giovedì 9 agosto 2012

Quattro settimane


                                                                                                                                                                                                                   
 

Il sole a maggio si sa, è ancora un po’ timido, dalle vecchie travi si toglie l’aria intrisa dell’inverno, tutti siamo decisamente più allegri, i campi lavorati di fresco aspettano la pioggerellina e si pensa alla nuova stagione estiva. 
Quel maggio del 1915 a S. Piero non c’era il clima per pensarla in allegria. Verso i primi del mese… ”requiem in pace amen, fatto anche questo”... pensò il Curato disturbato da una leggera febbre e tosse primaverile; il defunto era un anziano della contrada Lucca  messo a riposo eterno nel nuovo cimitero a sud del paese. 
Appena rientrò in canonica sorseggiò un po’ di brodo, ma non si sentiva troppo bene, si sedette sullapoltrona e tentò di dormire. Non capiva se era un sogno o realtà... voci strane, un cavallo che nitriva, polvere che entrava dalla finestra, alla fine si svegliò... “scusi...lei è don Antonio? Sì sì rispose trafelato, ma con chi ho il piacere di parlare? Tenente dei carabinieri reali Alvise Losco, vengo da Arsiero su consiglio del mio comandante.” 
La visita era di avviso, la guerra sarebbe cominciata a fine mese e con prudenza doveva preparare la gente a un esodo di circa quattro settimane. Disse che il giorno preciso non lo sapeva, ma sarebbero stati avvertiti in tempo. Il Curato rimase sbigottito, ma si fece coraggio e tentò una prima esamina del grave problema.
Decise di chiamare in assemblea i capofamiglia del paese, sapendo che le parole da dire erano poche, ma pesanti. Il vecchio Batòja della contrà Galina, da diversi giorni era turbato, sentiva il forte di Campolongo che faceva dei tiri di prova a salve, non capiva, ma vedendo sempre dei soldati che marciavano verso la Singéla si rese conto che sulla montagna tirava un brutto vento. La mattina dopo volle sentire cosa si diceva giù in paese, scese e, arrivato in piazza, trovò il Curato che dialogava con Pietro, suo futuro genero; fu  Pietro a dire subito al padre della sua morosa Antonia. La se mete male dovemo tor sù  le strasse e nar via dal paese”. Batòja si ricordò che da due giorni non sentiva più le campane di Casotto al di là del confine del regno e la cosa gli sembrava strana. Poi chiese: ”quando”. Don Antonio non sapeva dirgli quando, ma solo di tenersi pronti per fine mese. In realtà nessuno poteva sapere il giorno della partenza, ma tutti ormai sapevano che la guerra era alle porte; il paese si trovava a ridosso del confine, troppo esposto ai tiri dell’artiglieria austriaca. L’assemblea dei capofamiglia era del tutto inutile, ormai tutti sapevano e tutti erano preoccupati, tranne i ragazzi che vedevano il viaggio lontano dal paese come una specie di avventura strana e sconosciuta. 
Venne così, tra incertezze e ansie, la notte del ventiquattro maggio. Già da due notti, dalla contrada Lucca e dalla valle in basso si scorgevano fasci di luce, si sentivano rombi e scoppi di mina e verso Casotto regnava un silenzio strano. Dalla valle dei Mori quella notte, verso le quattro, una leggera brezza annunciava l’alba imminente; sulle foglie dei carpini il buio della notte lasciava il posto alle prime leggere gocce di rugiada, il gallo dei Batòja si stava preparando al canto e le prime donne si stavano alzando per mungere le mucche. Nessuno in paese si accorse, non lo potevano sapere, ma sugli spalti del forte di Campolongo gli artiglieri si preparavano a dare inizio alla guerra contro l’Austria. L’alba illividiva la montagna e verso le cinque il comandante fece puntare i due cannoni di destra verso Luserna, i due di sinistra verso Lavarone, aspettò il razzo rosso dal Verena e ordinò il fuoco. Giù in valle tutti si svegliarono, corsero fuori guardando la volta del cielo verso nord est. Anni dopo la moglie di Pietro, ricordava ancora di quel tragico, ma spettacolare teatro di fuoco, scoppi, lampi, scie luminose, razzi colorati che illuminavano la busa del Tinazzo. I Forti austriaci non rispondevano al fuoco e molti paesani si compiacevano della cosa, si pensava erroneamente che gli austriaci fossero scappati. In paese scoppiò il caos; sulle prime nessuno sapeva cosa fare, ma ci pensarono dei baldi carabinieri reali venuti da Ponte Maso a dire il da farsi: Per ordine del comando supremo, tutta la popolazione aveva tre ore di tempo a prepararsi a lasciare le proprie case. Fra lacrime, imprecazioni e tanta rassegnazione, il vecchio Batòja gridò ai carabinieri: "ma par quanto tempo ghemo da star via? Un panciuto col cappello a forma di aereo rispose: quattro settimane, non un giorno di più. 
La colonna si mosse lenta, a tratti come un elastico; nei carretti di famiglia c’era il necessario, si passò davanti al camposanto e con il segno cristiano ci fu anche qualche pugno teso verso Casotto. Paolo Fontana, marito di Argenta, con piacere raccontava che con i suoi amici di allora si mosse in ritardo, per far in modo di trovarsi alla fine della processione. Lo scopo era di fumare senza essere visto dai genitori. Sfortuna volle che alle Forme ci fu un rallentamento e il padre non vedendo il piccolo, tornò indietro e trovandolo con la cicca gli diede ”na tega tra copa e colo”  che raccontando il fatto dopo tanti anni gli pareva di sentire ancora male. 
Grande tragedia fu vedere gli animali abbandonati e liberi di vagare per il paese, la Togna non trovando il suo gatto di nome Moro si disperò, ma Pietro le promise che se tutto finiva presto, l’avrebbe sposata. Al ponte di Pedescala tutti dovettero dire nome e generalità a un solerte funzionario del governo; si accorsero che anche i valligiani di destra Astico, da Lastebasse a Barcarola, erano in cammino con loro; brutta faccenda, pensò don Antonio. Sotto il forte Ratti dovettero spostarsi dalla sede stradale; stava marciando un battaglione di finanzieri diretti a Montepiano. Un temporale improvviso tuonò verso Tonezza, don Antonio si riparò sotto il portico dei Nando e decise di scrivere qualche pensiero dietro a un santino dedicato a  S. Lucia . 
“Oggi 24 maggio del 1915 comincia l’esodo, dove andremo, cosa sarà di noi,  che il Signore ci protegga,  i cannoni sopra di noi sparano verso nord, ma gli austriaci tacciono, a Pedescala per ora restano,  ma il pericolo è grande,  sopra la montagna di Casotto si nota del fumo e Campolongo sembra un vulcano; via si riparte che dio abbia pietà di noi.” 
La prima notte fu a Cogollo, pochi dormirono, tutti pensarono alla  loro casa. La rividero, o almeno quello che restava, dopo quasi quattro ann di assenza. La Togna trovò ospitalità in una ex baracca austriaca vicino alla  valle dell’orco, ma il suo Pietro fu uno dei primi a terminare i lavori nella casa della piazza del paese, tutto era pronto e  le loro nozze furono con gioia celebrate da don Antonio nella vecchia chiesa. 
Alle soglie degli 84 anni mia nonna Antonia, tra un colpetto di tosse e una lacrima,  si ricordava del suo gatto, con un filo di voce ripeteva: "dove saràlo nà el me moro?                                                 

                                                                                             Piero Lorenzi 

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