Le vece de stiàni a le jera tute vestìe de nero.
Quando una fémena si vestiva di nero, diventava automaticamente vecia. Diventava vecia anche se non lo era ancora anagraficamente e fisicamente, e lo rimaneva spesso vita natural durante.
L’oscuramento valeva anche per gli òmeni, ma con maggiori sfumature cromatiche che vertevano più sul marrone. Va considerato che era più facile per le femmine diventare vecchie, che non per i maschietti. Gli uomini, si sa, per guerre o incidenti sul lavoro erano allora più esposti a passare prematuramente a miglior vita; poi ci si metteva anche la genetica a dare alle donne qualche vantaggino in più. Erano quindi i lutti che imponevano spesso alle fémene di assumere il look da vecia. Fra malattie, incidenti, guerre e castighi vari che coinvolgevano il parentado, le donne d’un tempo apparivano vece in pressa, anche perché dovevano attenersi alle tradizioni in vigore. Non farlo significava mancanza di rispetto per il morto e incorrere nelle immancabili reprimende paesane.
Il lutto per un genitore o un figlio durava un anno. Per un fratello, una sorella, nonni, sei mesi. Il lutto per zie, zii, nipoti, cugini tre mesi. Il lutto veniva rispettato finché era sfoggiato dalle donne della famiglia che, a loro discrezione, potevano anche prolungarlo oltre i termini prescritti.
I segni del lutto non erano sempre uguali: c’era anche il lutto leggero e il mezzo lutto. Per fratelli e sorelle potevano essere 4 mesi di lutto grave, 2 di lutto leggero e 1 di mezzo lutto; per i cognati 3 di lutto grave e 3 di mezzo lutto; per i nonni 3 di lutto grave e 3 di lutto leggero; per i cugini carnali e i nipoti 3 mesi: metà di lutto grave e metà di mezzo lutto. Un gran casòto insoma! Solo le fémene sapevano destreggiarsi con queste regole per non incorrere nelle maldicenze di paese. Tanto più che avevano anche facoltà di estenderlo all'infinito per dimostrare pubblicamente il dolore per la perdita. La vedova, poi, era nera per eccellenza.
Nella storia occidentale, il colore associato al lutto e alla morte è il nero. In altre parti del mondo, per ragioni religiose o culturali, i colori del lutto possono essere diversi, dal rosso al bianco. Presso i Veneti il colore del lutto era infatti il rosso, finché non s’impose l’uso spagnolo del nero a partire dal XVI secolo, e tale rimase.
Spostandoci sul venale, va detto che il colore nero era anche fra i meno costosi da produrre, così come il marrone, dato che si estraeva dalla corteccia di diverse piante comuni, quali: ontano, castagno, faggio e querce. Diversamente dai colori vivaci e costosi, come l’indaco e la porpora, ricavati da pregiate tinture esotiche. Ecco che allora la tradizione e la modestia uniformava al nero gli abiti consentendo anche un qualche risparmio e contemporaneamente eliminava gli orpelli, costosi anch’essi. Mettersi in lutto era tutto sommato anche una convenienza che mirava all'essenziale, eliminando il superfluo. Il nero così' ottenuto si affievoliva poi con i lavaggi, diventando sempre meno vivido e assumendo infine la cosiddetta "tinta musso", ossia un grigio scuro dalle infinite sfumature che certificava inequivocabilmente l'antichità del lutto rappresentato.
Queste erano peraltro le consuetudini delle nostre polentose montagne, in altri contesti si elaborarono invece ricchi ed raffinati abbigliamenti che differenziavano lo stato civile della popolazione, come si può ancora vedere nelle coreografiche sfilate in costume dei nostri vicini tirolesi.