Paolina Grassi compirà 91 anni il 28 agosto. Il marito è morto nel 1993 e l’ultima delle sue quattro sorelle nel 2016. Ha figli e nipoti, che però non vivono a Socraggio.
Ora che non c’è più neanche il cane Fido ad abbaiare festoso, il
silenzio ti viene incontro già dopo l’ultima curva. «Un silenzio
bellissimo», dice la signora Grassi. «Soprattutto di notte. È quello il
momento in cui puoi ascoltarlo meglio. Mi fa compagnia quando non riesco
a dormire. Non senti un motore. Fuori dalla finestra della mia stanza è
completamente buio, ma in alto il cielo è pieno di migliaia di stelle».
La signora Paolina Grassi compirà 91 anni il 28 agosto. Ha vissuto
tutta la sua vita su questa montagna della Valle Cannobina, al confine
con la Svizzera. È l’ultima residente di un paese quasi scomparso dalle
mappe, il cui nome intero è Casali Socraggio. Il suo portone è quello
con il numero 27. «C’erano l’osteria, la rivendita e il fornaio. C’era
la scuola elementare. Nella mia classe eravamo in 36. Quando sono nata,
il 28 agosto del 1926, tre famiglie avevano dieci bambini. Noi eravamo
cinque sorelle: Santina, Domenica, le gemelle Silvia e Giovanna, io ero
la più piccola. Mamma mi aveva partorito sull’Alpe Badia, a mille metri
di altitudine, dove papà aveva le bestie, faceva il carbone e essiccava
le castagne nel graticcio».
Le giornate della signora Grassi seguono il ritmo delle stagioni.
Potrebbero sembrare monotone, ma a lei sono sempre bastate. «Faccio
colazione alle 8 con una grande tazza di caffellatte e un pacchetto di
cracker. Poi devo dare da mangiare alle galline, c’è da pulire la
chiesa, devo prendere le erbe, fare il fieno, lavorare con il rastrello e
il falcetto, riempire la gerla di legni per la stufa. L’insalata
selvatica va tagliata fine. È un po’ duretta, ma buona».
A pranzo, un risotto. Dopo, un pisolino con le braccia conserte sul
tavolo. La tv è foderata perché non prenda polvere, tanto è sempre
spenta. Anche il telefono fisso a rotella, l’unico, ha una piccola
copertura di misura. Sulla vetrina della credenza ci sono le foto dei
figli, dei nipoti e del cane Fido («è stato come un figlio negli ultimi
anni»). Il frigo Zoppas, la panca per mangiare accanto al camino acceso,
se fa freddo.
L’ARRIVO DEI TURISTI
È tornata l’estate. In paese stanno salendo i villeggianti. Sono 12
tedeschi, 2 svizzeri, un italiano di Gallarate e uno di Arona. La
signora Grassi chiacchiera benvoluta da tutti, circondata da fiori e
piante rigogliose, perché il bosco ormai ha quasi ricoperto le case. La
rosa che le regalò il figlio maggiore, quello partito per la Sardegna
come carabiniere ausiliario. Il giglio selvatico sulla parete maestra.
La robinia, il castagno, il rovere, il tiglio che profuma di miele: «A
giugno metto a seccare le foglie all’ombra, in autunno ne faccio
tisane».
Giù a valle, pensionati tedeschi vestiti in pelle nera solcano la
strada su motociclette fiammanti, fra ristorantini di lusso, divanetti a
bordo lago e pedalò rarefatti nella bruma del pomeriggio. La signora
Paolina non ha mai visto quel mondo sottostante. Canobbio, il Lago
Maggiore, i motoscafi Riva. Non ha mai sognato New York e neppure
sconfinato in Svizzera: «Al massimo sogno di salire ancora una volta sul
monte Zeda. Ma sono quarant’anni che non posso più andarci, e va bene
così. Sono di buon carattere. Ho fatto solo due viaggi. Uno a Novara per
accompagnare mio marito in ospedale, l’altro a Macugnaga per
accompagnare il prete».
Racconta dei camosci e dei cinghiali, delle volpi che danno la caccia
ai gatti. Del fatto che non nevichi quasi più. «Nel 1985 mio marito
Luigi aveva misurato 92 centimetri di manto bianco». Una sola volta al
mese va al supermercato a fare la spesa, grazie all’aiuto della nuora
Lucia. Compra quello che serve. Scongela una pagnotta al giorno. Un
ricordo felice è quello di un capodanno dopo la guerra, con la famiglia
riunita e il cappone in tavola: «Il ripieno era la cosa più buona. Luigi
metteva un salamino, uova, pane grattugiato, verza, poca farina».
E la paura? Cos’è, per lei, la paura? «Quando c’erano i
rastrellamenti dei tedeschi. Avevo 18 anni. Volevano bruciare il paese
perché si erano rifugiati i partigiani. Un aeroplano volava basso. Avevo
paura dei bombardamenti».
AL CINEMA 2 VOLTE NELLA VITA
È andata soltanto due volte al cinema con la scuola elementare, non
ha mai letto un libro, ma racconta orgogliosa di quella canzone che
aveva inventato all’alpeggio. «Era una canzone per gli inglesi, contro i
fascisti. Diceva che le città di Torino, Milano, Firenze e Bari
avrebbero festeggiato la liberazione. Mi era venuta alla testa sentendo i
discorsi dei grandi, quelli che leggevano i giornali».
Il marito, un tempo alpino in Jugoslavia, è morto nel 1993, l’ultima
sorella nel 2016. Quasi un secolo se n’è andato sulla montagna. Il
futuro è questo silenzio perfetto. «Desidero solo la salute dei miei
figli e dei miei nipoti. E spero che le gambe mi sorreggano fino alla
fine. Andare in una casa di riposo non mi piacerebbe. So che trattano
bene gli anziani, ma lì dentro mi sentirei rinchiusa in prigione. Io
sono come le nostre pecore, nata per vivere all’aria aperta».
(Ha collaborato Teresio Valsesia)
Niccolò Zancan - la stampa
Un bellissimo raccontologica, quasi una previsione futurista sulla nostra valle
RispondiEliminaMolto bello e delicato il racconto, anche se sicuramente sarà stato un po’romanzato..
RispondiEliminaNon sono per niente d’accordo col commento sopra, i contesti sono completamente diversi, in 20’ e anche meno siamo a Piovene, non si dica che la valle è isolata..
Certo, a volte la voglia di andar via ti prende, ma per la mediocrità di alcune persone, a partire da chi ci amministra, e questo oscura le tante persone che si prodigano per tener vivo l’amore verso questi posti.
Non disperate ragassi,.. con lo jus solis verranno anche dal Burkina Faso a seminare le vanede alte conquistate con lo jus sanguinis, sudoris et piconis dai nostri padri. Natura abhorret a vacuo!
RispondiEliminaPunteranno il banano anziché le patate.!!
EliminaE no ciò, .. quili del Burkina Faso i piantarà ben i fasoi, vero, e quili del Senegal magari la segala. Jedem das Seine, .. ça va sans dire!
EliminaUna bella persona, una grande donna!
RispondiEliminama sio na a vedare su in Tartura? ai Rati? ai Valeri? ala Grota? e su a Polo? ai Brunei?
RispondiEliminabeh, insoma, basta vardarse intorno... no core nar distante...