mercoledì 29 aprile 2015

La Cina costruisce città fantasma in Africa - perché?

Nonostante l’enorme quantità di appartamento invenduti, Nova Cidade de Kalimba è solo una delle tante città “fantasma” che la Cina sta costruendo in tutto l’Angola e in tutto il continente africano. Negli ultimi dieci anni, la Cina ha pompato miliardi di euro, e il trend non mostra il minimo segno di rallentamento. A questo punto, la domanda è semplice: perchè i cinesi sono così interessati al territorio africano?

I palazzinari cinesi si stanno dando molto da fare in Africa. Nova Cidade de Kalimba è una moderna città africana costruita da investitori cinesi in Angola e composta da circa 750 edifici di otto piani.

Nei progetti degli investitori, la città doveva raccogliere circa 500 mila abitanti, ma un inquietante filmato mostra come la selvaggia urbanizzazione cinese rischia di creare la prima “città fantasma” dell’Africa. Il costo dell’operazione si aggira sui 2,5 miliardi di euro, ma si tratta solo di una frazione del fiume di denaro che la Cina sta investendo in Africa.

Costruita alla periferia di Luanda, la capitale angolana, Nova Cidade de Kalimba, oltre ai 750 blocchi di appartamenti, conta una dozzina di scuole e più di 100 locali commerciali, ma non ci sono abitanti! Come mai? Pare che il prezzo di un appartamento si aggiri sui 90 mila euro, una cifra esorbitante rispetto al magro reddito medio della popolazione locale che ancora vive nelle baraccopoli.

Come riporta il Daily Mail, numerose “Chinatown” stanno nascendo in tutta l’Africa, dalla Nigeria alla Guinea equatoriale, nel Ciad, nel Sudan, ma anche in Zambia, Zimbawe e Mozambico. Insomma, la Cina considera il continente nero un investimento cruciale per il futuro, stringendo una vera e propria morsa sul continente dal sapore neo coloniale che in futuro potrebbe fare dell’Africa un continente satellite.



“I cinesi sono dappertutto”, dice Trevor Ncube, un importante uomo d’affari africano con interessi editoriali di tutto il continente. “Se in passato gli inglesi sono stati i nostri maestri, oggi i cinesi hanno preso il loro posto”.

A questo punto, è lecito chiedersi se le misteriose città fantasma siano destinate realmente agli africani. Secondo gli analisti internazionali, ormai non è più mistero che i governanti cinesi considerino l’Africa come l’unica soluzione ai problemi di sovrappopolazione e alla imminente scarsità di risorse di risorse naturali.

I cinesi rappresentano un quinto della popolazione terrestre e hanno fame di cibo, terra e energia. Negli ultimi dieci anni, il consumo di petrolio è aumentato di 35 volte e le importazioni di acciaio, rame e alluminio divorano circa l’80% delle forniture mondiali.

La popolazione cinese si è praticamente triplicata negli ultimi cinquant’anni, passando da 500 milioni di individui a 1,3 miliardi. E’ per questo motivo che il governo di Pechino ha lanciato il programma politico “Una sola Cina in Africa”, una sorta di lotteria nazionale per lasciare il paese e stabilirsi in un nuovo continente.

Nella disattenzione totale di tutto il mondo, l’incredibile cifra di 750 mila cinesi si è già trasferita in Africa negli ultimi dieci anni. La strategia è stata accuratamente messa a punto dai funzionari cinesi, i quali hanno stimato che la Cina ha la necessità di inviare in Africa 300 milioni di persone per risolvere i problemi di sovrappopolazione e inquinamento.



La bandiera rossa cinese avanza

L’avanzata cinese sembra inarrestabile: ambasciate e nuove rotte commerciali si stanno aprendo tra i due paesi, mentre la nuova elìte cinese stanziatasi in Africa comincia a farsi notare in tutto il mondo, acquistando oggetti preziosi nelle boutique, guidando le loro esclusive BMW e Mercedes e mandando i loro figli in esclusive scuole private.

Le pessime strade africane sono sempre più ingombre di automezzi cinesi che riempiono i mercati africani di prodotti a basso costo. Gli indumenti venduti nei mercati del continente ormai riportano quasi sempre la scritta “Made in China”.

Migliaia di chilometri di ferrovie sono state costruite dai cinesi per il trasporto di miliardi di tonnellate di legname tagliato illegalmente: foreste incontaminate sono state distrutte per coprire il fabbisogno di legname della Cina che equivale al 70% di tutta la produzione Africana. Inoltre, il territori è stato sventrato per l’estrazione di diamanti e oro.

Le gigantesche miniere cinesi sono piene di “schiavi” africani che estraggono i preziosi minerali a meno di 1 dollaro al giorno. In Angola, il governo ha deciso che il 70 per cento dei lavori pubblici deve andare alle imprese cinesi, la maggior parte delle quali non impiega personale angolano.

Ma la colonizzazione non è solo economica, ma anche culturale: numerosi centri culturali finanziati dallo Stato Cinese, denominati “Istituto Confucio”, stanno sorgendo in tutta l’Africa, con lo scopo di insegnare alla popolazione locale come fare affari in lingua e stile mandarino e cantonese.

Inoltre, esclusivi ristoranti che servono solo cibo cinese, e dove non sono ammessi i neri, stanno sorgendo in ogni angolo del continente.

Un prezzo salatissimo per l’Africa

Vi è un aspetto sinistro di questa invasione cinese, un prezzo troppo alto da pagare per la popolazione africana. La Cina ha interesse, tra l’altro, a fomentare le guerre civili tra le popolazioni africane, vendendo così milioni di dollari di armi prodotte dalle aziende cinesi.

Naturalmente, tutto questo avviene in collaborazione con i corrotti leader africani, i quali, dopo aver ottenuto l’indipendenza dalle potenze coloniali dei bianchi, Gran Bretagna, Francia, Belgio e Germania, sono felici di fare affari con la Cina per un semplice scopo: i soldi!

Se i governi democratici dell’occidente sembrano molto più insistenti nel chiedere all’Africa le riforme democratiche e la necessità di più “trasparenza” nell’uso del denaro (termini diplomatici per evitare che i dittatori intaschino i milioni destinati alla popolazione), i cinesi sono molto più rilassati rispetto alla questione, decidendo di chiedere un occhio, a volte anche tutti e due, rispetto al reale utilizzo dei soldi da parte dei governi africani.

Il comportamento della Cina non fa altro che alimentare il cancro della corruzione. Pazienza se si alimenta la povertà in un continente che conta ben 800 milioni di persone che vivono in condizioni estreme di miseria.

Ma i cinesi sono sprezzanti di tali critiche. Per essi, secondo il loro spirito pragmatico da locuste, l’Africa è solo una risorsa da sfruttare finchè dura, e non un luogo dove garantire i diritti umani. Non a caso, questo atteggiamento è accolto con grande favore da parte dei dittatori africani.

Ma quello di cui hanno bisogno gli abitanti di questo meraviglioso continente, dove emersero i primi ominidi dalla Great Rift Valley, è un disperato bisogno di progresso e i cinesi non sono qui per questo. Sono qui per rapinare un paese ricco di spazio e di risorse naturali.

Quando finirà la predazione? Finchè Pechino ne troverà vantaggio: i cinesi non si fermeranno fino a quando in Africa non ci saranno più minerali o petrolio da estrarre. Dopo secoli di dolore, guerra e fame, l’Africa meriterebbe decisamente di meglio.

martedì 28 aprile 2015

Contra' BASSO

Contra' BASSO -Valdastico
Nelle mappe del 1839, questa zona rivierasca dell'Astico attraversata dalla strada Cavallara, era priva di insediamenti e coltivata. Proprietari dei fondi erano prevalentemente le famiglie Lorenzi e vi esisteva da tempo una sola costruzione rurale (non accatastata: mapp. n. 1699), di proprietà dei Fontana

La piccola contra' di Basso  iniziò quindi a formarsi soltanto dal 1884, quando fu avviata la segheria alla veneziana dei Toldo Rodolfi. Non è chiaro se i Rodolfi abbiano inizialmente condotto in proprio la segheria oppure subito affidata ai Lorenzi Baratieri, che erano proprietari dell'area su cui sorse la prima abitazione:

Mappa catastale Contra' Basso (1884)
Situazione nel 1884*

Mappale n. 5671sega da legname.
Mappale n. 5672, casa.
Mappale n. 5673magazzino. 

Nel 1840 invece:

Mappale n. 1160, zappativo: Cerato Bartolomeo fu Pietro
Mappale n. 1161, zappativo: Lorenzi Pietro fu Francesco
Mappale n. 1662, zerbo (incolto): Toldo Mario, Nicolò, Antonio; Natale e Felice fratelli fu Antonio e Toldo Giovanni Battista e Antonio fratelli fu Innocente, pupilli in tutela di Fondase Maria loro madre, zii e nipoti.
Mappale n. 1163, zappativo: Lorenzi Giuseppe, Maria, Angiola e Marianna fratelli e sorelle fu Lorenzo pupilli in tutela di Lorenzi Giuseppe.
Mappa catastale Contra' Basso (1832)
Mappale n. 1698, zappativo: Lorenzi Lorenzo e Maddalena fratello e sorella fu Domenico e Lorenzi Domenico, Francesco, Maria e Francesca fratelli e sorelle fu Luigi e Lorenzi Lucia fu Francesco pupilli in tutela di Lorenzi Lorenzo, zii e nipoti.
Mappale n. 1699arativo in piano: Fontana Giovanni fu Giovanni Battista.
Mappale n. 1820, zappativo: Lorenzi Giuseppe e Margherita fratello e sorella fu Sebastiano.
Mappale n. 1821zappativoLorenzi Oliva fu Gerardo vedova Lorenzi e Lorenzi Marianna fu Giovanni Battista maritata Pretto.
Mappale n. 1822, sasso nudo: Comune di Rotzo.
Mappale n. 4312zerbo (incolto): Fontana Orsola fu Gerardo maritata Lorenzi.


La nostra Valle godeva delle ricche risorse boschive delle adiacenti montagne che davano lavoro a molti boscaioli. Era questa l'attività prevalente dei nostri, accanto all'agricoltura di sussistenza, all'allevamento e all'emigrazione stagionale. 
Può così stupire che qui si siano sviluppate segherie soltanto dopo la metà del milleottocento. Prima di allora il legname in tronchi veniva trasportato a valle con le menàde per ruscellamento lungo alvei vallivi o artificiali e quindi fluitato lungo l'Astico sfruttando l'ingrossamento primaverile dovuto allo scioglimento della neve in quota.
Le segherie erano perciò situate principalmente lungo il corso del torrente nell'alta pianura,  specie in quel di Montecchio Precalcino, dove l'Astico finiva il suo percorso andandosi a confondere con le risorgive della zona che alimentavano il Tèsina.
Era questa un'area più prossima alle città e ai cantieri di utilizzo del legname trasformato. Non c'era infatti da noi un consumo di prodotti tale da sostenere questo tipo di industrie; le travi da costruzione e riparazione delle abitazioni erano squadrate ad ascia e al consumo di tavolame bastava la segheria consortile che esisteva fin dal 1617 in fondo alla Pontara (Cerati Nord), condotta dai Sartori.


Il maggior ostacolo che impediva la commercializzazione dei semilavorati e una conveniente economia di scala era però il sistema viario locale.
Soltanto nel 1880 si dette infatti inizio alla costruzione della moderna strada provinciale che univa Arsiero a Lastebasse (SP 350) e che poteva dirsi idonea al traffico dei carriaggi e quindi al trasporto massivo di merci. Presidente del consorzio di comuni per la costruzione della nuova arteria fu Giovanni Toldo Rodolfi, sindaco di Rotzo, che a strada completata edificò appunto la segheria di Basso.
Il migliorare delle condizioni sociali e della viabilità verso la pianura e la montagna, con la coeva costruzione anche delle strade della Costa del Vento e del Piovàn, sviluppò l'economia locale, creando nuove occupazioni, quali: carrettieri, osti, segatori, cavatori, muratori, falegnami e commercianti.
Contra' Basso - Valdastico

Con la costruzione della segheria idraulica, l'apertura dell'osteria e della passerella verso la provinciale, questa località marginale divenne presto uno scalo viario importante per il commercio del legname e la sosta dei carrettieri.


Segheria dei Lorenzi Baratieri
I primi proprietari della segheria furono quindi i Toldo Rodolfi, ai quali subentrarono i Lorenzi Baratieri. Questi ultimi in seguito ne costruirono un'altra, più grande e moderna, installata poco più a sud, all'inizio delle Forme (Alfiéri), che fu attiva fino al 1960.  Quindi ai Baratieri si sostituirono, prima come lavoranti e poi come proprietari, i Basso, dai quali la nuova contra' prese nome, sviluppo e vigore, grazie alla laboriosità e alla prolificità delle famiglie dei due fratelli di questa schiatta.


Contra' Basso. famiglia Basso 1925
Il capostipite dei Basso proveniva da Arzignano e si era accasato in valle già dal 1869, lavorando in un primo tempo presso la segheria che gli Slaviero Fodàti gestivano al Soglio, sulla riva opposta dell'Astico. Questa attività però venne seriamente compromessa dalla una piena del torrente che causò la perdita di una ingente partita di legname in fluitazione e costrinse i proprietari a chiuderla.
L'osteria di Basso (localmente: "da Basso"), attrezzata anche di corte delle bocce, divenne ben presto un popolare e frequentato luogo di ritrovo anche per i paesani e i giovanotti, complice forse il luogo appartato, l'ospitalità della contra', le numerose figlie di quelle famiglie e magari anche la salutare passeggiata verso casa che permetteva di riprendere sani connotati dopo qualche goto di troppo. L'ultimo oste fu Bassano Basso, già gestore dell'Albergo alla Vittoria, in piazza.

Segheria idraulica alla veneziana
La segheria di Basso funzionò sempre con l'acqua dell'Astico, fino alla sua chiusura, nel 1970. Non venne mai convertita ad elettricità e mantenne fino alla fine la sua antica impronta. Ero bambino quando la visitavo col mio Papà e mi ricordo ancora il profumo di resina, il movimento lento, cadenzato  e arcano dei suoi leverismi in legno consunto, che trasmettevano alla lama la forza del fiume. La sorvegliava Settimo Basso, che portava sulla spalla una gazza ammaestrata che lo obbediva a comando e catalizzava la mia curiosità. 
Quando quella ruota si fermò per sempre, segnò la fine del nostro piccolo mondo antico e l'inizio dei tempi moderni.

Oggi il nucleo originario della contra' è abbandonato, ma alcune case sono state ristrutturate e tuttora abitate dalle famiglie di Vittorio e Dario Basso. Certo, non c'è più la vivacità e il traffico d'un tempo, ma il luogo conserva ancora una sua placida suggestione. In sottofondo c'è il mormorìo dell'Astico, lì a ricordarci che comunque la vita continua: fin che l'acqua scorrerà!


Gianni Spagnolo
IV-MMXV

 Bibliografia, annotazioni, avvertenze e diritti:
  • San Pietro Valdastico  - Storia del paese - Don Giovanni Toldo - 1936;
  • Valdastico Ieri e Oggi - Mons. Antonio Toldo - Ed. La Galaverna - 1984;
  • I documenti catastali qui riportati sono estratti dagli originali  conservati presso l'Archivio di Stato di Bassano del Grappa -  Catasto Napoleonico ed Austriaco del comune censuario di Rotzo - Mappa d'Avviso;  Mappa I; IV e Libri partite  e riportano in filigrana il marchio d'origine. Sono concessi ad uso esclusivo di questa pubblicazione con  prot. n. 01  del 04/02/2015 dal Mistero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo sez. d'Archivio di Stato Bassano del Grappa.
  • E fatto divieto di riproduzione e ulteriore divulgazione in qualsiasi forma e modalità.

La riflessologia plantare

La riflessologia plantare ha un’origine antichissima (si parla del 5000 a.C.), sembra fosse praticata anche dagli Incas e dai Maya, è citata nel Nei Jing, il più antico trattato di medicina cinese, da alcune illustrazioni tombali si è dedotto che fosse conosciuta anche in Egitto e sicuramente già a partire dal 1000 a.C. era praticata in India, in Kerala è ancora molto usata e rinomata.

Si tratta di una forma di massaggio zonale e si basa su un principio riconducibile a quello dell’agopuntura: ad ogni zona del piede corrisponde un organo del nostro corpo, tanto che in India è usata anche per curare i parassiti che attaccano l’apparato gastrointestinale.

Il piede è una parte del nostro corpo spesso trascurata ma deve invece essere rivalutata perchè il massaggio dei piedi può prevenire e curare molti disturbi.

Ricompare durante i secoli in diversi scritti e trattati, se ne hanno tracce nel 1500 e poi alla fine dell’800, finché nei primi anni del 1900 iniziò a catturare, ufficialmente, l’attenzione dei medici europei, in particolare in Austria e Germania.

Per capire in modo sintetico in cosa consiste la riflessologia plantare ecco la mappa plantare: i due piedi corrispondono alle due metà del corpo, le dita sono collegate alla testa e così via come nell’immagine qui sotto.


Ogni funzione del corpo ed ogni sua parte corrispondono ad un punto del piede, le zone dei piedi coinvolte sono pianta, bordi e dorso, che se stimolato va ad agire sulla zona interessata e corrispondente. Le zone più soggette a dolore acuto come denti e orecchie rispondono molto bene, lo stesso vale per l’apparato urogenitale, e l’apparato digerente, più difficili da stimolare sono invece gli organi compatti come il fegato. I punti del piede soggetti a digito-pressione, se stimolati correttamente, possono aiutare a sbloccare tensioni ed alleviare il dolore, come ad esempio nel caso di dolori mestruali e mal di testa, inoltre la pressione nelle aree corrette del piede favorisce l’eliminazione delle tossine accumulate nell’organismo.

La riflessologia plantare su stimolazione nervosa, si basa sul principio che attraverso questo tipo di stimolazione sia possibile sollecitare le parti del corpo infiammate, doloranti, soggette a stress o lesionate.

Ci sono varie tecniche di “massaggio”: strisciamento, rotazione, frizione spinale, gancio; ognuna è usata e consigliata in base alla patologia, ad esempio la frizione spinale, che agisce in particolare sul bordo del piede, serve principalmente ad agire sulla colonna vertebrale.

Così come molte altre discipline antiche di guarigione, a mio parere a riprova della sua/loro serietà, ha le sue controindicazioni: è sconsigliata durante i primi tre mesi di gravidanza, in caos di ferite o lesioni ai piedi, negli anziani e in chiunque abbia problemi di osteoporosi e/o fragilità ossea.

Un filo d’oro che guida la maggior parte delle antiche tecniche di guarigione e benessere è l’idea che il corpo debba essere mantenuto sano, in condizioni ottimali, utilizzando tutte le tecniche possibili per abbassare i livelli di stress, in modo che possa poi essere forte e reagire il più possibile agli attacchi esterni ed interni (come lo stress) che comportano alterazioni psicofisiche  e malattie.

L’idea che il benessere sia inseparabile compagno dell’armonia ed acerrimo nemico dello stress è una convinzione tanto antica quanto moderna e, per quanto possibile, a dispetto di questi tempi veloci e frenetici dovremmo cercare di ricavarci sempre uno spazio per la cura ed il rispetto del nostro corpo, “tempio del Sé”.
Eticamente

Pulizia monumento a Forni





E anche a Forni, come a Pedescala, dei bravi Volontari si danno da fare per pulire il monumento e piantare dei fiori. Le foto mi sono state inviate da Marco Pettinà che ringrazio.

Charlie Chaplin davanti alla folla a New York nel 1918


E voi che ne pensate?

(by Ada)

lunedì 27 aprile 2015

Ponteposta


70° dell'Eccidio


Squola di Babele

Arriva in sala il documentario di Julie Bertucelli dedicato ad una classe di accoglienza a Parigi. La frequentano i ragazzi tra gli 11 e 15 anni appena arrivati in Francia da tutto il mondo che si incontrano e scontrano sui temi che infiammano l'Europa.
C'è Xin, ragazzina cinese cresciuta dalla nonna in patria che dopo dieci anni ha riabbracciato la mamma venuta a Parigi per lavorare in un ristorante, cinese ovviamente. C'è Rama, adolescente mauritana che dopo aver vissuto per tredici anni con il padre in Senegal dove veniva maltrattata e non andava a scuola, oggi vive con la nuova famiglia della madre ed è a Parigi per "studiare da medico e diventare una donna libera". C'è Myriam, libanese in Francia con la sua famiglia con una richiesta d'asilo, che scopre a metà anno di doversi trasferire da un giorno all'altro a Verdun. E c'è Djenabou, undicenne della Guinea, i genitori lavorano in Germania ma lei, che non riusciva con il tedesco, è stata affidata ad una parente che di fronte alle sue intemperanze in classe e al poco impegno nello studio dice: "Sarà solo lei a perderci se dovrà tornare in patria, dove l'infibulazione non è reato e ti obbligano a matrimoni combinati a tredici, quattordici anni".


E infatti l'energia e la passione di questi ragazzi è contagiosa. E permette di affrontare all'insegnante Brigitte Cervoni, professoressa di francese, temi difficili e situazioni spinose. In classe si parla di religione ("una ragazza ad un certo punto dice Non sappiamo neanche noi se Dio esiste! Se non fosse venuta in una scuola laica in Francia non avrebbe mai potuto avere un dubbio del genere" sottolinea Bertucelli), dei propri paesi di origine, dei loro sentimenti, ma soprattutto dei loro sogni e del loro futuro. L'insegnante ha montato un progetto pedagogico di un film sulla differenza e sulla somiglianza, realizzato dai ragazzi stessi e premiato in un festival dedicato al cinema fatto dagli studenti. Ed è bellissimo leggere le emozioni (imbarazzo, commozione, gioia) sui volti dei ragazzi che si rivedono sul grande schermo accanto alle loro famiglie.

Il film si svolge in classe durante le lezioni, negli incontri con i genitori per consegnare le pagelle, nel lavoro di realizzazione del loro film. Come una sorta di ritornello visivo ci sono anche i momenti di ricreazione, il cortile del titolo originale (La cour de Babele, il cortile di Babele) è visto dall'alto. "E' complicato girare nel cortile di una scuola - spiega la regista - Gli adolescenti non si parlano. Ascoltano la musica. Si spintonano. E non hanno voglia di essere filmati davanti a tutta la suola che si ferma per guardali. Il cortile m'ispirava più dall'alto. Ero in classe e li aspettavo. Vedevo questi alberi. Osservavo. Poi arrivavano con la loro professoressa. Ho visto le stagioni passare senza avere un'idea chiara di ciò che avrei fatto di tutto questo materiale raccolto".

(segnalato da Odette)

Linzer torte

La Linzer Torte è un dolce tipo crostata, ma con nocciole tritate (ma anche noci o mandorle) nell'impasto
INGREDIENTI:150 g burro - 250 g farina - 150 g zucchero a velo - 100 g nocciole tostate - 1 uovo - spezie (vaniglia, scorza di limone, cannella, polvere di garofano) - 10 g lievito in polvere - 300 g marmellata di ribes

PREPARAZIONE:Impastate il burro e lo zucchero, aggiungetevi la farina mescolata col lievito, le nocciole grattugiate, l’uovo e le spezie. Fate riposare la pasta al fresco, dopo mezz’ora ritiratela dal frigorifero e tagliatela in quattro parti. Spianate tre quarti della pasta a circa 1,5 cm di spessore per un diametro di 22 cm, spalmatevi sopra la marmellata di ribes. Il resto della pasta va aggiunto sopra come orlo e a forma di grata. Spalmate la superficie dell’orlo e della grata con un pò di uovo e coprite l’orlo di sottili fette di mandorla. Mettete a forno per 40–45 minuti a circa 190 gradi.


Il cervello anarchico

Enzo Soresi, tisiologo, anatomopatologo, oncologo, già primario di pneumologia al Niguarda di Milano.
Nel libro Il cervello anarchico racconta casi di persone uccise dallo stress o salvate dallo choc carismatico della fede. Dopo una vita passata a dissezionare cadaveri, a curare tumori polmonari, a combattere tubercolosi, bronchiti croniche, asme, danni da fumo, il professor Enzo Soresi, 70 anni, tisiologo, anatomopatologo e oncologo, primario emerito di pneumologia al Niguarda di Milano, ha finalmente individuato con certezza l’epicentro di tutte le malattie: il cervello.
Negli ultimi dieci anni, cioè da quando ha lasciato l’ospedale per dedicarsi alla libera professione e tuffarsi con l’entusiasmo del neofita negli studi di neurobiologia, ha maturato la convinzione che sia proprio qui, nell’encefalo, l’interruttore in grado di accendere e spegnere le patologie non solo psichiche ma anche fisiche.
C’era già arrivato per intuizione il filosofo ateniese Antifonte, avversario di Socrate, nel V secolo avanti Cristo: «In tutti gli uomini è la mente che dirige il corpo verso la salute o verso la malattia, come verso tutto il resto». Soresi c’è arrivato dopo aver visto gente ammalarsi o guarire con la sola forza del pensiero. Primo caso: «Ho in cura una signora di Milano il cui marito, integerrimo commercialista, la sera andava a bucare le gomme delle auto. Per il dispiacere s’è ammalata di tubercolosi. Io lo chiamo danno biologico primario». Secondo caso: «Un agricoltore sessantenne con melanoma metastatico incontrò Madre Teresa di Calcutta, ricevette in dono un’immaginetta sacra e guarì. Io lo chiamo shock carismatico». Il professore ha dato una spiegazione scientifica al miracolo: «Il melanoma è un tumore che viene identificato dagli anticorpi dell’organismo, tant’è vero che si sta studiando da 30 anni un vaccino specifico. Non riusciamo a controllarlo solo perché l’antigene tumorale è talmente aggressivo da paralizzare il sistema immunitario. Nel caso del contadino ha funzionato una combinazione di fattori: aspettativa fideistica, strutture cerebrali arcaiche, Madre Teresa, consegna del santino. Risultato: il suo organismo ha sprigionato fiumi di interferoni e interleuchine che hanno attivato gli anticorpi e fatto fuori il cancro». Come Soresi illustra nel libro Il cervello anarchico (Utet), già ristampato quattro volte, la nostra salute dipende da un network formato da sistema endocrino, sistema immunitario e sistema nervoso centrale. «Il secondo ci difende e ci organizza la vita. Di più: ci tollera. L’organo-mito è il linfocita, un particolare tipo di globulo bianco che risponde agli attacchi dei virus creando anticorpi. Abbiamo 40 miliardi di linfociti.
Quando si attivano, producono ormoni cerebrali…
Questa si chiama Pnei, psiconeuroendocrinoimmunologia, una nuova grande scienza, trascurata dalla medicina perché nessuno è in grado di quantificare quanti neurotrasmettitori vengano liberati da un’emozione. Io e lei siamo due esperimenti biologici che datano 4 miliardi di anni. Io sono più riuscito di lei. Perciò nego la vecchiaia. Non c’è limite alla plasticità cerebrale, non c’è limite alla neurogenesi. Esiste un flusso continuo di cellule staminali prodotte dal cervello: chi non le utilizza, le perde.
Le premesse della longevità sono due: camminare 40 minuti tre volte la settimana – altrimenti si blocca il ricambio delle cellule e non si libera un fattore di accrescimento, il Bdnf, che nutre il cervello – e studiare». Secondo il medico-scrittore, è questa la strada per allungare la vita di 10 anni. «Quando ci impegniamo a leggere o a compilare le parole crociate, le staminali vengono catturate dalla zona dell’encefalo interessata a queste attività. Se io oggi sottopongo la sua testa a una scintigrafia e poi lei si mette a studiare il cinese, fra tre anni in un’altra scintigrafia vedrò le nuove mappe cerebrali che si sono create per immagazzinare questa lingua. Prenda i tassisti di Londra: hanno un ippocampo più grande perché mettono in memoria la carta topografica di una città che si estende per 6 miglia».
Il professor Soresi è cresciuto in mezzo alle lastre: suo padre Gino, tisiologo, combatteva la Tbc nel sanatorio Vialba di Milano, oggi ospedale Sacco. Si considera un tuttologo, al massimo un buon internista, che ha scoperto l’importanza della neurobiologia studiando il microcitoma. «È un tumore polmonare che ha la caratteristica di esordire con sindromi paraneoplastiche, cioè con malattie che non c’entrano nulla col cancro: artrite reumatoide, tiroidite autoimmune, sclerodermia, reumatismo articolare. È una neoplasia che nel 100% dei casi scompare con quattro cicli di chemioterapia. Eppure uccide lo stesso nel giro di sei mesi. Era diventato la mia ossessione: non riuscire a guarire una cosa che sparisce».
Com’è possibile? «Ci ho scritto 100 lavori scientifici e ci ho messo 30 anni a capirlo: perché il microcitoma ha una struttura neuroendocrina. La massa nel polmone scompare, ma si espande con metastasi ovunque. Ne ho concluso che la medicina non è una vera scienza. Tuttalpiù una scienza in progress».
Diciamo una scienza inesatta.
«L’ho provato sulla mia pelle nel 1950. Ero basso di statura, come adesso, e mio padre si preoccupava. Eppure le premesse genetiche c’erano tutte: lui piccolo, mia madre piccola. Mi portò dal mitico professor Nicola Pende, endocrinologo che aveva pubblicato sei volumi sul timo come organo chiave dell’accrescimento. Pende mi visitò, mi palpò i testicoli e concluse: “Questo bambino ha il timo iperplastico, troppo grosso. Bisogna irradiarlo”. Se mio padre avesse seguito quel consiglio, sarei morto. Questa è la medicina, ragazzi, non illudiamoci».
Torniamo al cervello.
«Sto aspettando di diventare nonno. Il tubo neurale della mia nipotina ha cominciato a svilupparsi dal secondo mese di gravidanza. Alla nascita il cervello non sarà ancora programmato, bensì in fase evolutiva. L’interazione con l’ambiente lo strutturerà. Ora facciamo l’ipotesi che un neonato abbia la cataratta: se non viene operato entro tre mesi, i neuroni specifici della vista non si attivano e quel bimbo non vedrà bene per il resto della vita. Oppure poniamo che la madre sia ansiosa e stressata, il padre ubriacone e manesco: lei capisce bene che i segnali ricevuti dal neonato sono ben diversi da quelli che sarebbero auspicabili.
E questo vale fino al terzo anno di vita, quando nasce il linguaggio, che attiva la coscienza del sé, e la persona assume una sua identità. Di questi primi tre anni d’inconsapevolezza non sappiamo nulla, è una memoria implicita, un mondo sommerso al quale nessuno ha accesso, neanche l’interessato, neppure con la psicoanalisi. Ma sono i tre anni che ci fanno muovere».
Allora non è vero che si può «entrare» nel cervello.
«Ai tempi in cui facevo le autopsie, aprivo il cranio e manco sapevo a che cosa servissero i lobi frontali. Li chiamavamo lobi silenti, proprio perché ne ignoravamo la funzione. Molti anni dopo s’è scoperto che sono la sede dell’etica, i direttori d’orchestra di ogni nostra azione».
E graziaddio avete smesso con le lobotomie.
«A quel punto sono addirittura arrivato a fare le diagnosi a distanza. Se mi telefonavano dalla clinica dicendo che un paziente con un tumore polmonare s’era messo d’improvviso a urlare frasi sconce o aveva tentato di violentare la caposala, capivo, dalla perdita del senso etico, che era subentrata una metastasi al lobo frontale destro».
Ippocrate aveva definito il cervello come una ghiandola mammaria.
«Aveva còlto la funzione secretiva di un organo endocrino che non produce solo i neurotrasmettitori cerebrali – la serotonina, la dopamina, le endorfine – ma anche le citochine, cioè la chiave di volta dei tre sistemi che formano il network della vita. Lei sa che cosa sono le citochine?».
Sì e no.
«Sono 4 interferoni, che aiutano le cellule a resistere agli attacchi di virus, batteri, tumori e parassiti, e 39 interleuchine, ognuna con una funzione specifica. Se sono allegro e creativo libero citochine che mi fanno bene, se sono arrabbiato e abulico mi bombardo di citochine flogogene, che producono processi infiammatori. Ecco perché il futuro della medicina è tutto nel cervello. Le faccio un esempio di come il cervello da solo può curare una patologia?».
La ascolto.
«Avevo un paziente affetto da asma, ossessivo nel riferire i sintomi. Più gli davo terapie, più peggiorava. Torna dopo tre mesi: “Sono guarito”. Gli dico: senta, non abbassi la guardia, perché dall’asma non si guarisce. “No, no”, risponde lui, “avevo il malocchio e una fattucchiera del mio paese me l’ha tolto infilandomi gli spilloni nel materasso”. La manderei da un esperto in malocchi, replico io. E riesco a spedirlo dallo psichiatra Tullio Gasperoni. Il quale accerta che il paziente era in delirio psicotico. Conclusione: da delirante stava bene, da presunto normale gli tornava l’asma».
Effetto placebo degli spilloni.
«Paragonabile a quello dei finti farmaci. L’effetto placebo arriva a rispondere fino al 60% nel far scomparire un sintomo. Noi medici non possiamo sfruttarlo, altrimenti diventerebbe un inganno. Ma esiste anche l’effetto nocebo».
Esemplifichi.
«Donna di altissimo livello culturale, fumatrice accanita. Il marito, un imprenditore fratello di un noto politico, la tradiva sfrontatamente con una giovane amante. Quando la informai che aveva un tumore polmonare, mi raggelò: “Non m’interessa. L’importante è che lo dica a mio marito”. Cosa che feci, anche in maniera piuttosto teatrale. Lui scoppiò a piangere, lei sfoderò un sorriso trionfale. È evidente che due anni di stress violento avevano provocato nella donna un abbassamento delle difese immunitarie. Almeno morì contenta, sei mesi dopo. Vuole un altro esempio? Una cara amica con bronchiettasie bilaterali. Antibiotici su antibiotici. Qual era il movente? Non andava più d’accordo col marito. Per due anni non la vedo. La cerco al telefono: “Enzo, mi sono separata, vado in chiesa tutte le mattine, sto bene”. L’assetto psichico stabilizzato le ha consentito di ritrovare la salute. Continuo?».
Prego.
«Colf di 55 anni, origine salernitana, tradizionalista. Mai un giorno di malattia. La figlia le dice: “Vado in Inghilterra a fare la cameriera”. Stress di 10 giorni, ginocchio gonfio così. La lastra evidenzia un’artrosi della tibia: non s’era mai attivata, ma al momento del disagio mentale è esplosa. C’è voluto un intervento chirurgico».
Nel libro Il cervello anarchico lei riferisce di sogni premonitori.
«Sì. Viene da me uno psichiatra milanese, forte fumatore, con dolori scheletrici bestiali. Mi racconta d’aver sognato la sua tomba con la data della morte sulla lapide. Lastra e Tac negative. Era un tumore polmonare occulto, con metastasi ossee diffuse. Morì esattamente nel giorno che aveva sognato. Del resto lo psicoanalista Carl Gustav Jung mentre dormiva avvertì un forte colpo alla nuca, dopodiché gli apparve in sogno un amico che gli disse: “Mi sono sparato.
Ho lasciato il testamento nel secondo scaffale della libreria”. L’indomani andò a casa dell’amico: s’era suicidato e la busta era nel posto indicato».
I miracoli secondo lei che cosa sono? Eventi soprannaturali o costruzioni del cervello?
«Io sono per un pensiero laico. Credo nella forza della parola. Se noi due ci parliamo, piano piano modifichiamo il nostro assetto biologico, perché la parola è un farmaco, la relazione è un farmaco. Di sicuro credere fa bene. Un gioielliere milanese mi portò la madre, colpita da metastasi epatiche. Potei prescriverle soltanto la morfina per attenuare il dolore. La compagna brasiliana di quest’uomo si chiama Maria di Lourdes e ha una sorella monaca in una congregazione religiosa che nella foresta amazzonica prega a distanza per le guarigioni. Maria di Lourdes telefonò al suo uomo dal Brasile: “Di’ alla mamma che le suore pregheranno per lei all’ora X del giorno X”. Da quel preciso istante la paziente oncologica, che prima urlava per il dolore, non soffrì più».
Come si mantiene in buona salute il cervello?
«Ho un cugino architetto, mio coetaneo, che sembrava un rottame. S’è iscritto all’università della terza età, ha preso passione per la lingua egiziana, tutti i giorni sta cinque ore davanti al computer, ha già tradotto quattro libri in italiano dall’egiziano. È ringiovanito, ha cambiato faccia».
Sappiamo tutto del cervello?
«Nooo! Sul piano anatomico e biologico sappiamo intorno al 70%. Ma sulla coscienza? Qui si apre il mondo. Lei calcoli che ogni anno vengono pubblicati 25.000 lavori scientifici di neurobiologia».
Allora come fa una legge dello Stato a dichiarare morto un organo che per il 30% ci è ignoto e della cui coscienza sappiamo poco, forse nulla?
«Siccome si muove per stimoli elettrici, nel momento in cui l’elettroencefalogramma risulta muto significa che il cervello non è più attivo».
Ma lei che cosa pensa della morte cerebrale?
«Mi fermo… Però ha ragione, ha ragione lei a essere così attento alla dichiarazione di morte. Nello stesso tempo c’è un momento in cui comunque bisogna dichiarare la morte di un individuo dal punto di vista biologico».
Prima del 1975 dichiaravate la morte quando il cuore si fermava, l’alito non appannava più lo specchio, il corpo s’irrigidiva.
«Eh, lo so… La morte cerebrale consente di recuperare gli organi per i trapianti».
Ha mai sperimentato su di sé disagi psichici che hanno influenzato il suo stato di salute?
«Nel 1971 ho sofferto moltissimo per la morte di mia moglie Marisa, uccisa da un linfogranuloma a 33 anni. Devo tutto a lei. Era una pittrice figurativa che andò a studiare negli Stati Uniti appena sedicenne e indossava i jeans quando a Milano non si sapeva manco che esistessero. La malattia cambiò la sua arte. Cominciò a dipingere corpi sfilacciati, cuori gettati sopra le montagne. Fu irradiata in maniera scorretta da un grande radioterapista dell’epoca, per cui nell’ultimo anno di vita rimase paralizzata. Nostro figlio Nicolò, nato nel 1968, l’ho cresciuto io. Marisa mi ha lasciato un modello perfetto: un bambino che riesce a sopportare persino la perdita più straziante solo perché la mamma ha saputo far sviluppare armonicamente il suo cervello nei primi tre anni di vita»

domenica 26 aprile 2015

Priaforà: esploramento tattico GG - by Odette -


E... anche le feci possono dare una mano...

OGGI ARGOMENTO UN PO' TABU'...   ;-), ma non per questo poco importante, anzi...

Si può imparare molto dalle scorie prodotte da nostro organismo. Sapete che il loro colore, odore, struttura e consistenza indicano se il vostro apparato digerente funziona in maniera adeguata? Sapete che rivelano lo stato della vostra salute? Se volete prevenire le malattie, dovreste controllare le vostre feci ogni giorno. Se non lo fate, per imbarazzo o disgusto, dovreste riflettere visto che potrebbero aiutarvi a prevenire serie complicazioni di salute in futuro. Le feci ideali devono essere di colore oro antico, avere la forma di una banana matura e la consistenza simile a quella del dentrificio. Galleggiano e sono inodori. Se le vostre non sono così, per favore leggete quanto segue con molta attenzione.

Le feci sono le sostanze solide di rifiuto del cibo, e mentre l’urina ci indica la condizione recente della persona, le feci ci rivelano la condizione relativa a 2 0 3 giorni prima.
Il medico vi ha mai chiesto dettagli riguardo la vostra cacca? Se la risposta è no, confidatevi voi con lui, perché attraverso le feci possiamo capire molte cose del nostro stato di salute specialmente se abbiamo dei dubbi riguardo l’alimentazione o piccoli disturbi apparentemente non strettamente legati all’intestino.

Ecco le cose fondamentali da tener presente:
1 frequenza dell’evacuazione
2 odore e galleggiamento
3 forma
4 colore

1 Frequenza
“La defecazione dovrebbe avvenire una volta al giorno: il momento ideale è al mattino. Ogni irregolarità nell’evacuazione delle feci è segno di problemi intestinali. La regolarità della defecazione è una condizione basilare per una buona salute.” afferma Noboru Muramoto, uno dei principali esponenti della medicina tradizionale cinese in occidente.
E’ bene svuotare l’intestino almeno una volta al giorno sarebbe avendo proprio la sensazione di vuoto nella pancia al termine.
Alcune persone riescono ad andare in bagno anche 2 o 3 volte al giorno, questo ovviamente dipende dal metabolismo soggettivo, dalla quantità di batteri contenuti nell’intestino oppure dalla quantità di cibo ingerito.

2 Odore e Galleggiamento
Un cattivo odore delle feci indica uno scarso equilibrio nell’alimentazione. Se affondano nell’acqua vuol dire che il cibo non è stato masticato o digerito bene.

3 Forma
Dobbiamo essere sicuri che le nostre feci abbiano una forma definita, questo aspetto denota infatti che la nostra digestione è avvenuta completamente e i nutrimenti sono stati assorbiti dall’organismo eliminando così acidi e tossine.

Ecco un pratico riferimento chiamato il grafico Bristol.

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Tipo 1 grumi ben separati e duri simili a palline difficili da espellere (tipo la cacca delle pecore)
Tipo 2 classica forma cilindrica ma grumosa
Tipo 3 forma cilindrica ma con delle crepe sulla superficie
Tipo 4 forma cilindrica liscia e morbida
Tipo 5 grumi morbidi e frastagliati
Tipo 6 porzioni morbide ma con i bordi frastagliati
Tipo 7 acquosa e priva di particelle solide

Riuscite ad indovinare qual è la forma che dovrebbe avere? Se avete risposto 4, avete indovinato! La cacca perfetta fuoriesce con facilità, senza dolori, né odori terribili ed ha la forma di una grossa banana e galleggiare.

4 Colore
Il colore perfetto dovrebbe essere tra il marrone chiaro e il marrone scuro.
Il colore dipende molto dal tipo di alimentazione che abbiamo: se mangiate le rape rosse ovviamente le feci ( e le urine) potrebbero avere un colore rossastro.

Feci giallastre di cattivo odore: malassorbimeno di grassi dovuto ad un insufficiente funzionamento del pancreas; questo si verifica nelle pancreatiti, cancro del pancreas, fibrosi cistica e celiachia.

Feci di colore scuro di cattivo odore: sanguinamento dello stomaco o della parte superiore dell’intestino tenue dovuto ad ulcere o tumori. Feci nere potrebbero essere innocue quando si usano integratori alimentari che contengono ferro. Ma nel caso non abbiano un cattivo odore, si tratta solo di un cambiamento di colore.

Feci che presentano tracce di sangue scuro:ulcere sanguinanti o tumori nella parte media dell’intestino tenue o nella prima parte del colon, morbo di Crhon, colite ulcerativa.

Feci dure che precipitano sul fondo: possono indicare una dieta povera di fibre (che si trovano in verdura, frutta e cereali integrali), o un insufficiente apporto di acqua. Le feci dure sono generalmente di colore scuro perché restano nell’intestino più di quanto dovrebbero.

Le feci del neonato dovrebbero essere giallo-arancioni e piuttosto soffici. Se sono scure o verdi, vuol dire che il altte materno non è di buona qualità, perché la madre ha mangiato dei cibi non adatti.

Se si usa troppo sale il colon assorbe più acqua e le feci sono striminzite e secche; al contrario se si mangiano troppi zuccheri le feci sono più umide e informi.

Ecco alcuni consigli per migliorare la nostra digestione ed avere più energia
1) Il cibo per esssere correttamente assimilato e non produrre scorie deve rispettare la combinazione degli alimenti, che si basa sul ph e gli enzimi;
2) Prima di iniziare a mangiare fare un respiro profondo e buttare fuori tutta l’aria: se siete stressati la pancia sarà rigida e probabilmente è meglio che saltiate il pasto; qualche emozione e situazione vi è rimasta sullo stomaco e va digerita prima di metterci del cibo;
3) Masticare per almeno 8 secondi ogni boccone: la masticazione corretta dovrebbe essere alternata tra la parte destra e sinistra della bocca per attivare entrambi gli emisferi cerebrali.
Con questi consigli le vostre feci saranno sicuramente più belle e avrete più energia e lucidità mentale.

Potenza del nome

[Gianni Spagnolo © 25A20] A ben pensarci, siamo circondati da molte cose che non conosciamo. Per meglio dire, le vediamo, magari anche frequ...