giovedì 30 giugno 2016

Contra' MONTE (Luconi e Grotta)

Le contra' dei LUCONI e della GROTTA (Lucùni e Gróta, nalla parlata locale) sono indicate semplicemente come MONTE nelle mappe austriache del 1836-40. Non è questo un toponimo corrente e nessuno oggi ricorda che fossero indicati così questi luoghi. Non è escluso che si tratti di una licenza del cartografo che nominò così genericamente il posto perché non c'era una precisa indicazione topografica locale, essendo magari quegli insediamenti di recente costituzione. Forse agì similmente indicando contra' Sella come Laghetto, ma su questo ci ritorneremo. Monte lo ritroviamo nella denominazione della strada consortile, detta appunto "del Monte", come è detta "della Grotta" quella che fa capo all'altro abitato.
Luconi constava allora di tre case con relative pertinenze. Pare che questo toponimo derivi dalla corruzione del nome del fondatore di questo maso, tal Luca Dalla Via, (Luca->Lucòn->Lucùni) che qui si stabilì probabilmente nel  XVIII secolo proveniente da Tonezza.  
Oggi la case della contra' sono state tutte variamente rimodernate dai discendenti delle vecchie famiglie, per adibirle a seconde case. Vi abita stabilmente solo la famiglia di Fausto Dalla Via e un'altra proveniente da Padova che qui magari ha trovato ciò che gli autoctoni faticano ad apprezzare. Questo spalto vallivo si apre infatti su un grandioso panorama dell'opposto versante della valle, dove anche San Pietro e i suoi soji acquistano una grandiosità altrimenti difficile da cogliere.
La Grotta, invece, non richiama l'omonimo sostantivo italiano, come banalmente può apparire (non ci sono grotte da quelle parti) ma più probabilmente il cimbro cròtz, nel significato di rupe, dirupo, roccia esposta; come sono appunto le pendici dei Siroccoli appena sopra questo abitato.
La Grotta constava originariamente di sue soli fabbricati, edificati probabilmente nella medesima epoca dei Luconi da famiglie Fontana parimenti provenienti da Tonezza. Una corte familiare dunque, come abbiamo visto essere l'origine di tutte le contra' della Valle. Anche le case di questa localita' sono state riattate e riservate ad abitazioni di vacanza. Qui ora non risiede stabilmente più nessuno, ma questa remota contra' riprende vita nella bella stagione con il ritorno di alcuni emigranti. Incastonato nella salita c'è un capitello della Madonna, fatto edificare nel 1900 da un emigrante d'America, ma che ora versa purtroppo in precarie condizioni, pur avendo già subito un recente ma maldestro restauro.
Questi grumi di case un tempo ospitavano ciascuna una cinquantina di abitanti e brulicavano di bambini e di vita. I servizi di acquedotto, illuminazione e strade carreggiabili arrivarono però tardi, quando ormai  quei bambini avevano già preso irreversibilmente le strade del mondo. 
Non so se per il suo isolamento, per l'allegria degli abitanti, per l'avvenenza delle grottine,  o per l'insieme di tutto questo, ma mio Padre mi raccontava che alla Grotta si andava volentieri a ballare; era meta ambita dei giovanotti della Valle a cavallo delle due guerre. 
Dalle mappe dell'epoca austriaca sembra proprio che questi masi siano appesi a fili che li vincolano alla montagna attraverso percorsi che ora magari ci sfuggono, essendo le creste dei Siroccoli assai infide e impervie e avendo il recente imboschimento modificato l'aspetto del territorio, per tacere della cava. 
Le contrade alte di Tonezza, come appunto: PettinàSella e Fontana, sembrano essere proprio i terminali montani più prossimi di un'antica rete di percorsi che probabilmente risalivano l'austera Val di Menore aggirando il SaltoVerosimilmente i primi abitatori furono pastori di là che giunsero a dissodare questi contrafforti in un periodo d'espansione demografica, mantenendo comunque frequenti rapporti con il luogo d'origine, verso cui sempre gravitarono. Forse questi insediamenti in origine erano baiti o casoni usati stagionalmente da famiglie tonezzane, che si evolsero in residenza stabile in seguito al progressivo svegramento di questi contrafforti; una genesi che vedremo comune anche a Valpegara.

Conta'  MASO,  GROTTA e LUCONI nella mappa fondiaria del 1836/40


Conta' MASO, GROTTA e LUCONI  nella mappa d'avviso del Catasto Austriaco

Conta'  LUCONI (Monte) di Valdastico - 1836/40

Conta'  GROTTA (Monte) di Valdastico - 1836/40

Gianni Spagnolo
IXXX-VI-MMXVI

Bibliografia, annotazioni, avvertenze e diritti:
  • Ringrazio Agostino e Fausto Dalla Via e Antonio Fontana per l'aiuto e le informazioni fornite;
  • I documenti catastali qui riportati sono estratti dagli originali  conservati presso l'Archivio di Stato di Vicenza -  Catasto  Austriaco del comune censuario di Forni  - Mappa d'Avviso;  Mappa I; II e Libri partite  e riportano in filigrana il marchio d'origine. Sono concessi ad uso esclusivo di questa pubblicazione con  prot. n. 01  del 04/02/2015 dal Mistero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo sez. d'Archivio di Stato di Vicenza.
  • E fatto divieto di riproduzione e ulteriore divulgazione in qualsiasi forma e modalità.

Veneto, fino a 100mila euro per chi investe nel cicloturismo

L’economia che gira intorno alla bicicletta pedala bene e costituisce un asset strategico su cui investire: lo scorso 7 giugno la Giunta Regionale del Veneto aveva approvato l’erogazione di contributi, con risorse POR FESR 2014-2020, per promuovere l’attivazione di nuove imprese in particolare nel settore cicloturismo e turismo enogastronomico. Il relativo bando è stato pubblicato il 21 giugno e ora c’è tempo fino al 20 settembre 2016 per presentare la propria idea-a-pedali da finanziare e avviare un’attività innovativa legata al mondo del ciclo e/o dell’enogastronomia. 

Potranno beneficiare al finanziamento le nuove micro, piccole e medie imprese (PMI), indipendentemente dalla loro forma giuridica, localizzate nei Comuni che hanno formalmente aderito all’Organizzazione di Gestione della Destinazione (OGD) “Dolomiti” e quelle nei Comuni attraversati (o con essi confinanti) dai principali itinerari cicloturistici e dai percorsi riconosciuti nell’ambito della Rete Escursionistica Veneta.

La linea di finanziamento prevista è di 1,6 milioni di euro per la valorizzazione di itinerari escursionistici e cicloturistici e proposte di turismo enogastronomico. Ma saranno considerati anche altri segmenti innovativi che, promuovendo elementi di attrazione culturale e naturale del territorio, favoriscano il  rilancio di destinazioni turistiche a rischio di stagnazione. Altro obiettivo, infine, è quello di integrare il settore del turismo con altre filiere produttive, come agroalimentare, artigianato e trasporti.
Le risorse disponibili ammontano complessivamente a 1,6 milioni di euro e il contributo è pari al 50% della spesa ammessa, per un massimo di 100.000 euro per ciascuna impresa.

 La domanda di partecipazione può essere inviata, esclusivamente in modalità telematica,entro il 20 settembre 2016 secondo le modalità indicate nel bando, disponibile insieme a tutta la modulistica necessaria alla pagina dedicata del sito della Regione del Veneto.
La bikenomics, come ricorda un recente studio sulle startup del Trentino, rappresenta un ottimo investimento per destagionalizzare l’offerta turistica e attrarre nuove risorse sul territorio: un’occasione da far fruttare, dunque da non perdere.
(segnalata da Odette)

Non mi ero mai posta il problema se i polli avessero o meno i denti... ;-)

I polli sono onnivori. Quando vivono in libertà, spesso grattano il suolo alla ricerca di semi, insetti e piccoli animali.
Una loro caratteristica è di cercare e beccare anche sabbia, piccoli sassi che trovano nel terreno, tanto che nei pollai all'aperto si usa aggiungere regolarmente maceria di riporto.
E' un comportamento istintivo dell'animale dovuto in parte al fatto che ingerendo piccole quantità di minerale il guscio delle uova prodotte ne risulterà migliore, ma il motivo preponderante va ricondotto alla digestione, che avviene più facilmente se nello stomaco sono presenti dei frammenti di roccia che svolgono la funzione dei denti, di cui ovviamente il pollo è sprovvisto.

mercoledì 29 giugno 2016

Contra' MASO


La contra' del MASO è situata in posizione un po' sopraelevata, su di uno spalto dirimpetto al ponte che attraversa l'Astico. Al tempo delle nostre mappe, ovvero negli anni trenta del milleottocento,  questo nucleo consisteva in una decina di abitazioni a schiera a formare una stretta corte chiusa su tre lati. Manca del tutto il gruppo di case che attualmente prolunga la contra' verso sud, che sono quindi di edificazione posteriore. Allora non esisteva il ponte né la strada provinciale e l'abitato era collegato agli altri masi della comunità da sentieri e mulattiere. Solo dopo il 1884, con l'inaugurazione della provinciale per Trento e la costruzione della prima passerella in legno per iniziativa di Antonio Toldo Polàco, venne edificata l'osteria e quindi le abitazioni a fianco della nuova arteria e prospicienti il ponte. 

Grazie a questo attraversamento, Maso è la contra' di Forni più prossima e comoda all'attuale capoluogo comunale, distando da esso meno di un chilometro. La sua posizione strategica sul nuovo asse viario della Valle, ha favorito nel tempo l'insediamento di alcune attività economiche, come una segheria, un distributore di carburanti, un'officina meccanica e un magazzino ortofrutticolo. La segheria dei Pesavento venne trasferita a San Vito nel 1970, mentre gli altri esercizi sono tutt'ora in corso.
Come abbiamo già osservato per le contra' della parrocchia di San Pietro, che si sono originate da insediamenti di famiglie provenienti dalla montagna, anche su questo versante della valle si ripropone lo stesso schema. Al Maso s'è stanziata prevalentemente la famiglia Pettinà, così come i Sella ai Sella, i Dalla Via ai Luconi e i Fontana alla Grotta. Queste famiglie provenivano da Tonezza e colonizzarono i contrafforti dei Siroccoli probabilmente a partire dal XVII secolo. 

Il Maso dovette essere il più antico di questi insediamenti, potendosi giovare di una collocazione più favorevole e del territorio pianeggiante formato dall'ansa dell'Astico, che in origine dovette essere ancora più estesa.
Il nome di questa contra' e la sua posizione strategica a presidio del torrente, farebbe pensare che il Maso sia stato in origine nelle disponibilità dei Cerato dei Forni (che sull' Astico vantavano secolari diritti). A differenza degli abitati più prossimi, le case del Maso sono infatti disposte a corte semichiusa e non in batteria rivolte verso valle. 
Una curiosità è data dal fatto che questa piccola contra' assunse addirittura al rango di capoluogo comunale nel 1812, quando l'effimero dominio francese volle trasferirvi il municipio da Tonezza, per la posizione più comoda e funzionale alle vie di comunicazione. In tale posizione fungeva di riferimento anche per l'amministrazione di Lastebasse, che era stata accorpata a quella di Forni dall'amministrazione napoleonica.
Con la Restaurazione, la casa comunale fu presto trasferita a Forni e poi a Barcarola, ma questo precedente dette origine ad una serie di diatribe con Tonezza che portò alla costituzione di quest'ultima in comune, nel 1922, e poi alla separazione di Forni nel 1925. Con l'occasione Tonezza mutò il proprio nome in Tonezza del Cimone, legandolo all'epopea di quel suo Monte durante la prima guerra mondiale; analogamente a quanto fecero Cogollo, Bassano e altri comuni del Vicentino in quel periodo. 
Anche il neonato comune di Forni, pur fortemente perorato dalla popolazione,  ebbe tuttavia vita effimera e travagliata per la scarsità di risorse di cui disponeva e finì per essere assemblato in quello neocostituito di Valdastico nel 1940. Si ruppero così, sulle terre alla destra e alla sinistra dell'Astico, gli atavici legami fra le comunità di monte e di valle, che avevano smpre caratterizzato le nostre comunità.
Gianni Spagnolo

X-VI-MMXVI

Mappa fondiaria austriaca di Contra' Maso di Forni d'Astico (1836/40)
Mappa catastale austriaca di Contra' Maso di Forni d'Astico (1836/40)

Bibliografia, annotazioni, avvertenze e diritti:
  • Valdastico Ieri e Oggi - Mons. Antonio Toldo - Ed. La Galaverna - 1984;
  • I documenti catastali qui riportati sono estratti dagli originali  conservati presso l'Archivio di Stato di Vicenza -  Catasto  Austriaco del comune censuario di Forni  - Mappa d'Avviso;  Mappa I; II e Libri partite  e riportano in filigrana il marchio d'origine. Sono concessi ad uso esclusivo di questa pubblicazione con  prot. n. 01  del 04/02/2015 dal Mistero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo sez. d'Archivio di Stato di Vicenza.
  • E fatto divieto di riproduzione e ulteriore divulgazione in qualsiasi forma e modalità.

La barchetta di Riccardo Stefani

Quanti altri di Voi l'han fatta?

martedì 28 giugno 2016

La Marcia delle Contra' - by LA NAEJA FB -
















Il temporale di domenica sera - by Franco Mucchietto

Chi ora tifa contro Londra è chi ha distrutto l'Europa

I tecnocrati Ue vogliono il referendum-bis: per loro scavalcare il processo democratico fa parte del gioco.


-ilgiornale.it-


Si può essere d'accordo o meno con Brexit, entusiasti o terrorizzati, ma i commenti usati dalla nomenklatura europeista del nostro Paese lasciano basiti. La scelta del popolo inglese, perché di questo si tratta fino a prova contraria, ha spinto Giorgio Napolitano a parlare di «azzardo sciagurato», Romano Prodi ad insinuare che l'idea del referendum sia nata solo per gli «interessi personali» di Cameron, Mario Monti a teorizzare che «la democrazia si possa perdere se usata male».
Ed ancora, nel campo degli intellettuali o pseudo tali, Severgnini ha offerto la lettura classista («ha scelto il popolino»), mentre Saviano, a cui piacciono le scorciatoie, ha ricordato che anche Hitler e Mussolini furono acclamati dal popolo. Nell'analisi del voto non è andata meglio. C'è chi ha rimarcato che la maggioranza dei giovani sotto i 24 anni (ma solo il 36% di queste generazioni si è recato alle urne) ha votato per il Remain,come se quelli al di sopra fossero già rimbambiti, c'è chi ha messo i figli contro nonni e genitori, e chi, come il sindaco di Bergamo Giorgio Gori, ha subordinato il diritto di voto «ad un esame di cittadinanza»: declinando, declinando queste banalità allora si potrebbe proporre di inserire - visto che il 70% dei musulmani ha scelto il Remain mentre il 58% dei cristiani il Leave - la mezzaluna nella bandiera dell'Unione. Ma l'apoteosi di questo atteggiamento singolare è nell'enfatizzazione che i media italiani, e non solo, fanno giorno dopo giorno della raccolta di firme per ripetere il referendum: uno, due, tre milioni. A parte il fatto che è stata aperta una inchiesta per frode (chiunque può firmare, pure i cinesi, come nelle primarie del Pd), dimenticano che gli inglesi che hanno scelto di lasciare sono stati 17 milioni e mezzo. È come se qualche anno fa, all'indomani della vittoria di Romano Prodi alle elezioni, Silvio Berlusconi avesse promosso una petizione per ripetere il voto. O viceversa.
Due considerazioni: la prima è che hanno perso la testa; la seconda è che sono loro, solo loro, a rappresentare l'Europa che ha perso. Quella che scambia la scelta europeista per un obbligo, quella che ha fatto della retorica un dovere, quella che prova a superare il dissenso non con la persuasione della politica ma con le minaccia dei mercati, quella che ha trasformato le categorie dell'Unione in antinomie di parole come democrazia, consenso, autodeterminazione dei popoli. Una logica sciagurata specie in un Paese come il nostro in cui basta lo slogan «una testa, un voto» per assicurarsi un terzo degli elettori. Una filosofia che ha trasformato il sogno dell'Europa nell'incubo di questa Unione.
Già, il primo problema della Ue è proprio il deficit di democrazia, che ha trasformato l'Europa dei popoli, nell'Europa delle burocrazie, dei grand commis della Ue. Una comunità in cui un cittadino tedesco conta più di un greco, uno spagnolo, un italiano messi insieme. Una unione in cui Berlino non decide solo le scelte di Bruxelles, ma anche le politiche di Atene, Madrid e Roma. E il «paradigma» di queste contraddizioni, di questo rapporto subordinato, l'Italia lo ha già vissuto tragicamente sulla sua pelle: questa Unione da «paura» che oggi contesta l'esito del referendum inglese, nel 2011 impose la nascita di un governo diverso da quello regolarmente eletto, senza passare per nuove elezioni. Gli stessi nomi che oggi mettono sul banco degli imputati i cittadini di Sua Maestà assecondarono i disegni del gran maestro dell'europeismo italiano, l'allora presiedente della Repubblica Giorgio Napolitano, per far fuori il governo del Cavaliere, al grido, quanto mai scontato, «ce lo chiede l''Europa». Motivo? Il premier di allora giudicava sbagliata la politica intimata da Berlino a Bruxelles, quella del rigore ad ogni costo, suggerendo più o meno quella dell'amministrazione Obama, che ha consentito agli Usa di dimezzare in pochi anni la disoccupazione. Per cui la nomenklatura europeista, come ha raccontato Alain Friedman nel suo libro Ammazziamo il Gattopardo (i giornali italiani all'epoca erano appassionati solo di Ruby e dintorni), pensò bene di rimuovere il governo del Cav, attuare la sciagurata ricetta del «governatore» tedesco in Italia Mario Monti, salvo poi, anni dopo, ritornare sui propri passi, e applicare, tardi e male, la dottrina di Washington. Conferme del famigerato «disegno» ce ne sono state e ce ne sono a bizzeffe: l'ultima quella del capogruppo dei deputati leghisti di allora Reguzzoni, che ha raccontato come il Nap gli chiese di far fuori Berlusconi. Magari se altri due protagonisti di quelle pagine, come Fini e Tremonti, raccontassero la loro verità, non sarebbe male, per l'Italia ma anche per l'Europa: sapere come quel mondo condiziona i Paesi rappresenterebbe un prezioso insegnamento per il futuro.
Ma questa è Storia. Ciò che importa oggi è che la filosofia non è mutata: per queste presunte élite europeiste rimuovere un governo o l'esito di un referendum, infischiandosene del processo democratico, fa parte del gioco. Non si tratta di golpe ma di una concezione diversa della democrazia, appunto, «elitaria». Il «bene supremo», innanzitutto. Oggi «l'europeismo» delle élite, come una volta, per azzardare un paragone, il comunismo delle avanguardie. Una visione totalitaria che non ammette dubbi e ripensamenti. In entrambi i casi lontana dai popoli. Ma è proprio quest'idea dell'Europa che è andata in crisi, non il sogno ma l'incubo. Un'idea spietata e astratta (pensate alla Grecia) che spinge qualcuno ad azzardare il paragone Unione europea e Unione sovietica. In cui i Paesi membri non partecipano al governo dell'Unione ma subiscono i diktat di un'entità astratta priva, per alcuni versi, di legittimazione. La crisi dell'ideale europeo è proprio in questa lontananza. Il presidente Mattarella ha commentato il Brexit con le parole «rispettoso rammarico». Quel rispetto che manca, purtroppo, ad un certo europeismo de' noantri.

lunedì 27 giugno 2016

Incredibili britannici! Rinasce l’Europa dei popoli e ora può cambiare davvero tutto

E ora cambia, davvero, tutto. La decisione degli elettori britannici di lasciare l’Unione europea è storica, innanzitutto per il contesto elettorale in cui è maturata. Tutto, ma proprio tutto, lasciava presagire una vittoria del fronte europeista, soprattutto dopo l’uccisione della deputata Joe Cox, che aveva cambiato la dinamica e il clima della campagna elettorale a sette giorni dal voto. L’ondata del cordoglio è stata enorme. E infatti i sondaggi, i mercati, gli scommettitori davano il sì praticamente scontato.
Ci voleva un miracolo per ricambiare il corso della campagna elettorale. E miracolo c’è stato. Forse quel miracolo ha un nome e un volto. Quello della Regina Elisabetta. O meglio del quotidiano popolare più influente del mondo, il Sun, che mercoledì ha fatto lo scoop, lasciando intendere che Sua Maestà era favorevole all’uscita dalla Ue, rivitalizzando così le corde di un patriottismo che si pensava fosse diventato marginale e che invece vibra ancora nel cuore del popolo.
La tempra di un Paese ha prevalso sull’emozione e sul cordoglio. La Gran Bretagna fiera della propria autonomia, convinta della propria unicità, capace di scegliere da sola nei momenti topici della propria storia è risorta, dando ragione a Nigel Farage – un ex uomo d’affari che dal nulla ha creato un partito e trascinato un Paese a una svolta storica – e a Boris Johnson, il sindaco di Londra uscente, che non ha esitato a schierarsi contro l’establishment del proprio Paese, dando forza e autorevolezza al movimento anti-Ue.
Molti diranno che nei britannici ha prevalso la paura di un’immigrazione ed è innegabile che questo sia stato uno dei temi forti della campagna, ma non è stato un voto razzista; semmai la prova che l’immigrazione è salutare e bene accetta se regolata, ma provoca comprensibili reazioni di rigetto quando diventa impetuosa e di massa. C’era di più, però, in questo referendum: c’era la volontà di difendere l’autenticità delle proprie istituzioni, della sovranità del voto popolare e dunque della propria democrazia. Di dire basta a un’Unione europea i cui meccanismi decisionali sono opachi, in cui il processo di integrazione viene portato avanti da un’élite transnazionale, vero potere dominante dell’Europa e non solo, tramite un processo caratterizzato da un persistente « deficit democratico », che li ha portati ad ignorare o ad aggirare la volontà dei popoli, ogni volta che si è opposta ai loro disegni. Talvolta persino a calpestare, come accadde un anno fa, quando la Troika costrinse Atene a rinnegare l’esito schiacciante di un referendum.
Lo stesso potrebbe avvenire oggi a Londra, considerato che il referendum era consultivo, ma sarebbe una scelta gravissima, al momento improbabile.
Ora si apre una fase di incertezza: i mercati la faranno pagare alla Gran Bretagna, e quell’establishment non si arrenderà facilmente. Vedremo. Quella di ieri è stata, però, una giornata davero storica. E’ la rivincita della sovranità nazionale. Per la prima volta un Paese ha dimostrato che il processo di unificazione europea non è ineluttabile, che dalla Ue si può uscire, rendendo concreta la possibilità che altri Paesi seguano l’esempio britannico. Un voto che costringerà l’Unione europea a gettare la maschera di fronte a un’Europa diversa, autentica, che molti pensavano defunta e che invece è forte e vitale, quella dei popoli.
Marcello Foa - il giornale -

Brexit, Varoufakis: “È la rivolta dei deboli contro l’establishment. Anche l’Italia vicina al collasso”

Per l’ex ministro delle Finanze della Grecia, che ha fatto campagna per Remain, "non bisogna distruggere ma cambiare l'Europa perché uniti si è più forti e si pesa di più. La sua ricetta? Per contrastare "Eurocrazia", populismi e razzismo la Ue "deve diventare una federazione"
“Sono preoccupato. La situazione mi pare ormai fuori controllo. I populismi e il razzismo stanno aumentando esponenzialmente mentre le maggiori economie dell’Unione, Italia per prima, stanno collassando, nonostante ciò che dice il vostro primo ministro Renzi”. L’economista Yanis Varoufakis, ex ministro delle Finanze greco oggi leader del movimento paneuropeo DiEm da lui fondato, nonché consulente dei laburisti inglesi da quando è segretario Jeremy Corbyn, è a Roma in questa giornata che passerà alla storia e ha scelto di commentare la Brexit con Il Fatto.
Lei conosce bene il Regno Unito, ha insegnato all’Università dell’Essex: come legge questo risultato?
È una reazione contro l’establishment britannico più che europeo. Il ceto medio e la classe lavoratrice sono andati a votare contro l’ormai ex premier Cameron perché sono i più danneggiati dal progressivo taglio dello stato sociale e dall’aumento delle tasse, in linea con i diktat di Bruxelles. Non hanno rigettato l’Europa ma le modalità dell’eurocrazia. Se le cose non cambiano, vedremo il trionfo dei nazionalismi. Per questo un populista come Donald Trump festeggia.
La sinistra non ha colpe?
Non ho detto questo. La sinistra inglese ha commesso errori madornali, ma Corbyn ha cercato di far capire ai più disagiati che i loro problemi non sono causati dall’appartenere all’Unione bensì dalla politica non democratica di Bruxelles. Non è un caso che i banchieri e la City tifassero per il Remain.
E allora perché Corbyn, lei e tutti gli intellettuali come Noam Chomsky, persino il regista portavoce della classe operaia Ken Loach, peraltro tutti firmatari del manifesto del suo movimento, eravate a favore del Remain? Non è una contraddizione?
Non lo è. Se nella sua famiglia ci fossero dei problemi, sarebbe un buon motivo perché ognuno dei suoi membri se ne andasse per i fatti propri? In questi mesi sono stato spesso nel Regno Unito a fare campagna a favore del Remain nelle zone più disagiate e ho faticato molto a convincere gli abitanti che non bisogna distruggere ma cambiare l’Europa perché uniti si è più forti e si pesa di più.
E perché dunque non è riuscito a convincerli?
Perché i conservatori come Cameron e tutti i responsabili della politica sciagurata che sta rovinando l’Unione – cioè la troika, la Bce, il Fmi – erano dalla nostra parte, cioè erano contrari all’uscita del Paese dall’Unione. Se Cameron fosse andato in vacanza per un anno, oggi il risultato sarebbe probabilmente l’opposto.
Il 5 luglio di un anno fa, quando lei era ancora il ministro delle Finanze, il referendum greco sull’Ue l’ha costretta alle dimissioni. Non sarebbe meglio evitare referendum su questioni così delicate?
No. Io sono a favore dei referendum. Le ragioni di chi lo ha voluto in Gran Bretagna erano sbagliate, noi invece l’avevamo indetto non per uscire dall’Europa, bensì per renderla più giusta e coesa. Chi voleva la nostra uscita dall’Eurozona era il ministro delle Finanze tedesco Schäuble. L’unico che ha un’agenda per l’Europa. Schäuble ha fatto di tutto per fomentare i britannici a lasciare l’Unione. Vuole creare una piccola Europa basata su una permanente austerity.
La Brexit aiuterà Podemos a vincere in Spagna?
Non necessariamente. Anche se Podemos propone un modello contro l’austerity non ha un’agenda europea. Così come non ce l’hanno i suoi avversari. Questo è il cuore del problema europeo.
Non gli immigrati?
Sono diventati il capro espiatorio della crisi europea, economica e politica.
Il Leave ha prevalso, ma dalle urne emerge una Gran Bretagna divisa in due.
Tutta l’Europa è polarizzata: tutti hanno capito che, pur vivendo in paesi democratici, i loro governi non decidono più nulla.
DiEM cosa propone?
Di fortificare l’Europa, facendola diventare una federazione e indebolendo l’establishment.

Tutta la crudeltà degli allevamenti intensivi riassunta in un'unica incredibile fotografia


L'immagine che vedete non è stata né realizzata né ritoccata con Photoshop, è una fotografia di Diane Scarazzini, un'attivista per i diritti degli animali ed è stata scattata in Oregon, presso un allevamento intensivo.
In ogni capanno c'è un vitello, che è stato strappato alla madre poche ore dopo la nascita. Diane li definisce dei "condannati a morte certa entro sei settimane", quando la loro carne sarà macellata per produrre delle tenerissime bistecche...

I vitelli sono allontanati dalla propria madre dopo la nascita, il che rappresenta uno stress enorme sia per la mucca che per il vitello, legatissimi tra lor.o.
 

Spesso la madre continua a muggire per chiamare il suo piccolo per giorni dopo la separazione.


I vitellini maschi, non potendo produrre latte, sono destinati al mercato della carne nei sistemi di allevamento intensivi.
 

Le mucche trascorrono la loro vita in un ciclo costante di gravidanza, nascita e mungitura, poiché il latte che dovrebbe nutrire i piccoli è destinato alla produzione lattiero-casearia

Ma cosa si può fare per arginare la crudeltà degli allevamenti intensivi senza diventare per forza vegetariani o vegani?

"Sostenere una produzione di cibo che sia in grado di rimettere gli animali all'aria aperta, al pascolo, anziché dentro capannoni", sostiene Philip Lymbery, autore del libro Farmageddon: il vero prezzo della carne economica, "Un allevamento estensivo connesso alla terra, in grado di fornire cibo più nutriente con metodi che risultano migliori sia per il territorio che per il benessere animale.
I governi di tutto il mondo possono contribuire a migliorare la salute delle loro nazioni e salvaguardare le future scorte alimentari basandosi su risorse naturali come i pascoli. Cibo che insomma provenga da fattorie e non da fabbriche".

domenica 26 giugno 2016

Brexit, petizione per nuovo referendum supera i due milioni di firme

Le firme sulla petizione per chiedere un nuovo referendum sulla Brexit hanno raggiunto quota 2 milioni e continuano ad aumentare di ora in ora. Lo si legge sul sito del governo britannico dove sono pubblicate tutte le petizioni.

Ad appena 24 ore dalla proclamazione ufficiale del risultato del referendum che ha sancito la Brexit, ovvero l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea, il fronte del “Remain” si è già mobilitato per mettere in atto azioni che scongiurino uno scenario ancora difficile da accettare per molti cittadini britannici: è stata infatti avviata una raccolta di firme che cambi la legislazione dei referendum consultivi, per cui se un voto registra un’affluenza inferiore al 75 per cento, la tornata elettorale si deve ripetere, invalidando il risultato dell’elezione. Un passo discutibile che però esprime il disagio che in queste ore serpeggia nel paese, tra i molti che speravano fino all’ultimo in una vittoria degli europeisti.

Nello specifico, la petizione riguarda i referendum sull’Unione europea e chiede al governo di stabilire la regola per cui, se si raggiunge una maggioranza inferiore al 60 per cento, con un’affluenza sotto quota 75 per cento, la consultazione dovrà ripetersi. Finora sono state raccolte più due milioni di firme nelle principali città d’Inghilterra, a Brighton, a Oxford, a Cambridge, a Manchester e a Londra.

Nella capitale la maggioranza degli inglesi si è schierata per restare nell’Unione: su 33 borghi, in 28 ha vinto il “Remain”. Così come in Scozia, dove gli elettori si sono pronunciati in massa per l’Europa e che ora chiedono di indire un secondo referendum sull’indipendenza della loro nazione dal Regno Unito. Il referendum di giovedì, stando alla petizione presentata, dovrebbe essere ripetuto: l’affluenza si è fermata al 72 per cento, ma la maggioranza dei voti per l’uscita dall’Ue ha totalizzato il 52 per cento (17.410.742 di voti), contro il 48 del fronte filoeuropeo (16.141.241 di schede), ben al di sotto quindi della soglia di riferimento che si vuole fissare per rendere valide le consultazioni (il 60 per cento).

Le petizioni rivolte al governo britannico, per poter essere discusse da Westminster, devono essere firmate da almeno 100 mila cittadini: in questo caso, si è andati ben al di là del minimo richiesto. Venerdì mattina il sito del governo è stato bloccato per il gran numero di contatti che cercavano di collegarsi alla pagina della petizione. Se quindi è sicuro che il Parlamento esaminerà la richiesta, non è chiaro se, nel caso in cui questa regola dovesse entrare nell’ordinamento del Regno Unito, possa avere valenza retrospettiva, e quindi vanificare il risultato del referendum di giovedì scorso. Inevitabile, il dibattito sull’eventualità che l’esito della Brexit venga compromesso si è trasferito sui social, raggiungendo toni molto aspri: coloro che si sono detti contrari a rivedere le regole sui referendum consultivi hanno accusato i promotori della petizione di “insultare la democrazia”.

Un tweet fra i tanti: “Al di là di come la si pensi sul risultato, buono o cattivo che sia, il popolo si è pronunciato. Accettatelo e mettetevi il cuore in pace!”. Va ricordato che anche Nigel Farage, il leader del partito euroscettico Ukip, un mese fa – quando sembrava che lo schieramento pro-Ue fosse in vantaggio – aveva accarezzato l’ipotesi di indire un secondo referendum se la vittoria del “Remain” sul “Leave” fosse stata di misura. Ma c’è anche un’altra petizione che in queste ore accende discussioni e scontri: a Londra circa 100 mila cittadini si stanno mobilitando per fare in modo che la capitale del Regno Unito, dove il “Remain” è risultato nettamente prevalente, si stacchi amministrativamente dalla Gran Bretagna e resti nell’Ue. Nel testo, rivolto al neo-sindaco Sadiq Khan, si legge che Londra è una “città internazionale” e vuole restare nel cuore dell’Europa.

Intanto la nuova petizione ha superato il milione e mezzo di firme nella mattina di sabato. Lo si legge sul sito del governo britannico dove sono pubblicate tutte le petizioni che poi vengono sottoposte alla commissione incaricata di valutarle per eventualmente sottoporle al parlamento.

Sul sito petition.parliament.uk le firme aumentano di minuto in minuto. Per dare la propria adesione alla proposta basta cliccare su 'sign the petition' e compilare tutti i campi. Naturalmente possono firmare solo i cittadini britannici e i residenti nel Regno Unito. Secondo la mappa pubblicata sul sito, la più alta concentrazione si trova nelle principali città della Gran Bretagna, Londra in testa.
ilgazzettino.it

Santuario Madonna della Corona - Spiazzi - VR

Sentito parlare un'infinità di volte da mia Nonna, che al tempo era meta preferita, assieme a Pinè dei "pellegrinaggi alla buona". Mi raccontava che stavano via anche 7-10 gg, perchè si andava a piedi. Io non ero mai stata e ho avuto l'occasione di andarci questa settimana. E' impressionante!!! Fede o non fede, merita, ve lo assicuro!

Non innamorarti di una donna che legge - di Martha Rivera Garrido




Non innamorarti di una donna che legge,
di una donna che sente troppo,
di una donna che scrive…
Non innamorarti di una donna colta, maga, delirante, pazza.
Non innamorarti di una donna che pensa,
che sa di sapere e che inoltre è capace di volare,
di una donna che ha fede in se stessa.
Non innamorarti di una donna che ride
o piange mentre fa l’amore,
che sa trasformare il suo spirito in carne e, ancor di più,
di una donna che ama la poesia (sono loro le più pericolose),
o di una donna capace di restare mezz’ora davanti a un quadro 
o che non sa vivere senza la musica.
Non innamorarti di una donna intensa, ludica,
lucida, ribelle, irriverente.
Che non ti capiti mai di innamorarti di una donna così.
Perché quando ti innamori di una donna del genere,
che rimanga con te oppure no, che ti ami o no,
da una donna così, non si torna indietro.
Mai.

sabato 25 giugno 2016

BREXIT

Per un ragazzo di Londra, l’Europa è la fidanzata spagnola con cui ha amoreggiato durante l’estate del corso Erasmus a Barcellona. Per la vecchietta di Bristol citata dal capo degli ultrà nazionalisti Farage, l’Europa è il migrante nigeriano che attraversa la Manica per togliere il lavoro al figlio inglese della sua vicina. Ha vinto la vecchietta di Bristol, perché ci sono più vecchiette che ragazzi, in questa Europa che non fa più bambini. Non è sconvolgente che a decretare la Brexit sia stata proprio la generazione dei Beatles e dei Rolling Stones, quella che voleva cambiare il mondo e oggi in effetti lo ha cambiato, ma nel senso che se lo è chiuso dietro le spalle a doppia mandata?  

 

I giovani, i laureati e i londinesi hanno votato in larga maggioranza per restare. Gli anziani, i meno istruiti e gli inglesi di provincia per andarsene. La prova evidente che si è trattato di una scelta di paura, determinata da persone che, non avendo strumenti conoscitivi adeguati, hanno fatto prevalere la pancia sulla testa e la bile sul cuore. Di fronte all’incertezza del futuro, non hanno reagito con la curiosità ma con la chiusura. La retorica della gente comune ha francamente scocciato. Una democrazia ha bisogno di cittadini evoluti, che conoscano le materie su cui sono chiamati a deliberare. La vecchietta di Bristol sapeva che il suo voto, affossando la sterlina, le avrebbe alleggerito di colpo il portafogli, dal momento che i suonatori di piffero alla Farage si erano ben guardati dal dirglielo?  


Una parte di ragione però la vecchietta di Bristol ce l’ha. Molti di coloro che hanno votato «Leave» pensavano di non avere più niente da perdere. Nessuno fa volentieri la rivoluzione, finché avverte il rischio di rimetterci i risparmi o la sanità e la scuola gratuita per i figli. Il patto sociale su cui la Gran Bretagna e l’Europa si sono rette per sessant’anni garantiva a tutti una speranza crescente di benessere. Ma questa Europa con troppa finanza e poca politica non ha fatto nulla per frenare la caduta libera del lavoro, la smagliatura delle reti di protezione e l’impoverimento della piccola borghesia, che oggi la ripaga con la stessa moneta: disprezzandola. 



Un maestro di tennis ti insegna che sul campo ci sono soltanto due posti dove stare: dietro la linea di fondo o sotto rete. Se traccheggi a metà, vieni infilzato. L’Europa è da troppo tempo a metà campo. O ritorna dietro la linea di fondo, come ha appena fatto la vecchietta di Bristol. Oppure decide di scendere sotto rete. Rimettendo al centro del progetto i cittadini, e non i mercati, e unificando il sistema fiscale, l’esercito e la politica estera. Il primo passo verso quegli Stati Uniti d’Europa in cui anche il ragazzo di Londra non vede l’ora di entrare. 

E avanti...

IL GOVERNO RENZI FINANZIA CON 20 MILIONI DI EURO L’OLIO D’OLIVA PAKISTANO.

L’Italia finanzia con 20 milioni lo sviluppo dell’olio in Pakistan. Gli agricoltori: “Per il nostro settore italiano appena 37 milioni”


Ora gli agricoltori sono nuovamente in rivolta, per l’ennesima assurdità italiana. 
Il Belpaese, infatti, per mezzo della Cooperazione italiana allo sviluppo del Ministero degli affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, ha stanziato ben 20 milioni di euro per dare assistenza tecnica allo sviluppo dell‘olivicoltura in Pakistan.

La denuncia degli agricoltori dell’olio

A lanciare l’allarme è stata la LEGA DELLA TERRA nel suo sito internet. “Mentre le nostre tavole sono invase dall’olio tunisino, marocchino e spagnolo di pessima qualità – si legge nella nota diffusa online – il Governo Italiano, invece di sostenere gli agricoltori italiani, finanzia altre nazioni. Il Pakistan grazie all’Italia investirà della produzione di olio ben 37 milioni di euro, mentre l’Italia per la sua agricoltura arriverà a malapena a 32 milioni”. Insomma, i nostri agricoltori sono sommersi dalle tasse, dalle malattie come la Xylella che mettono in ginocchio un intero settore, sono insidiati dalla concorrenza tunisina, e si vedono anche scavalcare dai pakistani.
Per carità: nulla di male ad aiutare un Paese in via di sviluppo a migliorare la sua condizone economica. Ma forse si poteva fare in un altro modo. E si poteva pensare anche ai lavoratori italiani. “Straniero è meglio – fa notare la Lega della Terra – questa la frase che molto probabile si legge e si sente dentro il Ministero dell’Agricoltura. La Lega della Terra si chiede come sia possibile che il Governo Italiano non intervenga a sostegno dell’agricoltura nazionale, in particolare modo nel campo olivicolo”.

L’annuncio dell’ambasciatore e l’ostilità dei pakistani

E in effetti, risalendo alle dichiarazioni dell’ambasciatore italiano in Pakistan, Stefano Potecorvo: In Pakistan “vi e’ una nascente olivicoltura (…) – si legge in una intervista all'Ice - che la nostra Cooperazione sta accompagnando con un progetto di assistenza tecnica di circa 20 milioni di euro, volto a trasferire il nostro know – how, ed i nostri macchinari, verso questo Paese”. Senza contare che l’Associazione Nazionale Italia-Pakistan non ha preso bene la notizia, considerando l’investimento un buon modo per buttare via dei soldi. “Grandissimo errore del governo italiano – scrivono in una nota su Facebook – un investimento che poteva essere evitato o dirottato in settori più utili. La popolazione della Repubblica Islamica del Pakistan non ha nel proprio regime alimentare l’utilizzo dell’olio d’oliva, anzi entra in contrasto con la maggior parte dei piatti tradizionali. Far cambiare usanze culinarie a oltre 220 milioni di abitanti sembra difficile…”.
Forse il governo Renzi riuscirà anche in questo.

venerdì 24 giugno 2016

«No alla fusione, identità da tutelare»

Sta destando un certo scalpore nelle due cittadinanze l’annuncio della proposta di un solo Comune al posto degli attuali due, tramite la fusione tra Arsiero e Tonezza del Cimone. Mentre c’è già chi tenta di dare un nuovo nome all’unico Comune, in attesa degli incontri con la popolazione, indetti rispettivamente per martedì 21 giugno, e per giovedì 23, sempre alle 20.30, c’è anche chi paventa i debiti tonezzani da assorbire, derivanti dalle molteplici opere sportive e turistiche realizzate nell’ultimo decennio, e chi si chiede come si faccia a rinunciare a cuor leggero al proprio “campanile” e all’indipendenza. Intanto, a Laghi, per popolazione “cenerentola” fra i Comuni veneti, si ribadisce il netto “no” a qualsiasi proposta di aggregazione.
«Ho portato in consiglio comunale l’invito che mi hanno rivolto i colleghi di Arsiero e di Tonezza – dice il sindaco Ferrulio Angelo Lorenzato - ma, ho ricevuto un preciso rifiuto. Fin tanto che non ci sia una legge che ci obbligherà a fonderci, noi non rinunceremo mai e poi mai alla nostra sovranità. Neanche se la popolazione effettivamente residente dovesse scendere sotto gli attuali 80 abitanti».
Anche il sindaco della vicina Velo d’Astico, Giordano Rossi, ha declinato l’invito, rinviando eventualmente al futuro ogni possibile ripensamento. Per quanto concerne Posina, netta la contrarietà espressa dal sindaco Andrea Cecchellero. «Premesso che noi facciamo parte dell’Unione montana Alto Vicentino Pasubio – dice – non ho preso in considerazione l’invito arrivato. Fonderci significa perdere la nostra identità e l’autonomia. Per questo mi batterò sempre per difenderle, anche se capisco le difficoltà che hanno oggi i Comuni privi di entrate proprie. Lo Stato, invece di sostenere le fusioni tra Comuni, dovrebbe badare a fondere i Ministeri». G.M.F. GdV

Bassano

(inviata da Alago)

Potenza del nome

[Gianni Spagnolo © 25A20] A ben pensarci, siamo circondati da molte cose che non conosciamo. Per meglio dire, le vediamo, magari anche frequ...