Fino agli anni sessanta il
dialetto era l’unica forma espressiva in paese, dato che l’italiano rimaneva ancora
relegato nell’ambito della scuola e dei media. Esso contemplava svariati modi di dire originali
e consolidati, prevalentemente legati alle attività rurali e all’osservazione
della natura, ma pure una vasta gamma di imprecazioni e intercalari.
Bestemmie, parafonie, porchi, orchi e sacramìnti di vario
conio e natura. Dipendeva dalle persone, dalle loro frequentazioni e dal lavoro
svolto. Va considerato che San Pietro era paese di (ex) carrettieri, malghesi e minatori, non propriamente un collegio di
educande.
Le oche andavano dal porco all’orco,
dalla resa esplicita all’eufemismo, a seconda delle situazioni specifiche e dalla confidenza col campanile.
La contiguità col bestiame poi: dal becco al maiale, passando per le rispettive signore, forniva abbondante materia e spunti per coloriti epiteti. L’intercalare
il discorso con imprecazioni era abitudine diffusa e capitava che in
alcuni soggetti di scarsa dialettica soverchiasse la prosa. Allora il
politicamente corretto era ben al di là da venire e il bullismo serviva ad impellicciare
lo stomaco. In questo ambito si distinguevano ovviamente i maschi, ma pure l’altra metà del cielo, alla bisogna, faceva la sua parte; anche se in
generale si asteneva dalle bestemmie e usava espressioni più sfumate e muliebri.
In ogni caso erano sacramìnti che lasciavano poco all’immaginazione, perfino di innocenti fanciulli come noi: avevano il pregio
di rendere immediatamente l'idea.
A ben vedere però, non proprio tutti.
Alcune espressioni che usava mia nonna materna e qualche altra anziana della contra' - che erano piuttosto timorate - mi mettevano in confusione. Una su tutte che mi ricordo era: Ortampùa, Orcapùa o Orca la pùa; non era ben chiara la dizione corretta, anche per il soxolaménto dovuto a dentature residuali. Queste proprio non le capivo. Cosa fosse la pùa e di che delitti si fosse macchiata, non era evidente. Orca andava bene, dacché pensavo fosse l’equivalente dell’Orco càn di mio nonno in salsa femminile. D'altra parte non sembrava un sostituto parafonico di “porca put…a”, dato che per quello c’era già la nostra progenitrice Eva ad assolvere egregiamente il compito. Boh!
Alcune espressioni che usava mia nonna materna e qualche altra anziana della contra' - che erano piuttosto timorate - mi mettevano in confusione. Una su tutte che mi ricordo era: Ortampùa, Orcapùa o Orca la pùa; non era ben chiara la dizione corretta, anche per il soxolaménto dovuto a dentature residuali. Queste proprio non le capivo. Cosa fosse la pùa e di che delitti si fosse macchiata, non era evidente. Orca andava bene, dacché pensavo fosse l’equivalente dell’Orco càn di mio nonno in salsa femminile. D'altra parte non sembrava un sostituto parafonico di “porca put…a”, dato che per quello c’era già la nostra progenitrice Eva ad assolvere egregiamente il compito. Boh!
Dell’arcano non venni a capo nemmeno dopo averne chiesto conto: non sapevano cosa volesse dire. L’avevano sentito e
lo ripetevano in occasioni analoghe. Un po’ come l’accipicchia o il diamine dell’italiano:
sono interiezioni senza senso che si possono tranquillamente usare ignorandone il
significato e l’etimologia.
Molto tempo dopo feci alcune ricerche nell'intento di risolvere quel vecchio rovello.
Vocabolari veneti davano pua col
significato di bambola. (p)orca la
banbola non mi sembrava tuttavia aderire al contesto. Inoltre pùa,
puòta, non mi sembravano voci del nostro dialetto ma di quello della pianura. Fra
l’altro quelle anziane vedove non ebbero certo consuetudine con le
bambole in gioventù, avendo allora ben altre
priorità. Fu quando passai ad interessarmi al cimbro che si accese una lucina. Trovai infatti l’imprecazione: “orna khua” (brutta vacca), l'equivalente, se vogliamo, dell'italiano "porca vacca" dunque. Era questa la versione castigata di una più esplicita espressione diffusa un tempo particolarmente fra malghesi e boscaioli: orna mutza”.
In questo caso il soggetto non traslava dal bovino all'equino, come sembrerebbe d'acchito per assonanza veneta (Accidenti alle assonanze!), ma si riferiva invece ad una fondamentale parte anatomica del quadrupede e non solo.
In questo caso il soggetto non traslava dal bovino all'equino, come sembrerebbe d'acchito per assonanza veneta (Accidenti alle assonanze!), ma si riferiva invece ad una fondamentale parte anatomica del quadrupede e non solo.
Gianni Spagnolo
16/6/2018
come sempre molto interessante. Grazie Gianni
RispondiEliminaDesso el DON sona le campane, tarè...
RispondiEliminaSi, el te parla del candaloca, del orcocan e sempre vanti...
EliminaAndaloke tusi,.. andò ca me tirè a simento! I ciauscanti, carimìe, i ga sempre porcà in veneto, ancamassa, a ve lo garantisso mi. Et ab ovo.
EliminaSarà magari i lusernati chei garà tacà a ochetare in bavarese par paura chei ghe seghe i fundi.
Anche una zia di mio marito, di Pedescala, diceva spesso "orca la pua " !! Ma spesso ho sentito il termine "pua " come bella tonda, paciocotta ...del tipo " la xe grassa come na pua !" mah.....
RispondiEliminaGrazie Lucia. Ora sappiamo che a Pedescala esisteva questo termine. Vediamo se otteniamo qualche altro indizio, magari da qualcuno più antico di noi.
EliminaL’etimologia di questa pseudo-imprecazione raccontata da Gianni è tanto formidabile che l’ho raccontata in sintesi ad un mio amico, Oliver, linguista, cultore del cimbro.
RispondiEliminaLui pensa che potrebbe essere stata una vera imprecazione, per di più molto antica, forse legata alla divinazione runica antica.
Ortampùa è la combinazione più tragica della divinazione con ossa di pollo gettate sulle rune e significa “la fine con le ossa” ossia “presto verrà la morte".
Assonanze, dissonanze, magia, speranze, disperazioni: le parole magiche sono sempre state ricercate dagli esseri umani sin dalla notte dei tempi. Le scaramanzie, guardate i piccoli rituali dei giocatori di calcio al Mondiale. Gli amuleti, il passo sopra la linea, non sulla linea. La posizione di questi oggetti in porta …
L’aspirazione degli esseri umani è l’impossibile, il sublime e visto che la nostra intelligenza è ben fortemente limitata sentiamo il bisogno di aiuti esterni, magici, immaginari.
Eccovi qualche spiegazione sulla divinazione runica:
“È importante trovare un posto sicuro e riservato. Per questo ci vuole parecchio tempo. Ci vuole un discorso preliminare. Si selezionano nove ossa di pollo, vanno tenute nelle proprie mani per un po', in modo che esse assorbano l'energia. Quindi con incantesimo ... si chiamano i demoni capaci di aiutare o un'altra entità ... a seconda di ciò che viene percepito. Ci si collega con l'energia e le ossa vanno scosse nelle mani. Su comando risentito vanno lanciate nel cerchio di pietre runiche e si creano immagini. Rune, sentieri, possibilità. Poi s’incomincia ad interpretare le rune, a spiegare, a spiegare perché sono cadute - perché questo dà una preziosa chiarezza alla vita dell'interrogante. Vi si rivelano dalle ossa, dalla situazione e soprattutto da ciò che viene trasmesso dagli spiriti.”
“Essa gettò ossi sul terreno e, pronunciata una serie di parole magiche, annunciò che la notte successiva sarebbe calata la bruma.”
Sembra Lapalisse che sulla sua tomba scrisse: “un po’ prima che morisse sicuro era che vivesse”.
Se avete letto il “Kamasutra” con le sue lezioni per i filtri d’amore, se poi ci credete, e fate quello che prescrive: buon giorno e buonasera!!!