lunedì 19 marzo 2018

Dove sta andando la mia Italia? Non nascondo di essere un tantino preoccupata



 

 

CORRUZIONE RIMEDI E PENE INFAMANTI SOTTO SAN MARCO


Si dibatte molto sulla moralità pubblica, o meglio sulla sua mancanza in quella che ormai molti definiscono "repubblica delle banane", dove accade spesso che il corrotto sia difeso fino all'ultimo dai colleghi parlamentari. Mi chiedo che progresso abbiano fatto i Veneti, passando sotto lo stato italiano. Avessimo la possibilità di poterci creare di nuovo le nostre leggi e di autogovernarci, qualche esempio da cui trarre ispirazione lo troveremmo facilmente, rileggendo le pagine della nostra storia. Riporto quanto scrive Edoardo Rubini nel suo libro "Giustizia veneta". meditate, gente, meditate... prima di liquidarci con un "bisogna guardare avanti".


Innumerevoli le leggi che prevedevano l'interdizione temporanea o definitiva dei pubblici uffici. 
Per punire una particolare figura di reato, "l'intaco de cassa", lo strumento dell'infamia era associato all'interdizione dai pubblici uffici, come si nota nella Parte cons. Dieci 31 agosto 1564: "non possino per tutto il tempo delle vite loro esser eletti ad alcun officio, Magistrato, ò Camerlengheria, nelle quali si maneggi il Denaro della Signoria Nostra, , per lo spacio delli tempi delle Condennation, che a quelli saranno date, siano dalli Avogadori Nostri di Commun pubblicati la Prima Domenica di Quaresima insieme con li altri nel Nostro Maggior Consiglio, alli quali Avogadori sia mandata Copia della presente Deliberation, acciocché l'abbino ad osservar". Già la Parte del Sen. 1 luglio 1359 aveva individuato il momento cruciale dela pena nella seduta annuale del Maggior Consiglio destinata all'elezione dei dodici Rettori, compiuta la quale bisognava pronunciare le colpe degli amministratori disonesti. (e ciò, fa notare Rubini, perché servisse d'esempio ai governatori che entravano in carica NDR).
Nel 1517 il Procurator di San Marco tiene davanti al più alto consesso dello stato un infuocato discorso, ricordando che ogni uomo deve la propria vita a Dio, alla Patria, ai genitori, quindi siamo tutti obbligati a compiere qualsiasi sacrificio per la loro difesa. "Et la conservation de la Patria è conservar li denari pubblici, et quelli (che) li tolleno è, per leze e ordini di nostri progenitori, puniti a morir continuamente, e ogni anno esser stridati in questo Consejo".
Marin spiega che la morte continua da infliggersi ai predatori delle Casse pubbliche consiste nel disonore sofferto ogni anno davanti al Maggior Consiglio, a somiglianza del dolore patito da Prometeo, il cui fegato di continuo ricresceva e di continuo veniva divorato....
Conclusione del discorso: le quattro cose che, secondo San Tommaso, conservano le repubbliche sono la concordia dei cittadini, l'obbedienza delle leggi, la giustizia e l'astinenza dal lusso. In tal modo i Greci durarono 450 anni, i Romani 700, la Serenissima ha passato i mille.
Millo Bozzolan
dalvenetoalmondo

2 commenti:

  1. "Eh si, noi Veneti brava gente, siam tutti onesti, non sgarriamo mai, gli altri invece .."
    Basta con questo razzismo stupido, no?

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  2. La moralità pubblica della levantina Serenissima, pur discutibile, a cui il post fa riferimento, ma ancor più la seria, efficiente e onesta amministrazione austriaca del Regno Lombardo-Veneto, purtroppo non hanno lasciato alcuna traccia nel Veneto di oggigiorno.
    Per quanto inerisce l’inefficienza, il Veneto è allo stesso livello delle regioni meridionali; le grandi opere, come il Mose, il passante di Mestre, gli ospedali costruiti con operazioni di project financing (cioè opere pubbliche realizzate, “in teoria”, senza oneri finanziari per la pubblica amministrazione) quale quello di Santorso, l’A31 Sud, la Pedemontana, lo stanno a dimostrare.
    Se vogliamo allargare il discorso alla Stato, sì è vero, l’Italia è la nazione più invidiata al mondo, però non dai cittadini onesti, ma dai criminali. Per esempio, la terrorista pluriomicida Balzerani Barbara, mai pentita, con sette ergastoli, può pontificare, dopo soli 20 anni di carcere, in completa libertà, come un normale cittadino.

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