venerdì 6 maggio 2022

Marco, posso scrivere di te? Ops, troppo tardi...

Articolo di Martina Guglielmi

Chissà cosa mi dirà quando lo vedo. E se lo rivedo dopo questo breve articolo.



Vabbè, vorrà dire che la prossima volta farò più attenzione alla mia penna, ci metterò un tappo, ma nel frattempo io scrivo. Scrivo di un tipo particolare, ma nel senso positivo, si intende. Un tipo che ne fa di cose, parlo di avventure, esplorazioni, esercizi di comprensione. Uno che quando serve non guarda giù. Se deve lanciare, lancia, insomma.

E va bene, il suo nome è Marco, Marco Toldo. Lo avrai già sentito nominare o letto in qualche articolo di Planetmountain e non solo (“La via Angoscia al Monte Pasubio nelle Piccole Dolomiti finalmente ripetuta“, “Solleder – Lettenbauer alla Civetta in invernale per Nicola Bertoldo, Diego Dellai e Marco Toldo”, “Ripetuta la Diretta del Cafelate a Campolongo, un piccolo omaggio ad una grande cordata“, “Monte Agner nelle Dolomiti, salito finalmente lo scudo superiore“).

Scrivo di lui perché… e perché no? Ha molto da raccontare e qualche storia l’ho sentita anch’io. Qui scrivo quanto ho potuto capire da e di lui.

Un ragazzo che ha superato i 30, Marco, ma chi se ne frega dell’età? Finché le dita tengono, ma soprattutto per tutto il tempo che le montagne esistono, lui c’è. E le scala. Ne ha fatta di strada in salita Marco con i suoi amici, nelle Piccole Dolomiti e in quelle più grandi, ed è arrivato lassù, dove la roccia tocca il cielo perché non c’è più nulla che possa impedirglielo.

A lui non interessa la performance. Se in via trova un tiro di quarto o un tiro di ottavo, sale perché magari di lì è passato un altro scalatore che ha fatto la storia dell’alpinismo, l’autore di quella via che da anni nessuno ripeteva, magari.

E allora lui, quella via, la sale. Perché? Non mi ha parlato del motivo, quello si può immaginare, giusto? No, quello che ogni volta mi colpisce quando racconta una sua salita è la frase “quelli sì che erano forti!”.
Come dargli torto?

Marco (con i suoi compagni di avventure verticali, che saluto!) ha percorso vie chiodate anche decenni fa e all’epoca gli scalatori arrampicavano con scarponi e un abbigliamento non proprio leggero. Eppure hanno dipinto con i chiodi degli spettacoli su roccia, linee fantastiche su cui qualche chiodo magari è saltato, ma oggi abbiamo tutto quello che serve (come le protezioni veloci) per assicurarci e salire.

Poco tempo fa, ad esempio, in tre freddi giorni primaverili, Marco con Diego e Nicola hanno ripetuto la Solleder – Lettenbauer alla Nord-Ovest della Civetta, nelle Dolomiti.
“Aperta da Emil Solleder e Gustav Lettenbauer nel 1925, la via di 1200 metri è famosa per essere la prima via di sesto grado delle Alpi ed è stata ripetuta dai tre con due bivacchi in parete dal 7 al 9 marzo 2022. La prima invernale è stata effettuata nel 1963 da Ignazio Piussi, Giorgio Radaelli, Toni Hiebeler, mentre la prima solitaria invernale è stata effettuata da Marco Anghileri nel 2000.” [da http://www.planetmountain.com].
Non ti racconto la salita, l’anno fatto i tre alpinisti in questo bell’articolo che ti invito a leggere: “Solleder – Lettenbauer alla Civetta in invernale per Nicola Bertoldo, Diego Dellai e Marco Toldo“.

Marco Toldo sulla Solleder – Lettenbauer alla Nord-Ovest della Civetta – foto Diego Dellai

Scalare con scarpette e ramponi, mani e picche, su roccia e su ghiaccio, dormire in parete, vedere l’alba e il tramonto da prospettive a cui la gente terrena non è abituata: come spiegarlo? Non puoi. Il racconto, per quanto tu abbia a disposizione migliaia di parole, lo puoi leggere solo negli occhi di chi ha vissuto così la montagna.

“Ci sono vie che è come se ti mettessero le ali…” scrive Marco nel suo articolo su Alpinesketches.

Ho avuto la fortuna di parlare con alcuni alpinisti che queste avventure le hanno vissute: quando te le rivelano, il loro tono di voce è pacato e appare quasi indifferente. Quando mi racconta le sue esperienze, (come nell’intervista che ho fatto a lui, Diego e Carlo per la loro apertura della “Diretta quattro gatti” sullo scudo dell’Agner), Marco appare quasi imbarazzato. L’umiltà che noto in questi alpinisti è incredibile: per me sono imprese e per loro, a sentirli parlare, sono esperienze che hanno dato sì soddisfazione, ma soprattutto opportunità per riflettere. La passione di Marco per la storia dell’alpinismo, per i grandi scalatori che hanno compiuto salite fantastiche con le minime attrezzature e un abbigliamento quasi impensabile oggi, è davvero ammirevole. Ripercorrere i loro passi scalando le loro vie è una parte della vita alpinistica di Marco che si percepisce in uno sguardo talvolta perso in qualche orizzonte, sulle rughe forgiate dal sole e dal freddo, sui calli delle mani e in quella emozione che flebile senti quando pronuncia il nome di qualche scalatore del passato.

Marco vive in Val d’Astico, una terra dove è nato e dove di una cosa è certo, lì vuole vivere. Ora parte della sua vita è dedicata a insegnare ai più giovani l’arrampicata e a comprendere alcuni segreti che la roccia è capace di svelare durante il percorso.

La montagna è onnisciente e per avere risposte devi sapergliele chiedere. Qualcuno ci ha provato, a pochi ha risposto. Forse Marco è uno di questi.

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