martedì 20 febbraio 2018

Alti voli & grandi fiumi



Io non sono particolarmente affascinato dall’acqua; parafrasando il titolo del libro di Andrea Nicolussi Golo (a proposito: ricordatevi di partecipare numerosi alla sua presentazione di sabato 24 febbraio, vedi locandina…) sono un uomo di Roccia, di Neve e di Bosco. 
Terragno dunque, poco acquatico e l’acqua la preferisco associata alle tre cose appena citate.
Mi pare che fosse in quarta elementare che s’imparavano i nomi dei fiumi italiani, recitando come un mantra gli affluenti di sinistra e destra del Po. Quelli dalle parti nostre il Po non lo vedevano neanche e gli altri ci risultavano tutti un po’ foresti, specialmente i corti rivi che scendevano dagli Appennini. A parte l’Arno e il Tevere per la valenza storica o letteraria, gli altri appartenevano a mondi che non avevano niente a che spartire col nostro, confinato rigidamente fra il Rio Secco, la Torra e l’Astico. M’intrigava un po’ solo il Basento, per l’arcano rito che lo fece tomba di Alarico.


Con la quinta, ci s’impratichiva dei fiumi del mondo, i più grandi e i più lunghi. Non so se ancor oggi li classifichino in quest’ordine; non sia mai che offenda la sensibilità di qualcuno che ce l’ha più corto. Quindi il Rio delle Amazzoni, il Nilo, il Gange, il Volga, ecc., ecc., che evocavano mondi lontani ed esotici che faticavo anche ad immaginare.


Ma il tempo passa e il bambino si fa uomo e si trova a volare non più solo con la fantasia; ecco allora che quei remoti insegnamenti si ripropongono stimolati dalle circostanze della vita.

Molti di quei grandi fiumi li ho dunque sorvolati, alcuni attraversati, altri navigati o semplicemente ne ho ammirato la maestosità dalle rive. Dal finestrino di un aereo questi grandi signori della terra possono essere colti lungo buona parte del loro corso e permettono di capire perché furono spesso veicoli e sedimenti di civiltà. Sono anche, insieme alle montagne, le poche cose al suolo che si possono apprezzare da sette o diecimila metri di quota.

I due grandi fiumi europei come il Reno e il Danubio, mi sono familiari avendone frequentato le sorgenti sin da bambino e poi attraversati molte volte. Ho invece poca dimestichezza con quelli americani, a causa del tempo atmosferico o dell’oscurità che me li velava. Ho potuto cogliere solo il placido Hudson, l’imponente foce dell’Orinoco e il Magdalena, ma spero che l’occasione sia solo rimandata.

Il Nilo invece lo conosco bene; più volte l’ho sorvolato da sud a nord, annoiandomi lungo il suo corso inferiore che lo presenta come un nastro scuro, affinacato dalle coltivazioni costiere, immerso in un insignificante deserto e capisco l’importanza delle sue periodiche piene per lo sviluppo della civiltà egizia. Meglio il Senegal, dall’altra parte del continente, che ho navigato in piroga e la lussureggiante valle del Gambia con l’imponente estuario immerso nelle mangrovie o il Konkouré dalle rapide cascate. Mi mancano purtroppo gli altri grandi di quel continente, ma anche qui non dispero.

Poi in Asia, il Tigri e l’Eufrate, che delimitano quella Mezzaluna Fertile che ha dato origine alla civiltà e dalla quale s’incamminò Abram. Oggi si fatica veramente a capire come potesse essere fertile quell'arido territorio dominato dall’imperversante giallo ocra della terra. Certamente qualche migliaio d’anni fa il clima era più umido e poi quell'area s'inaridì, anche senza l'intervento dell'uomo che tanto angoscia la nostra epoca.

Più ad est dominano i grandi fiumi asiatici dai lunghissimi corsi. Come l’Indo, che scende dal Karakorum puntando diritto al Golfo Arabico con maschia determinazione. Diversamente dal Gange, che s’attarda sinuoso e femmineo ad attraversare l’immensa pianura indiana fino ad incontrare il più impetuoso Brahmaputra e formare con esso l’immenso delta del Bengala orientale, con il quale ho ormai una certa consuetudine. 
E' interessante sorvolare Varanasi, la Benares degli inglesi, culla dell’induismo e contornata dalla maestosa ansa del Gange, alla cui corrente affidano le ceneri delle pire funerarie lungo le rive e le offerte votive. Ma è il corso d'acqua più ad oriente che ha attirato la mia curiosità e del quale non conoscevo neanche l’esistenza. Intendo l’Irrawaddy, l’immenso fiume dall’incredibile alveo che occupa gran parte della pianura birmana e sfocia nel Mar delle Andamane. Presumo che quando l’ho visto io fosse in piena, perché faceva veramente impressione. Una valle larghissima solcata da innumerevoli rivoli che alimentano una miriade di risaie luccicanti nel sole. Un effimero mondo d’acqua che fa capire quanto rischiosa sia la vita di chi campa sulle sue rive, così come nel vicino delta bangladese. 
Più in là c'è il Mekong, il lunghissimo fiume che attraversa tutta l’Indocina e sfocia nel Mar Cinese Meridionale scendendo dal Tibet. Un corso dai molteplici aspetti, che attraversa angoli di paradisi naturalistici come aree altamente popolate che ne fanno uno dei fiumi più inquinati al mondo.

Ad oriente scorrono i grandi fiumi della Cina, che hanno avuto un ruolo determinante nello sviluppo di quella millenaria civiltà, ma sono anche quelli che meno m’interessano. Non passo più il mio tempo di volo a seguirne il tragitto e generalmente non prendo neanche il posto al finestrino per quei viaggi. Un po’ perché ormai mi escono dagli occhi, ma anche perché attraversano, almeno nei loro corsi inferiori, le aree più antropizzate del pianeta. Personalmente m’ha sempre affascinato più l’opera della natura che quella dell’uomo.


In senso antiorario s’incontra lo Zhu Jiang, o Fiume delle Perle, che più che un fiume è un immenso complesso fluviale che irrora la parte più industrializzata e popolata del paese e sfocia nei pressi di Hong Kong. Poi s’incontra il lunghissimo Chang Jiang (fiume lungo, appunto), o Yangtsze,  che noi conosciamo meglio come Fiume Azzurro e sfocia nel Pacifico a Shanghai provenendo dal Tibet. Attraversa quindi l’intero paese e molti diversi ecosistemi segnando convenzionalmente il confine fra la Cina settentrionale e quella meridionale, mentre il suo bacino ospita un terzo della popolazione del Regno di Mezzo. Lo Yangtsze è navigabile per gran parte del suo corso e alimenta  un sistema industriale pervasivo con i relativi problemi di inquinamento ambientale.

Più a nord s’incontra lo Huàng Hé, che noi conosciamo come il Fiume Giallo, il dominus della Cina settentrionale e culla della sua civiltà. In quanto al colore, fa onore al suo nome, dato che è veicolo del limo della parte più occidentale del suo corso dove incide gli altopiani di Loess. Con questo fiume ho una certa confidenza, dato che lungo il suo corso s’è svolta la mia esperienza di lavoro in Cina fin dagli inizi. Non ha un tragitto regolare e arriva alla foce con una portata esigua, quando ci arriva, dovendo servire un’amplissima area fortemente antropizzata.  Ho spesso risalito parte del suo arzigogolato corso, che fa da confine a parecchie province della Cina settentrionale bagnando ambienti diversi ma dalle panoramiche purtroppo spesso assai ripetitive e monotone.


Viriamo ora verso nord per incontrare i grandiosi fiumi siberiani, dove la presenza dell'uomo è minima e la Natura s’esprime in tutta la sua maestà. La Lena, la signora della Siberia Orientale, l’ho vista nascere piccolina sui monti Bajkal, attigui all’omonimo lago, per poi perderla di vista nella sua interminabile corsa verso il Mar Glaciale Artico. Mi è andata meglio con il più occidentale Enisej, il più lungo della Russia e che attraversa tutta la Siberia centrale venendo dal confine mongolo, come pure il parallelo Ob, del quale ho già scritto su questo Blog. Sono fiumi indescrivibili per percorso, ecosistemi attraversati, imponenza e senso di dominio della Natura che riescono a trasmettere con i loro spropositati bacini imbriferi.

Ora ecco il Volga, maestoso, incostante e sinuoso con la sua caratteristica ansa di Samara e che sfocia nel Mar Caspio. Col Volga torniamo ai fiumi antropizzati, costellati di città industriali di cui ne sono il nerbo, interrotti da dighe e drenati dai canali d’irrigazione. Opere che hanno quasi interamente prosciugato il più meridionale Lago d’Aral, che versa in condizioni a dir poco pietose e che visto dal cielo fa veramente impressione.

Quando s’incontra il Don, tributario del Mar d’Azov e poi il Dnepr, del Mar Nero, gli ultimi signori delle grandi pianure, si può dire d’essere entrati in Europa; quelli che si avvicenderanno d’ora in poi, dalla Vistola all’Oder, all’Elba non ne reggono il confronto.

Un giorno mi son trovato a constatare che del nostro minuscolo e casalingo Astico, non avevo mai visto la sorgente né la foce. Mi sono quindi riproposto di colmare queste lacune al più presto; ma questa è un'altra storia.
Gianni Spagnolo

12-2-2018


6 commenti:

  1. Vero!anche il nostro modesto ma meraviglioso Astico merita una visita!😀😀😉

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  2. Ad imparare non ce mai limite...Grazie .

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  3. Scusa la mia domanda, ma fai il postino del mondo? Sono talmente tanti i luoghi che visiti e che descrivi con tanti particolari da farci sentire dei moderni "Giulio Verne ". Grazie...

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  4. Ci fai sentire come moderni "Giulio Verne". Ma che lavoro fai x viaggiare così tanto, il postino del mondo? Comunque grazie di portarci questi bellissimi squarci del nostro maltrattato pianeta.

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  5. Mah, ... 2° MMS par sparagnare el se fa metare andò che gh'è el video roto.

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  6. Bravo Gianni Leggo sempre con interesse tutto quello che scrivi, e mi porta a scoprire cose sempre interessanti, notizie e usi e costumi delle popolazioni del mondo.
    Mi affascina leggere come descrivi popoli territori e usanze perchè sono viste e vissute personalmente. Mi farebbe piacere sentirle e ascoltarle dal vivo, non hai mai pensato ad una serata che con foto slaide filmati e racconti intrattenere le persone.ciao

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