domenica 29 aprile 2018

CAMMINAMENTE: dopo Assisi in esposizione a Padova


L'esposizione, dal 21 aprile a metà luglio prossimi, mette in mostra: 'scarpe che raccontano storie di cammini e camminatori'

Dopo l’esposizione del 2017 nella Basilica di S. Francesco di Assisi, CAMMINAMENTE arriva in un altro luogo simbolo della spiritualità pellegrina: la Basilica di S. Antonio di Padova.
L’apertura, nel Chiostro del Generale, si terrà il 21 aprile in occasione della prima Festa dei Cammini e dei Camminatori al Santo  e resterà aperta fino a metà luglio 2018. In Mostra cinquanta paia di ‘scarpe che raccontano storie di cammini e camminatori’,
Si ha quasi la sensazione che standosene in silenzio, queste scarpe sussurrino tutto quello che hanno visto e vissuto lungo i cammini: dai vulcani, ai freddi polari, alle grandi vette, come le distese di pianura- ha sottolineato Antonio Gregolin, giornalista e artista, ideatore e raccoglitore di questa singolare mostra nata nel 2015 – Qui sono presenti grandi nomi di chi ha fatto l’impresa senza clamore o notizia – aggiungendo che – ciò che vale è la storia e le idee che muovono le loro scarpe”.


Tra i molti protagonisti in ‘mostra’ il regista Ermanno Olmi, che ha donato le sue scarpe da calcio del 1940, lo scrittore Emilio Salgari e il drammaturgo Marco Paolini. Di certo non camminatori fisici, piuttosto intellettuali in grado di far camminare la nostra mente. Cammina-mente appunto.
A presentare la mostra il presidente del Pontificio Consiglio per la Cultura del Vaticano, cardinale Gianfranco Ravasi, il  professore di storia medievale, Franco Cardini, insieme a due camminatori dell’estremo come il vicentino Tom Perry e il bresciano Roberto Ghidoni, il primo conosciuto come l’uomo che scende i vulcani a piedi nudi, mentre il secondo è il primatista della Iditarod, maratona che si svolge tra i ghiacci dell’Alaska.
(segnalato da Odette)
 


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La pagina della domenica



LA RIFLESSIONE

Perchè ci vogliono le regole in una società civile.




C’era una volta un complesso di sette strumenti musicali: erano un pianoforte, un violino, una chitarra classica, un flauto, un sassofono, una cornetta e una batteria.

Vivevano nella medesima stanza, ma non andavano d’accordo. Erano così orgogliosi che ognuno pensava di essere il re degli strumenti e di non aver bisogno degli altri. Non solo, ma ciascuno voleva suonare le melodie che aveva nel cuore e non accettava di eseguire uno spartito. Tutti ritenevano ciò una imposizione intollerabile che violava la loro libertà di espressione.

Quando al mattino si svegliavano ognuno cominciava a suonare liberamente le proprie melodie e per superare gli altri usava i toni più forti e violenti. Risultato: un inferno di caotici rumori.

Una notte capitò che la batteria non riuscisse a chiudere occhio per il nervoso. Per passare il tempo cominciò a scatenarsi con le sue percussioni. Fu la goccia che fece traboccare il vaso. Per la prima volta tutti gli strumenti si trovarono d’accordo su una cosa: la decisione di andare ognuno per conto suo.

Stavano per uscire quando alla porta bussò una bacchetta con uno spartito in cerca di strumenti da dirigere.

Parlando con garbo e diplomazia chiese loro di fare una nuova esperienza, quella di suonare ognuno secondo la propria natura, ma con note, ritmi e tempi armonizzati.

“Con un occhio guardate lo spartito, con l’altro i miei cenni, dopo che avrò dato il via, disse la bacchetta”.

Un po’ perché erano molto stanchi del caos in cui vivevano, un po’ per la curiosità di fare una nuova esperienza, accettarono.

Si misero a suonare con passione dando ognuno il meglio di se stesso e con una obbedienza totale alla bacchetta… magica.

A mano a mano che andavano avanti si ascoltavano l’un l’altro con grande piacere. Quando la bacchetta fece il cenno della fine un’immensa felicità riempiva il loro cuore: avevano eseguito il famoso Inno alla gioia di Beethoven.

Cosa mi dice questa storia :

L'essere umano non è nato per vivere da solo, dunque per vivere in una comunità sono importantissime le regole che comportano diritti e doveri. La libertà assoluta non può che andare a ledere la libertà degli altri, per cui è necessario trovare dei compromessi affinche' si rispettino gli altri ed al tempo stesso gli altri rispettino noi,

Da qui l'importanza dell'insegnamento dell'educazione civica, sin dai primi mesi di vita da parte dei genitori, della scuola e della comunità.

Chi urla forte pretendendo i propri diritti in genere è proprio chi i diritti degli altri li calpesta, accecato dal proprio IO nemmeno se ne rende conto.

Come chi racconta tutto fiero che la fa in barba allo stato evadendo, non si rende conto che lo stato sono gli altri ed arreca loro danni, magari al proprio vicino che tanto gli è simpatico e che non riesce a tirare a fine mese ma paga fino all'ultimo soldo le proprio tasse.

O come chi si aggrappa alla libertà di espressione  infangando altre persone e segnandole per la vita, pur risultando esse innocenti.

E chi tiene alto il volume della televisione o dello stereo, sbatte le sedie, urla  a tutte e ore del giorno, che succederebbe se il vicino facesse come lui? E se tutti i condomini lo facessero?

Insomma, non pensiamo sempre col nostro ego, ma proviamo a metterci sempre dall'altra parte e vedere se saremmo felici che qualcuno ci faccia quello che noi stiamo facendo.


LA POESIA

Oggi non aspettavo nessuno,
proprio nessuno, credimi.
Ma ad una certa ora
è venuta la nostalgia
a parlarmi di un tempo
che non sento più
e lì, a chiedermi perchè.
La malinconia
si è seduta al mio fianco
quasi volesse chiarirmi le idee,
ma ha messo un velo pesante
sul mio cuore.
La tristezza non ha resistito
a farsi largo e prendere la scena,
bagnarsi la veste di ricordi,
cadermi addosso come pioggia d'aprile.
Solo allora ho preso coraggio
guardando in faccia le amiche invadenti,
ho aperto la porta e le ho spinte fuori,
e adesso, che mi guardo dentro,
penso di averla scampata bella.
Ma la giornata non è finita,
a fare i conti c'è sempre tempo
ma...
la solitudine mi siede accanto,
beviamo un thè caldo e fumante.

Francesca Stassi


LA FRASE
























IL PROVERBIO

Chi che prométe l'è un gentiluomo, chi che mantién l'è un galantuomo

Dai Busatti ai Nosellari



E qui mi tirerei di sicuro sù una costola... ;-)


sabato 28 aprile 2018

San Pietro senza le fabbriche


I giorni della Resistenza

Bambini annoiati

“Bambini annoiati ai quali si fanno feste di compleanno grandiose, con torte giganti che non mangiano, con animatori che non ascoltano, con genitori che sembrano schiavi, dei figli e degli occhi della gente. Genitori attaccati a smartphone subitamente pronti a riprendere i figli che mangiano-dormono-bevono-
respirano, troppo impegnati nelle frivolezze quotidiane e nel riempire i vuoti dei loro figli con quintali di giochi-giocattoli-vestiti-dolciumi-vizi inutili perdendo d’occhio quel che conta sul serio: crescere dei figli oggi per permettere loro di diventare adulti domani.
Bambini senza fantasia, che non sanno cosa fare se gli togli un tablet o uno smartphone dalle mani, che non ringraziano, che non salutano, a cui si elemosinano baci, che non accettano mai un NO come risposta. Bimbi iper protetti in tutto dagli errori, dagli insegnanementi, dalla vita... che non conoscono ragioni plausibili per chiedere scusa, per leggere un libro, per socializzare con chi non ha le scarpe firmate o l'ultimo modello di barbie!
Bambine truccate e smaltate, con vestiti da ragazza, con lo specchietto nella piccola borsetta ...che sbadigliano e non disegnano.
Ragazzini che scrivono con le K al posto della C perché la grammatica è obsoleta.
Generazione che cambia, tempi che cambiano, i genitori fanno gli amici, i nonni fanno gli schiavi, gli insegnanti sono gli aguzzini che li stressano, poverini, stanchi come sono alla loro età imprecisata, fatta di troppi SI.
Forse dovremmo fermarci e RIEDUCARE (e in alcuni casi EDUCARE) non come ieri nè come oggi, dare ai piccoli la possibilità di essere piccoli e ai grandi l'occasione di crescere davvero!”
Elpidio Cecere psicologo

Tabacamìnti



In quell’ultimo scampolo di anni sessanta, il progresso s’era ormai intrufolato anche nei più remoti anfratti dei nostri paesi; pur ben più languidamente di quanto non fece nella Pedemontana. La coltivazione della terra era ormai occupazione per vecchi e il bestiame di famiglia aveva già preso mestamente la via del macello. La televisione entrava in molte case, così come la lavatrice e il frigorifero. Le abitazioni venivano rimodernate e rese più confortevoli ed igieniche. Si demolivano velocemente i cessi in cao ai luamàri e pure questi ultimi, venendo a mancare il materiale di riempimento e servendo parcheggi per la nuova mobilità. Le vecchie sedie di paglia bruciavano scoppiettando nella stufa per far posto a quelle rumorose e asettiche di acciaio cromato e fòrmica. Alcuni pionieri installavano addirittura il riscaldamento centralizzato e tacàvano a parlare in italiano.

I segni d'una civiltà antica, modesta e sedimentata, si dissolvevano con fugace imbarazzo per far posto all’incipiente civiltà dei consumi. 
In alcune persone più anziane o ai margini di questa ventata di progresso, persistevano tuttavia abitudini e stili di vita legati al passato e che diventavano vieppiù eccentrici. A loro la modernità scivolava addosso come la pioggia sui coppi e non si davano pena  d’intercettarla, continuando a vivere alla loro maniera.

I vecchi d’allora erano generalmente burberi, scontrosi e anaffettivi; niente a che vedere con l’icona del nonnetto simpatico e mattacchione del mito del buon tempo antico, co se piantàva i fasùi col pico

Salve le debite eccezioni, facevano di tutto per rendersi antipatici, per provarti, per metterti in difficoltà, per ostacolarti. Almeno a noi bociarìa.
Sembrava proprio che odiassero i bambini, i loro giochi, i loro schiamazzi, in pratica tutto ciò che era divertimento e futilità. L’unica cosa che apprezzavano era quella che tornava utile, che aveva sentimento, che costava fatica. Con queste premesse era del tutto naturale che i rapporti fra noi si tenessero sempre sul piano di una controllata belligeranza.

Capii più tardi le ragioni di questi comportamenti. La durezza della vita e la rigida educazione al dovere li avevano addestrati fin da piccoli ad arrangiarsi, a faticare, a non aspettarsi niente, a non dissipare il tempo e le cose inutilmente. L’anaffettività poi, non era nient'altro che un primordiale meccanismo di difesa; retaggio dei tempi in cui vedere tanti figli morire giovanissimi o partire appena adolescenti sulle vie dell’emigrazione (per tacere di altre dolorose circostanze), era esperienza comune e la depressione e lo scoramento un lusso che non si potevano permettere. 

Parecchi erano i veci che i tabacàva, cioè fiutavano tabacco. Non che trascurassero Bacco, per carità, ma per ora soffermiamoci sulle sostanze solide. Più precisamente i veci i fumava e i cicàva, cioè fumavano e masticavano tabacco, mentre erano più le veciòte che preferivano tabacàre (anche se alcune fumavano de scondòn e ci davano una palanca di mancia per mandarci a comprare il necessario all’Apalto).
Nella scarsèla degli ampi grenbiai, che facevano provincia, c’era sempre posto per la scatoletta del tabacco da fiuto e per il fazzoletto da naso dalle sfumature più incredibili. Chi tabacàva compulsivamente era poi facilmente riconoscibile dal naso grosso, tutto roàn e costantemente col pavèro.

Il rito del tabacàre affascinava noi boce, che lo imitavamo utilizzando il fierumine, ma ovviamente evitando di aspirarlo. Consisteva nell’inarcare il pollice in modo da creare un incavo fra i due tendini che lo collegano al polso e lì versare una presa di tabacco da fiuto dalla magica scatolina rotonda di latta col foro laterale, che si apriva ruotando il coperchio. Quindi si portava la mano ad una narice, chiudendo l'altra con l'indice sinistro e si aspirava rumorosamente spingendo poi l’avambraccio verso l’alto con una veloce rotazione a sigillo dell’operazione.
C’erano diversi tipo di tabacco da fiuto: il normale, il mentolato, oppure quello alla cannella o al limone per i più sofisticati.
A noi boce bastava aver provato a respirare quello mentolato per farci passare ogni velleità di proseguire in questo vizio.
L’irritazione delle mucose che provocava il tabaco da snifo comportava che gli utilizzatori avessero sempre a portata di mano un fazzolettone da naso, che assumeva in brevissimo tempo un colorito brunastro punteggiato da grumi di tabacco rappreso. La sensibilità moderna ci fa storcere il naso (è proprio il caso di dirlo) e immagino la faccia schifata di parecchi lettori. 
A pensarci bene non è tuttavia molto diverso da quanto non facciano oggi stimati e famosi personaggi, con polverine ben più eccitanti ed esclusive, nella privacy dei loro studi o uffici.

L’uso del tabacco da fiuto era ritenuto efficace per la cura dei disturbi respiratori, del mal di testa e di denti e di altri accidenti, perciò non era oggetto di particolare riprovazione. Qualcuno però ci andava giù di brutto e la sua faccia assumeva ben presto i connotati caratteristici del vecio tabacòn.
Per contenere l’irritazione sulle mucose del naso e della gola, i tabacùni facevano largo uso di mentine di vari gusti, che si compravano per poche lire da Narciso o dalle Polache. Da quelle colorate e minuscole, le siliéte, a quelle brune alla liquirizia, per finire alle più comuni bianche alla menta.
Inutile dire che questo era l’aspetto della faccenda che più interessava noi bocéte, cioè riuscire a carpire la benevolenza del tabagista per estorcere qualche mentina.
Gianni Spagnolo
19/04/2018

  • Bocia, bocèta, bociassa: Genericamente fanciullo, ragazzo.
  • In cao ai luamàri: Da cao, apice, estremità. In testa, o nell'angolo dei letamai.
  • Sentimento: Cura, attenzione, scrupolosità.
  • Palanca: Soldo di metallo, ultimamente identificava le 100 lire.
  • Pavèro:  Lucignolo, stoppino, ma per estensione metaforica anche il naso che cola.
  • Snifo: Fiuto, da snifare: odorare, fiutare.
  • Roàn: Colore rossastro tendente al vinaccia.
  • Grenbiale o gronbiale: Grembiule ad una tasca da allacciare in vita.
  • Saliso o saìso: Acciottolato, selciato di ciottoli.
  • Sgnarocà: Sporco, intriso di sgnaroco, ovvero di muco nasale.




L'editoriale di Umberto Brindani non manco mai di leggerlo. Scrive con chiarezza ed obiettivitá. Quanto al governo... pensate che sorpasseremo il Belgio? Deteniamo tante "esclusive" che rischiamo di aggiungerci anche questa... (magari volutamente?) ;-)


venerdì 27 aprile 2018

Parliamone

Una nostra lettrice, che talvolta mi apostrofa bonariamente per percepirmi un po' troppo spesso proiettata nel passato, esaltando la vita di allora, mi invia questo stralcio del nuovo libro di Massimiliano Parente, "Scemocrazia. Come difendersi dal pensiero comune" (Bompiani)

LO SCEMO ANTIMODERNO

Quando Goethe arrivò in Italia, nel 1786, andò in un albergo sul lago di Garda, e chiese del bagno, perché aveva un bisognino urgente. «Avendo interrogato il garzone, costui mi indicò senz'altro il cortile: Qui abbasso, può servirsi. Dove? domandai. E egli, amabilmente: Da per tutto, dove vuol». Quindi, signore mie, davvero mala tempora currunt? Davvero si stava meglio quando si stava peggio? Davvero vi piacerebbe vivere nel passato? E quelli che partono per l'India e ritornano cambiati? Se sei cambiato, perché non te ne torni lì?

Gli intellettuali impegnati, giornalisti, scrittori, registi, opinionisti, catastrofisti di professione, vanno in brodo di giuggiole per qualsiasi cultura arretrata, e quando Silvio Berlusconi se ne uscì che «l'Occidente è superiore», non l'avesse mai detto, e quando Bush voleva esportare la democrazia e l'Occidente, per carità, nessuno è superiore a nessuno. L'antioccidentalismo è un prodotto dell'Occidente, saldatura di pensiero tra marxismo e cattolicesimo, ma perfino il fascismo disprezzava la modernità («c'è un tipo di urbanesimo che è distruttivo, che isterilisce il popolo, e è l'urbanesimo industriale», scrisse Mussolini nel 1925. «Bisogna fare del fascismo un fenomeno prevalentemente rurale»). Chi è d'istinto antimoderno e antioccidentale nel pensiero, pur passando tutto il giorno con lo smartphone in mano? Chiunque. È stata una vittoria ideologica dei «nemici della modernità», come li ha definiti lo storico Piero Melograni in un libro di oltre dieci anni fa, La modernità e i suoi nemici. I nemici della modernità, che poi sono i nemici del capitalismo. C'è quello che ti dice che vorrebbe essere nato nell'Ottocento, quell'altro che ama tutto ciò che è incontaminato e ti cita il film Into the Wild (la storia di un tipo che fugge dalla corrotta civiltà alla ricerca della natura selvaggia, e lì alla fine crepa, unico momento bello del film), quell'altro che si lamenta dell'aria inquinata, dei ghiacciai che si sciolgono, della globalizzazione e del global warming, delle sostanze chimiche che abbiamo dentro, delle scie chimiche che verrebbero rilasciate nell'aria non si è ancora capito per quale scopo. C'è la Chiesa, per la quale la modernità ha in sé il pericolo della scienza, del consumismo e dell'ateismo (e però una in stato vegetativo come Eluana Englaro doveva restare attaccata alle macchine?), e c'è il comunismo, per il quale il capitalismo opprime il popolo.

E quindi, come si stava prima? Nel 1900 a Roma le case non avevano bagni, e non c'era acqua corrente, il mondo puzzava e in tutta la città esistevano solo un paio di bagni pubblici, che tra l'altro nessuno usava. Arturo Carlo Jemolo osservava come «il bagno restava sconosciuto dall'infanzia alla tomba».

Il pensatore di sinistra medio ti dice che qui da noi le masse sono oppresse, ma ancora nel 1881 un terzo della popolazione abitava in scantinati, soffitte, tuguri, catapecchie, stipato in appartamenti sovraffollati. A Torino, all'epoca, il 43% della popolazione condivideva la propria stanza da letto con almeno altre quattro persone. Oggi basta un'influenza e è allarme globale, tuttavia nelle civiltà precapitaliste e prefarmacologiche la durata della vita media era meno della metà della nostra. Vige una diffidenza per i farmaci, c'è chi legge gli effetti collaterali e sceglie di curarsi in erboristeria o in parafarmacia, per sentire una frase intelligente dobbiamo guardare Dottor House, il quale a una signora che non vuole dare un antiasmatico a suo figlio per timore delle controindicazioni risponde: «In effetti non prenderlo ha una controindicazione sola, la morte».

Davvero si stava meglio quando si stava peggio? Se foste nati prima del XX secolo avreste fatto una vita di merda, ricchi o poveri. Il virus della sifilide, la spirocheta pallida, fu identificato e isolato solo nel 1905, nel 1921 si scoprì l'insulina, e nemmeno i denti si curavano, potevate morire di setticemia anche solo per un banalissimo ascesso. Nel 1885, grazie a Pasteur, fu debellata la rabbia, nel 1897 si scoprirono le cause e le cure per la malaria. Se foste state operati prima del XX secolo vi avrebbero sottoposto a un intervento approssimativo senza anestesia, senza esami, senza igiene (i chirurghi non si lavavano neppure le mani), senza tac, senza risonanze, senza analisi del sangue, senza grandi speranze di uscirne vivi. Siete ambientalisti, amate la tutela del verde? Un tempo incendiare una foresta era un bene. Boschi e foreste, osserva Melograni, «erano considerati nefandi e pieni di insidie, rifugi di belve, criminali o banditi. Abbattere e incendiare una foresta voleva dire compiere un passo avanti sulla strada del progresso, sostenere la civiltà, ampliare lo spazio nel quale esercitare le attività agricole».

Greenpeace e il WWF sono invenzioni della modernità. Credete che oggi conti solo il denaro? Nelle famiglie comandavano i padri, e i matrimoni erano combinati dai genitori per interesse. In epoca romana, il pater familias aveva diritto di vita e di morte sui propri figli, altro che Telefono Azzurro, e perfino dopo il codice napoleonico un normale padre di famiglia poteva tranquillamente infliggere ai propri figli ogni genere di punizione corporale. E se lasciavano casa prima dei quindici anni poteva farli arrestare senza onere di prova. Ai tanti «perché» dei bambini, Massimo D'Azeglio indicava l'opportunità di rispondere «perché lo dico io» (oggi siamo giunti all'estremo opposto, e sono i figli a dirlo ai genitori prima ancora di proferire parola). Credete che l'aria fosse più pulita? Le città erano un inferno di cattivi odori e esalazioni, se non vi pisciavano in testa avreste inalato gli odorini delle carni marcescenti dei macellai, il fetore della merda di cavalli e muli che servivano al trasporto, e ancora nel 1892 in Francia solo 90 città su 700 disponevano di un sistema fognario e le epidemie erano all'ordine del giorno. Le città erano cinte di mura e anche dentro le mura rischiavate di morire assassinati ogni giorno. Sempre Goethe, stavolta a Roma, nel 1786 annotava: «Quattro persone sono state assassinate nel nostro quartiere nelle ultime tre settimane», e Giacomo Leopardi, nel 1832 osservava che «in Roma conviene sempre tremare per gli amici o i parenti che si trovano fuori la sera, non passando sera che non accada assassinio, fin sul corso stesso o in piazza di Spagna, a un'ora o due di notte». Senza l'avvento della civiltà industriale sareste morti dove siete nati e molto prima, e dopo una vita penosa e senza l'iPhone, e col cavolo che andavate al mare a abbronzarvi, cosa che a nessuno sarebbe mai nemmeno venuta in mente.

Ultima lezione di scuola calcio della Naeja... se ne riparlerà a settembre!




La realtà dipende dalla prospettiva

mercoledì 25 aprile 2018

Teatro Olimpico di Vicenza: bellezze di casa che i forestieri ci invidiano e noi sappiamo poco apprezzare

POP: Palladio Olimpico Project è un sistema sperimentale di visita al Teatro Olimpico, alternativo a quello tradizionale. Le visite per il momento vengono effettuate ad orari stabiliti che trovate sul sito. Qualche foto e due video per voi da Giordano che ringrazio.


Lavori nel viale di Pedescala


Nel viale dei Martiri a Pedescala le piante avevano delle radici che crescevano in modo spropositato in superficie danneggiando la strada e i muri confinanti.
Con l’occasione della realizzazione del progetto “Interventi sulle infrastrutture per la mobilità nel territorio comunale” è stato previsto di ridurre la crescita superficiale delle suddette radici nel seguente modo:
1) taglio delle radici superficiali;
2) posa di una cordonata in porfido con spessore di 1 cm ed altezza di almeno 23 cm, per delimitare l’asfalto e nel contempo contenere la crescita delle radici superficiali.
Il taglio delle radici superficiali ha comportato un’inevitabile stress alle piante e, sentito il parere di un esperto agronomo, si è resa necessaria una potatura a capitozzatura.
Il taglio a capitozzatura ha in questo caso più funzioni:
· ridurre lo stress delle piante per la crescita del fogliame;
· dare stimolo alla crescita delle radici in profondità;
· garantire più stabilità alle piante in quanto, a causa del taglio delle radici superficiali, è aumentato il possibile rischio di caduta.
Ora per motivi di consolidamento della strada e sistemazione delle tubature dell’acquedotto si dovrà attendere 3 settimane e dopodiché si passerà all’asfaltatura della strada.
Ci scusiamo del disagio, ma il risultato ne varrà la pena.
Amministriamo Insieme
Comune di Valdastico

Potenza del nome

[Gianni Spagnolo © 25A20] A ben pensarci, siamo circondati da molte cose che non conosciamo. Per meglio dire, le vediamo, magari anche frequ...