Basilicata anno 1856, vengono per l’appunto menzionati dei luoghi demaniali usurpati dai cittadini tra cui la zona Tofi in prossimità del paese.
Trattandosi di un area tufacea non coltivabile, vicino al cosiddetto giardino di proprietà del duca, nessuno aveva interesse ad occuparla, fino a quando qualcuno ha messo in atto l’idea di costruire un manufatto che probabilmente prima è servito per la pigiatura, poi anche per la fermentazione sino a completarlo come palmento.
In definitiva si può affermare con buona approssimazione che la costruzione dei palmenti avvenne principalmente nella seconda metà dell’800, periodo in cui ci fu un sensibile aumento demografico della popolazione e di conseguenza un progressivo aumento delle colture e della produzione agricola.
Essi sono stati utilizzati fino agli anni 70 per cui adesso sono in disuso, ma stanno lì come a voler trasmettere la cultura e la civiltà di un tempo durante la quale la laboriosità e l’ingegno dei nostri contadini si fondevano perfettamente.
LA FUNZIONE DEI PALMENTI
Sono costituiti da un atrio nel quale vi è la vasca per la pigiatura dell’uva che può essere a livello terra oppure in posizione sopraelevata rispetto alle altre vasche, su di un arco, a mo’ di mensola.
La vasca ha dimensioni medie di circa 60 cm x 1 metro con un’altezza di 50 cm.
In posizione adiacente alla vasca di pigiatura, vi è la vasca di fermentazione, posta ad una quota leggermente inferiore alla prima, collegata attraverso un canale in modo tale da permettere lo scorrimento del mosto.
La vasca di fermentazione risulta quasi sempre costruita completamente nel tufo (blocchi di arenaria quarzifera) in un substrato ipogeo.
Al fondo della vasca di fermentazione vi è un canale per lo scarico del vino in corrispondenza del quale si trova una buca spaziosa (palm’ndédd) quanto basta per riempire i barili durante la svinatura.
Essi poi, vengono riposti temporaneamente in alto, sul pavimento dell’atrio, attraverso scalette interne. Dopo di che i barili si caricavano a dorso dei muli o degli asini per poi trasportarli nelle cantine (le “rutte”) dove il vino veniva versato nelle botti.
Sostenibilità energetica dei palmenti
Bisogna sempre ricordare che i palmenti servivano per far fermentare il mosto e questo processo non è nient’altro che una reazione chimica realizzata da esseri viventi (lieviti) che lavorano bene soprattutto a specifiche temperature, temperature sicuramente superiori alle medie del periodo della vendemmia.
Per raggiungere temperature superiori ai 20°C, poiché non esistevano ancora i riscaldamenti, l’unico modo era quello di inventarsi qualcosa.
Conoscendo le proprietà isolanti della roccia, un’idea poteva essere proprio quella di utilizzare quella affiorante; la quale a Pietragalla non manca.
Per aumentare la temperatura all’interno delle vasche si sfruttava la fonte di calore più grande ed a buon mercato, ovvero il Sole!
Sì, ma come? Andando a scegliere un banco roccioso dove realizzare i palmenti in modo tale da sfruttare l’orientamento sud oppure sud-est che garantisse il massimo afflusso di energia solare nel corso della giornata.
Inoltre anche gli ingressi sono tutti rivolti verso il medesimo orientamento.
Come affermato precedentemente, dagli anni 70 in poi i palmenti sono in disuso. Tuttavia alcuni viticoltori locali utilizzano ancora questi manufatti, essendo proprietari, per la produzione a livello familiare e nel pieno rispetto delle tradizioni.
TIPOLOGIA COSTRUTTIVA
Per la costruzione del palmento, il lavoro più importante era lo scavo della roccia di tufo, ma non era certo da meno l’opera di finitura interna che richiedeva una superficie liscia e regolare, costituita da un’intonacatura fatta di calcare e sabbia. Le opere erano generalmente eseguite da vignaioli pietragallesi sotto la guida di uno o più maestri muratori specialmente nei periodi in cui non vi erano attività agricole.
I palmenti in funzione del numero delle vasche, si distinguono in palmenti ad una vasca (73 esemplari), a due vasche (54 esemplari), a tre vasche (10 esemplari) sino a quattro vasche.
Più vasche indicano un utilizzo dal manufatto da parte di famiglie diverse o di più persone, appartenenti alla stessa famiglia o semplicemente confinanti.
I materiali impiegati sono di diverso tipo.
Esistono murature con conci di tufo e pietra crosta usate inizialmente, murature miste con pietra e laterizio oppure con pietra calcarea squadrata usate successivamente.
La copertura interna è di vario genere.
L’atrio può essere a botte o a crociera, la tipologia prevalente risulta essere quella a botte, mentre la coperture delle vasche di fermentazione possono essere ancora a botte o costituite da monolite.
La copertura esterna è generalmente costituita da terra riportata, su cui in seguito cresce spontanea la vegetazione, oppure, da zolle di terra inerbita; in un minor numero di casi, si presenta con estradosso nudo a vista.
La natura camaleontica dei palmenti
Per il semplice fatto che la copertura sia generalmente rivestita dal terreno, i palmenti a seconda delle stagioni mostrano un aspetto diverso a causa del mutamento della vegetazione.
In ogni caso il paesaggio risulta di notevole impatto e sempre bello da vedere soprattutto in inverno quando i palmenti sono innevati.
Durante la primavera le coperture si rivestono di una coltre fiorita di colore rosa che offre uno spettacolo da non perdere.
Insieme alle coperture inerbite e fiorite, ad abbellire la facciata, spesso si abbinano due archi a sesto ribassato: uno per sostenere la volta di copertura, l’altro come architrave per l’ingresso.
Anche la facciata, normalmente rivolta verso sud o sud-est, ha due differenti tipologie: in muratura a vista o parzialmente intonacata e presenta di solito una sola apertura.
La struttura dei Palmenti si basa su un importante principio della statica, che è quello della distribuzione uniforme di tutte le spinte, che si scompongono in orizzontali e verticali, queste ultime sono contrastate e azzerate dalle controspinte causate dal suolo, mentre le prime, per essere annullate, necessitano di un apparato murario robusto e continuo.
Nella parte superiore della porta esiste sempre una piccola luce che ha duplice funzione cioè far esalare l’anidride carbonica derivante dal processo di fermentazione e a volte di alleggerire le strutture sovrastanti.
I piedritti delle porte sono, nella maggior parte dei casi, formati da pietre vive calcaree squadrate che sostengono una struttura verticale la quale può essere un architrave formato da conci di pietra oppure da un monolite di tipo lapideo o ligneo o da una piattabanda con conci di pietra o laterizio.
Il locale dei palmenti oltre ad avere una distribuzione razionale dei suoi componenti: vasca di pigiatura, vasca di fermentazione, spazio per la palm’ntedd, prevede un vano scavato nel muro per la lucerna o la candela e, in alcuni casi, addirittura il camino.
Il mosto, infatti, si bolliva all’esterno del palmento, ma in caso di cattivo tempo era uso bollirlo all’interno.
Per approfondimenti su questo argomento, si consiglia vivamente la lettura del libro di Vincenzo D’Angelo — Pietragalla e i palmenti, Patrimonio di archeologia rurale — Edizioni Paideia Firenze dal quale alcuni cenni sono stati riportati in questa pagina.