lunedì 30 settembre 2019

L'antico eremo di Monte Rua




Il nome Rua anche se nella lingua veneta ricorda il termine “ruota” con ogni probabilità si deve far risalire alla parola “ruah” che in ebraico significa “spirito”.
Fondato dai Camaldolesi, è un piccolo agglomerato di edifici dedicati alla vita comunitaria con refettorio, parlatorio e foresteria, insieme a celle dove i monaci si dedicano all'esperienza eremitica.
In quasi 700 anni l’Eremo di Monte Rua, ha vissuto tre fondazioni e due soppressioni di cui una spontanea e una forzata. Questi cambiamenti hanno contribuito al fascino di questo luogo unico, intriso di cultura e misticismo.
L’origine dell’Eremo risale al 1334 quando gli abitanti di Torreglia donano ad un certo Antonio (un eremita) un terreno di tre campi al già edificato Oratorio di Maria Annunciata posto sulla sommità.
(fonte: Veneto a 360°)

domenica 29 settembre 2019

La pagina della domenica




LA RIFLESSIONE 


COS’È LA PAURA?
La non accettazione dell'incertezza. 
Se accettiamo l'incertezza, diventa un'avventura.

COS’È L’INVIDIA?
La non accettazione della beatitudine nell'altro.  
Se lo accettiamo, diventa ispirazione.

COS’È LA RABBIA?
La non accettazione di ciò che è al di fuori del nostro controllo.  
Se la accettiamo, diventa tolleranza.

COS’È L’ODIO?
La non accettazione delle persone così come sono. 
Se li accettiamo incondizionatamente, allora diventa amore.

QUAL È LA MATURITÀ SPIRITUALE?
È quando smettiamo di provare a cambiare gli altri e ci concentriamo sul cambiare noi stessi.
È quando accettiamo le persone così come sono.
E' quando capiamo che tutti hanno successo secondo la loro prospettiva.
È quando impariamo a "lasciar andare".
È quando siamo in grado di non avere "aspettative" in una relazione, e diamo solo per il piacere di dare.
È quando capiamo che ciò che facciamo, e lo facciamo per la nostra stessa pace.
È quando perdiamo la necessità di mostrare al mondo quanto siamo intelligenti.
È quando smettiamo di cercare l'approvazione degli altri.
È quando smettiamo di paragonarci con gli altri.
È quando siamo in pace con noi stessi.
La maturità spirituale è quando siamo in grado di distinguere tra "bisogno" e "volere" e siamo in grado di lasciar andare questa volontà.
E ultimo e più importante:
La maturità spirituale si ottiene quando smettiamo di cercare "felicità" nelle cose materiali.

Jalal ad-Din Muhammad Rumi - XIII secolo


LA POESIA

Se tu sapessi
che splendido giorno di sole!
E' sorpreso anche l'autunno
nel contrasto di colori
in trasparenze primaverili.
Tutto riluce
nel delicato tentativo
di ricordare i giorni buoni.
È buona la terra
che mi fa camminare,
è buono il cielo
che innalza i pensieri,
è buono il mare
ancora a dondolare
sogni estivi.
Se tu sapessi
che splendida visione
è la montagna!
sinuosa tra mille veli di fumo.
È tutto pare chiaro;
senza domande,
né paure,
ma solo azzurro,
l'azzurro indefinito
di settembre.


Francesca Stassi


LA FRASE

La Massa non sa cosa sta succedendo nel mondo.
E non sa neanche di non saperlo.
N. Chomsky

IL PROVERBIO

Par San Matìo (21) le giornàde le torna indrìo.
In setèmbre la ùa rende e el figo pende.

RELAX
 




Viaggio a Roma per l'udienza di Papa Francesco e l'accensione dell'albero di Natale



PROGRAMMA


mercoledì 4 dicembre

ore 12 partenza da San Pietro (municipio)
 
e da Pedescala (monumento)


giovedì 5 dicembre:

in mattinata udienza di Papa Francesco 
 
nel pomeriggio accensione dell'Albero di Natale in

Piazza San Pietro

venerdì 6 dicembre

ritorno con sosta ad Orvieto


TUTTI i parecipanti al viaggio saranno ammessi 

all'udienza di Papa Francesco.


Versare il SALDO entro domenica 27 ottobre

Si sta organizzando un 5° pullman: iscriversi entro 

il 15 ottobre da don Sergio

Chi raggiunge Roma con mezzi pubblici o propri per

poter partecipare all'udienza del Papa e 

all'accensione dell'Albero è obbligato a munirsi del 

pass, da richiedere a don Sergio.

Sarebbe così semplice se lo mettessimo in pratica tutti!


Sarà vero o solo ipotesi?


Dicono che sono coincidenze, ma la verità è che nulla accade per caso.

Ogni persona vive “coincidenze” nella propria vita, a volte curiose, a volte così importanti che possono cambiare il nostro destino.

Ad ognuno di voi sarà capitata una casualità che sembrava così improbabile da definirla magica, come se ci fossero collegamenti tra eventi, persone o informazioni attraverso fili invisibili che possiamo intravedere solo a volte.

Sicuramente vi sarà capitato che un libro, uno spot pubblicitario o una canzone risponda a quella domanda a cui cercavate risposta. Vi sarà successo di pensare di chiamare una persona e proprio in quel momento di ricevere la sua telefonata, avrete avuto un incontro inaspettato in un luogo inaspettato o vi sarà successo di aver trovato la persona giusta al momento giusto… Questa non è casualità, ma sincronicità, uno degli aspetti più enigmatici e sorprendenti di questo universo.

Tutto intorno a noi è permeato di messaggi sottili che a causa della mancanza di attenzione, passano inosservati ai nostri occhi, non riusciamo a riconoscerli, percepirli ed apprezzarli.

Quasi fossimo personaggi di un intreccio, incontriamo spesso la persona o le persone che dobbiamo incontrare. In momenti di crisi o di grande apertura entra in scena per caso un personaggio che diventa per noi una delle figure principali nella storia della nostra esistenza: un coniuge, il nostro migliore amico, l’amore della nostra vita. In altri momenti, quando siamo soddisfatti di noi e della nostra esistenza, si manifestano dei legami che, quasi si trattasse di una forza della natura, sembravano destinati a emergere. In altri momenti ancora, quando per paura o per egoismo ci estraniamo dal mondo, gli eventi sincronistici attivano rapporti che ci circondano con insistenza, ossessivamente, l’impossibilità di ignorare del tutto i nostri legami con gli altri. Quando si verificano eventi simili percepiamo più profondamente la storia che stiamo vivendo, la storia che dice: tu non sei solo.

Quando noi decidiamo di modellare la nostra vita sulla base di quello che sappiamo di noi, decidendo l’intreccio come se fossimo uno scrittore, ci dimentichiamo che, di noi, sappiamo solo una parte della storia: ci sfugge tutto quello che è inconsapevole. Ed è l’inconscio che modella la nostra storia.

A tutti prima o poi capita di vivere una coincidenza incredibile capace di modificare almeno in parte il corso dell’esistenza: sono quelli che Jung definiva “eventi sincronistici”, fenomeni in grado di cambiare l’immagine che abbiamo di noi stessi, il nostro modo di vedere il mondo, di aprirci nuove prospettive.

Un evento sincronistico, riflettendo uno stato d’animo interiore, spesso riesce a indicarci la direzione per noi più giusta.

Imparando a considerare la nostra vita un racconto dotato di coerenza interna, dove niente succede senza ragione, potremo imparare a sfruttare le coincidenze per comprendere meglio noi stessi e per dare alla nostra esistenza maggiore pienezza.

L’atteggiamento in grado di creare un evento “sincronistico”, e un lieto fine per la storia della nostra carriera, è quello che tiene in equilibrio gli aspetti materiali e non materiali delle nostre motivazioni professionali, facendo delle nostre attività un modo conscio di affermare chi siamo e quali siano le cose che riteniamo importanti.

Se la nostra vita è una storia, come tutte le storie, è composta di vari capitoli. A volte soltanto una simbolica sovrapposizione tra l’interno e l’esterno, in forma di coincidenza significativa, è in grado di fornire la scintilla psicologica necessaria a voltare pagina e iniziare un nuovo episodio della vicenda che dobbiamo vivere.

Anche nei momenti più bui può verificarsi un evento sincronistico che ci aiuta a trasformare l’oscurità in un’esperienza di rinascita e di continuità, dandoci un’ulteriore occasione di ricordare e di dire chi siamo.

Lo psicologo Carl G. Jung è stato colui che ha coniato il termine sincronicità, facendo riferimento a “la simultaneità di due eventi legati dal senso, ma non causalmente”.
Jung ha concluso che vi è un’intima connessione tra l’individuo e il suo ambiente.

Un’esperienza sincronica viene di solito nella nostra vita quando meno ce lo aspettiamo, a volte cambiando la direzione della nostra vita e influenzando i nostri pensieri. Ma per questo dobbiamo essere ricettivi e attenti al mondo che ci circonda, creando l’apertura per la possibilità di sincronicità

Tutto dipende da una forza potente che ci collega all’universo e favorisce determinate conoscenze, relazioni e avvenimenti.

Le persone e gli avvenimenti che compaiono nella vostra vita nascondono importanti motivi, significati e spiegazioni.

Per questo sbagliamo quando pensiamo che incontri e rapporti siano casuali: tutto dipende da una forza potente che ci collega e favorisce determinate conoscenze e relazioni.

Quanto più siamo consapevoli del nostro ambiente, tanto più probabile è che la sincronicità attorno a noi si manifesti, dobbiamo solo essere vigili.

Quando prendiamo coscienza delle sincronicità, con l’intenzione di farla evolvere per realizzare il nostro destino, stiamo attuando il Destino Sincronico. Diventiamo parte attiva nel grande piano creativo, dando uno scopo, un significato, una direzione, una intenzione alle coincidenze; con le nostre interpretazioni e conseguenti azioni, trasformeremo le Sincronicità in Destino Sincronico.

Se scorriamo le circostanze e manteniamo un atteggiamento ricettivo e aperto, lasciandoci trasportare dalla nostra intuizione e dalla nostra saggezza interiore, si aprirà un “magico” che ci offrirà l’esperienza della sincronicità. Se ascoltiamo i messaggi che ci vengono inviati possiamo fare di questi messaggi una buona guida per la nostra vita.
Se adottiamo un atteggiamento simbolico nei confronti della nostra vita, esplorando il significato di ciò che ci succede, e quindi attiviamo la nostra capacità di creare una totalità a partire dagli eventi accidentali e diversi che ci capitano, ci accorgeremo che indipendentemente dall’intreccio, dall’ambientazione e dai personaggi, maggiori o minori che siano, nelle storie della nostra vita niente succede per caso.

Non c’è bisogno di essere poeti per intuire che l’Universo, o per lo meno la nostra Terra, ci parla in ogni modo possibile.

Ogni rapporto è una specie di sincronicità: un evento unico in cui un incontro esterno di individui assume rilevanza emotiva, simbolica e trasformativa. Molti degli eventi mostrano che siamo collegati agli altri con legami molto più forti di quanto spesso non siamo in grado di riconoscere, e che ognuna delle coincidenze significative conferma il concetto junghiano di inconscio collettivo, secondo cui ogni essere umano condivide a livello psicologico e spirituale un legame con tutti gli altri esserei umani.

Frasi fatte come “Ti succederà quando meno te lo aspetti” riflettono una verità: nel momento in cui siamo più concentrati, oppure più aperti, rispetto ai nostri limitati progetti, attiviamo nell’intreccio della nostra vita una fase di grandi potenzialità.

Come ha scritto Paulo Coelho nell’Alchimista:

«Per arrivare fino al tesoro dovrai seguire i segnali.
Dio ha scritto nel mondo il cammino che ciascun uomo deve percorrere.
Dovrai soltanto leggere quello che ha scritto per te».

Quante volte nella vostra vita avete detto: «È un segno del destino!»?
Ma sapete che cosa significa? Ci avete mai pensato? Significa che tutti siamo convinti che l’Universo mandi dei segni… ogni volta che avviene una coincidenza è come se Dio compiesse un miracolo restando anonimo..

Voglio riportarvi questo testo del famoso iniziato del secolo scorso Omraam Mikhaël Aïvanhov, che ha lasciato scritto quanto segue:

Benché la Terra sia altamente popolata, molte delle angosce percepite dagli esseri umani derivano dalla sensazione di essere stati proiettati nel mondo come in un deserto dove si trovano soli, smarriti, senza nessuno che risponda alle loro domande e alle loro richieste!

Ebbene, no, essi non sono soli, e se ne renderanno conto il giorno in cui prenderanno coscienza che fanno parte di un tutto, che questo «tutto» è vivo e che, essendo vivo, possono avere ininterrottamente scambi con esso: se parlano, da qualche parte ci sono sempre delle creature che li sentono e che rispondono.

Per tutto quello che facciamo, diciamo o chiediamo, riceviamo risposte: conferme o obiezioni, approvazioni o condanne.

Il mondo invisibile è continuamente presente, qui, intorno a noi: ci guarda, ci ascolta e ci dà sempre delle risposte. Il suo linguaggio, molto diverso dal nostro, non è di facile comprensione; e sta a noi interpretare.

Il mondo invisibile ci risponde sempre. Ecco l’origine di segni e coincidenze.

Se volete che una coincidenza significativa cambi la storia della vostra vita, vagabondate a caso per il mondo e siate pronti ad accogliere qualsiasi cosa la vita vi offra. L’imprevista svolta degli eventi potrebbe costituire il colpo di scena in una storia nella quale non ci eravamo ancora accorti di essere dei personaggi.

(fonte:aprilamente)

Da noi la tempesta Vaia - in Puglia la ”tempesta” Xilella con la distruzione degli ulivi 2018/2019 nel Salento (foto di Riccardo Stefani)






sabato 28 settembre 2019

Le altane




Adesso potremmo chiamarle semplicemente forme di complemento ed arredo urbano.
Sono delle specie di terrazze, quasi completamente di legno, posizionate sopra i tetti, sostenute da alcuni pilastri e alle quali si accede solitamente dall'abbaino.
Data la scarsità del terreno, per ampliare lo spazio abitativo i veneziani hanno sfruttato la sommità stessa del tetto, dove hanno sistemato questi terrazzini.
In realtà, già dal 1224 si trova riferimento in un documento ufficiale: i veneziani, ma soprattutto dalle veneziane che qui salivano per stendere il bucato, curare i vasi di fiori e di piante, esporsi al sole lontano da sguardi indiscreti o semplicemente prendere una boccata d'aria.
Rappresentano in toto il tipico manufatto risalente alla Serenissima: diffuse sia nei palazzi d'epoca che nelle abitazioni di minor pregio artistico, si sono trasformate nel tempo in angoli intimi di spensieratezza, quiete e relax.

(fonte: Veneto a 360°)

Un drone sull'Ortigara





giovedì 26 settembre 2019

La candela della sera


Le rondini si posizionavano sui fili della luce, ad una ad una dopo grandi voli. Erano quelle sere dove il vento ancora caldo si alzava, portando profumo ed aria di pioggia e faceva cadere qualche goccia solitaria laddove in estate erano cadute le stelle. Stavano lì le rondini , strette le une accanto alle altre, a guardare la valle che si riempiva di grilli per le ultime sere mentre tutto diveniva buio. 
Oltre le montagne che iniziavano a profumare di autunno, c'era il lago, sulle cui acque ormai non brillava più il sole lucente di agosto, ma nella sua calma portava a spasso il rumore delle onde piccolissime che giungevano a riva, nel silenzio di un autunno che arrivava e portava con sé una coperta spessa che colorava di scuro ogni colore chiaro del giorno. Tra i tanti tetti che le rondini osservavano e che non volevano lasciare, ce n'era uno, sovrastato da un pugno antico che filtrava i raggi del sole e li tagliava in coriandoli di luce, dove viveva una signora ormai anziana, che aveva lasciato gli oggetti per il ricamo perché gli anni non le permettevano più di rendere unico ogni pezzo di stoffa. La signora sentiva gli anni, i giorni passare, vedeva le stagioni avvicendarsi, ora vedeva la sera venire prima e gli ultimi grilli che non avevano ancora trovato la compagna, affrettarsi con i canti migliori, che suonavano nella valle ad intervalli, come il rumore delle onde del lago. Ogni sera, l'anziana lasciava aperta una finestra che dava sul monte da cui sorgeva la luna e al mattino il sole, una candela che negli anni si era consumata e di cui restava solo il bicchiere di vetro azzurro e la cera che era a ricordare il suo voto d'amore. Con grande cura poneva il bicchiere da quella finestra ed appena si vedeva da dietro le fronde la luna salire, andava nella sua camera e si addormentava, sapendo che quel bicchiere avrebbe assorbito l'argento della luna nel suo corso notturno e poi i primi raggi magici del sole. Questo rito veniva compiuto da anni, da quando ragazza ad un mercato della domenica, aveva comperato il bicchiere di un azzurro vivo, che brillava quando il sole lo toccava. Ed una sera di inizio estate ormai lontana, accese la candela sotto una luna piena, grandissima,che illuminava a giorno il piccolo borgo che quella notte profumava di magia ed espresse il suo desiderio, che non confidò ad alcuno, ma che molti immaginarono fosse d'amore. Quella candela bruciò per dodici ore, tremando nella notte e muovendosi illuminava la stanza della ragazza, perché la luce entrava dalle persiane e quel tremore di fuoco era simile a quello del suo cuore. Passarono gli anni, ed ogni sera la candela consumata era lì, sul davanzale della finestra ad aspettare il sorgere della luna o nelle notti di buio, qualche stella. La candela vegliava ancora la casa dell'anziana come quella notturna, quando con il cuore pieno di speranza vedeva la fiamma tremare e tremava anche lei, e quel fuoco si mescolava al mattino con quello energico del sole che iniziava il suo corso, lunghissimo in estate e sempre più breve poi. Quella sera a salutare le rondini che stavano per partire c'era anche il bicchiere azzurro e le vedeva, come tanti anni era successo, spiccare in volo per terre mitiche, che in pochi in quel piccolo paese potevano immaginare con esattezza. Le vedeva andare oltre il lago che era già nero e rifletteva la notte e le immaginava lontane, aspettandole finché un mattino non le avrebbe viste di nuovo sulla sua testa. Ed aspettava le mani calde della sua padrona che lo poneva dietro i vetri quando pioveva o nevicava e cercava le farfalle a primavera che gli narrassero la fine di un altro inverno. Erano invecchiati insieme, giorno dopo giorno, estate dopo estate e solo loro sapevano quale fosse quel desiderio, dicono nel paese, avverato e nei giorni che passarono lenti il bicchiere guardava ancora le stelle muoversi lentamente, il sole tramontare, la luna sorgere e passare nel cielo, mentre tremava ancora il respiro dell'anziana, come quella notte in cui il suo respiro e la fiamma della candela si mossero insieme.
da "l'odore del fieno di giugno"

El dialeto sconto: sixolàre

Qui ci occuperemo di parole del nostro dialetto il cui significato non è evidente per tutti, essendosi perso o modificato in seguito al venir meno della civiltà rurale che lo esprimeva. Capita infatti che si sentano o usino termini dei quali non conosciamo l'esatto significato originario.

La parola di oggi è:
  • Sixolà, Sixolàre
  • Indica l'azione del fuoco o del calore che brucia i peli del corpo o dei tessuti. Tipicamente se qualcuno si bruciava i peli del braccio o i pelucchi del maglione per troppa vicinanza al fuoco si dice: El se ga sixolà el brasso! Usato anche per l'operazione di bruciare alla fiamma le piumette residuali d'un pollo appena spennato.
- L'etimologia non è nota e questa espressione l'ho sentita solo in ambito familiare e paesano.

- Frase: Senti che bruta spussa: ghétu sixolà el polastro?  (Seti che cattivo odore: hai bruciato le penne del pollo?) 

mercoledì 25 settembre 2019

I video di Gino Sartori: Escursione sull'antica via dell'Ancino


Pensieri d'autunno


Quest'ultima settimana di settembre 
ha aperto le porte all'autunno e ai suoi capricci...
"Soprattutto amo il giallo di settembre,
i mattini con ragnatele imperlate di rugiada,
giorni pensosi immobili,
schiamazzi di corvi neri, foglie ramate
stoppie punteggiate di covoni.
Più dello sfrenato fulgore della primavera
alla mia anima si addice l’autunno."

(Alex Smith)

El cimbro sconto gazòget bor in oarn: Sanga

Qui ci occuperemo delle parole del nostro dialetto che derivano verosimilmente dal Cimbro. Sono vocaboli dell'antica lingua rimasti nella nostra parlata corrente e che sono sopravvissuti divenendone parte. A volte adattandosi foneticamente, altre assumendo addirittura un significato diverso per allegoria.

La parola di oggi è:

  • Sànga 
  • Indica la pinza. 
Deriva invariato dalla voce cimbra: Sànga, che ha il medesimo significato (Ted. mod. : Zange)
Questo sostantivo deve essere stato presente nel nostro dialetto più vecchio perché l'ho sentito pronunciare soltanto da mio padre in un periodo in cui in paese veniva già chiamato comunemente: pinsa.

- Aggettivi: Sangà Pinzato
- Frase: Slòngheme la sanga ca indrisso el ciò! / Passami la pinza che raddrizzo il chiodo.
È sinonimo di: pinsa.

martedì 24 settembre 2019

Pensieri sofferenti e sconclusionati


    【Gianni Spagnolo © 190921
Credo che ci siano poche cose ecumeniche come la sofferenza, nel senso che prima o poi ci tocca tutti. Lo fa in molteplici forme, intensità e occasioni, ma non ci lascia mai indenni. Magari a qualcuno è più affezionata di altri, ma è impossibile da misurare e così ognuno ha una sua propria graduatoria.  Non trascura nessun campo: fisico, morale o psicologico che sia; è così multiforme e pervasiva che sfugge ad ogni categorizzazione. Può facilmente condizionare un'intera esistenza.
Vivere e soffrire sono cose connaturate, soltanto che la sofferenza non è mai così breve ed effimera come quelle che sono comunemente intese come sue controparti: la felicità, la soddisfazione, il piacere. Non sono neanche complementari, appunto perché non sono comparabili in frequenza e durata. Almeno così pare: sì è infatti felici sempre per poco, mentre sofferenti molto più spesso e a lungo. 
Viene in mente il celebre aforisma di Lev Tolstoj: 
"Tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è invece disgraziata a modo suo.''

Per giustificarla e renderla tollerabile sono state prodotti nel tempo un'infinità di argomenti consolatori. La religione dandole un rango morale ed elevandola ad espiazione; la cultura laica assegnandole un ruolo etico d'insegnamento esperienziale.

Qualcuno ha giustamente osservato che se bastasse la sofferenza ad insegnare, l'umanità intera sarebbe facilmente saggia, dato che tutti soffriamo. Quindi la sofferenza fine a se stessa ha pure un terribile potenziale accrescitivo di se stessa, visto che non servirebbe a niente, non avrebbe nessun obiettivo più elevato degno del patimento.
Per trovare sollievo, la sofferenza ha bisogno di elaborazione, di comprensione e di amore. Forse la controparte della sofferenza non è perciò la felicità, ma propriamente l'amore. Amore e sofferenza infatti riescono a convivere e dialogare, mentre con la felicità e le sue manifestazioni la sintonia è improbabile. 
La sofferenza però tende a portare alla chiusura, all'esclusione e all'isolamento dove occorrerebbe lasciare aperta un porticina, uno spiraglio di vulnerabilità all'amore. 
Perché è sempre l'amore la rete sotterranea di quelle lame improvvise di felicità che, in alcuni momenti della vita, ti trapassano lo spirito, ti riconciliano con le cose e ti danno la gioia di esistere. (Quest'ultimo pensiero è di Don Tonino Bello).


Contrada Piccoli di Lavarone e camosci al pascolo a Nosellari - foto di Silvio Eugenio



El cimbro sconto gazòget bor in oarn: Sìnsolo

Qui ci occuperemo delle parole del nostro dialetto che derivano verosimilmente dal Cimbro. Sono vocaboli dell'antica lingua rimasti nella nostra parlata corrente e che sono sopravvissuti divenendone parte. A volte adattandosi foneticamente, altre assumendo addirittura un significato diverso per allegoria.

La parola di oggi è:

  • Sìnsolo
  • Indica un brandello di qualcosa, specie di stoffa. Per estensione anche oggetto di poco conto o inutile orpello. 
Deriva verosimilmente dalla voce cimbra Sìntzala che ha il medesimo significato, ma che potrebbe essere a sua volta un prestito veneto.
In veneto esiste "fìnfolo", che è una bacchetta recante in cima uno spaghetto con l'esca, usata per acchiappare le rane; a volte anche usato come similitudine scherzosa per indicare l'organo maschile.
Da non confondersi invece con Sinsòlo, che identifica l'assenzio e per estensione una bevanda esageratamente amara.

- Aggettivi:  (/)
- Frase: A che far vetu in volta co tuti cuei sinsoli? / Perché vai in giro con quegli orpelli?
È sinonimo di: /.

lunedì 23 settembre 2019

Sapore di Settembre dal libro: "I nuovi racconti di Nonna Giulia di Dana Carmignani



Iniziava a piovere a settembre, ed era una benedizione, dicevano i vecchi.
Serviva l'acqua del periodo, guarda caso, proprio per il vino.
La campagna tutta ne beneficiava... prati e alberi rifiatavano finalmente e riprendevano il loro aspetto rigoglioso, ma le vigne soprattutto necessitavano dell'acqua settembrina che avrebbe accentuato la produzione di quel nettare di cui i contadini tenevano in grande conto.
Alla prima acquata si buttavan fuori botti e bigonce perchè il legno si riassestasse e non ci fossero pericoli di fuoriuscite..si gonfiava il legno e così poteva trattenere al meglio i grappoli.
Il fermento che nelle aie era perenne, vedeva in questo periodo una accelerazione dei lavori perchè ci si assestava per l'inverno ci si preparava per la vendemmia, e si rifiniva ciò che poi in campagna non finisce mai, perchè c'è sempre qualcos'altro che ricomincia.
Nonna alzava in soffitta, quelli che venivano chiamati “castelli”.
In realtà era vero, perchè erano delle impalcature di legno su basi di pietra, con tanti piccoli perni.. se ne usavano quattro di queste costruzioni.. si distanziavano fra loro formando un quadrato.. si posizionavano delle pertiche lunghe su ogni legno che sporgeva, e sopra si srotolavano i cannicci , tanto da avere delle vere e proprie torri a strati dove l'aria circolava benissimo.
Servivano un tempo per i bachi da seta.. ma all'epoca mia di bambina non si facevano più e allora erano queste impalcature, delle vere e proprie dispense a più piani per quello che c'era di conservabile.
E tutto si conservava... la soffitta era già piena a settembre, di mucchi di patate di ogni dimensione e di mazzi di agli, cipolle e pomodori .. di sacchi di fagioli bianchi e neri, di ceci, di grano, granturco, avena, farina bianca e gialla. Il necessario, e anche il di più per bestie e cristiani che doveva durare per l'inverno e oltre.
Sui “castelli” si metteva l'uva , quella che serviva per il governo per il vino e quella da mangiare per noi finito l'autunno.. pere e mele, se c'erano, noci, e frutta secca, fichi, cachi, ogni frutto donato dall'autunno che già con settembre si cominciava a vedere.
Nell'aia un profumo inebriante si spandeva in quelle giornate. L'uva fragola maturava un po' prima dell'altra, ed era la prima ad essere riposta. Io cercavo con nonna le pigne più belle, stando attenta a non calpestare i ciclamini che sotto la pergola facevano tappeto, regalando col loro colore acceso ancor un po' di sensazione primaverile.
Cambiava il tempo, cambiavano i colori, cambiava il cielo , l'aria raffrescava se pur le giornate restavano calde, ma più che altro tutto mi pareva saporito.. come se settembre avesse un sapore oltre al colore diverso.. mi sembrava assomigliare più ad un piatto prelibato al quale attingere di ogni ben di Dio.
Saporito e profumato era settembre, ricco denso di inizi e iniziative. La Festa del santo del paese era proprio alla fine del mese e coincideva con la chiusura di un ciclo di lavori e di avventure per me, che finivano con l'inizio della scuola ad ottobre..
Con settembre finiva anche l'estate, finiva l'esteriorità.. si sarebbe entrati in un periodo che col mese successivo, avrebbe portato riflessione e calma, forse malinconia, ma anche interiorità vissuta al meglio nelle sere autunnali piene di fuoco e fiamme calorose. Sere che avrebbero visto anche la ricorrenza della mia nascita... e quello pensavo anche a settembre, si avvicinava il mio compleanno, che non festeggiavo se non con poche cose, ma sicuramente con una complicità fra me e nonna che non lasciava dubbi sulla mia realtà.

Pedescala in festa













Potenza del nome

[Gianni Spagnolo © 25A20] A ben pensarci, siamo circondati da molte cose che non conosciamo. Per meglio dire, le vediamo, magari anche frequ...