Vi ricordate di Cappuccetto Rosso, Biancaneve, La Bella addormentata nel bosco, Pollicino, Pinocchio? Fateci caso... le fiabe iniziano sempre con «c’era una volta». In inglese si dice Once upon a time, in spagnolo «Érase una vez,» in francese «Il était une fois», perfino in latino usavano l’espressione «erant in quadam civitate».
Ecco, nelle fiabe non vi viene mai detto dove di preciso accada una cosa, né quando.
Vedete, dietro l’espressione «c’era una volta» è racchiusa una grande verità. Questa verità non l’hanno mai capita i luminari che hanno vietato l’Odissea o riscritto Biancaneve perché secondo loro il bacio del principe è il retaggio di una cultura patriarcale. Perché? Perché grazie al «c’era una volta… tanto tempo fa» le fiabe vi spingono a proiettavi in un’epoca lontana dalla nostra.
Se ne fregano di dirti se Pollicino è vissuto nel medioevo o nel XIX secolo o se la matrigna di Biancaneve era o non era in base ai canoni moderni una donna emancipata.
Le fiabe parlano di crescita, sfide, mostri da abbattere o ostacoli da superare. Parlano dell’anima ed è questo che i fautori della "cancel culture" non riescono a capire! L’idea alla base della "cancel culture" è di una stupidità abissale: tutto ciò che «sembra» (sembra non è) lontano alla nostra cultura lo rifiutano. Pretendono che i ragazzi si confrontino soltanto con ciò che è «familiare».
A me fanno ridere coloro che dicono: «non è moderno, è lontano dal nostro tempo!» E meno male, vorrei rispondere a questi signori.
Vedete, gli antichi greci avevano una parolina curiosa per chiamare queste persone: «idiotes» (da cui deriva la parola idiota).
L’idiotes era l’uomo che pensava soltanto al suo orticello. Non gli importa nulla di guardare oltre il proprio naso, teme ciò che non gli è famigliare. Sapevate cosa rispose Einstein quando una mamma gli chiese come sviluppare l’intelligenza di suo figlio?
«Gli legga le fiabe!»
E la vera domanda è questa: vogliamo che i giovani sappiano dialogare e confrontarsi anche con chi non la pensa come loro o che siano limitati, degli «idiotes» appunto?
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