Il canto del gallo, quelle mattine chiare e profumate di rosmarino, svegliava la vallata con le ultime, tardive stelle ancora sul colle del
bosco e si sentiva quell'eco lontano risuonare di cortile in cortile, ed appariva impalpabile, antica, come l'aria fresca dal sapore di
rugiada che resisteva in quelle prime ore assopite nella tenera foschia,
finché i raggi del sole non raggiungevano ogni stelo d'erba. Il borgo
addormentato iniziava a brulicare di vita dopo quei richiami ripetuti
alla vita, i quali davano poi il via alle dure giornate di lavoro nei
campi. Gli uomini e le donne del paese, stanchi, giungevano a sera e per
riconcilirsi con la natura che tanto li affaticava con un sole feroce e
padrone delle ore, restavano fuori nella quiete notturna, nei cortili o
sotto i pergolati profumati di lillà pendenti, a mangiare ed a godere
delle notti chiare e piene di stelle. I bambini erano invece soliti da
sempre giocare tutto il giorno nei prati roventi oltre il calare del
sole, in quei giorni di pieno solstizio d'estate, in cui la notte ed il
buio sembravano non arrivare mai. Nel borgo si respirava un'aria di
fatica e di lavoro, col grano biondo che ondeggiava leggero sotto un mite
e tenue soffio di vento che giungeva, come gli anziani avevano sempre
sostenuto, dal mare. I pomeriggi volavano lenti, tra il pigolare
delle nuove rondini, nate dopo il ritorno in casa degli uccelli e le
donne tessevano cantando a più voci, melodie antiche, in un dialetto
ormai lontano. Tutte però, avevano un compito particolare e ne parlavano
solerti, agitate, dalla breve notte del solstizio, in cui il chiarore
azzurro pareva sfumarsi con un celeste, grazie all'opera di un pittore
dalle giganti dita che cambiava repentinamente al cielo la tonalità.
Descrivevano infatti le opere ed i gesti degli anni precedenti, quando
erano impegnate nel rendere il giusto omaggio alla notte di San
Giovanni, il patrono del paese. Per la notte del santo infatti, erano
solite recarsi alla fontana del paese, un vecchio abbeveratoio in pietra
posta accanto alla chiesa, sotto l'ombra fresca di un pino
mediterraneo, e riempire delle ciotole di rame o di coccio, portate da
casa. E durante le prime ore della mattinata, dopo il canto del sapiente
gallo, raccoglievano fiori ed aromi, nei loro orti e nei prati ancora
ingentiliti dalla rugiada. Quel rito contadino antichissimo veniva
tramandato di nonna in nipote e diveniva una notte magica, nella quale
il santo Battista avrebbe benedetto quell'acqua profumata d'estate. Su
ogni davanzale, al calar del sole, si vedevano le ciotole piene di
colori di giugno: rose rubino, rosa tenue, bianche, fiori di sambuco e
di ibiscus, qualche testa di garofano, peonie, grosse teste di papaveri
rossi, e poi alloro, salvia, rosmarino, menta romana e basilico. Tutti
gli odori del borgo erano racchiusi in quell'acqua nella quale nel
silenzio della notte, San Giovanni avrebbe imposto la sua benedizione e
con cui tutti i membri delle numerose case coloniche si sarebbero lavati
il viso la mattina. Quel rito antico e pieno di mistero vedeva tutti i
bambini affaccendarsi nei boschi, nei giardini e negli orti per
scegliere il fiore più bello, più grande e più profumato e donarlo alla
nonna che, dopo il segno della croce, lo poneva in acqua. Immaginavano il
giovane Battista, dai ricci mori e coperto con delle pelli, camminare
per quelle vie e benedire l'acqua il cui profumo si mescolava con gli
odori dei vicini, del grano e della pineta e forse del cielo. Nel
silenzio del camminare del santo, l'acqua tremante era mossa dal vento
che sembrava cullarla, spostava i petali con le sue lunghissime
dita, mescolava ed intrecciava gli atomi per crearne un unico e sempre
diverso di minuto in minuto e modificarlo col soffio leggero. Mentre, nel silenzio della notte, rotto unicamente dai richiami d'amore della
volte, il vento invertiva colori ed odori, nell'acqua vi si specchiavano
le lucciole durante la notte, nella loro danza per trovare l'amore, lo
guardavano curiosi i gatti e gli uccelli notturni, ne guardavano il
luccichio se dentro vi cadeva il riflesso di una stella. Anche la
perpetua, in ricordo della sua fanciullezza alla quale guardava con
nostalgia profonda, aveva posto fuori dalla sua piccola stanza, una
ciotola con i petali delle rose e dei papaveri, piccoli steli di lavanda
e qualche fiore selvatico raccolto intorno alla chiesa, il finocchio
selvatico ed il timo raccolti in pineta ed il rosmarino che al parroco
avevano donato. La sua ciotola di rame, un regalo della nonna, brillava
ad ovest non appena il sole era tramontato e lei, inginocchiata a
pregare, aveva rivissuto la sua infanzia e le corse in mezzo al grano
per trovare i papaveri rossi e forse sì, un antico petalo scese in
quell'acqua benedetta, chiara e odorosa di vita e di memoria, dove al
mattino, mentre pregava, trovò i petali a formare un sorriso.
Come sono belle le leggende ! Ascoltiamo ancora le voci di un tempo...
RispondiElimina"Durante la più corta notte dell'anno, non dormite soprattutto! Manchereste la sua magia, i suoi incanti, i suoi sortilegi. Andate a vedere a mezzanotte l'acqua delle fontane cambiarsi in vino e le pietre in brioche. Non temete né i demoni, né i fuochi fatui, né le streghe che attraversano il cielo sulle scope volanti: sulle colline ed all'incrocio delle strade dei grande fuochi sono accesi per cacciarle, dei grande fuochi sopra i quali dovrete saltare senza bruciarvi per trovare fortuna ed amore. E voi le belle ragazze, senza bruciacchiare i volanti delle vostre sottogonne, incontrerete nell'anno quello che vi è destinato.
All'alba nascente, raccoglierete nelle braci alcuni tizzoni ed un po di cenere che assicureranno guarigione, purificazione e protezione tutto l'anno."