(foto di Sandra)
sabato 30 novembre 2019
venerdì 29 novembre 2019
Concerto di Santa Cecilia: un pomeriggio pieno di emozioni
Domenica
pomeriggio, 24 novembre 2019, nonostante il tempo inclemente, la
chiesa dei S.S. Martino e Giorgio a Velo D’Astico si è riempita di
persone che hanno accolto l’invito fatto dal Coro di Sant’Ubaldo
di Lago di Velo che organizza questo concerto da sei anni, in omaggio
a santa Cecilia patrona della musica. Un invito che ha come scopo lo
scambio fra cori, il conoscere e aiutare associazioni che operano nel
territorio: il tutto contornato da musica e canti. Il programma si è
svolto in tre parti: la prima riservata al coro ospitante che ha
allietato i presenti con vari canti, con la direzione di Federica
Bonetti, mentre alla tastiera Elisa Savio e al flauto traverso Mattia
De Rizzo hanno riscaldato il cuore dei presenti. La seconda parte ha
dato ampio spazio all’AISM, Associazione Italiana Sclerosi
Multipla. È stato un momento importante, dove la presidente
dell’associazione di Vicenza con sede a Rosà, Sonia Franzina, ha
spiegato ampliamente l’impegno dell’Associazione che dà sostegno
ai malati e alle famiglie e l’importanza di far conoscere questa
realtà per aiutarla. Altro ospite importante, Stefano Piter
Pieropan, anche lui affetto da S.M. che si impegna con iniziative sia
in Associazione, sia nel sociale. Ha realizzato un teaser “In
viaggio-i passi di Piter”, parte di un cortometraggio “Contando
le formiche”, che ha vinto un importante premio nel 2017. C’è
stato il racconto della storia di Marika Marzarotto, una giovane
mamma del paese che ha imparato a convivere con una strana
“coinquilina” che è la S.M. ed è stata un contatto prezioso per
raggiungere Sonia e l’AISM di Vicenza. Da ultimo, ma non meno
importante, l’intervento di don Stefano Bernardini che da pochi
mesi ha lasciato la comunità per un altro servizio, che ha
puntualizzato l’importanza della ricerca e dei farmaci che al
giorno d’oggi possono dare sollievo ai malati. Tutto questo spazio
arricchito da immagini inerenti ad ogni intervento, proiettate su un
grande schermo montato appositamente. Parlare e farsi spiegare una
situazione dai diretti interessati è senza dubbio illuminante e
coinvolgente; vedere negli occhi di queste persone la difficoltà, ma
anche tanta voglia di reagire, impegnarsi, condividere, darsi da
fare, dimostra la grande forza che ognuno di noi possiede per
affrontare i problemi che la vita ci presenta ogni giorno. Le mele e
le gardensie, (gardenia e ortensia) sono i simboli dell’AISM e
servono a far conoscere e sostenere l’Associazione e i tanti
malati. SMUOVITI è il loro slogan e invita chi è affetto da S.M. a
non restare fermi, ma a muoversi e le persone che hanno modo di
conoscere questa realtà, di smuoversi per dare una mano. La chiesa
era stata addobbata con composizioni contenenti le mele, proprio per
richiamare l’immagine della locandina; alla fine di questa parte
sono state raccolte le offerte che le persone presenti hanno
liberamente donato. La terza parte ha visto il GRUPPO CORALE HARMONIA
NOVA, diretto da Mirco Dalla Valle, presentare una serie di canti che
ha fatto tenere il fiato sospeso al pubblico che con interesse ha
ascoltato e con vero entusiasmo ha applaudito. Il gruppo è una
formazione nata nel 1995 a Molvena, organizza ogni anno nel proprio
territorio importanti rassegne corali. Il coro, a voci miste e
attualmente formato da 40 elementi, ha al suo attivo la pubblicazione
di tre CD. Con la collaborazione del Coro La Valle di San Quirico, di
coristi e musicisti di varia provenienza, ha dato vita a una nuova
realtà musicale denominata “Nova Musica Ensemble” dove le
formazioni si esibiscono accompagnate da 50 elementi strumentali,
dando vita a un impegnativo programma. Un gruppo corale di prestigio
che ha dimostrato grandi capacità sia vocali che strumentali, grazie
al Direttore che con tutto se stesso e con tanta gioia, ha fatto in
modo che l’esibizione fosse meravigliosa e coinvolgente. Alla fine,
dopo i vari ringraziamenti a tutte le ditte/associazioni che hanno
contribuito a realizzare questo importante momento, c’è stato un
pensiero e un forte abbraccio a Stefano e alla famiglia Pieropan,
dedicando ai TRE ANGELI VOLATI IN CIELO, il canto a cori uniti:
“Signore delle cime”. C’è stato poi un altro canto dedicato a
un ragazzino presente al concerto e ammiratore della Corale, che ha
coinvolto tutte le persone creando così un sottofondo a “Benia
Calastoria”. Il pomeriggio è terminato all’Oratorio dove tante
volontarie avevano preparato una gustosa cena per finire la serata in
modo conviviale e famigliare. Organizzare eventi come questo porta
via energie e tempo, ma sono certa che Federica Bonetti e la sua
squadra siano stati ripagati dalle fatiche e dalle apprensioni di
questo ultimo periodo; hanno ricevuto ringraziamenti e complimenti
per quanto proposto e come ha detto il maestro Dalla Valle, chi è
stato presente, ha portato a casa qualcosa di importante e profondo.
Un ringraziamento a tutte le persone che si adoperano per donare il
loro tempo e le attitudini, per organizzare momenti dove ritrovarsi,
ascoltare e farsi trasportare dai canti, ma più di tutto avere un
pensiero particolare per “l’ALTRO”.
Lucia Marangoni
Il presepe di Scurelle
L’albero di Natale, dono delle comunità di Rotzo, Pedescala e San Pietro,
al Santo Padre, quest’anno farà buona compagnia al presepe, donato
invece dalla comunità di Scurelle, nella Valsugana trentina. Questa
valle delimita a nord e ad est l’Altipiano dei 7 Comuni, dal lato
opposto rispetto alla Valle dell’Astico, che ne segna il confine sud ed
ovest. Il paese di Scurelle è posto ai piedi dell’Altipiano: è ben
visibile dalla cima dell’Ortigara e fa parte dei ridenti paesi del
fondovalle, assieme agli abitati di Borgo e Castelnuovo. Da lassù, siamo
ad un tiro di schioppo, o poco più. Un tempo ci divideva un confine di
stato, peraltro regolarmente varcato dai contrabbandieri con i loro
carichi di merce, soprattutto tabacco e sale; oggi ci unisce un dono
speciale da offrire ad una persona speciale. Con noi ci sarà anche la
comunità di Parè di Conegliano che ha invece offerto il presepe di sala
Nervi. È bello essere in tanti perché si dimezza il lavoro e si
raddoppia la gioia: il rinfresco sarà preparato dagli studenti riuniti
delle due scuole alberghiere di Asiago e Conegliano. Ognuno porterà i
prodotti del proprio territorio: noi il nostro formaggio più famoso,
l’Asiago, i cugini trentini le loro eccellenze - e sarà una bella sfida!
- gli amici trevisani, inevitabilmente, radicchio e prosecco. Detto per
inciso, anche questi prodotti sono quasi tutti stati offerti.
Saremo in tanti in Piazza San Pietro, il 5 dicembre, ad accendere il Natale. Immagino ci saranno anche molti turisti - a Roma ce ne sono sempre tanti - ma forse loro in quell’albero vedranno solo un inerte supporto per luci colorate, convinti magari che un presepe in legno equivalga ad uno in plastica. Per noi non sarà così, per noi quei legni sono il fiato dei nostri boschi e l’anima delle nostre montagne. Se ascoltiamo con attenzione, potremo sentirli, abete e presepe, parlare con la saggezza dei vecchi di una giovane donna partoriente, di una stalla e di un bambino destinato a cambiare il mondo; li sentiremo conversare di culti antichi, di tradizioni nordiche e rituali orientali; ma racconteranno anche di territori aspri e duri, dove la vita non ti regala niente e forse proprio per questo, in quei luoghi, non solo gli alberi, ma anche le persone mettono le radici e non le tagli più, nemmeno quando te ne allontani; rivivranno storie di uomini e di montagne, ricorderanno sudori, gioie, fatiche, affetti e passioni sbocciati all’ombra delle tanne, guerre e tempeste che hanno portato distruzione e morte; ma diranno anche dell’orgoglio, della tenacia e della voglia di riscatto di popolazioni che da sempre hanno saputo lottare e rialzarsi dopo ogni avversità. Saremo in tanti, attorno all’albero e al presepe. Con noi, idealmente, ci saranno tutte le persone che ci hanno preceduto, i nostri avi, i montanari di un tempo, i boscaioli e i carrettieri, i pastori cimbri e i malghesi dei secoli passati; ci saranno anche coloro che hanno dovuto lasciare le nostre montagne alla ricerca di un posto dove vivere e che sarebbero orgogliose, come lo siamo noi e anche di più, di vedere un albero della loro terra brillare a San Pietro: per tutti questi sarà un momento di riscatto. Allora la gioia e la commozione ci prenderanno da dentro e noi lasceremo fare: e se non tutti riusciranno a capirci, chiediamo almeno di essere rispettati.
Saremo in tanti in Piazza San Pietro, il 5 dicembre, ad accendere il Natale. Immagino ci saranno anche molti turisti - a Roma ce ne sono sempre tanti - ma forse loro in quell’albero vedranno solo un inerte supporto per luci colorate, convinti magari che un presepe in legno equivalga ad uno in plastica. Per noi non sarà così, per noi quei legni sono il fiato dei nostri boschi e l’anima delle nostre montagne. Se ascoltiamo con attenzione, potremo sentirli, abete e presepe, parlare con la saggezza dei vecchi di una giovane donna partoriente, di una stalla e di un bambino destinato a cambiare il mondo; li sentiremo conversare di culti antichi, di tradizioni nordiche e rituali orientali; ma racconteranno anche di territori aspri e duri, dove la vita non ti regala niente e forse proprio per questo, in quei luoghi, non solo gli alberi, ma anche le persone mettono le radici e non le tagli più, nemmeno quando te ne allontani; rivivranno storie di uomini e di montagne, ricorderanno sudori, gioie, fatiche, affetti e passioni sbocciati all’ombra delle tanne, guerre e tempeste che hanno portato distruzione e morte; ma diranno anche dell’orgoglio, della tenacia e della voglia di riscatto di popolazioni che da sempre hanno saputo lottare e rialzarsi dopo ogni avversità. Saremo in tanti, attorno all’albero e al presepe. Con noi, idealmente, ci saranno tutte le persone che ci hanno preceduto, i nostri avi, i montanari di un tempo, i boscaioli e i carrettieri, i pastori cimbri e i malghesi dei secoli passati; ci saranno anche coloro che hanno dovuto lasciare le nostre montagne alla ricerca di un posto dove vivere e che sarebbero orgogliose, come lo siamo noi e anche di più, di vedere un albero della loro terra brillare a San Pietro: per tutti questi sarà un momento di riscatto. Allora la gioia e la commozione ci prenderanno da dentro e noi lasceremo fare: e se non tutti riusciranno a capirci, chiediamo almeno di essere rispettati.
biblioteca civica di Rotzo
nella foto: la capanna della natività in una passata edizione del presepe di Scurelle
giovedì 28 novembre 2019
L'Abate Dal Pozzo scrive al nipote...
Scartabellare documenti di qualche secolo addietro è una faccenda piuttosto impegnativa. Sovente la scrittura è poco chiara, con molte abbreviazioni, priva di interspazi e con righe sovrapposte. Talvolta capita invece d'imbattersi in qualche piacevole eccezione con scritti che sono esemplari per chiarezza espositiva, proprietà di linguaggio e gestione dello spazio.
Come questa lettera autografa che l'Abate Agostino Dal Pozzo Prunner, scrive il 30 gennaio del 1792 all'amatissimo nipote.
La data da Bassano, dov'era allora precettore dei figli del conte Tiberio Roberti, in quel palazzo cittadino che ora ospita convenientemente una bella libreria e che dette alloggio, quattro anni dopo, anche anche Napoleone Bonaparte reduce dalla decisiva battaglia di Bassano. Don Agostino lì ci passò una vita, l'augusto imperatore invece solo qualche giorno, ma tanto bastò a garantirgli la pomposa dedica sulla facciata a imperitura memoria.
Dalle parti nostre, di Napoleone e delle sue gesta avremmo fatto volentieri a meno, mentre dobbiamo essere grati invece ad Agostino, che con i suoi studi approfonditi sul nostro territorio e le sue "Memorie istoriche dei Sette Comuni", lasciò un'impronta fondamentale nella nostra piccola storia.
Chissà se poi i documenti che cita ad avvallo dell'elevazione a dignità arcipretale della chiesa di Rotzo fin dal 1300 sono ancora da qualche parte...
Come questa lettera autografa che l'Abate Agostino Dal Pozzo Prunner, scrive il 30 gennaio del 1792 all'amatissimo nipote.
La data da Bassano, dov'era allora precettore dei figli del conte Tiberio Roberti, in quel palazzo cittadino che ora ospita convenientemente una bella libreria e che dette alloggio, quattro anni dopo, anche anche Napoleone Bonaparte reduce dalla decisiva battaglia di Bassano. Don Agostino lì ci passò una vita, l'augusto imperatore invece solo qualche giorno, ma tanto bastò a garantirgli la pomposa dedica sulla facciata a imperitura memoria.
Dalle parti nostre, di Napoleone e delle sue gesta avremmo fatto volentieri a meno, mentre dobbiamo essere grati invece ad Agostino, che con i suoi studi approfonditi sul nostro territorio e le sue "Memorie istoriche dei Sette Comuni", lasciò un'impronta fondamentale nella nostra piccola storia.
Chissà se poi i documenti che cita ad avvallo dell'elevazione a dignità arcipretale della chiesa di Rotzo fin dal 1300 sono ancora da qualche parte...
E a proposito di caliera...
Sento la caliera un po’ mia, capisco e mi dispiace per Giampaolo perché
ci ha messo tanto sudore e fatica nel costruirla, e mi addoloro per
tutti quelli che hanno collaborato ad abbellire quest’angolo di Paese.
Ho spostato più volte il contenitore dell’umido ponendolo leggermente
fuori vista, però poi è sempre stato riposizionato vicino alla caliera, un vero peccato perché la caliera indica che in quel posto ci stava il "Casèlo" e
questo fa parte della nostra storia, una storia piena di tante
tribolazioni e fatiche, ma pur sempre la nostra storia, per questo ci
sarebbe bisogno di più rispetto.
Ho avuto il privilegio un mese fa, di accompagnare Jim Sartori nipote del Cav. Paolo Sartori, il fondatore della Casa di Riposo, attraverso il nostro Paese.
Ho avuto il privilegio un mese fa, di accompagnare Jim Sartori nipote del Cav. Paolo Sartori, il fondatore della Casa di Riposo, attraverso il nostro Paese.
Attualmente la sua azienda è diventata una delle più
grandi aziende produttrici di formaggio degli Stati Uniti https://www.sartoricheese.com/ home.html.
Con orgoglio mi sono fermato a fare una foto con lui di fronte alla
nostra caliera, ma vedere all’interno di essa lattine e cartacce non è
stato molto gratificante, per fortuna c’era li vicino il solito
contenitore dell’umido a tirami sù di morale!...
Per quanto riguarda la
bicicletta spero che i genitori del giovane ciclista leggano questo
post.
Gino minài
Gino minài
Trasferta romana per i Vivai Dalle Rive 🎄
Ieri abbiamo avuto l'onore di trasportare per il Consorzio degli usi
civici di Rotzo - Pedescala e S. Pietro degli abeti in zolla a Città del
Vaticano.
Verranno addobbati in occasione di Natale in alcune zone della città e nelle stanze di Papa Francesco.
(fonte: Vivai Dalle Rive)
mercoledì 27 novembre 2019
I video di Gino Sartori - altopiano di Asiago: Monte Zebio
Itinerario: Croce di S. Antonio - Mina di Scalambron - M. Zebio -
Pastorile - Malga Zebio - Bivacco dell'Angelo - Puntara del Lom - Croce
di S. Antonio
Tempo di percorrenza: 3.30h
Il percorso non presenta difficoltà ed è interessante per le testimonianze storiche della prima guerra mondiale. Tra essi sono ancora ben visibili camminamenti, trincee e gallerie ripristinati ultimamente. Nota è la triste vicenda della Mina di Scalambron, a testimonianza della quale fu eretta una lapide commemorativa. Itinerario ricco di vegetazione e di fauna che offre anche una bellissima veduta sulla conca centrale dell'Altopiano. Presenta interesse anche geologico per gli esempi di modellamento carsico come il Buso del Colombo.
Interessanti sono le trincee che sono state recentemente ripulite e ripristinate nei pressi del Rifugio Stalder e sulla Crocetta di Zebio.
Tempo di percorrenza: 3.30h
Il percorso non presenta difficoltà ed è interessante per le testimonianze storiche della prima guerra mondiale. Tra essi sono ancora ben visibili camminamenti, trincee e gallerie ripristinati ultimamente. Nota è la triste vicenda della Mina di Scalambron, a testimonianza della quale fu eretta una lapide commemorativa. Itinerario ricco di vegetazione e di fauna che offre anche una bellissima veduta sulla conca centrale dell'Altopiano. Presenta interesse anche geologico per gli esempi di modellamento carsico come il Buso del Colombo.
Interessanti sono le trincee che sono state recentemente ripulite e ripristinate nei pressi del Rifugio Stalder e sulla Crocetta di Zebio.
La caliera nel parcheggio dell'ex Casèlo di San Pietro
Giampaolo Alessi, (costruttore della stessa) m'invia questa foto con la preghiera di segnalare l'odierno "degrado", con questa didascalia:
Se un visitatore del nostro Paese desiderasse fare una fotografia ricordo della caliera, come minimo direbbe:
"Ma qui il buon senso e l'educazione è assente da tanto tempo!"...
In effetti, aggiungo io, l'accostamento del bidone dell'umido non è certo il massimo e nemmeno la bicicletta al riparo dalla pioggia... per non parlare che la caliera è usata molto spesso anche come cestino per l'immondizia (carte, bottiglie, lattine e quant'altro...)
Se un visitatore del nostro Paese desiderasse fare una fotografia ricordo della caliera, come minimo direbbe:
"Ma qui il buon senso e l'educazione è assente da tanto tempo!"...
In effetti, aggiungo io, l'accostamento del bidone dell'umido non è certo il massimo e nemmeno la bicicletta al riparo dalla pioggia... per non parlare che la caliera è usata molto spesso anche come cestino per l'immondizia (carte, bottiglie, lattine e quant'altro...)
martedì 26 novembre 2019
Come spegnere le Fake News
【Gianni Spagnolo © 191125】 |
Apparentemente siamo tutti contro la diffusione delle fake-news, cioè quelle notizie confezionate con informazioni inventate, ingannevoli o distorte, diffuse col deliberato intento di disinformare specie attraverso i cosiddetti social media. Ma a volte le propaghiamo anche noi passivamente per gioco o per noia, per apparire informati, o magari soltanto per apparire, senza pensarci su. Spesso dietro non c'è neppure un disegno intelligente, seppur malato, ma solo smania di senzionalismo e inutilità.
Eppure non ci vuol poi molto a contrastarle: sarebbe sufficiente adottare la tecnica dell'umile fiammifero della foto. Fare un passetto indietro, non accodarsi alla massa, non reagire d'impeto per paura d'esser tagliati fuori o di uscire dalla fila.
Basterebbe semplicemente applicare i famosi tre cancelli dell'analisi critica:
1) È vero?
Sei certo che quello che ti dicono sia conforme alla verità?
2) È buono?
Sei certo che diffonderlo sia una cosa positiva?
3) È utile?
Sei certo che a coloro ai quali la diffondi giovi qualcosa?
Se non possiamo rispondere affermativamente a tutti tre i quesiti, allora è meglio fare come il fiammifero di confine: un passetto indietro!
El filò
“Il termine ”filò” deriva da “filare”, cioè dal lavoro particolare che
le donne andavano a fare d’inverno nelle stalle. Poi col tempo ha finito
per segnare gli incontri serali di tante persone nelle stalle, sia di
montagna come di pianura, durante la stagione più fredda, per stare al
caldo, per passare il tempo, per recitare il rosario, per sentir qualche
novità del paese o dei dintorni, per far piccoli lavori a mano, per
parlare e per … sparlare.
“Far filò” voleva dire anche quel discorrere
del più del meno, tra vicini di casa, tra “contraenti”, cioè abitanti
nello stesso gruppo di case, tra gruppetti di persone, tra parenti e
amici di sera… per cui “filossàr” aveva questo significato: stare
insieme, discorrere, chiacchierare, malignare, calunniare, spettegolare,
raccontare, custodire e trasmettere le tradizioni, e … chi più ne ha
né più ne metta.
Veneto a 360°
lunedì 25 novembre 2019
La fogàra
Oggi le nostre case sono belle, ben isolate, calde, troppo
calde forse e ben fornite di ogni conforto. Ma non è sempre stato così.
Nei giorni della mia infanzia le case erano più essenziali, meno
confortevoli, gli spazi interni erano meno vivibili. Spesso, la sola
stanza calda di ogni casa era la cucina, riscaldata dall’immancabile
fornèla. Le altre stanze erano riscaldate, all’occasione, da piccole
stufe di cotto. Non ci si attardava in bagno, né si viveva in camera. In
camera solamente si dormiva e, immagino, si faceva anche l’amore! Però
nelle fredde notti d’inverno il letto era caldo, spesso addirittura
rovente, perché riscaldato dalla fogàra. Era questa un contenitore di
ferro, una sorta di pentola con una manico di legno, sorretta da quattro
zampette, che veniva riempito di braci e posto sotto le coperte, nel
letto. Verso sera mia madre raccomandava: “Andè a tòre quattro rami che
fèmo le bronse per le fogàre”. Così andavamo nella legnaia, in baracca, e
prendevamo quattro pezzi di rami di abete per metterli nella fornèla e
trasformarli in braci incandescenti. Con una lunga paletta di ferro le
braci venivano poi prelevate, poste dentro la fogàra e ricoperte di
cenere in modo che la combustione fosse più lenta e più lunga. Si saliva
in camera con la fogàra in mano, e spostate le coperte del letto,
veniva posta tra le lenzuola la mònega (in alcune zone rurali chiamata
anche “prete”!) Questa era una struttura di legno, una sorta di slitta
che sollevava le coperte, teneva staccato il materasso e il lenzuolo
inferiore dal lenzuolo e le coperte che stavano sopra. In mezzo a questo
primordiale sollevatore veniva posta la fogàra, il braciere ardente
che, donando la sua anima rovente, trasformava il letto in una nuvola di
calore, in una accogliente, calda cuccia! Prima di entrare nel letto,
la camera fredda al punto da avere talvolta il ghiaccio sui vetri, si
toglievano la fogàra di ferro, che veniva allontanata dalla camera per
evitare pericolose esalazioni di gas tossici, e la mònega di legno che
veniva appoggiata sul muro o posta ai piedi del letto. Poi si entrava
tra le lenzuola, calde, così calde da essere addirittura roventi per i
primi, pochi minuti. Poi però il calore ti abbracciava, ti accarezzava e
ti avvolgeva invitando, dopo un’ultima preghiera di ringraziamento al
Signore, al sonno dolce e ristoratore. Era il duro lavoro estivo del
bosco, il taglio e la raccolta della legna, che dava, finalmente il suo
benefico, ultimo e atteso frutto. Era davvero, la fine di una fatica, di
una giornata, forse la quiete dei pensieri che ogni cuore poteva avere.
Per noi bambini era semplicemente la fogàra che faceva parte della
nostra semplice, dolce esperienza di vita. Storie di una volta.
Ora, se volete, accendete il termosifone e la termocoperta. Ma nei miei ricordi, solo la fogàra sa accendere la poesia di quelle calde notti, nei freddi inverni di montagna… tanti anni fa.
(Ho scoperto solo recentemente, visitando con i miei alunni il Museo del Palazzon, che raccoglie la memoria e la testimonianza delle usanze e dei costumi degli abitanti di Lusiana, -se potete visitatelo!- perché quella strana ellisse di legno, che ai miei occhi di bimbo assomigliava ad una slitta, veniva chiamata “mònega” o “prete”. Semplice e persino divertente! Quando la mònega veniva posta sotto le coperte, faceva fare al letto una grande… pancia! In quegli anni, le uniche persone che, solitamente, avevano la pancia, le uniche persone ben nutrite erano… le mòneghe (le suore) e i preti! E così per similitudine, il letto con una grande pancia assomigliava, appunto, a una mònega… o a un prete!
Ora, se volete, accendete il termosifone e la termocoperta. Ma nei miei ricordi, solo la fogàra sa accendere la poesia di quelle calde notti, nei freddi inverni di montagna… tanti anni fa.
(Ho scoperto solo recentemente, visitando con i miei alunni il Museo del Palazzon, che raccoglie la memoria e la testimonianza delle usanze e dei costumi degli abitanti di Lusiana, -se potete visitatelo!- perché quella strana ellisse di legno, che ai miei occhi di bimbo assomigliava ad una slitta, veniva chiamata “mònega” o “prete”. Semplice e persino divertente! Quando la mònega veniva posta sotto le coperte, faceva fare al letto una grande… pancia! In quegli anni, le uniche persone che, solitamente, avevano la pancia, le uniche persone ben nutrite erano… le mòneghe (le suore) e i preti! E così per similitudine, il letto con una grande pancia assomigliava, appunto, a una mònega… o a un prete!
Lucio Spagnolo
Tutto iper, tutto mega..., ma io rimpiango la boteghèta artigianale soto casa...
La bottega di appena ieri.
Nelle botteghe tradizionali di una volta si trovava di tutto: sale,
tabacchi, riso, pasta, conserva di pomodoro, baccalà secco, sardèle, sgombro, tonno,
aringhe, caramelle, confettini colorati per la ciambella, castagne
secche, uova, cannella, noce moscata, spago, quaderni, matite, carta oleata,
sapone, filo da cucire e per lavorare ai ferri, bottoni, aghi,
petrolio e carburo per l’illuminazione... inoltre aspirine, purghe e
pastiglie per il mal di gola.
Queste botteghe erano più o
meno le stesse in tutti i paesi, avevano un grande bancone con sopra la
bilancia a due piatti, dietro il quale stava il padrone o la moglie. I
conti si facevano a matita sulla “carta da sùcaro” molto spesso si “segnava”, cioè si scriveva il dovuto su
un libretto e si pagava a fine mese o quando si poteva.
Nel giro di
pochi decenni, tutto si è modernizzato, una dopo l’altra le botteghe
sono state sostituite da negozi asettici e specializzati, con nuovi
prodotti richiesti dall’accresciuto benessere: un‘altra casella di vita
ormai scomparsa.
dal web
domenica 24 novembre 2019
La pagina della domenica
LA RIFLESSIONE
Un anziano incontra un giovane che gli chiede:
- Si ricorda di me? E il vecchio gli dice di no.
Allora il giovane gli dice che è stato il suo studente. E il professore gli chiede:
- Ah sì? E che lavoro fai adesso?
Il giovane risponde:
Beh, faccio l’insegnante.
- Oh, che bello come me? gli ha detto il vecchio
- Beh, sì. In realtà, sono diventato un insegnante perché mi hai ispirato ad essere come te.
L'anziano, curioso, chiede al giovane di raccontargli come mai. E il giovane gli racconta questa storia:
- Un giorno, un mio amico, anch'egli studente, è arrivato a scuola con un bellissimo orologio, nuovo e io l’ho rubato. Poco dopo, il mio amico ha notato il furto e subito si è lamentato con il nostro insegnante, che era lei. Allora, lei ha detto alla classe:
- L'orologio del vostro compagno è stato rubato durante la lezione di oggi. Chi l'ha rubato, per favore, lo restituisca.
Ma io non l'ho restituito perché non volevo farlo.
Poi lei hai chiuso la porta e ci ha detto a tutti di alzarci in piedi perché avrebbe controllato le nostre tasche una per una. Ma, prima, ci ha detto di chiudere gli occhi. Così abbiamo fatto e lei ha cercato tasca per tasca e, quando è arrivato da me, ha trovato l'orologio e l'ha preso.
Hai continuato a cercare nelle tasche di tutti e, quando ha finito, ha detto:
-Aprite gli occhi. Ho trovato l'orologio. Non mi ha mai detto niente e non ha mai menzionato l'episodio. Non ha mai fatto il nome di chi era stato quello che aveva rubato. Quel giorno, lei ha salvato la mia dignità per sempre. È stato il giorno più vergognoso della mia vita. Non mi hai mai detto nulla e, anche se non mi ha mai sgridato né mi ha mai chiamato per darmi una lezione morale, ho ricevuto il messaggio chiaramente. E grazie a lei ho capito che questo è quello che deve fare un vero educatore. Si ricorda di questo episodio, professore?
E il professore rispose:
-Io ricordo la situazione, l'orologio rubato, di aver cercato nelle tasche di tutti ma non ti ricordavo, perché anche io ho chiuso gli occhi mentre cercavo.
Questo è l'essenza della decenza.
- Si ricorda di me? E il vecchio gli dice di no.
Allora il giovane gli dice che è stato il suo studente. E il professore gli chiede:
- Ah sì? E che lavoro fai adesso?
Il giovane risponde:
Beh, faccio l’insegnante.
- Oh, che bello come me? gli ha detto il vecchio
- Beh, sì. In realtà, sono diventato un insegnante perché mi hai ispirato ad essere come te.
L'anziano, curioso, chiede al giovane di raccontargli come mai. E il giovane gli racconta questa storia:
- Un giorno, un mio amico, anch'egli studente, è arrivato a scuola con un bellissimo orologio, nuovo e io l’ho rubato. Poco dopo, il mio amico ha notato il furto e subito si è lamentato con il nostro insegnante, che era lei. Allora, lei ha detto alla classe:
- L'orologio del vostro compagno è stato rubato durante la lezione di oggi. Chi l'ha rubato, per favore, lo restituisca.
Ma io non l'ho restituito perché non volevo farlo.
Poi lei hai chiuso la porta e ci ha detto a tutti di alzarci in piedi perché avrebbe controllato le nostre tasche una per una. Ma, prima, ci ha detto di chiudere gli occhi. Così abbiamo fatto e lei ha cercato tasca per tasca e, quando è arrivato da me, ha trovato l'orologio e l'ha preso.
Hai continuato a cercare nelle tasche di tutti e, quando ha finito, ha detto:
-Aprite gli occhi. Ho trovato l'orologio. Non mi ha mai detto niente e non ha mai menzionato l'episodio. Non ha mai fatto il nome di chi era stato quello che aveva rubato. Quel giorno, lei ha salvato la mia dignità per sempre. È stato il giorno più vergognoso della mia vita. Non mi hai mai detto nulla e, anche se non mi ha mai sgridato né mi ha mai chiamato per darmi una lezione morale, ho ricevuto il messaggio chiaramente. E grazie a lei ho capito che questo è quello che deve fare un vero educatore. Si ricorda di questo episodio, professore?
E il professore rispose:
-Io ricordo la situazione, l'orologio rubato, di aver cercato nelle tasche di tutti ma non ti ricordavo, perché anche io ho chiuso gli occhi mentre cercavo.
Questo è l'essenza della decenza.
Se per correggere hai bisogno di umiliare, allora non sai insegnare.
LA FRASE
LA POESIA
Due strade a un bivio in un bosco ingiallito,
peccato non percorrerle entrambe,
ma un solo viaggiatore non può farlo.
Guardai dunque una di esse, indeciso,
finché non si nascose al mio sguardo...
E presi l’altra, era buona anch’essa,
anz,i forse con qualche ragione in più,
perché era erbosa e quindi più verde,
benché il passaggio suppergiù
le avesse segnate ugualmente,
e ambedue quella mattina eran distese,
nelle foglie che nessun passo aveva marcato.
Oh... prenderò la prima un’altra volta!
Ma pur sapendo che strada porta a strada,
non credevo che sarei mai ritornato.
Dirò questo con un lungo sospiro
chissà dove e fra tanti anni a venire:
Due strade a un bivio in un bosco,
ed io...
presi quella meno frequentata,
E da ciò tutta la differenza è nata.
Robert Frost
PROVERBI
Puina in ponta, formàjo in grosta e salado in coa.
RELAX
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Potenza del nome
[Gianni Spagnolo © 25A20] A ben pensarci, siamo circondati da molte cose che non conosciamo. Per meglio dire, le vediamo, magari anche frequ...