giovedì 31 ottobre 2013

Le Valpiane


Quando nel febbraio 2011 una mano criminale accese  tutti quei fuochi in vari luoghi che devastarono buona parte della montagna delle  VALPIANE  nessuno si chiese perché proprio là. Non so se fu un caso o se può esserci una relazione con  avvenimenti successi sessantasei anni prima....
              



Era la mattina presto, ai Baise, due sorelle ed il loro fratello minore, stavano seminando le patate nella "vaneda" grande sotto le case. Avevano zappato e preparato la terra il giorno prima. Una faceva il solco con il badile, l'altra con la forca metteva il letame ed il fratello metteva le fette di patate con il “buto” all'insù a distanza di  quindici centimetri perché il detto era :”Sulchi ciari e patate spesse.”  
Nel frattempo, alla Volta de Menonce  la TODT, il genio civile tedesco, eseguiva lavori nei punti più alti della valle, nella speranza di arrestare l'avanzata degli Americani. Il capo cantiere che comandava i lavori di galleria stava parlando con l'Ispettore tedesco. Dalla Volta si vedevano le truppe  della grande armata del Reich fuggire in gran disordine verso Trento: …”Kapitulieren...”, "arrendersi"... L'Ispettore fece il saluto tese la mano e se ne andò.
Erano giorni che gli operai  dal loro belvedere osservavano il fuggi fuggi dei soldati e vedevano che ogni volta che i partigiani si accorgevano che nella provinciale passava qualche soldato solo, lo attaccavano e  lo spogliavano di tutto.  Come avevano loro spiegato i paracadutisti inglesi: ”Ogni buon nemico è un nemico morto”: lo facevano sparire nell'Astico.  Ma a Pedescala quel 30 aprile non andò bene.   
La notte prima, trecento russi al servizio dei tedeschi avevano lasciato il paese abbandonando  delle armi e munizioni.  Si disse che i  "partigiani" (?), recuperate le armi, si misero a sparare contro l'ultima colonna tedesca in ritirata. Costoro puntarono il cannone contro il paese e cominciarono a cannoneggiare. Un carro armato entrò e partendo dalle prime case cominciò a mitragliare, seguito dai soldati e cominciò la mattanza: Pedescala, Forni, Settecà... Un eccidio.
Dai Baise, dai Valergi la gente terrorizzata e gli operai della TODT, guardavano con apprensione verso Forni  e Settecà e giù giù verso Barcarola da dove provenivano i colpi di cannone  e il gracchiare delle mitraglie pesanti. Piano piano, portato dal vento, un acre odore di bruciato cominciò ad espandersi nell' aria. Da dietro il monte una colonna di fumo s'innalzò sempre più grande.




“Corri,corri giù a casa e di a tutti di salire quassù con le vacche” urlarono le sorelle. Il fratello minore partì correndo e  per strada  trovò il fratello maggiore che lo incitò a far presto perché i tedeschi erano già ai Forni: "Presto i zé qua!"
Nel paese di San Pietro non si erano resi conto di ciò che succedeva  poco lontano.










Fu un miracolato, scampato all'eccidio di Settecà, a diffondere l'allarme. Costui faceva parte delle 18 persone  che erano state prese in ostaggio ai Forni. Furono portate a Settecà'  dai tedeschi, rinchiuse al mulino e ivi trucidate. Nel cadere, i compagni seppellirono sotto i loro corpi il giovane che restò indenne. Per quanto tempo rimase immobile schiacciato dai corpi insanguinati dei  suoi compagni di sventura ?
Caduto il silenzio e prima che mani sacrileghe appiccassero il fuoco per cancellare l'efferata carneficina, attraversò il buco sul muro e le pale della ruota e riuscì a raggiungere la “roda” il canale, rischiando più' volte l' annegamento.
Il prete don Aldo Bordin e le suore di San Pietro non volevano fuggire ma obbligate da un Stefani Merlo presero qualche indumento e si incamminarono su per la Singela.
Tutto era occupato nelle vicinanze, così, sotto una pioggerella  fitta fitta  furono obbligati a salire  fino alle Valpiane nel baito di Costante, un buon chilometro sopra il Capitello della Madonna.

Anche lì  non c'era posto per tutti all'interno. La maggior parte dovette passare la notte  e i giorni successivi fuori all'aperto attorno a due grandi fuochi. Quanto dolore fisico e  morale in quelle notti passate all' addiaccio. Verso mattino, una piccola coltre di neve copriva il suolo; una nube nera copriva il fondo valle ed  il vento portava su un odore nauseabondo di....bruciato.

Le ore passavano infinitamente lunghe... Un pomeriggio, un terribile scoppio risalì dalla Torra ripetuto all'infinito dall'eco per tutte le montagne. I Tedeschi finalmente in ritirata avevano fatto  scendere il pezzo di muro del muraglione che chiudeva la strada al Maso. La gente come pazza d'allegria scese in paese, non sapevano cosa li aspettava al ritorno...
Don Aldo Bordin fu il primo, se pur sconsigliato, a recarsi a Settecà e poi a Pedescala dov'era stato ucciso il prete Don Fortunato Carlassare originario da  Mosson assieme al suo vecchio padre e perfino un bambino di pochi anni. 
Lo spettacolo che vide lo  sconvolse per tutta la vita!!!

Lino Bonifaci
(a ricordo di Remo, "Re delle Valpiane",
che oggi ricorre il terzo anniversario della morte)



Orti



Cento metri quadrati di terreno sono sufficienti per produrre legumi e verdure per un anno e per una persona.


Per avere un buon orto produttivo ci vuole un apporto annuale di stallatico e l'avvicendamento delle colture. Ortaggi da bulbo, tuberi o radici, sfruttano  al massimo il terreno, mentre i pomodori e le leguminose arricchiscono il terreno e ne aumentano la fertilità.

Ai miei tempi negli orti non si coltivavano tante specie di verdura: solamente insalata, radicchio in quantità, ravi, cipolle, cavolfiori, verze e capussi, ma, seppur seminati in grande quantità, non bastavano mai!!!

Ed allora bisognava, soprattutto le famiglie numerose, andar a cercarli sù in Centa in quel dei Toi.
Due o tre famiglie numerose si mettevano d'accordo. La mattina prefissata, verso le quattro del mattino, si partiva con il carretto con sopra una cassa, abbastanza grande, fatta con delle tavole.
Si scendeva giù per la pontara, fora par la dogana e tutta la sinistra dell'Astico fino al ponte dei Busatti.

In quel tempo, questa strada era carrozzabile. Poi si cominciava a salire verso le Buse tirando a tre il carretto ed alla fine si arrivava alle Carbonare abbasstanza stanchi, ma non era finita, c'era ancora un bel pezzo della Fricca (la strada che scende verso Trento) per arrivare  nelle contrade di Centa.
Trovato un padrone che era disposto a vendere il suo campo di cavoli ci si metteva  all'opera. Brutto o bel tempo si cavava e si puliva il più possibile e si poneva il cavolo nel sacco e questo sul carretto, fin che era carico.
Impiegavamo delle ore e la schiena... a pezzi con il pensiero dei primi chilometri da dover fare tutti in salita.

Prima si tirava sù un carretto fino al piano, poi l'altro e poi la lunga discesa che non finiva mai.
Una volta, tornando dalla scuola serale di Arsiero, arrivato a casa, non essendo ancora arrivati nè i miei, nè gli altri, decidemmo
di andare ad incontrarli in bicicletta. Erano le dieci di sera quando li trovammo all'ultimo tonante dei Busatti, tutti bagnati e pieni di fame.

Per fortuna che avevamo portato della fugassa, del vino e del caffè e così si ripresero un po' e riuscimmo ad arrivare a casa.
La mattina, si metteva sopra un vecchio védo (tina) un apparecchio in legno con sù quattro o cinque lame di coltello e con la pressione

si tagliavano a strisce ed una persona addetta metteva il sale necessario (molto importante!!!!). Ci si metteva un forte peso sopra e si lasciava macerare per diversi giorni. Sostentamento, con il maiale, di un inverno. 
Sì, perchè gli anni precedenti la guerra e gli stessi anni di guerra, furono anni di tanta fame, di tanta miseria per la popolazione della Valle ed avere in càneva un vedo de capussi, un poca de “roba de mas-cio, e un bel canton de patate, voleva dire passare l'inverno con molta più serenità, ma ciò costava molte fatiche e molto lavoro!!!
Ricordéve che par avere un bel'orto ghe vole: 
bona tera, bone soménse, tanta acqua, ma sopratùto che “Quel Lassù”, el varde in dò...
Lino Bonifaci

N.B.: dovete sapere che d'estate abbiamo un "Campàro" d.o.c. che per diletto girovaga sù e giù, in largo ed in lungo per il Paese, col suo bastone e il suo occhio clinico...
Controlla tutto! Quanto ad orti quest'anno ha riservato lodi per quelli di Bellasio, per quello nascosto sù per le Giare e per le patate di Rosanna Spagnolo. Vediamo qualche foto nel post. Le zucche sono del suo orto in Francia, quella delle patate è di Rosanna, quella sotto la scritta Busatti, delle Giare e le altre di Bellasio.
In Bellasio hanno l'acqua comoda e il sole tutto il giorno, come essere in Riviera; Mario, in aggiunta,quando è nell'orto, ha la radio a 100 e anche la musica credo contribuisca ad una sana crescita. Chissà lù a Echirolles che tanghi e walzer che el mete sù par far suche cussì bele...

mercoledì 30 ottobre 2013

Anagrafe 1967


In gita ad Assisi

anni 80

metto quelli che conosco io
da sx: Augusto Toldo nipotino della Felicita Toldo (che gestiva il bar dell'Acli) la Rina Fontana (fùcari) la Vittoria (moglie di Fiòssaro) la Maria di Ferruccio Stefani, la Maricche, la Mariuccia? la Bepina Guzzo e Sr. Maria
dietro sempre da sx la Gusta de Emo, la Mariana boranéla la Pina dai Luca la Germana carnavàla, la Rosina del sàuro, l'Amabile dai Righele, l'Ana pieperla, suo marito Righele Domenico, Domenico Spagnolo, la Mariche dai Saràti, la Ida scarpàra.
da sx ancora dietro: il m° Carlo, la Lilia roca, la moglie del maestro, Flavio poja, la Perla, la Bepina de Sétimo basso, Romano Lorenzi, la Marianna garbata, Erino Lucca, la moglie Ines Sartori, la Irma Ninato, l'Anna Toniolo.
A voi riempire i buchi.

Passaporto di Lucca Giuseppe (giudìta)


martedì 29 ottobre 2013

Spignatando


LA TORTA DE NICOLO'

(quele torte... par capirse... 
che se se ciùcia i dìe 
e se se s-ciafa la léngua sul palato)

3 uova intere
1 yogurt (gusto a piacere) sciacquate il vasetto e usatelo come misurino
2 vasetti di zucchero (bianco o di canna non importa)
3 vasetti di farina
1 fiala aromatica (io uso spesso quella al rum)
un sussurro di sale
1/2 vasetto di olio di semi
1 bustina di lievito sciolta in un goccio di latte
In base al gusto e alla consistenza che desiderate, aggiungete all'impasto gocce di cioccolato oppure pezzettini di mela/pera (in ogni caso si depositano sul fondo, quindi con la frutta attenti a non esagerare o la torta risulterà divisa in due strati, uno molliccio e l'altro morbido!), sennò potete sbizzarrirvi con le varianti!
La teglia va imburrata sul bordo, mentre sul fondo si posa della carta forno; la lascio cuocere per 40 minuti a 150 °C (la temperatura però è soggettiva da forno a forno, su quello vecchio andava a 175 °C), intorno al ventesimo minuto giro la teglia per una cottura uniforme... e da ultimo, prima di essere servita, una spolverata di zucchero a velo!


 (by Nicolò, l'Artusi di zona)

Panorama di San Pietro e non solo...


A tutti quelli che amano 
questo Paese, 
queste Contra', 
questa Valle, 
Nicolò offre questo meraviglioso scatto

lunedì 28 ottobre 2013

I Fratelli Toldo "polàchi"


Lino c'invia questa foto dei F.lli Toldo "polàchi" 
per ricordare il suo coscritto Guido, da poco scomparso.
da sx: Guido - Lucia - Luigi - Antonio -  Adriano
Valerio - Silvio Eugenio - Lorenzo - Giorgio
Ed io aggiungo: 
un bell'esempio di famiglia ancora unita, 
"uno per tutti, tutti per uno"
INVIDIABILI!!!

6 - Valdastico in quel tempo


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sabato 26 ottobre 2013

Papà in bici



Papà è tutto orgoglioso in sella alla sua nuova bici 
(una Bianchi) di color nero 
che credo che a quel tempo gli sia costata una cifra. 
Ricordo che quando volevo imparare ad andare in bicicletta, 
insisteva che io imparassi su questa bici 
e io mi vergognavo tremendamente 
perchè le mie amiche avevano "le grazielle colorate" 
e i... "cojonamìnti"... si sprecavano...
Per finire gliel'ha data a mia zia a Cogollo 
e per tanti anni le è servita quotidianamente 
nei suoi spostamenti. 
Come potete notare, a quel tempo,
la strada che dalla Chiesa porta al cimitero 
era tutta alberata e non era asfaltata.

Oggi Papà avrebbe compiuto 88 anni. Lasciatemi ricordarlo così...


Non sono andato via, 
sono soltanto nascosto nella stanza accanto.
Io sono sempre io e tu sei sempre tu.
Ciò che eravamo prima,
 l'uno per l'altra, lo siamo ancora.
Chiamami col nome che ti è familiare, 
parlami nello stesso modo affettuoso 
che hai sempre usato.
Non cambiare il tono di voce, 
non assumere un'aria di tristezza.
Sorridi come facevi sempre.
Prega, sorridi, pensami.
Il mio nome sia sempre la parola familiare di prima.
Pronuncialo senza traccia di tristezza 
perché la vita conserva tutto il significato 
che ha sempre avuto.
C'è una continuità che non si spezza.
Perché dovrei essere fuori dalla tua mente 
solo perchè sono fuori dalla tua vista?
Ti sto aspettando in un posto qui vicino, 
proprio dietro l'angolo...



venerdì 25 ottobre 2013

Asterix

Visto che Gianni incita a segnalare cose positive, io credo che anche questa rientri fra quelle.
Chi di voi non ha mai sentito parlare dei fumetti ASTERIX?
Alago e Sponcio di sicuro...
Bene, e chi di voi sapeva che il disegnatore di questi fumetti ha radici in quel di Piovene Rocchette?
In effetti, ALBERTO UDERZO è nato sì, in Francia, ma suo Papà era un imprenditore di Piovene Rocchette. Aveva emigrato in Francia nel 1924, con un contratto di lavoro nell'Impresa "Diligenti". 
Odette segnala che a questa impresa i "Dalla Via - Ponta" fornivano la manodopera, come tanti in quel tempo e anche suo Papà nel 1922.
Alberto Uderzo, che nel video è quello con un foglio in mano, in Francia è diventato celebre e ricchissimo.
Nel 2009 la pattuglia acrobatica di Francia ha voluto rendergli omaggio come da video.

Alberto UDERZO era sposato con Ada, figlia di Teresa Milani originaria dei Lucùni vicino Valpegara. Teresa Milani era un'amica di mio Papà. Emigrata in Francia con la famiglia, abitava a Eaubonne vicino Parigi negli anni 20-30.
Alberto racconta nella sua autobiografia che ha incontrato la sua futura moglie Ada, nella famiglia del suo amico Bortolo Fontana, a Ivry sur Seine (Francia). Questo Bortolo era il nipote di Domenico Fontana Lorda, tutti originari di Valpegara, emigrati in Francia.

Il 14.7.2013, ha avuto dal governo francese una distinzione nazionale : Chevalier de la légion d'honneur !
La dedica che Uderzo ha fatto a mio Papà. (inviata da Teresa Milani alla mia famiglia)
(by Odette)






domenica 20 ottobre 2013

San Pietro 1910


Guardate in soli 20 anni com'è cambiato il paese!
 Perfino la chiesa ha cambiato posto e non sarà l'ultimo!
Ringraziamo Alago per questa meravigliosa foto.




Alago el gà un bon periodo e l'é in vena de moti...
par fortuna che al nostro òcio clinico d'oltralpe 
no ghe scapa gnente...
desso però Prof ghe zé la scrita storta


Claudio stavolta el gà superà Barukej... ah ah ah

Filastrocche antiche


Mario Pesavento mi trasmette due filastrocche 
"estrapolate" a Maddalena Toldo (badòna) 
nel marzo del 2009 dalla moglie Serena. 
Avrebbe piacere fossero pubblicate nel Blog 
per condividerle e perchè non vadano perdute. 
E noi ben volentieri, lo accontentiamo.

 
Ciuccia ciuccione , 
questa è la mia passione,
altro non so fare, 
che ciucciare, ciucciare.
Guai a chi  mi tocca, 
quando ho il ciuccio in bocca,
ciuccio contento 
e poi mi addormento...



Come brutto sei bambino, 
quando hai sporco il vestitino.
Guarda il collo 
e la faccetta è proprio poco netta.
Ora corri dal sapone, 
prendi acqua nel catinone,
e con acqua fresca e netta, 
lava il collo e la faccetta.




(by Maddalena badòna)

sabato 19 ottobre 2013

Italiani in Brasile


Questa foto rappresenta una squadra di operai, di cui parecchi italiani e in particolare di San Pietro in Val d'Astico a quel tempo ancora frazione di Rotzo.
Come si vede, stanno costruendo una galleria.
Ci sono due miei fratelli, Pesavento Luigi (Gigiòta), Lorenzi Giuseppe (borana) Sigaréta... ed altri.
Guardando la foto da sinistra, il primo che si vede con la baréta fracà e le braghe de fustàgno è mio fratello Pietro Bonifaci (Piero baise); quello più in là con il cappello da cowboy e gli stivali è Toldo? detto "sigaréta", capo cantiere, originario dell'ultima casa per andare ai Costa. 
Fu lui che fece andar giù gli operai di San Piero.
A destra, il primo in piedi in alto sopra le bore è da San Piero, ma non so il suo nome; il secondo è Pesavento Luigi Bagaria (Gigiòta) proprietario della fotografia.
In basso, in piedi: camicia bianca, cappello: Lorenzi Giuseppe (Bepi boràna); di fianco Wolfango Lorenzi (fango), papà di Don Diego.
Quando partì mio fratello Piero io avevo due mesi... 
Lo vidi per la prima volta nel '70.

(by Lino - per gentile concessione di Gianni Pesavento)

San Piero


Ringraziamo Giorgio per la foto e Alago per i ritocchini
Ho chiesto a Giorgio quando è stato costruito il ponte Maso 
e così mi risponde:


Cara Carla mi fai proprio una gradita domanda, il ponte fu costruito da mio nonno negli anni 1898-99 e fu inaugurato il 22 febbraio 1899 con un pranzo con gli operai che avevano partecipato alla costruzione, pranzo a base di bigoli olio e sardéle e qui sotto trovi il dettaglio della spesa:

22 Febbraio 1899

Inaugurazione del ponte e pranzo con gli operai


Pasta kg 7 a 0,60
4,20
Sardelle kg 0,4 a 3,5
1,40
Olio litri 1,5
2,25
Polenta
1,00
Pane
1,00
Formaggio
1,25
Vino litri 30 a 0,50
15,00
Legumi
0,60
Da Augusto bottiglie
2,00
Totale
38,70
Cucina e servizio
4,00
Totale
42,70


Adesso calcola pure quanti possono essere stati i partecipanti in base al vino e alla pasta! 

venerdì 18 ottobre 2013

El sigolòto



Se spetàva un mese de l’ano preciso, e zera proprio quelo de giugno, quando scumissiàva i primi caldi, tempo del tàjo del fen zò nei pré de l’Astego e in giro par le rive e le vanéde.
Tuto zera proprio netà, no ghe zera na vanéda o riva che no fusse tajà l’erba, naturalmente con la false che la vegnéva batù con maestria, sentà su na caréga, magari soto un pòrtego o sentà in un prà, con in meso a le gambe la piàntola, na specie de ciodo de fero con la testa bela larga in modo da posarghe sora la lama dela false. El  martélo par bàtare la false el doveva avere la testa tonda par no macàre el filo dela lama, tacà ala sintùra dele braghe bisognava avere el coàro, un corno de vaca vòdo con dentro acqua e la pria par rifarghe el filo ala false.


Noaltri boce se nava in giro par le rive e le vanéde a sercàre nele piante de “orno” un raméto ch’el fusse el pì adàto par fare el sigolòto “fischietto”. Ghe ne zera tanti, ma trovare quelo giusto zera na bela impresa, o el zera massa grosso, o el gavéva massa gropi, o la scorsa zera rovinà, o el ramo zera massa fin, insomma rampegàndose e saltando masiére, finalmente la pianta giusta se la trovava. Zera deventà quasi un rito, un sercàre maniacale de sti ramìti, parchè tuto dipendeva dala scelta del miglior legno parchè el sòno del sigolòto el gavéva da éssare  come na melodia.


Insòma, trovà sto raméto o pì ramìti, se scumissiàva el laòro ch’el dovéa éssare fato a regola d’arte.
Intanto, bisognava tajàre soto el primo gropo che se trovava, dopo se lo tajàva dela lunghessa  giusta che zera tra un gropo e l’altro.
Se tajàva in testa esatamente soto el gropo sucessivo, sichè vegnéva fora un bachéto che da na estremità el gavéva un gropo.
Dala parte opòsta se ghe faséa dù tajìti par formare na pìcola pendoléta, cavà via questa, apéna de sora del gropo se incideva giusto  apéna apéna la scòrsa tuto torno la circonferensa. Dopo rivàva el momento magico, e qua bisognava avere na serta concentrassiòn par far vegnér fora un sigolòto doc.
Prima se metéva sto bachéto tra i lavri, bagnandolo ben col spùo, dirìa quasi abondantemente, dopo se ciapàva el cortélo par la lama con el deo grosso e l'indice, se metéva el bachéto sul denòcio e faséndolo girare vanti e indrìo par la so circonferensa se batéva con delicatessa con el mànego del cortélo sul bachéto cantando na cansòn magica:

“Can  can
 pétola de can
 pétola de osso 
fame vegnér fora 
un bel sigolòto”

cantà con concentrassiòn, senò la magia, che faséa sì che la scòrsa se stacàsse perfetamente intiéra dal legno, no la riusciva.
Dopo vari tentativi con ripetissiòn de la cansòn, come un rosario, se provava se la scòrsa se stacàva. A volte funsionava tuto ben, ma ne la magior parte del volte la scòrsa se rompéa par longo e lòra bisognava riscumissiàre tuto da capo con naltro toco de bachéto.
Quando che le robe però le nava ben, pian pianélo se sfilava el bachéto dala scòrsa tegnéndola sempre inumidìa de spùo che faséa da lubrificante, dopo, se tajàva via el tocatélo in sima dove che se gavéa tajà la pendoléta, se lo infilava a l’estremità de la scòrsa e dopo dal’altra parte se infilava el resto del bachéto.
Supiàndo con forsa a pieni pulmùni e movndo in sù e in dò el bachéto... eco che da quel toco de legno vegnéa fora na melodiosa  e magica musica con tonalità diverse a seconda de la posissiòn del stantufo.


Credo che la riuscita de la fabricassiòn del sigolòto la sia sempre stà dovùda, sì, a la cansòn magica, ma anca a la bravura nel cantarla.
Nico Sartori




                                                                                                                                                                                           



Potenza del nome

[Gianni Spagnolo © 25A20] A ben pensarci, siamo circondati da molte cose che non conosciamo. Per meglio dire, le vediamo, magari anche frequ...