Nella vita contadina dei nostri paesi ogni cosa, ogni animale aveva un suo ruolo, niente o quasi era tenuto come “sovrappiù” se non qualche uccellino in gabbia, catturato durante il passaggio autunnale. Così il cavallo, o l’asino si meritavano le cure del padrone perché avevano il compito di tirare il carro, di rivoltare la terra con l’aratro, di trainare nel bosco i tronchi dei grandi abeti o dei faggi abbattuti. La mucca era accudita perché preziosa per il latte e i vitelli e chi non poteva permettersi una mucca poteva almeno allevare qualche capra o pecora. Le galline davano uova, ogni giorno e poi pulcini che sarebbero diventati polli per la cucina della festa. E il gallo? Beh, il gallo aveva un ruolo importante nel pollaio che lo autorizzava a vivere praticamente “a sbafo” cibandosi per primo, del più buon grano e girando di qua e di là, razzolando, altezzoso e colorato, come un re. Anche lui aveva un importante ruolo, anzi due: fecondava, in primavera, le uova delle galline in modo che, dalla cova, nascessero i nuovi pulcini e dava la sveglia al padrone e all’intero paese, al sorgere del sole, ogni mattina. Ma quando si avvicinava l’estate il pollaio era pieno di nuovi galletti e gallinelle nate nel periodo pasquale e, in un mondo dove nessuno poteva essere mantenuto “a scrocco” una delle funzioni del gallo, quella di fecondare le uova, era adesso venuta meno e, per un anno non se ne parlava più! Allora valeva davvero la pena mantenere nel pollaio più galletti in crescita e il vecchio gallo che era stato allevato con cura e sopravvissuto all’inverno precedente per essere pronto in primavera a fare il suo lavoro di “padre del pollaio”? In modo forse poco grato, la sua presenza era ora considerata un “di più” e mantenerlo per altri mesi costituiva un impegno costoso. Un altro giovane galletto avrebbe preso il suo posto e sarebbe stato curato, nel prossimo autunno e inverno in modo da essere pronto e “ringalluzzito” in primavera. Non serviva più il vecchio gallo che così, in questi giorni di giugno, quando si avvicinava la festa dei santi Pietro e Paolo, finiva in pentola e sui piatti degli avidi commensali, quando la carne era considerata una prelibatezza e una gran bontà. Finiva la sua vita, il padrone del pollaio, prima della nuova estate. Era lui, tristemente, senza saperlo “El galo de San Piero!”. Memorie della cultura contadina misurata e sobria, dove ogni scelta era oculata e serviva per la vita di ogni giorno.
Lucio Spagnolo
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