ho letto in un tweet, da Lei pubblicato, questa frase:
“Per fortuna che
gli insegnanti che fanno politica in classe sono sempre meno, avanti
futuro!”.
Bene, allora, visto che fra pochi giorni ricominceranno le scuole, e
visto che sono un insegnante, Le vorrei dedicare poche semplici parole,
sperando abbia il tempo e la voglia di leggerle. Partendo da quelle più
importanti:
io faccio e farò sempre politica in classe.
Il punto è che
la politica che faccio e che farò non è quella delle tifoserie, dello
schierarsi da una qualche parte e cercare di portare i ragazzi a
pensarla come te a tutti i costi. Non è così che funziona la vera
politica.
La politica che faccio e che farò è quella nella sua accezione più alta:
come vivere bene in comunità, come diventare buoni cittadini, come
costruire insieme una polis forte, bella, sicura, luminosa e illuminata.
Ha tutto un altro sapore, detta così, vero?
Ecco perché uscire in giardino e leggere i versi di Giorgio Caproni, di
Emily Dickinson, di David Maria Turoldo è fare politica. Spiegare al
ragazzo che non deve urlare più forte e parlare sopra gli altri per
farsi sentire è fare politica. Parlare di stelle cucite sui vestiti, di
foibe, di gulag e di tutti gli orrori commessi nel passato perché i
nostri ragazzi abbiano sempre gli occhi bene aperti sul presente è fare
politica.
Fotocopiare (spesso a spese nostre) le foto di Giovanni Falcone, di
Malala Yousafzai, di Stephen Hawking, di Rocco Chinnici e dell’orologio
della stazione di Bologna fermo alle 10.25 e poi appiccicarle ai muri
delle nostre classi è fare politica.
Buttare via un intero pomeriggio di lezione preparata perché in prima
pagina sul giornale c’è l’ennesimo femminicidio, sedersi in cerchio
insieme ai ragazzi a cercare di capire com’è che in questo Paese le
donne muoiono così spesso per la violenza dei loro compagni e mariti,
anche quello, soprattutto quello, è fare politica.
Insegnare a parlare correttamente e con un lessico ricco e preciso,
affinché i pensieri dei ragazzi possano farsi più chiari e perché un
domani non siano succubi di chi con le parole li vuole fregare, è fare
politica. Accidenti se lo è.
Sì, perché fare politica non vuol dire spingere i ragazzi a pensarla
come te: vuol dire spingerli a pensare. Punto.
È così che si costruisce
una città migliore: tirando sù cittadini che sanno scegliere con la
propria testa.
Non farlo più, non significa “avanti futuro”, ma ritorno
al passato.
E il senso più profondo, sia della parola scuola che della
parola politica, è quello di preparare, insieme, un futuro migliore.
E
in questo senso, soprattutto in questo senso, io faccio e farò sempre
politica in classe.
Enrico Galiano
Tu farai come sempre politica di sinistra.
RispondiEliminaLa parola “politica” per l’insegnante ha un significato nettamente diverso che per il senatore Salvini.
RispondiEliminaMentre Salvini, efficace comunicatore, si rivolge alle masse attribuendo alla parola politica il significato generalmente condiviso dalle masse, cioè quello proprio dei raggruppamenti di partiti politici sia di destra, sia di sinistra, l’insegnante pone, invece, l’accento su quello “nobile” dell’insegnamento, volto a formare nei giovani le premesse per essere anche dei buoni cittadini.
Parlare male in modo generalizzato degli insegnanti risultata devastante, tanto quanto sparare sulla Croce Rossa!