sabato 24 giugno 2017

La notte di San Giovanni - (dal web)

Il canto del gallo, quelle mattine chiare e profumate di rosmarino, svegliava la vallata con le ultime, tardive stelle ancora sul colle del bosco e si sentiva quell'eco lontano risuonare di cortile in cortile, ed appariva impalpabile, antica, come l'aria fresca dal sapore di rugiada che resisteva in quelle prime ore assopite nella tenera foschia, finché i raggi del sole non raggiungevano ogni stelo d'erba. Il borgo addormentato iniziava a brulicare di vita dopo quei richiami ripetuti alla vita, i quali davano poi il via alle dure giornate di lavoro nei campi. Gli uomini e le donne del paese, stanchi, giungevano a sera e per riconcilirsi con la natura che tanto li affaticava con un sole feroce e padrone delle ore, restavano fuori nella quiete notturna, nei cortili o sotto i pergolati profumati di lillà pendenti, a mangiare ed a godere delle notti chiare e piene di stelle. I bambini erano invece soliti da sempre giocare tutto il giorno nei prati roventi oltre il calare del sole, in quei giorni di pieno solstizio d'estate, in cui la notte ed il buio sembravano non arrivare mai. Nel borgo si respirava un'aria di fatica e di lavoro, col grano biondo che ondeggiava leggero sotto un mite e tenue soffio di vento che giungeva, come gli anziani avevano sempre sostenuto, dal mare. I pomeriggi volavano lenti, tra il pigolare delle  nuove rondini, nate dopo il ritorno in casa degli uccelli e le donne tessevano cantando a più voci, melodie antiche, in un dialetto ormai lontano. Tutte però, avevano un compito particolare e ne parlavano solerti, agitate, dalla breve notte del solstizio, in cui il chiarore azzurro pareva sfumarsi con un celeste, grazie all'opera di un pittore dalle giganti dita che cambiava repentinamente al cielo la tonalità. Descrivevano infatti le opere ed i gesti degli anni precedenti, quando erano impegnate nel rendere il giusto omaggio alla notte di San Giovanni, il patrono del paese.  Per la notte del santo infatti, erano solite recarsi alla fontana del paese, un vecchio abbeveratoio in pietra posta accanto alla chiesa, sotto l'ombra fresca di un pino mediterraneo, e riempire delle ciotole di rame o di coccio, portate da casa. E durante le prime ore della mattinata, dopo il canto del sapiente gallo, raccoglievano fiori ed aromi, nei loro orti e nei prati ancora ingentiliti dalla rugiada. Quel rito contadino antichissimo veniva tramandato di nonna in nipote e diveniva una notte magica, nella quale il santo Battista avrebbe benedetto quell'acqua profumata d'estate. Su ogni davanzale, al calar del sole, si vedevano le ciotole piene di colori di giugno: rose rubino, rosa tenue, bianche, fiori di sambuco e di ibiscus, qualche testa di garofano, peonie, grosse teste di papaveri rossi, e poi alloro, salvia, rosmarino, menta romana e basilico. Tutti gli odori del borgo erano racchiusi in quell'acqua nella quale nel silenzio della notte, San Giovanni avrebbe imposto la sua benedizione e con cui tutti i membri delle numerose case coloniche si sarebbero lavati il viso la mattina. Quel rito antico e pieno di mistero vedeva tutti i bambini affaccendarsi nei boschi, nei giardini e negli orti per scegliere il fiore più bello, più grande e più profumato e donarlo alla nonna che, dopo il segno della croce, lo poneva in acqua. Immaginavano il giovane Battista, dai ricci mori e coperto con delle pelli, camminare per quelle vie e benedire l'acqua il cui profumo si mescolava con gli odori dei vicini, del grano e della pineta e forse del cielo. Nel silenzio del camminare del santo, l'acqua tremante era mossa dal vento che sembrava cullarla, spostava i petali con le sue lunghissime dita, mescolava ed intrecciava gli atomi per crearne un unico e sempre diverso di minuto in minuto e modificarlo col soffio leggero. Mentre, nel silenzio della notte, rotto unicamente dai richiami d'amore della volte, il vento invertiva colori ed odori, nell'acqua vi si specchiavano le lucciole durante la notte, nella loro danza per trovare l'amore, lo guardavano curiosi i gatti e gli uccelli notturni, ne guardavano il luccichio se dentro vi cadeva il riflesso di una stella. Anche la perpetua, in ricordo della sua fanciullezza alla quale guardava con nostalgia profonda, aveva posto fuori dalla sua piccola stanza, una ciotola con i petali delle rose e dei papaveri, piccoli steli di lavanda e qualche fiore selvatico raccolto intorno alla chiesa, il finocchio selvatico ed il timo raccolti in pineta ed il rosmarino che al parroco avevano donato. La sua ciotola di rame, un regalo della nonna, brillava ad ovest non appena il sole era tramontato e lei, inginocchiata a pregare, aveva rivissuto la sua infanzia e le corse in mezzo al grano per trovare i papaveri rossi e forse sì, un antico petalo scese in quell'acqua benedetta, chiara e odorosa di vita e di memoria, dove al mattino, mentre pregava, trovò i petali a formare un sorriso.

1 commento:

  1. Come sono belle le leggende ! Ascoltiamo ancora le voci di un tempo...

    "Durante la più corta notte dell'anno, non dormite soprattutto! Manchereste la sua magia, i suoi incanti, i suoi sortilegi. Andate a vedere a mezzanotte l'acqua delle fontane cambiarsi in vino e le pietre in brioche. Non temete né i demoni, né i fuochi fatui, né le streghe che attraversano il cielo sulle scope volanti: sulle colline ed all'incrocio delle strade dei grande fuochi sono accesi per cacciarle, dei grande fuochi sopra i quali dovrete saltare senza bruciarvi per trovare fortuna ed amore. E voi le belle ragazze, senza bruciacchiare i volanti delle vostre sottogonne, incontrerete nell'anno quello che vi è destinato.
    All'alba nascente, raccoglierete nelle braci alcuni tizzoni ed un po di cenere che assicureranno guarigione, purificazione e protezione tutto l'anno."

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