giovedì 22 giugno 2017

“El Scaldabagno”

Un simpatico e ironico racconto di Alessio Rizzato da Lugo. (dal web) 
(Chissà quanti di noi han vissuto le stesse cose!)

Ci lavavano il sabato pomeriggio, in cucinìn, dentro il mestélo.
Se si spussàva o si era onti in altri giorni, ci lavavano a rate, solo però dove serviva: inutile netàr sul néto!

Per l’acqua calda: se si usava il mestélo, si metteva  una pignaàta grande di acqua  sul fogo, dentro i cerchi della fornéla, a scaldare;  sennò bastavano un paio di mestoli della vaschetta della fornéla, che era scaldata dal caldo, prima ch’el scapàsse sù par el tubo del camìn: automatico!
Fin che ero mi solo, me mama faceva anche presto lavàrme;  poi sono arrivate le mie sorelle e allora c’era da scaldare tanta acqua sui cerchi della fornéla, anca due pignàte. Per fortuna che io non sono mai stato broà nel mestélo perché, prima de buiàre l’acqua,  me mama metteva dentro il suo gùmio e, se si scottava lei, allora zontàva alcuni mestoli di acqua fredda e così veniva tiepida e andava ben.

Quando el Popà gà fatto la casa nova non è più stato doparàto il mestélo, perché aveva costruito anche il bagno, con la vasca bianca, con le mattonelle che si potevano anche bagnare, no come el muro del cucinìn  che, se veniva bagnà dai sguassi, veniva  subito la muffa. La vasca era grande e se sbrissiàvo  navo finire anca sotto acqua e avevo paura di negàrme dentro.

In bagno non c’era la fornéla e l’acqua calda veniva fuori da sola dal rubinetto e anche dal suo telefono, che faceva un bel sprusso, mejo del sguassaròto de l’orto.

Giù in scantinato c’era come un sommergibile, che si vedevano  ai cinema de guera, messo però in piedi e non butà, come i sommergibili veri. Era “lo scalabagno”.  Quel mestiero lì non scaldava mica il bagno, ma l’acqua,  e non aveva i cerchi, come la fornéla.

Il sabato impissàvano el scaldabagno. Aperta la portelèta mettevano dentro  un puchi  de bachìti de viséla. Anca se il fassinàro era pieno de fassìne, anca  piene de tereìjne e degli anni prima, avevano sempre paura di finire i bachìti, perché dicevano che el scaldabagno magna tanto e quando segnava quaranta gradi non mettevano più sotto né bachìti, né altra legna e l’acqua scaldà doveva bastar par tuti.

Anca il mio caro zio Pasquale aveva uno scaldabagno, anche se non aveva il fassinaro perché le viséle non le aveva intorno casa. Lui scaldava l’acqua a scarpe.  Era intelligente. Recuperava le scarpe rote che non si potevano più giustare.  Se erano di coràme bastava un paio di scarpe per portare l’acqua a sinquanta gradi. Se le scarpe erano di pessa ne occorrevano due paia, si  brusàvano  anche le suole di  gomma o di plastica: tanto, Pasquale in Germania, in tempo di guerra,  aveva visto bruciare... e poi la diossina non era ancora stata inventata…

Lo scaldabagno non scaldava però le stanse, e d’inverno  vedevo il fià in camera mia.

Scaldava  solo l’acqua del bagno, disèvano. Dopo molti e molti anni  hanno scoperto, per sbaglio, che era calda anche  l’acqua del seciàro, se si apriva il rubinetto con la fasséta rossa. I miei aprivano sempre e solo, per non rovinare tutti e due i rubinetti, quello con la fasséta azzurra e pensavano che l’altro fosse di riserva. Massa novità nela casa nuova e, tutte in un colpo, non potevano essere capite e si è continuato a broàr sù i piati e i bicèri  scaldando l’acqua sulla fornéla.

Son vegnésto vecio istesso!

Lessio da Lugo

2 commenti:

  1. quante risate, potrebbe esser anche la mia storia. El nostro scaldabagno l'èra de argento.

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  2. quanto mi ritrovo in tutto.....Adesso si fan la doccia e....el dialeto i tusi no i lo sa gnanca pi.poariti

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