domenica 30 giugno 2019

La pagina della domenica




LA RIFLESSIONE


Racconta la leggenda, che un serpente inseguiva una lucciola per divorarla.
Il piccolo insetto faceva l'impossibile per fuggire dal serpente.
Per giorni fu una persecuzione intensa. Dopo un po' di tempo, la lucciola stanca ed esausta si fermò e disse al serpente:
Posso farti tre domande?
Il serpente le rispose: - "Non sono abituato a rispondere a nessuno però siccome ti devo mangiare, puoi chiedere!" -
- "Domanda numero 1: appartengo alla tua catena alimentare?" - chiese la lucciola.
"- No!" - rispose il serpente.
- "Domanda numero 2: Ti ho fatto qualcosa di male?" - disse la lucciola
- "No, assolutamente!" - Tornò a rispondere il serpente.
- "Domanda numero 3: E allora.... perché vuoi mangiarmi?"
- "Perché non sopporto vederti brillare!"
Morale: In varie occasioni può capitare di incontrare persone che ti criticano, condannano, etichettano, sebbene tu non abbia mai fatto loro qualcosa di male, e malgrado tu ti sia dimostrato gentile con loro. E tutto ciò avviene perché, così come la lucciola, possiedi la tua luce interiore, illumini il tuo cammino e il cammino di molti che camminano nell'oscurità. Brilli più degli altri, come fa la lucciola di notte e questo è difficile da sopportare per alcune persone, perché non hanno quella luce interiore, quel brillìo proprio e soffrono vedendoti brillare.
Sono persone che vivono nell'infelicità. Tu non smettere mai di essere te stesso, di illuminare con quella tua luce, anche se questo dà fastidio a coloro che vivono nella totale penombra.
“I serpenti che mangiano le lucciole non capiscono che poi rimangono al buio per sempre. “


LA POESIA

Prendo una pausa dalle ombre costanti
e tento un affondo di chiarezza inusuale
sugli argomenti in sospeso, i desideri virtuali,
i cantieri sempre aperti sui sogni.
Progetto i giorni senza una forma
che si allineano sul fondo della noia
abitandola in ogni suo anfratto.
Chiedimi cosa voglio e ti sorprenderò
col sipario di silenzi, drappi di velluto
ai fianchi su scene vissute mille volte
e vicoli ciechi dove ho lasciato l'incanto
di stagioni promettenti.
Sono fuori tempo
fuori moda
fuori ...

Francesca Stassi


LA FRASE

Scegliere con chi parlare è importante. Capire con chi tacere, di piú.

NATURA



PROVERBI E NON SOLO

Se tonéda sensa piòvare... dal campo no te mòvare...
ma se piove e tonèda... scapa via dala vanèda!



La piccola Veronika e un viaggio inaspettato




Silenziosa e muta se ne stava la vecchia casa, solo il rumore del vento tra i logori infissi faceva sentire la sua voce, i raggi del sole accarezzavano le mura stanche e la pioggia bagnandola, le portava sollievo. Aveva visto giorni migliori quella casa, tempi dove la luce entrava dalle finestre aperte, dove il vociare di bimbi riempiva le stanze, o i ricordi degli anziani si mescolavano alla polvere del tempo. 
Fino al giorno in cui, dopo anni di vita, tutto si era fatto silenzioso e triste: i balconi chiusi, le porte sbarrate, nessun segno di vita, in qualsiasi stagione. 
Quando la signora Iva abitava alcune stanze di quella casa, il giardino era tutto fiorito e sui davanzali delle cadenti finestre, i vasi di fiori la rallegravano e le portavano gioia: con il tempo, aveva dovuto abbandonare quella dimora perché la sua salute non le permetteva più di stare da sola. 
Ora anche il giardino sembrava abbandonato come la casa, eppure le siepi e le ortensie continuavano a fiorire nella bella stagione. 
Ai fiori non importa se la casa è disabitata, se il cortile è spoglio, se nessuno si prende cura del giardino: la voglia di ricominciare, ogni primavera, è così forte che le siepi rinverdiscono e le ortensie di un color rosa acceso, formano dei cuscini stupendi. Ed è proprio in quel cuscino che inizia questa storia.

Era un chiaro mattino di giugno e il sole, facendo capolino dalla Valdassa, illuminava con una luce particolare tutto il paese, gli alberi, i giardini. La notte era stata piovosa, ma all’arrivo del giorno, il cielo si era fatto limpido, tanto da sembrare dipinto... Tutto intorno, solo il cinguettio degli uccelli che festosi salutavano il nuovo giorno; solo silenzio… la grande casa era come sempre addormentata e triste, ma nel giardino la vita era tornata. Fiori, steli verdi, siepi e i prati intorno, disegnavano una cartolina d’altri tempi, mentre tanti piccoli animaletti prosperavano indisturbati. Tutta quella bellezza sembrava quasi un omaggio, un dono che ancora una volta arrivava e portava un po’ di vita tra quelle mura disabitate. 
Nascosta tra i grossi fiori di ortensia, insieme a tante piccole amiche, stava Veronika, una simpatica chiocciolina che era nata nel prato e lentamente era riuscita a salire fin sulla cima swl grande fiore. Da lì aveva visto quanto era enorme il mondo intorno a lei e sognava di poter andare lontano, esplorare altri luoghi, fare nuove conoscenze… ma chi stava vicino a lei, ripeteva in continuazione che era un sogno impossibile! Eppure, nonostante la sua proverbiale lentezza, lei sognava di essere veloce come il vento che soffiava sul prato, sognava nuovi paesaggi, foglie tenere di cui cibarsi, nuove avventure… 
Mentre era intenta a fantasticare, sentì dei passi percorrere il ghiaino del cortile, poi più leggeri arrivare fino a dove lei si era appostata… cosa stava succedendo? 
Sentì una voce chiedere con gentilezza: “Iva, posso?" Grazie! Non ebbe il tempo di realizzare cosa stesse accadendo che una mano prese lo stelo del fiore, lo recise, quindi lo appoggiò dentro un cestino di vimini e lei, attaccata su quel fiore, quasi stordita, iniziò a viaggiare. Uno scossone la fece cadere dal suo appiglio e dalla paura, si ritirò tutta dentro la chiocciola, rimanendo ferma, immobile, terrorizzata… Rimase così sul fondo del cesto e percepiva solo il dondolio ritmato di chi portava quello strano contenitore. Quando tutto si fermò, pensò di uscire: prima con un cornetto, poi l’altro, con coraggio mise fuori il corpo e fu felice di ritrovare il suo fiore e di cibarsi ancora di qualche frammento di foglia. Pensò ai suoi tanti sogni, ma ora aveva paura, una grande paura e desiderava più di ogni altra cosa di tornare dove tutto era per lei conosciuto. Veronika si sentì sollevare e si avvinghiò ancora di più intorno ai petali del fiore, mentre una mano prendeva i fiori e con una forbice ne tagliava i petali: finì ancora una volta in fondo al cesto, rannicchiandosi e nascondendosi nella sua sicura casetta. Attese e poco dopo, sentì ancora quell’ondeggiare che aveva percepito poco prima, poi ancora tutto fermo… si sporse e si trovò in un altro luogo: profumi, voci, canti... ma.. dove si trovava? Si adagiò sui petali profumati, colorati, diversi dal fiore dov’era quel mattino e rimase lì ad ascoltare gustandosi quei momenti. Passò un po’ di tempo e prima di nascondersi ancora fece in tempo a vedere un grande Sole dorato che stava sopra tutti, quando i canti si fecero più forti e il movimento intorno le fece capire che doveva ancora una volta rientrare anche se la curiosità era grande…
Veronika con attenzione si arrampicò tanto da vedere cosa stava succedendo: vide dei bimbi con i cestini che spargevano mille petali di fiori al passaggio di quel Sole che aveva visto poco prima e che doveva essere proprio importante se al suo passaggio la strada era fiorita e profumata! Per ben due volte una mano prese i petali dal cesto e fra loro era attaccata la chiocciolina; ma chi teneva il cesto l’aveva vista e riposta mettendola al sicuro. Possiamo immaginare la fine di Veronika insieme ai petali sulla strada: quante persone passando l’avrebbero schiacciata e la sua vita sarebbe finita tra i petali.

Ormai i cesti, strada facendo, si erano svuotati: una brezza leggera spargeva i petali colorati qua e là quasi a farli sembrare leggere farfalle che, sospinte dal vento, svolazzando, creavano un immagine dolce e colorata. Veronika rimase completamente sola nel grande cesto, rannicchiata e spaventata. Dopo poco, la mano la riprese, la depositò con cura su una verde foglia e lei, sentendone il profumo, uscì piano piano e si guardò intorno. No, non era nel suo giardino, l’ambiente che vedeva non era adatto a lei, ma che fare? Ando un po’ in giro, prima con cautela, poi sempre più decisa; voleva conoscere, esplorare, ma desiderava tornare nel suo prato, tra i fiori e con le sue piccole amiche… Niente da fare, nulla intorno aveva il sapore famigliare, nemmeno i suoi sogni corrispondevano alla realtà… ora si trovava in un luogo sconosciuto e chissà... 
La mano la riprese con dolcezza, la trattenne un attimo poi la lasciò andare salutandola… “Ciao Veronika!” 
Sorpresa e gioia si mescolavano, era stata riportata nel giardino, nel suo giardino e dalla felicità rotolò più volte su sé stessa e poi uscì con i cornetti a salutare gli abitanti del prato e quello che le stava intorno. Era ritornata nel giardino vicino alla grande casa, tra la quiete di quel luogo e poteva continuare tranquillamente la sua semplice vita. Ripensò all’avventura straordinaria che aveva vissuto e a com'era sopravvissuta a una fine certa: ora grazie a chi l’aveva aiutata era viva ed era tornata nel luogo d’origine. Avrebbe avuto tutto il tempo per raccontare, per spiegare le emozioni di quella giornata, per cercare di far capire alle sue amiche che chiedevano dove fosse stata… ma ora non ci pensava: 
adesso finalmente, era a casa!



Ho scritto questo racconto anni fa, ricamando e fantasticando su quella chiocciola che mi sono trovata nel cesto il giorno del Corpus Domini, quando, al mattino, sono andata a raccogliere i fiori nel giardino della casa dei “Cencia” in via Giardini n° 5, dove abitava la signora Iva. 
Lei mi accordava sempre il permesso di raccogliere fiori per il capitello in piazza e per la processione del Corpus Domini. Per noi era un tacito accordo continuato nonostante lei non abitasse più in quel luogo; io mentalmente le chiedevo il permesso ed ero certa che lei ne fosse felice. 
Quest’anno non ho potuto raccogliere i fiori, ma ho pensato a Iva che ormai non c’è più e, recitandole una preghiera, l’ho ringraziata del suo grande cuore, del suo sorriso e di quello che semplicemente, sapeva dare a chi la incontrava. Per questo ho ripreso in mano la malacopia del racconto, l’ho ricopiata, sperando sia un dono gradito a chi legge…

Il SOLE nel racconto è l’OSTENSORIO, l’arredo sacro con cui si porta l’OSTIA CONSACRATA QUINDI IL CORPO DI CRISTO, durante l’adorazione e la processione per le vie del paese nella solennità del CORPUS DOMINI.

Lucia Marangoni





Olimpiadi invernali 2026 - metropolitane, itineranti, climalteranti... senza neve


È deprimente vedere l’euforia della partitocrazia e dei media per la decisione del Cio di assegnare a Milano-Cortina le Olimpiadi Invernali 2026. 
La candidatura e l’esultanza per la scelta di Milano-Cortina è “apoteosi” e “metafora” allo stesso tempo della nostra “superficialità”, del nostro “surfare social-mediatico” sopra le notizie, mentre si stanno decretando nuovi colpi mortali all’equilibrio ambientale dei nostri territori, del nostro paesaggio geografico e umano. 
In questa vicenda la “neve” che si scioglie nell’Antartide o che non viene, o tarda a venire sulle nostre montagne, elemento “base” dei giochi olimpici invernali, diventa, specie la sua “incerta presenza” nel periodo desiderato, “simbolo” della nostra “superficialità”, della nostra “ingiustificata ignoranza” su quello che sta accadendo in Italia e nel Pianeta. 
Ma nell’epoca dell’Antropocene l’uomo continua a pensare che può fare di tutto senza conseguenze. 
La tempesta Vaia? E chi se la ricorda. Le frane nella Val del Boite? Nessun problema, Zaia proclamerà l’ennesimo stato di calamità (in)naturale e Roma ladrona pagherà i danni causati dal malgoverno del territorio veneto e autonomo. L’uomo continua a pensare che singoli atti non intacchino irrimediabilmente, assieme a tanti altri atti singoli, le condizioni per la “sopravvivenza” della specie umana. 
16 dei 17 anni più caldi della Terra si sono registrati dal 2001 ad oggi. 
La neve che scarseggia nelle nostre montagne dovrebbe costringere una “politica dignitosa” e dei “media indipendenti” a trattare dei “cambiamenti climatici” ogni giorno in parlamento e nei giornali. Invece no. Si vogliono organizzare e finanziare le Olimpiadi con tutto l’indotto infrastrutturale e antropico su un’area patrimonio dell’Umanità e trasformare una metropoli e il suo stadio in un set scenografico di attività sportive invernali di montagna. 
Il Cio (Fonte Sole24h) metterà 900 milioni dei 1,3 miliardi necessari e 400 milioni li dovranno mettere Regioni e Comuni e altri 340 milioni saranno spesi per nuove strade, nuove rotonde, nuove pedemontane venetolombarde, nuovi Terraglio Est. Certo, ci saranno introiti dalla vendita di biglietti e un ritorno economico per la ricettività e dopo? Torino 2006 non ha insegnato niente? Avremo un territorio più fragile, più esposto agli “effetti” dei “cambiamenti climatici”, ricoperto di infrastrutture viarie percorse da auto e camion inquinanti. E il paesaggio? Sarà così attrattivo, una volta spente le luci sfarzose dell’evento? 
Canada, Svizzera e Austria hanno detto no, in nome della tutela dell’ambiente, all’ipotesi di ospitare le Olimpiadi Invernali e non credo abbiano un ambiente così inquinato e cementificato come il Veneto e la Lombardia. Quando sarà chiaro a tutti che eventi del genere l’Italia non può più permetterseli perché densamente popolato e perché dagli anni 60 in poi l’ambiente e il suolo sono stati saccheggiati, devastati, consumati? 
Ora, a questa situazione già “critica”, si stanno sommando gli effetti dei “cambiamenti climatici” e l’unica cosa seria e “moralmente” accettabile è fermarsi in questa convulsa corsa all’affarismo, al distribuire “panem et circenses”, al coniugare “consumo di suolo” e “devastazioni della natura” al benessere presente e futuro, ignorando “colpevolmente” gli effetti dei “cambiamenti climatici” e non stanziando le risorse per questo impellente impegno epocale di contrasto ai cambiamenti climatici. I 400 milioni a carico di Regioni e Comuni, i 340 milioni per nuove infrastrutture e i costi (di acqua ed energivori) molto probabili (fra 7 anni) per produrre migliaia di tonnellate di “neve artificiale” per ricoprire tutti gli impianti sono risorse distolte all’impegno urgente per la riduzione delle emissioni in atmosfera. 
Ma chi se ne importa: 
lo show dell’indifferenza “must go on”. 
Tutti ad applaudire il podio olimpico: si festeggiano i vincitori con il Prosecco Doc e la benedizione Unesco.

Schiavon Dante, un angelo del suolo
difesa salute territorio

venerdì 28 giugno 2019

Le Calli ciosòte




A Chioggia tante chiese, tanti ponti, ma anche tante calli che un tempo sono state fulcro della vita popolare cittadina. 
Nelle Calli si faceva di tutto: si giocava, si chiacchierava, si lavorava, si vendeva e tanto altro ancora. 
Inoltre ognuna aveva la sua caratteristica, spesso legata agli umori prevalenti degli abitanti. 
Alcune erano famose per le baruffe ciosòte, altre per il lavoro delle donne nel riparare le reti da pesca e così via...
Ogni calle risultava un piccolo universo con i suoi momenti di gioia o di dolore. 
Adesso vi si trovano osterie, trattorie e negozi con le loro vetrine.
Franca Rocchetti

Il radicchio di Treviso


Secondo alcuni studiosi, la coltivazione del radicchio iniziò da metà del XVI secolo anche se non vi è alcuna traccia nei testi di divulgazione agronomica pubblicati nel'700 a Venezia. 
Le prime notizie del radicchio si hanno nella seconda metà dell'800: un libretto dedicato alle operazioni necessarie per la cura dell'orto durante i vari mesi dell'anno.
La consacrazione vera e propria del radicchio rosso come pregiato ortaggio invernale simbolo di Treviso e protagonista delle tavole avviene per opera di Giuseppe Benzi, un agronomo di origine lombarda trasferitosi nel 1876 a Treviso come insegnante e che, divenuto responsabile dell'Associazione Agraria Trevigiana, darà vita, nel dicembre del 1900, alla prima mostre dedicate alla «rossa cicoria».
Non è mai stata ben chiara l'origine della tecnica dell'imbianchimento (fondamentale per questo ortaggio) e a riguardo vi sono due teorie.
La prima e più probabile, riguarda Francesco Van den Borre, il quale, giunto nel 1860 nel Veneto dal Belgio, specializzato nell’allestimento di parchi e giardini, si ritiene abbia usato sui radicchi di campo la tecnica dell’imbiancamento, allora assai diffusa in Belgio.
La seconda, più fantastica e mistica, è quella che i contadini, con l’arrivo dell’inverno, avessero tentato di conservare i radicchi nelle stalle e che, casualmente, si fossero accorti che invece di marcire alcuni cuori di radicchio fossero anzi buoni e croccanti: avendo poi a disposizione l’acqua sorgiva utile per tenerli sempre freschi si ritiene che abbiano iniziato questa nuova coltura.
Buon appetito!
Veneto a 360°

giovedì 27 giugno 2019

Carrarmato - di Mariano Castello (granfati)




4,4 miliardi di africani entro fine secolo: ecco la vera questione che non possiamo più ignorare


I megatrend sono i cambiamenti in corso da molti anni, destinati a durare ancora a lungo, come la crescita demografica. 

Siccome invertirli è impossibile, bisogna prepararsi a gestirli. Ecco come.



Così come disponiamo di strumenti per studiare e ricostruire la storia, analogamente esistono strumenti scientificamente solidi per immaginare e studiare il futuro. La ricerca ha infatti sviluppato strumenti affidabili per tracciare i megatrend che caratterizzeranno i prossimi decenni ed elaborare scenari sufficientemente precisi per guidare le decisioni nel presente. Intelligenza collettiva, tattiche militari, strategie resilienti riempiono la cassetta degli attrezzi di una nuova professione: quella del futurista, per la quale, però occorre un talento particolare, ovvero la capacità di nutrire grandi aspirazioni.
Pubblichiamo un estratto di Lavorare con il futuro. Idee e strumenti per governare l'incertezza di Roberto Poli (edizioni Egea)

Megatrend ed esplorazioni rappresentano previsioni e scoperte on steroids. Entrambi si riferiscono a serie coordinate di cambiamenti in corso da molti anni, tipicamente decenni, che promettono di perdurare ancora a lungo, ed entrambi hanno a che vedere con trasformazioni rilevanti, che influenzano molti altri mutamenti, impattando su diversi settori economici e modificando profondamente forme e meccanismi sociali. La principale differenza fra megatrend ed esplorazioni è che le variabili fondamentali dei primi sono determinate, mentre quelle delle seconde sono aperte e oscillanti.
Uno degli errori più gravi che un futurista possa commettere è proprio quello di confondere un’esplorazione con un megatrend, ovvero considerare qualcosa che tutto sommato si può ancora orientare come qualcosa su cui c’è ben poco da fare.
I megatrend sono così profondamente incassati nel funzionamento complessivo del mondo che la sola idea di provare a invertirne uno, appare implausibile. 
Rispetto a una tendenza di questo tipo c’è ben poco che possiamo fare, se non prepararci a gestirla; la possibilità di deflettere un megatrend è close to nil, praticamente zero, benché non manchino alcune rare possibilità di intervento. A seguire ne presenterò un caso.
I megatrend sono spesso accompagnati da trend secondari che si muovono in direzione opposta. Per esempio, la costante crescita globale delle città è accompagnata da un movimento contrario di fuga dalla città e di ritorno nelle campagne. Il ripopolamento di alcune valli dell’arco alpino esemplifica bene questa controtendenza: dopo decenni di progressiva fuga dalla montagna, assistiamo ora a un flusso contrario di persone che decidono di tornare a vivere in montagna. Prestare attenzione ai controtrend può rivelarsi fruttuoso, poiché non di rado si tratta di indicatori di potenziali nicchie di mercato. L’importante è non confondere gli uni con gli altri, i megatrend dominanti con i controtrend secondari che ne contrastano gli effetti.
Di seguito andrò a illustrare alcuni esempi di megatrend. Tralascerò volutamente altri casi molto dibattuti, quali i cambiamenti climatici o le nuove tecnologie, non certo perché meno rilevanti, ma perché rientrano già stabilmente nel radar di chiunque voglia guardarsi attorno. Le descrizioni a seguire saranno per forza di cose altamente schematiche: ognuno dei temi che presenterò richiederebbe interi volumi per essere adeguatamente presentato, ma un’esposizione compatta permetterà comunque di farsi una prima idea.

Crescita demografica







Alcune osservazioni:

1. entro fine secolo dovremmo aspettarci di passare, nel mondo, da 7,5 miliardi a 11,2 miliardi di persone; quasi quattro miliardi in più della popolazione attuale. Si tratta di un aumento mastodontico. Dar da mangiare, istruire, fornire abitazione e lavoro a oltre undici miliardi di persone sarà tutt’altro che facile: sarà una sfida ciclopica per la classe dirigente politica globale;

2. la popolazione dell’Asia rimarrà stabile. L’analisi dei dati paese per paese indica, per esempio, che ci possiamo aspettare un limitato aumento in India (da 1,3 a 1,5 miliardi di persone) e un importante calo in Cina (da 1,4 a 1 miliardo di persone);

3. la popolazione europea calerà, passando da circa un decimo della popolazione mondiale a poco più di un ventesimo della popolazione mondiale; un continente saturo e ormai maturo che dovrà accantonare qualsiasi pretesa di leadership planetaria;

4. l’Africa esploderà, passando da 1,2 miliardi a 4,4 miliardi di persone. Nel caso in cui le condizioni ambientali (per esempio, la mancanza di acqua) o sociali (mancanza di lavoro, guerre, epidemie) non consentissero alle persone di vivere nei luoghi in cui sono nate, che cosa potrebbero fare se non cercare di andare «altrove»?

È evidente che siamo in presenza di alcune problematiche strutturali che rimarranno attive per svariati decenni. Fortunatamente, però, l’aumento della popolazione è uno di quei rari megatrend che permettono di intervenire e di provare a modificarne la traiettoria. L’attesa di un’enorme esplosione demografica africana è legata al fatto che il 41 per cento della popolazione africana si trova nella fascia di età 0-14 e che in Africa non si è ancora realizzata la transizione demografica, ovvero il passaggio da cinque-otto figli per donna a uno-due figli per donna. Due azioni possono condizionare questo processo: inviare le ragazze a scuola e cominciare a migliorare la qualità complessiva della vita, innescando un certo livello di sviluppo economico.

La prima è abbastanza semplice: poiché maestri e professori sono sottopagati in tutto il mondo, costruire e sviluppare un sistema educativo generalizzato comporterebbe un costo relativamente basso. I paesi africani dovrebbero ricevere input, stimoli e aiuti per sviluppare in tempi brevi una nuova classe insegnante indigena che, grazie a estesi e capillari investimenti in moderne strutture scolastiche, spinga a una rapida alfabetizzazione sia a livello urbano sia rurale. Il percorso educativo dovrebbe però essere lungo e non fermarsi all’istruzione primaria: i dati indicano, infatti, che per l’Africa un’educazione elementare non sarebbe sufficiente a emancipare le giovani donne da un destino di subalternità. L’istruzione dovrebbe inoltre essere modulata secondo una specifica attenzione di genere, poiché solo alfabetizzazione e upskilling femminile possono garantire l’abbattimento di un tasso di natalità altrimenti insostenibile.

Innescare uno sviluppo economico non è altrettanto semplice, e questo per svariate ragioni, che includono: la nota fragilità del suolo agricolo africano, il fallimento di innumerevoli interventi umanitari, lo sfruttamento internazionale delle risorse naturali del continente, gli elevati livelli di corruzione di molti governi locali. Sono tutti problemi seri e importanti, che non possono essere sottovalutati. Ciò non di meno, secondo i dati del World Economic Forum, i lavori stabili in Africa sono cresciuti del 3,8 per cento tra il 2000 e il 2015 (con un +1 per cento sulla crescita della forza lavoro, un aumento non sufficiente, ma comunque positivo); la forte urbanizzazione in corso contribuisce ad accrescere la produttività (le città hanno una produttività tre volte superiore a quella delle zone rurali); anche i consumi sono in crescita (con un aumento del 4,5 per cento annuale tra 2000 e 2015). Infine, non va sottostimata la capacità degli africani di fare ricorso a tecnologie moderne per superare alcuni limiti infrastrutturali: l’Africa orientale, per esempio, è già leader globale nei pagamenti via cellulare.

Un nuovo capitolo è stato poi aperto dall’ingresso massiccio e coordinato della Cina in alcuni paesi africani, un intervento che sta imprimendo un’accelerazione altrimenti impensabile allo sviluppo. La Cina, che coltiva ambizioni globali e non regionali ed è scevra da qualsiasi forma di subalternità culturale verso l’occidente, sembra chiaramente determinata a fornire ad alcuni paesi una free ride, una corsa gratuita, sulla strada verso la crescita. Al contrario, la Comunità Europea pare disinteressarsi del problema della transizione demografica e dello sviluppo economico dell’Africa, quasi che il problema non la riguardasse.

Per quanto parziali, tutti questi dati mostrano come, almeno in alcune parti del continente, si stiano consolidando processi di sviluppo economico che hanno il potenziale di modificare radicalmente la situazione, sebbene si tratti di sviluppi in cui la voce degli europei è flebile.
(fonte l'inkiesta)



Pronti par la barchéta de San Piero?

San Pietro e Paolo si festeggiano il 29 giugno e come ogni festa che si rispetti ha le sue tradizioni legate alle usanze popolari.

Il culto di San Pietro risale al Medioevo quando i monaci Benedettini lo diffusero in territorio lombardo; nell’ottocento era popolare la leggenda secondo cui «nel giorno di San Pietro debba seguire temporale, perché il diavolo promette alla di lui madre di uscire dall’ inferno per quell’ anniversario», per questo motivo molti pescatori durante questa notte non escono in barca per timore di burrasche e temporali. In altri luoghi invece si pensa che questa notte sia proficua per la pesca, in altri ancora si narra ai ragazzi che le acque del lago siano infide perché la madre di San Pietro pretenderebbe un sacrificio umano, sempre la madre del santo è protagonista di altre leggende che la vedono invece benevola nei confronti dei raccolti perché nei periodi di siccità provvederebbe il 29 giugno a far cadere la pioggia per salvarli.

Oltre a queste leggende e storie che si tramandano oralmente ce n’è una che affascina particolarmente grandi e piccini e si tratta della barca di San Pietro che appare per “magia” la notte tra il 28 e 29 giugno, un’usanza figlia del Nord d’Italia ma che che si sta espandendo un po’ ovunque.

Se volete scoprire come sarà il vostro anno potete provare ad interpretare la vostra barca, è molto semplice e davvero interessante.

Il 28 giugno prendete un vaso o una damigiana senza paglia, o una bottiglia l’importante è che sia di vetro e leggermente panciuta, versatevi dentro acqua fredda, meglio se di fonte e riempitela per metà, ora con molta delicatezza dovrete far scivolare nell’acqua l’albume di un uovo.

Senza sbattere il contenitore portatelo all’aperto, meglio sotto un albero o in mezzo ad un prato, ma va bene anche il davanzale di casa; lasciatelo aperto tutta la notte in modo che la rugiada faccia la sua magia.

La mattina controllate il vostro contenitore, noterete che l’albume ha assunto una forma molto particolare, i filamenti bianchi che si saranno formati durante la notte avranno l’aspetto di alberi maestri, e di vele spiegate e la forma che assume sembra proprio quella di una barca.

A seconda della forma delle vele i contadini prevedevano le condizioni del tempo: le vele aperte indicavano la venuta del sole mentre le vele chiuse e sottili, l’arrivo della pioggia.


Si narra che quando nell’acqua si formi un bel veliero sia un buon auspicio per ottimi raccolti nell’arco dell’annata. L’effetto del veliero si vedrà fino a mezzogiorno, poi lentamente si dissolverà.

Secondo tradizione questa forma assunta dalla chiara dell’uovo è la barca di San Pietro, che alla vigilia della festa ha voluto mostrare la sua vicinanza ai suoi fedeli, in altri paesi si narra invece che sia la barca dell’apostolo Pietro, pescatore e traghettatore di anime, usata per diffondere nel mondo la fede di Cristo; in altri ancora si tramanda la storia che questa barca sia quella che Pietro ha usato per scendere all’ inferno e liberare la madre e accompagnarla in cielo.

Nel bergamasco si legge in maniera un po’ diversa l’oracolo dell’albume, se esso forma una barca con vela la sposa avrà un figlio e la zitella troverà marito.

Ma perché si forma questa barca di San Pietro la notte del 29 giugno?


In realtà si formerebbe anche il giorno prima o il giorno dopo, perché le condizioni per cui questo fenomeno accada sono simili nei giorni intorno a quella data, sole caldo di giorno e temperature ancora fresche e umide di notte. Siccome la densità della chiara dell’uovo è di poco superiore a quella dell’acqua, essa tende ad affondare e rimanere sul fondo; l’acqua fredda raffredda il contenitore che a contatto con la superficie calda dal sole della terra o del davanzale della finestra subirà un trasferimento di calore formando dei moti convettivi, cioè l’acqua riscaldata dalla terra tenderà ad andare verso l’alto, il problema avviene quando incontra la resistenza della chiara dell’uovo che tenderà a trascinare con se e quindi a formare la famosa barchetta.

Quindi è facile intuire come più la giornata abbia scaldato la terra più la barchetta assumerà una forma più complessa.

Ora che sapete la sua storia, le sue leggende e la sua spiegazione scientifica, non vi resta che provare a realizzare la vostra Barca Di San Pietro ma perché abbia un significato magico è meglio rispettare le tradizioni e porre in giardino il vaso con l’albume la notte di San Pietro e Paolo, e poi molte persone affermano che “leggendo” le figure che si formano si ha una lettura del futuro, c’è chi ha intravisto l’argomento della sua tesi di laurea, chi ha intuito la sua sorte futura e chi spera sempre di vedere quello che vorrebbe realizzare… e questo è un buon inizio per qualcosa che sta a cuore.
(dal web)

mercoledì 26 giugno 2019

martedì 25 giugno 2019

Le sgàlmare




Scarpe d'altri tempi, dette anche sopèi, sono calzature con la tomaia in cuoio (ottenuta dal riutilizzo di vecchi scarponi) e la suola in legno (pioppo, salice, acero, olmo). 
Erano le calzature usate dai nostri avi, che non si potevano permettere le scarpe "da ricchi". 
La suola, per evitarne una rapida usura, era rinforzata con chiodi corti, dalla testa larga: in gergo, veniva "imbrocchettata".
È probabile che il termine derivi dalla corruzione di "dalmata", in quanto simili calzature erano presumibilmente un tempo molto diffuse in Dalmazia.
Attualmente, l'uso nel parlato contemporaneo, con sgalmara si intende "scarpaccia" o anche "cialtrone"...
Veneto a 360°

Mi spiace, pensavo che il mio caso fosse stato un esempio...

lunedì 24 giugno 2019

L'acqua di San Giovanni (da segnarsela per l'anno prossimo oramai)

“ La guazza di San Giovanni guarisce tutti i malanni ”
 
Post nostalgico di tradizioni antiche, di cose viste fare, di gesti che  piace ripetere.
A chi di solito mi chiede: - Ma non crederai mica a queste cose?-  rispondo sempre che non è questione di credere o non credere, visto che quello in cui credo o meno è una questione personalissima, ma semplicemente di ritrovare dentro quei gesti le persone con le quali li ho condivisi.
Mi piacciono le tradizioni, le usanze, non solo le mie ma anche quelle di altri popoli e paesi e spesso ritrovo in posti sconosciuti quelle di casa mia.
Pensare che un gesto è fatto da anni e anni, che sempre, almeno nel mio caso, è fatto per portare bene, gioia, salute, me lo fa compiere senza poi domandarmi se ha funzionato o meno.
Sto già bene nel farlo.
Non ha molta importanza che sia legato alla religione, spesso la religione si è appropriata di riti già in uso prima, di frequente legati al volgere delle stagioni, ai ritmi di sole e luna e così via.
In questo caso la festa di San Giovanni Battista, l'unico santo del quale si festeggia la data della nascita e non quella della morte (sei mesi prima di Gesù con il quale sembra essere cugino) per tradizione più o meno coincidente con il solstizio d'estate, sostituiva quelle del Dio Giano, il dio degli inizi, bifronte, custode di ogni cambiamento, di ogni entrata e uscita, anche  guardia delle “porte solstiziali”.
La similitudine tra Janus e  Joannes è fin troppo facile da notare, e anche per il solstizio d'inverno si è usato un San Giovanni, in questo caso l'Evangelista.

“Quando la lavanda sente arrivare San Giovanni vuole fiorire”,
 
Tornando all'Acqua di San Giovanni, per chi non la conoscesse, è semplicemente un'acqua dove la sera del 23 Giugno vengono poste corolle di fiori e erbe.
Lasciata tutta la notte all'aperto, godrà dei benefici della rugiada di questa notte magica e il mattino dopo sarà pronta per essere usata per lavarsi viso, occhi e corpo avendo acquisito anch'essa poteri straordinari proteggerà dalle malattie, dalle disgrazie, dall'invidia.
La ricetta è quanto meno semplicissima, un bacile, acqua, erbe e fiori.
Per tradizione le erbe e i fiori dovrebbero essere raccolti da mani di donna, meglio a digiuno, al tramonto del 23, in numero dispari. 
L'acqua meglio di fonte, il bacile non di plastica.
Quali erbe, quali fiori? Il più possibile, tutte quelle dalle comprovate proprietà particolari di guarigione o ritenute magiche.
Non può mancare l' Iperico, (qui>>>) ritenuto scacciadiavoli, l' Achillea (qui>>>) per preservare dalle ferite, l' Assenzio volgare  pianta legata a Diana, protettrice della buona salute delle donne, il Finocchio selvatico, per per proteggere dagli inganni,  e poi l'Avena per portare abbondanza, Tiglio (qui>>>) e Valeriana (qui>>>) per calmare, Felce d'acqua che solo in questa notte fiorisce e fortunato chi riesce a vedere il suo fiore, Alloro (qui>>>che dà forza, Melissa l'erba dell'allegria, Elicriso (qui>>>), VincaSambuco (qui>>>), Erba di Santa Maria, Lavanda (qui>>>), Timo (qui>>>), Rosmarino (qui>>>), Rosa (qui>>>), Calendula (qui>>>), Salvia (qui>>>), Ruta e tutte quelle che vengono in mente, con riconosciute proprietà terapeutiche
Preparato il tutto e coperto d'acqua si porta fuori e si lascia tutta la notte.
L'indomani mattina, 24 giugno, al risveglio, l'acqua sarà usata per lavarsi viso, occhi e corpo, godendone i benefici.
Non si conserva, va regalata agli amici se avanza.
Una interpretazione possibile è quella che essendo la figura di San Giovanni legata al Battesimo e necessariamente all'acqua, se ne rinnovano le promesse con questo rito.
Il 24 giugno è più o meno legato anche al solstizio d'estate, notte nella quale le streghe danzano, e vanno raccolte le Erbe  per essere essiccate e usate per tisane o oleoliti, grazie alla particolare rugiada che cade in questa notte rafforzano le loro proprietà.
​- E domani è Santo Giovanni,
fratel caro: è San Giovanni
Su la Plaia me ne vo’ gire
per vedere il capo mozzo
dentro il Sole all’apparire,
per vedere nel piatto d’oro
tutto il sangue ribollire
-La figlia di Iorio - G. D'Annunzio

L' Acqua di San Giovanni e pure le Erbe raccolte in questa notte sono solo uno dei tanti riti propiziatori da compiere in questa notte magica.
Anche la raccolta delle noci, quelle immature per fare il nocino, sempre in numero dispari, di solito 33 per litro di alcol, avviene per tradizione la notte tra il 23 e il 24 ... « Sic mihi Nox, Nux Fuit ante diem » così per me ci fu, prima del giorno, la Notte e la Noce...
Molti rituali sono legati alla possibilità di trovare marito, o di sapere chi sarà o come sarà ricco o povero... 
Come narra D'Annunzio, riportando un'antica tradizione delle fanciulle abruzzesi, Ornella andrà all'alba di San Giovanni a cercare di scorgere nel sole nascente il profilo della testa mozzata e nel contorno infuocato il sangue del santo e questo sarà segno che si sposerà entro l'anno.
O l'usanza delle tre fave, che incartate e poste sotto il cuscino daranno il mattino dopo la misura di quanto sarà ricco il marito...
Così come si accendono grandi falò, perché le lingue delle fiamme vadano a dare rinforzo al sole che accorciandosi le giornate inizia a perdere energia.
E poi saltarne le ceneri, buttarsene un po' tra i capelli per preservarsi da tutti i mali...
Insomma, prepariamoci che c'è da fare ...

Potenza del nome

[Gianni Spagnolo © 25A20] A ben pensarci, siamo circondati da molte cose che non conosciamo. Per meglio dire, le vediamo, magari anche frequ...