【Gianni Spagnolo © 200625】
Nell'anniversario della Battaglia dell'Ortigara ripropongo questo post, già pubblicato cinque anni fa in occasione del centenario d'inizio della prima Guerra Mondiale.
Mi era stato raccontato che mio nonno materno, Antonio Lucca, aveva combattuto sull'Ortigara, assieme a Francesco Nicolussi (Checo Mistro), Giuseppe Garibaldi Lorenzi (dai Alfieri) e altri del paese che non ricordo e che era stato fatto poi prigioniero, ma nient'altro. Sapevo che era negli Alpini, ma non in quali reparti avesse militato e dove e in quali circostanze fosse stato catturato. Né mia nonna, né mia madre, seppero mai raccontarmi di quei fatti, pur con le mie insistenze di bambino affascinato dalle vicende di guerra. Semplicemente non lo sapevano, dicevano che il nonno non ne aveva mai voluto parlare.
Non ebbi modo di conoscerlo, me nono Toni. Era della classe 1893, emigrato in Slesia appena tredicenne a fare il bocia nelle miniere dell'Imperatore, destino comune con altri paesani. Morì di silicosi nel 1941, dopo una vita di miniera ed emigrazione, vittima di quel subdolo "mal di miniera" che seminò di vedove e di orfani la nostra valle. Praticamente trascorse in Italia solo la fanciullezza, il periodo militare e gli ultimi anni di vita. Era un minatore socialista, che rifiutò la tessera del fascio e pertanto impedito di lavorare in patria; una Patria che selezionava i suoi figli. Si costruì una famiglia in Francia, dove nacque anche mia mamma, lavorando nei pozzi carboniferi del Pas-de-Calais; per finire in Somalia dove si prese la malaria che lo minò ulteriormente nel fisico.
Di lui m'era rimasto solo uno stupendo orologio da taschino e una nave in bottiglia, dono d'un suo amico francese che aveva viaggiato da marinaio nel Mar della Cina. L'orologio l'ho purtroppo distrutto nei miei esperimenti meccanici di bambino, la bottiglia invece la conservo gelosamente appesa in ufficio.
Recentemente, complice la ricorrenza del centenario della Grande Guerra, m'è venuta improvvisa voglia di far luce su quegli eventi, risalire al suo foglio matricolare, colmare questa lacuna. Mi sono recato dunque all'Archivio di Stato di Vicenza, benemerita istituzione dove sono conservati tanti documenti della nostra storia e anche quelli dell'Archivio Militare di Vicenza.
Presto trovato: matricola n. 5516:
Luca Antonio di Beniamino (Il cognome Lucca a quel tempo si scriveva ancora così);
nato a Rotzo il 12 aprile del 1893.
Chiamato alla leva nel 1913, congedato nel 1914.
Richiamato alle armi il 30 aprile 1916, assegnato al 6° Rgt. Alpini, Btg. Bassano.
Disperso nei combattimenti del Monte Ortigara il 25 giugno del 1917.
Dichiarato prigioniero di guerra il 18 novembre 1917.
Rientrato al Corpo dalla prigionia il 7 febbraio 1919.
L'Italia aveva vinto la guerra!
Non si può restare indifferenti scorrendo quei libroni con annotata burocraticamente la storia militare di quegli uomini, ragazzi diremmo ora, molti dei quali non sono più tornati, sono rimasti feriti o fatti prigionieri. Ancor più leggere quella sfilza di cognomi familiari: gente della nostra terra. Il battaglione Alpini "Bassano" e il suo gemello "Sette Comuni" del 6° Rgt. Alpini, infatti, erano costituiti prevalentemente da uomini dell'Altopiano e delle sue valli; combattevano praticamente sulle porte di casa, vedendo nel contempo l'immane distruzione che quel conflitto arrecava alla loro piccola Patria.
Ma cosa successe sulla vetta dell'Ortigara quella fatidica notte del 25 giugno 1917? Vediamo cosa dicono le cronache ufficiali:
"... Alle ore 2.30 della notte del 25 giugno iniziò l’attacco violentissimo contro gli italiani che occupavano l’Ortigara. Sulla pietraia martoriata dalle bombe, illuminata dalle fiammate terrificanti dei lanciafiamme, ricoperta da nubi di gas asfissianti, si consumò il sacrificio degli alpini e dei fanti. Dal buio sbucarono all’improvviso le pattuglie d’assalto nemiche, armate di bombe a mano e lanciafiamme. Dopo una resistenza disperata la vetta insanguinata dell’Ortigara, trasformata in un enorme cimitero di soldati, ricadde in mano austriaca. Più a lungo resistettero i difensori di quota 2.101, ma dopo reiterati assalti del nemico, il caposaldo passò in mano avversaria. La lotta fu accanita, dalla baionetta al corpo a corpo, sino a precipitare avvinghiati giù nei ripidissimi canaloni che scendono in Valsugana ..."
Ah,.. eccolo dov'era! ... Forse ora capisco perché non amava parlarne.
Il suo battaglione, distrutto e ricostruito più volte, aveva infatti già vissuto, in quel terribile mese di giugno del '17, l'attraversamento del Vallone dell'Agnellizza (chiamato il Vallone della Morte) e la conquista del costone nord-orientale dell'Ortigara sotto un fuoco micidiale di sbarramento.
Poi la prigionia aggiunse sicuramente pena alla tragedia.
... "Nei giorni successivi si fecero numerosi tentativi per riconquistare le posizioni perdute, ma senza ottenere successo: ormai il destino dell'Ortigara era fatalmente segnato. I 22 battaglioni alpini che parteciparono alla battaglia, persero 461 ufficiali dei quali 17 comandanti di Battaglione e 12.700 fra Caduti, Dispersi, feriti e prigionieri. ... Sebbene l'offensiva italiana contro le formidabili posizioni austro-ungariche non raggiungesse i risultati prefissati, la Battaglia dell'Ortigara, nel quadro generale della guerra, servì a frenare la opprimente minaccia nemica verso la pianura vicentina e contribuì ad impegnare nel settore trentino una notevole massa di soldati austriaci a tutto vantaggio delle operazioni su altri fronti. Su quelle aspre montagne alpini, fanti e Kaiserjäger hanno scritto pagine di storia eroica che non vanno dimenticate."
Fin qui la cronaca bellica, col corollario di retorica buono per i Libri di Storia. D'una Storia con la quale forse noi non abbiamo fatto onestamente i conti.
Altre storie, più piccole e sommesse, tramandano di quel mercoledì mattina del 27 giugno 1917, quando i pochi Alpini superstiti della fatidica notte transitarono da prigionieri per la Bocchetta del Kempel e la Porta di Manazzo. Erano segnati nel corpo e nell'anima da mesi di combattimenti durissimi e da ordini scellerati e venivano avviati ai campi di prigionia ai limiti dell'Impero. Avvenne che incrociassero gli sguardi di alcuni soldati dell'Imperatore che provenivano dalla medesima valle, che avevano lavorato con loro, che con loro erano andati a ballare e far festa fraternamente. Féne star chìve con valtri. Gli dissero. A no podén mìa! Risposero questi affranti. Si racconta anche che il comandante austriaco di quelle retrovie fece schierare i reparti e ordinare il presentat'arm, per onorare cavallerescamente quei nemici che non arretrarono. Ma anche questo mi pare non sia stato scritto, perché forse non stava bene farlo, perché le vittorie annebbiano la verità più delle sconfitte.
Più di sessant'anni dopo, mi sono trovato in quegli stessi luoghi, militare in un campo d'arma. Portavo anch'io la penna nera sulla nappina verde, come mio nonno.
Ringraziando Dio, la mia è stata la prima generazione della mia famiglia a non averla portata in guerra.
Sperèmo in bèn!