Un simpatico e ironico racconto di Alessio Rizzato da Lugo. (dal web)
(Chissà quanti di noi han vissuto le stesse cose!)
Ci lavavano il sabato pomeriggio, in cucinìn, dentro il mestélo.
Se si spussàva o si era onti in altri giorni, ci lavavano a rate, solo però dove serviva: inutile netàr sul néto!
Per l’acqua calda: se si usava il mestélo, si metteva una pignaàta
grande di acqua sul fogo, dentro i cerchi della fornéla, a scaldare;
sennò bastavano un paio di mestoli della vaschetta della fornéla, che era scaldata dal caldo, prima ch’el scapàsse sù par el tubo del camìn:
automatico!
Fin che ero mi solo, me mama faceva anche presto lavàrme; poi sono
arrivate le mie sorelle e allora c’era da scaldare tanta acqua sui
cerchi della fornéla, anca due pignàte. Per fortuna che io non sono
mai stato broà nel mestélo perché, prima de buiàre l’acqua, me mama
metteva dentro il suo gùmio e, se si scottava lei, allora zontàva
alcuni mestoli di acqua fredda e così veniva tiepida e andava ben.
Quando el Popà gà fatto la casa nova non è più stato doparàto il
mestélo, perché aveva costruito anche il bagno, con la vasca bianca,
con le mattonelle che si potevano anche bagnare, no come el muro del
cucinìn che, se veniva bagnà dai sguassi, veniva subito la muffa. La
vasca era grande e se sbrissiàvo navo finire anca sotto acqua e avevo
paura di negàrme dentro.
In bagno non c’era la fornéla e l’acqua calda veniva fuori da sola dal
rubinetto e anche dal suo telefono, che faceva un bel sprusso, mejo
del sguassaròto de l’orto.
Giù in scantinato c’era come un sommergibile, che si vedevano ai cinema
de guera, messo però in piedi e non butà, come i sommergibili veri. Era
“lo scalabagno”. Quel mestiero lì non scaldava mica il bagno, ma
l’acqua, e non aveva i cerchi, come la fornéla.
Il sabato impissàvano el scaldabagno. Aperta la portelèta mettevano
dentro un puchi de bachìti de viséla. Anca se il fassinàro era pieno
de fassìne, anca piene de tereìjne e degli anni prima, avevano sempre
paura di finire i bachìti, perché dicevano che el scaldabagno magna tanto e quando segnava quaranta gradi non mettevano più sotto né
bachìti, né altra legna e l’acqua scaldà doveva bastar par tuti.
Anca il mio caro zio Pasquale aveva uno scaldabagno, anche se non aveva il
fassinaro perché le viséle non le aveva intorno casa. Lui scaldava
l’acqua a scarpe. Era intelligente. Recuperava le scarpe rote che non
si potevano più giustare. Se erano di coràme bastava un paio di scarpe
per portare l’acqua a sinquanta gradi. Se le scarpe erano di pessa ne
occorrevano due paia, si brusàvano anche le suole di gomma o di
plastica: tanto, Pasquale in Germania, in tempo di guerra, aveva visto
bruciare... e poi la diossina non era ancora stata inventata…
Lo scaldabagno non scaldava però le stanse, e d’inverno vedevo il fià in camera mia.
Scaldava solo l’acqua del bagno, disèvano. Dopo molti e molti anni
hanno scoperto, per sbaglio, che era calda anche l’acqua del seciàro,
se si apriva il rubinetto con la fasséta rossa. I miei aprivano sempre e
solo, per non rovinare tutti e due i rubinetti, quello con la
fasséta azzurra e pensavano che l’altro fosse di riserva. Massa novità
nela casa nuova e, tutte in un colpo, non potevano essere capite e si è
continuato a broàr sù i piati e i bicèri scaldando l’acqua sulla
fornéla.
Son vegnésto vecio istesso!
Lessio da Lugo
quante risate, potrebbe esser anche la mia storia. El nostro scaldabagno l'èra de argento.
RispondiEliminaquanto mi ritrovo in tutto.....Adesso si fan la doccia e....el dialeto i tusi no i lo sa gnanca pi.poariti
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