sabato 24 febbraio 2018

L’Astico


L’Astico è il nostro fiume di casa, o per meglio dire il torrente, dato che ha regime stagionale e incostante.
Il suo corso ha accompagnato la mia vita; sempre lambendola però, mai incidendola. Lambisce San Pietro dove sono nato, lambisce Piovene dove ho risieduto e lambisce anche Sarcedo, dove abito e dove va di lì a poco a morire.
Una presenza discosta dunque, ma discreta e costante.
D’altra parte, il mio rapporto con l’Astico non è mai stato particolarmente avvolgente. Lo attraversai una prima volta verso i cinque anni, a piedi sul Ponte Polaco e mi fece una certa impressione. Uscivo guardingo dal mio habitat e sconfinavo nell’arcano territorio dei Scorlaforéte. Loro sì che erano pratici di quel corso d’acqua, abitandone la riva destra: pessatari, marsonari, segàti, ecc., occupazioni un po’ strane, come peraltro lo era quella gente.

Il mio mondo bambino aveva infatti confini molto precisi, racchiuso com’era fra la Val dell’Orco, quella delle Jare, le Joe, i Soji, le Vegre e i Jaruni. Più tardi s’allargò fino alla Val di Rigoloso e alla Torra, i confini parrocchiali. Posti comunque impervi e scoscesi dove di piano c’era ben poco. Erano separati dal torrente dall’ampia distesa dei Pré de l’Astego; quella sì che era una grande piana prativa, ma pressoché invalicabile.
Il mondo di qua e quello di là era infatti separato da questa distesa verde, che nemmeno gli affluenti sopra citati, cioè i rivi dell’Orco e delle Jare osavano attraversare, inabissandosi al suo bordo. Effettivamente non c’erano neanche sentieri che la percorressero trasversalmente permettendo di accedere direttamente all’Astico.
Ma su tutto c’erano i Comandamenti! 
No, non quelli del prete a dottrina, ma quelli ben più imperativi che ci condizionavano l’esistenza:

1° No nar inte cuél dij altri;
2° No strapassar l’erba;
3° No tajar le frasche;
4° No inbosemare l’acoa;
5° No tor do la roba.

Come si può immaginare, bastavano i primi due, specialmente il secondo, a stroncare sul nascere ogni velleità esplorativa, almeno nelle stagioni in cui la si poteva esercitare appropriatamente.
Tuttavia qualche sporadico rapporto con l’Astico c’è stato. Talvolta con i suoi boji, limitato dal fatto che allora ben pochi di noi sapessero nuotare e qualche maldestra e infruttuosa caccia ai marsoni. Le fiocine erano costruite inastando su delle stecche di legno le forchette d’ottone dei miei bisnonni, le uniche di cui potevo liberamente disporre; di quelle che ti lasciavano sulle mani quell’indefinibile sentore di ossido. Ma l’ottone non poteva certo competere con l’acciaio e nemmeno le nostre attitudini con gli scafati marsonari, ai quali spesso bastavano le mani. In ogni caso quell’apprendistato non ebbe gran seguito.

Poi da quel piccolo mondo antico me ne sono dovuto andare e ho conosciuto altri corsi d’acqua: del Sihl e della Limatt, i fiumi che alimentano il Lago di Zurigo, avrei esplorato infatti ogni meandro. 
Ma ormai lo stampo era fatto!
Dicono che l’imprintig si consolidi entro i primi 6/8 anni di vita. Sarà per questa mia parte animale che sono rimasto ancorato alla montagna, al bosco e alla roccia. Sull’acqua e sul piano non mi trovo granché a mio agio; anche quando in pianura mi ci sono stabilito, ho dovuto trovare un ragionevole compromesso fra le ondulate morene di Sarcedo.
Tutta questa premessa per dire che l’Astico l’ho conosciuto e praticato poco e ho dovuto diventare adulto per avere la curiosità di capire dove nasce e dove muore. In verità dove nasce lo sapevo già; c’ero stato più volte a piedi e anche con gli sci, anche se avevo esplorato il territorio a grandi linee, senza l’ansia di trovare il “buco” da dove sgorga, che peraltro, ovviamente,  non c’è.

Nasce nell’incavo vallivo fra il Plaut e il Sommo Alto, sotto il dosso del Cherle, in quel di Folgaria. È una zona facilmente raggiungibile a piedi, con l’auto e anche con gli sci, essendo prossima al nuovo comprensorio sciistico dell’Alpe Cimbra. Scende verso Nord ai Tezzeli e quindi ai Cùeli Liberi per poi intrufolarsi nella ripida forra che lo porta alle Buse. Li cambia bruscamente direzione e vira a Sud-Est puntando sui Busatti, dove  occupa la valle a cui da il nome raccogliendo gli affluenti che ben conosciamo.
Ai Cùeli, dove ci sono le sorgenti più evidenti, pesca anche l’acquedotto di Folgaria. Lì operavano tre mulini, uno dei quali è fortunatamente scampato e visitabile. C’è anche un rilassante Sentiero dell’Acqua che porta al boschetto dei venerandi e maestosi frassini. Un posto che merita una visitina da parte di chi conosce l’Astico solo dal suo corso mediano ed è abituato a perderlo di vista all'altezza delle Buse, senza mai chiedersi come sia più in sù.
Lassù, esso un tempo segnava anche il travagliato confine di stato fino alla caduta della Repubblica di Venezia e fu testimone delle secolari lotte fra Lastarolli e Folgaraiti per il possesso del Cherle.

Diversa e più tribolata è invece la storia del suo termine.  
Narrano le cronache che fin dalla notte dei tempi l’Astico giungesse fin dove le colline di Sarcedo si aprono alla pianura e fosse così libero d'insidiarla con le sue periodiche brentane.
Per arginare il suo dilagamento fin verso Vicenza, in epoca romana fu costruito un imponente terrapieno, lungo circa 800 m che lo dirottava fino ai vicini rilievi di Montecchio Precalcino. Nell’Alto Medioevo il torrente, verosimilmente in seguito ad una piena eccezionale, deviò verso Sud-Est occupando quello che oggi è il letto del fiume Astichello e che prima d’allora era l'antico corso della Brenta. In quest'alveo l'Astico s'allargava per circa 800 m su una lunghezza di alcuni chilometri formando una fascia acquitrinosa detta Lacus Pusterlae che arrivava fino alla città berica, dove si trovava sbarrato da un dosso detritico. Passava poi sotto l'antico ponte romano di San Pietro, confluendo infine nel Retrone alle Barche.
L'assetto idrografico restò immutato fino agli albori del secondo millennio, quando, per ridurre il pericolo delle ricorrenti piene, l’Astico fu deviato a Nord di Montecchio Precalcino, convogliandone il corso verso il Tésina a Lupia, che lo fagocitò. A Vicenza giungevano quindi solo una parte delle acque, cioè l'Astichello, che continuò a scorrere nel vecchio alveo.
Il Tésina è un corso di risorgiva, privo della nobiltà dell’Astico e originato ed alimentato da sorgenti perenni che sgorgano a monte di Sandrigo. Esso scende da questa località in direzione da Nord-Sud e riceve gli apporti dei torrenti Laverda e Chiavone (Ciòn) che recapitano acque montane dei massicci dei monti Bertiaga e Frolla. 
L’Astico è un fiume sostanzialmente cimbro dalla sorgente alla foce. Nasce dagli altopiani cimbri, contorna fedelmente il basamento dei 7 Comuni raccogliendone ogni stilla, si annega finalmente nelle risorgive che recano ancora l’acqua dell’Altopiano orientale attraverso gli infiniti meandri carsici di quel massiccio.
Nasce con un’identità particolare, forte, risoluta e rocciosa, che poi deve annacquare scorrendo a valle e infine la perde inesorabilmente sbocciando in pianura, a beneficio di uno stronzetto di rivolo che sgorga da una palude. La sua acqua però continua a lavorare, altroché se lavora, ancorché in incognito, senza rivendicazioni ma con persistente determinazione.
Inseguire l’Astico nel suo tratto finale non è particolarmente entusiasmante. 
Si percorre l’argine che parte dal ponte di Breganze verso Sud lungo tracciati che diventano sempre più piste da motocross, per approdare a resti di bivacchi di zingari, rifiuti condotti dalle piene, salgaréle e aree incolte o dilavate infestate da quella brutta vegetazione delle aree semiumide nostrane. Qui l’Astico sparisce discretamente, s’inabissa senza farsi vedere, quasi vergognoso, fra qualche vecchia opera di chiusa e fasci di slavassi; come un vecchio solo e stanco che ha esaurito i suoi giorni.

Nell’Astico vedo il paradigma della nostra gente. Come la sua acqua, come le sue innumerevoli e cristalline gocce, tanti e tanti uomini e donne sono scesi nei secoli dalle nostre montagne lungo il suo corso e si sono diluiti, dispersi, fusi, amalgamati con altre genti della provincia, dell’Italia e del mondo intero.
In Omeopatia si sostiene che l’acqua conservi la memoria delle sostanze con cui è venuta a contatto anche ad altissimi gradi di diluizione. Ecco, mi piace pensare che succeda la stessa cosa anche agli uomini e che la memoria dell’origine non si perda mai definitivamente.
Gianni Spagnolo
22/02/2018

14 commenti:

  1. Speriamo che qualcuno in futuro porti avanti la memoria dei nostri luoghi passando il prezioso testimone!

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    1. Ci sarà sempre qualcuno che porta avanti la memoria, è la cosa più facile, ma credo che sia più utile qualcuno che si occupi della sostanza prima che diventi solo memoria.

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  2. Molto bella anche questa lezione .COMPLIMENTI.

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  3. Bravo GIANNI che dedichi tanto del tuo tempo x raccontare queste belle storie.Pero'ti faccio una domanda perché definisci "gente strana" gli abitanti dx ASTICO? .Ciao un caro saluto AGOS

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    1. Suvvia, Agos! Racconto in chiave un po' ironica le sensazioni di un bambino piassaroto che allora, dal suo micromondo, vedeva strani anche quelli dai Righele o dai Lucca. Comunque ti assicuro che quella prima volta che sono andato all'estero varcando l'Astico per venire al Maso è stata un'esperienza molto più impattante di quando ho messo piede la prima volta in America. Poi, anche in piazza c'erano formidabili marsonari, non solo in dxA, ma non certamente io.

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    2. Andaloche Agos, ... strambi a xe un complimento. Te parelo fursi che gli agitatori di federe, tipo presempio la Ody, i ghesse tute le fassine al coerto?

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    3. Ma, Sponcy,dei scorlaforete a ghi nemo za parlà, sul blog, in 2016 ! te mititù a saltare l'Astico par longo, desso ?
      AGOS, se i SxA proseguono in questo modo, li faremo passare per le Forche Caudine di DxA.

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    4. Valà, che ancal Don l'è un Scorlaforete...

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    5. Non avevo nessuna intenzione di fare polemiche mi interessava solo sapere come mai godevamo di questa fama.Grazie a tutti un caro saluto .

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    6. Agos, non sono polemiche : è commedia dell'arte, tutto un "mestieramento", come dice Sponcy, per passare allegramente-mente, il tempo.

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    7. Brava Ody, ... non bisogna mica prendersi massa sul serio, ma lasciarsi anche afferrare bonariamente per le terga, proprio come fecero i Romani con i Sanniti di Gaio Ponzio. Il quale Gaio medesimo stesso, fedele al suo nome, mi sa che era un gran burlone.

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  4. poetico sognatore lirico ...

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  5. una lettura che mi ha emozionato, soprattutto le parole in dialetto dei luoghi
    Grazie

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  6. Scusa Gianni forse quella volta era meglio salivi per Asiago e poi Bassano così attraversavi il Brenta.

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