sabato 30 aprile 2016

Promesse non mantenute


Casotto 28/04/2016
Comune di Pedemonte 
e impegni non mantenuti

Vi scriviamo ancora per dirvi che nel Consiglio Comunale di domani

29 Aprile NON si parlerà di Calcificio.

Per l’ennesima volta hanno preso un impegno che non hanno rispettato.
Si sono giustificati dicendo che hanno troppi punti da discutere e che a breve, entro metà Maggio (a questo punto di quale anno non si sa...), faranno un consiglio dedicato esclusivamente al tema calcificio.
Facciano come credono; hanno dimostrato di non essere di parola.
Visto il loro comportamento non ci aspettiamo un’opposizione decisa, al massimo una contrarietà di facciata, sicuramente non sufficiente per una decisa resistenza alla costruzione del calcificio.
Saremmo felici di essere smentiti, ma visti i precedenti ne dubitiamo.
Giuseppe Sentelli - Michele Sartori

Forni - by Marco Pettinà


STRAGE DI PEDESCALA 1 -

venerdì 29 aprile 2016

Avviso



Comune di FORNI - Mappa d'avviso 1842

Chiesa parrocchiale di S.Maria Maddalena di Forni
Passiamo ora sulla destra orografica dell'Astico per presentare quelle frazioni e contrade del Comune di Valdastico ivi ubicate e comprese tra la Val delle Loze a nord e la Val dell'Orsa a sud. Prima della costituzione del comune di Valdastico, nel 1940, questo territorio costituiva il piccolo comune di FORNI. Prima ancora faceva comune con Tonezza, paese a cui è sempre stato legato e con cui ha in comune buona parte dei suoi ceppi familiari.

Per un commento storico di questa scheda, affidiamoci alla certa penna di Gaetano Maccà, un frate minore osservante nativo di Sarcedo, che visitò il luogo ai primi dell'ottocento e ne scrisse nella sua "Storia dei Sette Comuni e ville annesse" edita a Caldogno nel 1816.*  La trascrivo fedelmente nella sintassi di quella redazione, così abbiamo un documento all'incirca della stessa epoca delle mappe catastali del periodo della dominazione austriaca [1815-1866].

STORIA
DELLA VILLA DEI FORNI
  • CAPITOLO PRIMO.
  • Stato antico, e presente di questa villa.
La villa dei Forni è distante da Vicenza mi­glia 22 in circa, e da Schio dodici. Il Marzari è di opinione, che il nome di Forni dato a questa villa sia nome antico Romano, e che de­rivi da  Furno, o da Furnii pure anti­chi Romani, come scrive il Castellani. A me però piace più la tradizione che quivi corre. Quando adunque mi portai in questa villa mi fu detto, che così è chiamata per causa dei for­ni, che ivi già, tempo si trovavano, co' quali colavasi il ferro, di cui ivi eravi una miniera. Questa tradizione viene comprovata da quanto scrive il conte Francesco Caldogno nella sua Relazione delle Alpi Vicentine. Dopo di aver egli ivi parlato della valle dell' Astico, nella quale è situata questa villa, e delle miniere d'oro d'argento, di rame e di ferro, che in quei contorni si trovavano, delle quali, com’egli dice, già molte centinaja d'anni solevansi in quella valle farne grandissimo esito, tosto soggiugne: poscia che quella valle dalla quantità de' Forni, de' quali ancor le vestigia si veggon, che in essa erano per colar ferri, ha preso quel nome delli Forni. Maggiormente ancora questa tradizione viene confermata da un docu­mento del 1192 nel quale sono descritti i beni, che già tempo possedeva nel Vicentino l’anti­chissima famiglia Conti, tra quali leggesi: Itern Jus Montante theoneze cum omnibus juribus jurisdictionibus et honoribus pertinentibus ditte Montante etc. ... In qua Montanea sant edi­ficate dornus et appellantur furni et vena ubi cavatur ferrum etc.

Ma passiamo alla de­scrizione di questa villa. Essa adunque è com­posta colle falde delle montagne di Tonezza, e con pochi tratti di pianura lunghesso il fiume Astico, che le scorre appresso. Le dette falde in buona parte sono poste in coltura. Questa villa abbonda di noci. Forma comune con Tonezza: quindi è, che in una lista dei comuni delle ville Vicentine colla data del 1389. Tonezza, e Forni sono insieme unite. La parrocchia dei Forni all'intorno confina con Arsiero, Cogolo, Pedescala, s. Pietro di Valdastico, Laste basse, e Tonezza. Di là dall'Astico v'è una contrata detta dei Cerati, la quale in temporale forma comune con Rozzo, ma nello spirituale è sog­getta alla parrocchia dei Forni. Nella stessa par­rocchia dei Forni v'è un' altra contrada detta Barcarola ove sononvi due ruote di molini girati dall'acqua dell'Astico; e due altre ruote vi sono nella contrada detta dal Soglio, chiamata anche la fucina, girate anchesse da acqua cavata fuori dall'Astilo stesso, la qual'acqua gira pur ivi una sega da legname, un follo da panni, e una pila da orzo. Questo fiume in tempo d'inonda­zione è precipitoso. In una inondazione successa ai primi di settembre del 1757 in cotesta villa schiantò muri, e svelse affatto una Casa, ol­tre i danni grandi cagionati alla Campagna. Le famiglie di questa parrocchia, secondo l'ultimo computo Veneto fatto del 1794 sono 99, le anime in tutte cinquecento e due. Da questa villa venne la famiglia Cerati. Detta Villa è  inclusa nei Sette Comuni e partecipa dei privilegi ed esenzioni che godono gli stessi Sette Comuni.
  • CAPITOLO II.
  • Della chiesa parrocchiale.
La chiesa parrocchiale dei Forni, dedicata a St. Maria Maddalena giace sopra picciola altura. E' filiale antica di s. Giorgio di Velo. Ora però non depende da altre chiese;  laonde nel sabato santo il suo parroco fa da se le sue funzioni senza portarsi altrove. Ha tre altari. E' uficiata da un rettore intitolato curato nella visita del Vescovo Antonio Marino Priuli, eletto dal comune, e presentato al Vescovo per l'approvazione. Nelle collazioni però de' benefici dassi a questo parroco il titolo di rettore; perciò ivi   all’anno 1775 leggesi: Marcus Cornelius etc. Dilecto  nobis in Christo adm. R. D. Anselmo Fontana Rectori Parochialis Ecclesia Sante Marie Magdalene de Furnis hujus Vicent. Dioec. etc.. Quivi v' è tradizione che la chiesa antica fosse situata di là dall' Astico nella contrada de' Cerati, e che l' Astico in certa grande inondazione I'abbia portata via. In chiesa v' è una statua in legno di s. Antonio Abate, la quale, come mi fu detto, era della chiesa antica. Così pure dicono queste genti, che della Stessa chiesa era il Cristo trovato nel picciolo fiume chiamato Asticello, il quale scorre appresso Vicenza, e che ora conservasi con molta venerazione nella chiesa di s. Lucia della stessa città. La più antica memoria , che siami capitata sotto l'occhio di questa chiesa fu in un testamento dell' anno 1426, 29 settembre, nel quale il testatore: legavit corpus suum sepeliri in sacrato Eccleste Sancte Marie Magdalene de furnis.

Mappa d'avviso del Comune di Forni - 1840 (parte Nord)


Mappa d'avviso del Comune di Forni - 1840 (parte Sud)

Bibliografia, annotazioni, avvertenze e diritti:
  • I documenti catastali qui riportati sono estratti dagli originali  conservati presso l'Archivio di Stato di Vicenza -  Catasto  Austriaco del comune censuario di Forni  - Mappa d'Avviso;  Mappa I; II e Libri partite  e riportano in filigrana il marchio d'origine. Sono concessi ad uso esclusivo di questa pubblicazione con  prot. n. 01  del 04/02/2015 dal Mistero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo sez. d'Archivio di Stato di Vicenza.
  • * Gaetano Maccà - Storia dei Sette Comuni e ville annesse - Caldogno  1816 - G.B. Menegatti;
  • Si ringrazia Marco Pettinà per le foto messe gentilmente a disposizione.
  • E fatto divieto di riproduzione e ulteriore divulgazione in qualsiasi forma e modalità.

Il calzolaio di Forni: Giovanni Dalla Via - by Marco Pettinà


giovedì 28 aprile 2016

L’immigrato curdo crea negli Usa l’impero dello yogurt e trasforma i dipendenti in milionari

di Pierangelo Soldavini
27 aprile 2016 il sole 24 ore


I duemila dipendenti della Chobani,la fabbrica dello yogurt che va per la maggiore a New York, sono entrati ieri come tutti i giorni al lavoro e qualche ora dopo ne sono usciti trasformati in milionari. Il loro datore di lavoro, l’immigrato curdo Hamdi Ulukaya, ha deciso di restituire a loro, in buona parte scelti nelle fila dei migranti senza lavoro, parte della ricchezza che ha costruito in dieci anni: ieri li ha convocati per annunciargli che gli regalava il dieci per cento della sua creatura, la Chobani.
Dopo aver realizzato che non si trattava di un sogno, ciascuno dei dipendenti deve aver fatto due rapidi conti: la società vende yogurt per la bellezza di 1,6 miliardi di dollari l’anno e ha una valutazione che oscilla tra i 3 e i 5 miliardi di dollari. Il che vuol dire che ognuno di loro si è ritrovato di colpo in mano un valore pari a 150.000 dollari, nella stima più prudenziale. Che però potrebbero diventare 250.000 secondo la valutazione più alta, ma anche lievitare fino a un miliardo nel caso in cui, come è già nelle intenzioni, la società fosse quotata a Wall Street.
«Il mio sogno di una vita è diventato realtà: condividere Chobani con le 2mila persone che hanno contribuito a crearla», ha affermato Ulukaya su Twitter. E ai suoi dipendenti ha spiegato: «Non si tratta di un dono. È una mutua promessa di lavorare insieme per uno scopo e con una responsabilità comuni. Per proseguire a creare qualcosa di speciale e con un valore duraturo».
Nel ’94 il 23enne Ulukaya era sbarcato a New York, stufo di vivere da pastore sulle montagne della Turchia orientale, scoprendo ben presto che non era semplice per un immigrato costruirsi una vita. E per di più il formaggio e lo yogurt americani non avevano alcun sapore. Iniziò a sbarcare il lunario importando feta prodotta dalla sua famiglia a un distributore armeno, per poi avviare una piccola produzione locale per la quale arrivava a lavorare tutta la notte.
La svolta arrivò nel 2005 quando si trovò per sbaglio nella casella una mail di un’agenzia immobiliare che avvisava della vendita di un impianto di produzione di yogurt dismesso dalla Kraft, vicino a New Berlin, nella parte centrale dello stato di New York. Memore di quando faceva lo yogurt con il latte delle sue pecore, si lanciò nell’avventura grazie a un prestito da 800mila dollari della Small Business Administration.
Ci vollero due anni per mettere a punto la giusta cremosità e un gusto equilibrato dando vita al marchio Chobani, derivato dal termine turco che indica il gregge. Lo yogurt andava a ruba negli store di New York e in cinque anni l’azienda raggiunse il miliardo di fatturato.
Senza dimenticare le sue origini Ulukaya amava scegliere i suoi dipendenti tra gli immigrati senza lavoro, quelli che per la sua stessa esperienza mostravano maggior dedizione e senso del riscatto. Oggi li ha ricompensati a dovere.
I maligni sostengono che la decisione del giovane imprenditore curdo abbia un’altra origine. L’annuncio è arrivato poco prima che Tpg Capital, che aveva garantito il prestito iniziale, riscattasse una quota del 20% del suo capitale. Questa quota sarà ora calcolata sul 90%, diluito dopo l’ingresso dei dipendenti, riducendo il potere di Tpg. Ma già prima Ulukaya aveva firmato il “Giving pledge” promosso da Warren Buffet e Bill Gates, promettendo di alienare metà della sua fortuna personale. Che oggi Forbes stima in 1,82 miliardi di dollari.

Questo è un "mistero"...

Debbo riconoscere che abbiamo Follower molto, ma molto attenti al "particolare"!
Marco Pettinà mi segnala, e giustamente, che fra il volantino appeso alla bacheca di Forni e quello del blog c'è una differenza: nel volantino appeso in bacheca a Forni la messa è alle 9.00, mentre nel volantino postato nel blog alle 9.30. 
Chi è in grado di dipanare il mistero?





Gara di pesca a Forni - by Marco Pettinà


Lettera ai Casottani sul calcificio (distribuita giovedì)


Comune di Pedemonte e Calcificio Fassa:  
a che punto siamo?







Facciamo una breve cronistoria riguardante il nostro Comune:



Elezioni 2014: l’attuale maggioranza dichiarava sul volantino elettorale di opporsi all’eventuale costruzione del calcificio di fronte a Casotto, non essendo la zona adatta a questo insediamento.



Settembre 2014: viene presentato ufficialmente il progetto e si hanno 2 mesi di tempo per le osservazioni: il Comune di Pedemonte non presenta nessun documento.



Agosto 2015: il SUAP di Thiene approva la costruzione del calcificio, vi è poi un mese di tempo per le osservazioni. Presentate da singoli cittadini e dalla Regola di Casotto, mentre non ci risulta che il Comune di Pedemonte abbia fatto pervenire qualche nota.



Stanchi di questo “silenzio assordante”, abbiamo insistito con il Sindaco e i suoi consiglieri affinché ci fosse una riunione a Casotto per un vero confronto. Avrebbero preferito farne una sola a Pedemonte, ma per noi era essenziale farla a Casotto. Abbiamo però accettato ben volentieri di replicare a Pedemonte per dare modo anche agli altri cittadini di approfondire l’argomento, dato che non era mai stata fatta una serata informativa.



18/09/2015: serata a Casotto: il Sindaco ribadiva che avrebbe tenuto fede a quanto promesso in campagna elettorale facendo una delibera contro il calcificio.

16/10/2015: serata a Pedemonte: nonostante le voci dicessero che molti fossero i favorevoli, sono stati numerosi gli interventi preoccupati, scettici e contrari, mentre nessun intervento a favore del calcificio. E’ un vero peccato che i favorevoli non partecipino agli incontri negando cosi la possibilità di un confronto “alla pari”.



27/11/2015: noi due firmatari della presente abbiamo incontrato il Sindaco e l’assessore Carlo Longhi, i quali, dopo una breve discussione, ci avevano garantito che entro il prossimo gennaio avrebbero deliberato.



A fine gennaio 2016 li abbiamo sentiti e ci hanno detto che avrebbero provveduto a deliberare entro metà febbraio.

A metà marzo stessa storia. Ricontattati i primi di aprile ci hanno detto entro fine mese....



A questo punto ci sentiamo presi in giro!



Un’opera del genere è assolutamente incompatibile con la nostra valle e per Casotto rappresenterebbe un danno irreparabile. La quasi totalità della popolazione è contraria!



Se un Comune vuole fare un’opposizione vera deve agire subito mettendo sul campo le tante argomentazioni contrarie all’insediamento.

Attendere invece che Valdastico decida per poi “adeguarsi” nella speranza di avere qualche briciola di compensazione, non è ciò che ci si aspetta da chi ci dovrebbe tutelare!

Il Comune di Lastebasse ha già deliberato in maniera netta la propria contrarietà.



Il nostro Comune deve fare altrettanto: non può essere presentato un documento povero di contenuti o velatamente accondiscendente, non può essere accettata nessuna opera di compensazione in cambio della nostra salute e della nostra serenità.

Ci è stato garantito che entro la fine di questo mese (aprile 2016) ci sarà la delibera in consiglio contraria al calcificio, vedremo.

La maggioranza ha una grossa responsabilità e se non farà un documento convincente metterà a rischio i valori fondanti della nostra comunità che devono essere la solidarietà e il rispetto reciproco!

È necessaria pertanto una risposta forte, di tutti i consiglieri, da Carotte a Casotto.

È quello che noi speriamo.

(Invitiamo fin da subito Voi tutti a partecipare al prossimo Consiglio Comunale.)


  Giuseppe Sentelli  Michele Sartori

 

lunedì 25 aprile 2016

La Valle dell'Astico - by Marco Pettinà


25 Aprile, Giornata della Liberazione. La libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare.


25 Aprile...


Sappiamo ancora volare alto?
In questo giorno che ricorda la fine di una guerra atroce,
mi chiedo cosa siamo disposti a fare 
per continuare a mantenere la pace, 
per garantire ai nostri figli e nipoti, 
la libertà, che è la base del vivere civile. 
Quando ci libereremo dei pregiudizi?
Vedo il filo spinato limitare un confine... 
segnale inquietante e inaccettabile. 
Vedo popoli erranti, senza una patria,
tentare di trovarne un altra. 
E violenza, che incita alla violenza.
Tutti coloro che hanno lottato per la libertà, 
penseranno che non abbiamo capito niente e stupidamente, 
stiamo facendo gli stessi errori. 
La libertà è una barchetta di carta, 
a cui un bambino ha affidato i suoi sogni. 
La libertà è un aeroplano di carta, a cui mettere le ali, 
e impegnarsi, tanto! 
Per impedirgli di cadere.
Buon 25 aprile 
Francesca Stassi

domenica 24 aprile 2016

Forni - by Marco Pettinà


Pensiamoci




Quando un uccello è vivo, mangia le formiche. 
Quando l'uccello è morto, le formiche mangiano l'uccello.

Il tempo e le circostanze possono cambiare ad ogni momento.


Non sottostimare o ferire nessuno nella vita. 
Puoi essere potente oggi, ma ricorda: il Tempo è più potente di te!

Un albero serve a creare un milione di fiammiferi, 
ma basta un solo fiammifero per bruciare milioni di alberi.

Perciò sii buono e fai cose buone; sempre!

L'angolo della Poesia

Quante parole non arrivano a toccare il cuore,
fermate dai muri dell'incomprensione,
dall'indifferenza... e cadono come petali di un fiore.
Quante parole impresse su fogli di carta,
che nessuno leggerà mai.
Testimoni silenziose di sofferenze, paure, speranze.
Tra delle pagine ingiallite ho ritrovato una parte di me,
mi chiedeva dei miei sogni... del mio tempo.
Ho visto le illusioni cadere ad una ad una,
e un'unica parola, tentare di alzarsi in volo... 
Amore.
Francesca Stassi

sabato 23 aprile 2016

Buon compleanno VESPA - (segnalato da G. S.)

Il 23 aprile 2016 Vespa compirà 70 anni: quello stesso giorno del 1946 a Firenze veniva depositato il brevetto per la "motocicletta a complesso razionale di organi ed elementi con telaio combinato con parafanghi e cofano ricoprenti tutta la parte meccanica” destinata, di lì a poco, a motorizzare l'Italia e l'Europa. L’intuizione di Enrico Piaggiodeciso di riconvertire l’azienda “familiare” di aeroplani portò alla produzione in quello stesso anno di duemila esemplari di Vespa 98, il primo modello ad uscire dallo stabilimento di Pontedera e destinato poi a  quadruplicare i numeri in un solo anno, grazie alla versione 125.
Un successo - oltre 18 milioni di esemplari venduti in tutto il mondo - che dura ancora oggi grazie all’indiscutibile fascino dei prodotti griffati Vespa e che Piaggio ha deciso di festeggiare quest'anno con una serie di eventi che culmineranno con l'inaugurazione in aprile del nuovo stabilimento automatizzato di verniciatura di Pontedera e il 22 aprile con l'inaugurazione al museo Piaggio della mostra 'In viaggio con Vespa" che vedrà protagoniste le “imprese” di chi, come il Giorgio Bettinelli, fece più giri del mondo macinando oltre 254.000 km, ma anche raccogliendo le imprese più "comuni" chi con la Vespa ha fatto gite, viaggetti e vacanze. Il fine settimana "lungo" dal 23 al 25 aprile vedrà, sempre a Pontedera, un mega raduno con vespisti che arriveranno da tutta Italia ed Europa.
La Giornata Nazionale della Vespa avrà luogo domenica 15 maggio in diverse città italiane.









Il Capitello della Singéla - by Adelfo


Avviso - Consiglio Comunale Valdastico


Avviso Consiglio Comunale Pedemonte



venerdì 22 aprile 2016

Forni 1916 - Marco Pettinà


Che sia da preoccuparsi?

A renderli noti l’assessore alla sanità Luca Coletto, il direttore generale della sanità veneta Domenico Mantoan, Francesca Russo del settore promozione e sviluppo igiene e sanità pubblica della regione, Loredana Musmeci dell’Istituto superiore di sSanità, Marco Martuzzi dell’organizzazione mondiale della sanità, il direttore del registro tumori del Veneto Massimo Rugge, il commissario dell’Arpav Alessandro Benassi. E’ stato quindi affrontato con gli esiti alla mano il problema che grava sull’ambiente e sulla salute dei 400 mila veneti residenti nelle tre province colpite, ma che a cascata tramite la filiera alimentare potrà interessare un bacino di persone ben più ampio.
GIUNTA-DEBUTTO-1-29-06-2015Non senza sottolineare la complessità del problema su tutti i fronti, sanitario-ambientale-giuridico, dall’incontro urge la necessità di agire in maniera integrata con le aziende sanitarie del territorio, il dipartimento ambiente, l’arpav, in concerto col Ministero della salute e dell’Iss. Dal comunicato stampa emesso da Palazzo Balbi emerge la gravità della situazione che ripetutamente in passato era stata rilevata dall’Isde, associazione italiana medici per l’ambiente,  dalle minoranze del consiglio regionale che si erano visti accusare di ‘terrorismo’ proprio nella seduta straordinaria di un mese fa.
Questo quanto si legge nel comunicato stampa della Regione “I risultati preliminari sotto forma di analisi statistiche aggregate presentati oggi confermano la presenza di tali sostanze nell’organismo dei soggetti dell’area di maggiore esposizione, identificata con l’Ulss 5 di Arzignano e, in misura minore, con l’Ulss 6 di Vicenza, in quantità statisticamente significative rispetto all’area di controllo (parte dell’Ulss 6 di Vicenza non interessata, Ulss 8 di Asolo, Ulss 9 di Treviso, Ulss 15 Alta padovana e Ulss 22 di Bussolengo). Le prime elaborazioni preliminari sembrano confermare che la individuazione delle aree dei Comuni esposti e non esposti, sulla base dei livelli di PFAS nelle acque con potenziale uso umano, sia adeguata con il disegno dello studio di biomonitoraggio, in accordo con i dati di letteratura che indicano le “acque” come via principale di esposizione ai PFAS. A seguito di questi risultati, la Sanità regionale attuerà tutte le azioni che si renderanno necessarie, oltre a quelle già intraprese, per rafforzare la sorveglianza sanitaria e la presa in carico della popolazione esposta secondo il modello della gradazione del rischio”.
Guarda_CristinaNon si è fatta attendere di Cristina Guarda, consigliera regionale per la lista Moretti, promotrice del consiglio regionale straordinario dedicato interamente alla questione, dove invita fortemente la Regione ad agire fattivamente, senza sperpero di tempo e di soldi, a tutela della salute dei suoi cittadini e dell’ambiente.
“Ora smettiamola di pagare costi assurdi per i filtri negli acquedotti. La Regione faccia finalmente la sua parte, cambiando le fonti di approvvigionamento dell’acqua potabile così come chiesto dalla sottoscritta e dalle minoranze. Un appello rimasto finora inascoltato, visto che neanche un euro è stato messo a bilancio per studiare una simile soluzione. E intanto i Veneti continuano a bere acqua che potrebbe essere molto pericolosa per la loro salute”.
Gli esiti del monitoraggio ematologico resi noti dalla Regione hanno confermato la presenza massiccia dei Pfas e Pfoa nelle falde acquifere delle province di Vicenza, Verona e Padova.  “Le analisi del biomonitoraggio “ continua la consigliera Guarda  “hanno purtroppo confermato quanto già si sapeva, ossia che l’acqua è la principale fonte di esposizione alle sostanze perfluoroalchiliche. Ma si tratta di risultati molto preoccupanti, perché soprattutto per quel che riguarda il territorio dell’Ulss 5 Ovest Vicentino indicano valori molto superiori alla mediana del territorio dell’Ulss 6 Vicenza e ancora più alti rispetto alle zone abitate da cittadini non esposti. Ecco perché non è sufficiente installare i filtri negli acquedotti. Occorre modificare le fonti di approvvigionamento, spostandole a monte delle aziende responsabili degli inquinamenti, e bisogna intervenire urgentemente perché tutti i pozzi privati delle zone interessate vengano chiusi e i cittadini che li usano vengano collegati ad una rete acquedottistica sicura. Penso soprattutto agli agricoltori, che sono la categoria sicuramente più esposta al problema”.
Non ultimo l’invito di Cristina Guarda alla Regione di migliorare i metodi di comunicazione ed informazione sulla grave questione di inquinamento ambientale da Pfas, criticando il fatto che il consiglio regionale sia venuto a conoscenza degli esiti del monitoraggio a mezzo stampa senza alcun confronto, magari limpido come dovrebbe essere l’acqua pura.
Solo di qualche giorno fa, la delusione malcelata con la quale a Vicenza il sindaco Achille Variati emetteva  un’ordinanza a  tutela della salute pubblica che va a sostituire le precedenti firmate nel 2013 e nel 2014, nelle quali scatta l’obbligo di anali dei pozzi  ad uso potabile, alimentare per uso umano e, questa la novità introdotta rispetto alle precedenti ordinanze, il controllo dei pozzi che le aziende zootecniche utilizzano per abbeverare gli animali.
Durante la conferenza stampa, il sindaco non celato la sua delusione per come a livello regionale si sia fatto dopo il consiglio regionale straordinario “Delusione che nasce poiché di fronte a questo vasto inquinamento di ordine regionale, ci si aspettava che l’ordinante principe di una ordinanza fosse proprio la Regione Veneto” dichiara Variati “Ancora una volta sono i sindaci che si mettono in prima linea, al posto dell’organo di competenza in questo caso la Regione, per affrontare questa emergenza ambientale”.
Ma non solo, un malcelato sconforto del sindaco di Vicenza quando sottolinea le mancate risposte alle più richieste che la sua amministrazione ha fatto alla Regione “Non abbiamo mai ricevuto risposta  alle nostre lettere di richiesta nella quale chiedevamo che i costi di queste analisi venissero assunti dal sistema pubblico”.
Morale della favola, scatta l’obbligo per i privati  colpiti da ordinanza di eseguire le analisi dei propri pozzi e si devono far carico dei costi relativi, per garantire e tutelare la salute pubblica, a fronte di un inquinamento che non hanno provocato.
Non ultimo l’invito di Cristina Guarda alla Regione di migliorare i metodi di comunicazione ed informazione sulla grave questione di inquinamento ambientale da Pfas, criticando il fatto che il consiglio regionale sia venuto a conoscenza degli esiti del monitoraggio a mezzo stampa senza alcun confronto, magari limpido come dovrebbe essere l’acqua pura.
Paola Viero Altovicentinonline

giovedì 21 aprile 2016

PARLIAMONE - L'utopia low cost ci rende tutti più poveri


 Il web diffonde il suo commercio facendo leva pure sul prezzo. Ma è un virus che danneggia l'economia




- Mer 20/04/2016 - Il Giornale
Quando nel 1963 gli zii partirono per il viaggio di nozze su una nave da crociera, erano dei privilegiati e a bordo il personale era tutto italiano.
Oggi è già tanto se il maître è italiano, ma la crociera è alla portata di molti sposini, e pazienza se la pagano i genitori perché loro sono disoccupati, avendo ceduto il lavoro a bordo ai filippini. Il low cost è una cosa furba, non intelligente. Internet sta diffondendo il suo commercio facendo leva sul prezzo, ma acquistare la sera di domenica da casa con consegna a domicilio, attingendo a un grande assortimento, è un lusso fantastico, non mi serve pagare di meno. La mania diffusa di pagare poco i beni e i servizi è un virus che sta danneggiando le nostre fondamenta socio-economiche. Con l'illusione di rendere accessibile tutto a tutti, produce e distribuisce povertà. Ci preoccupiamo della xylella che attacca gli ulivi e siamo contenti quando paghiamo un volo meno del taxi per l'aeroporto. Perché facciamo fatica a capirlo?
Alla base, siamo un Paese cattolico: per noi la felicità non è di questa Terra e il Santo Patrono è il poverello di Assisi. Esultiamo sì di gioia, per la nascita di un figlio. Ma la felicità che ci dà il benessere (perché ce la dà) non la ostentiamo, la teniamo per noi con uno spruzzo di senso di colpa. Il nostro ideale di economia sociale non è creare e distribuire più ricchezza, ma livellare ciò che abbiamo, per poco che sia: va bene essere poveri e ascetici, corsia preferenziale per il Regno dei Cieli, purché ci tolgano dalla vista chi non lo è. Se e quando accetteremo la felicità come valore, andremo dai ricchi a farci spiegare come hanno fatto.
Inoltre, siamo anche e da più generazioni intrisi di cultura marxista. Non ci definiamo più comunisti, ma nessuno si sogna di abiurare quei valori, che valgono sempre e comunque, nonostante la storia abbia sancito che producono povertà e non sviluppo. Che c'entra col low cost? C'entra. Se pensi che il tuo benessere, per quanto frugale, debba esserti garantito, se non hai mai accettato salario e lavoro quali variabili non indipendenti dal contesto economico, allora puoi credere che i prezzi bassi non siano collegati a retribuzioni modeste e alla perdita di posti di lavoro. La Capitale, che ha un debito di svariati miliardi e in crescita, chiama i suoi turisti «pellegrini» e, ovviamente, li tratta come tali, invece di promuovere servizi di lusso per intercettare i turisti più facoltosi e spendaccioni del mondo.
Infine, non abbiamo fatto i conti col villaggio globale. In un mondo dove 84 Paesi su 187 sono sotto i 10mila dollari di reddito pro-capite e 57 non arrivano a 5mila, l'Italia è oggettivamente un Paese ricco, con un reddito sopra i 35mila dollari e un patrimonio che consente a 8 famiglie su 10 di vivere in casa di proprietà. Serve un trattato di economia per capire se schierarci pro o contro il low cost? Grazie al low cost, le produzioni industriali migrano a Est e alcuni (ancora pochi, per fortuna) di quegli abitanti vengono da noi. Non per restare poveri, ma per diventare ricchi. È un concetto con cui dovrebbero familiarizzare molti radical-chic che, invece (in quanto «ricchi-senza darci-peso»), tuonano contro la colpa del nostro benessere. Addirittura, c'è chi teorizza che il nostro reddito debba fisiologicamente diminuire per bilanciare l'aumento di quello dei Paesi poveri. Come se il reddito fosse una risorsa data, finita, e non già il prodotto dell'ingegno (leggi tecnologia) e del lavoro. Certo, se uno cova il malcelato ideale di non lavorare o di farlo il meno possibile... Vogliamo accogliere i migranti? Bene, allora tocca alzarsi un'ora prima. Non parole, ma opere di bene. Opere, c'ha presente?
Puntare su prodotti e servizi al maggior valore aggiunto possibile, facendoli pagare il massimo. Solo così si potrà distribuire ricchezza. Certo, non è facile, richiede ingegno e olio di gomito, ma porta al benessere. Per aspera ad astra. Il low cost è in discesa, facile per chi sta in alto, ma alla fine c'è il fondo. La giustizia sociale non è l'elemosina, ma dare al povero una chance di arricchirsi. Mi pare che anche la parabola dei talenti trattasse il tema.

Forni - by Marco Pettinà



John Lindo

mercoledì 20 aprile 2016

I Scorlaforéte

Ho letto il libro di Claudio Dal Pozzo “La casa in Contra’ Sega”, recentemente pubblicato. Un interessante affresco storico sociale della Pedescala di due generazioni fa, visto con l’occhio di un vecchio bambino; forse il libro che avrei voluto scrivere io a proposito del mio paese.
Un racconto che mi ha fatto esplorare sui suoi passi questa frazione, che dista solo pochi chilometri da dove io sono venuto al mondo, ma che certo non posso dire di conoscere. L’autore appartiene alla generazione precedente la mia ed è stato un più fedele testimone dell’agonia di quell’antica civiltà rurale di montagna, semplice e povera, ma non misera,  e a tratti anche grandiosa, di cui siamo tutti figli.

L’occasione mi ha fatto ritornare in mente riti e termini ormai dimenticati; come scorlaforéte, usato per etichettare in modo dispregiativo gli abitanti di Forni. Era un epiteto che usava a volte anche mia Nonna o mia Mamma, anche se mai con questa accezione.
…Vara che l’è un scorlaforéte, … Staghe distante da cuél scorlaforéte lìve,…. Detti di comari, sedute  attorno alla grande fornéla, conprà dai Rossi Balansa da mio Nonno nel 1936. Esortazioni alle ragazze in fiore perché valutassero con maggiore attenzione i giovanotti che ronzavano loro attorno.

Io, bambino dell’età del Claudio narratore del libro, ascoltavo le ciàcole dele veciòte e immaginavo chissà quale significato per quel scorlaforéte che giudicava senza appello qualche giovanotto locale (non dal Maso né dai Forni). Non capivo poi il nesso fa lo scorlàre la foréta e il fatto che le ragazze dovessero star ténte o méterghe pì giudissio….
Certo, sapevo perfettamente cosa significasse il verbo scorlàre: scorlàva il manico del menaròto o del sapìn che non si usava da tempo e bisognava immergerlo nell’acqua una notte per farlo arvegnére. Nei casi più gravi bisognava anche inpendolarlo. Scorlàva l’amico che si comportava o ragionava in modo incomprensibile: scùrlitu? Situ drio scorlàre? No te scorlarè mia, vero? Scorlòn, mi pare fosse uno menefreghista o che non aveva voglia di lavorare. La foréta invece era il rivestimento del cuscino da letto, dove si sbavedàva. Vedevo però che erano sempre le fémene scorlàre le foréte quando le lavavano alle fontane o le mettevano ad asciugare; mai visto uomini a farlo. A San Pietro c’era chi identificava come scorlaforéte tipicamente gli abitanti del Maso.

Boh! Il dubbio rimase e la cosa finì lì, anche perché ormai tutti tentavano di incivilirsi annacquando le parti più arcaiche e tipiche delle nostra parlata. Poi emigrai e il dialetto rimase confinato nel contesto familiare.
Il modo di dire riemerse più recentemente, in una conversazione fra paesani, dove chiesi loro di specificarmi cosa intendessero per scorlaforéte. A xe cuìli dal Maso, disse qualcuno. I ghe dixéa cussita a cuìli dai Furni, parchè i gera pori grami e i nava par carità scorlàndo na foréta voda par far pecà…  Più o meno ciò che scrive in merito anche Claudio Dal Pozzo, solo che lui lo lega ai sacchi quasi vuoti e perciò scorlànti  di quelli dai Forni al ritorno dal mulino.
Nel frattempo mi ero imbattuto in alcuni vecchi modi di dire della zona di Albaredo; in particolare mi colpì: Scociot foretten = persona immatura e inaffidabile.  
Scociòt foretten.. scociòt foretten,… scociòt foretten…. br…brrr… brrrrrrrr. Il mio motore di ricerca interno sia era messo automaticamente all’opera: “soggetto immaturo e infido”. Ecco svelato l’arcano all’adulto curioso che era diventato quell’ingenuo bambino: era proprio questo ciò che intendeva me pora Nona per scorlaforète. Indubbiamente questo termine composto si prestava bene ad essere il “vestitino veneto” di un epiteto cimbro altrimenti intraducibile e così reso invece pronunciabile, anche se esposto a inevitabili futuri fraintendimenti.
  • Scociòt, Scociöttle = giovanotto immaturo, persona irresponsabile - Foretten, foraaten, forràtan = tradire  -  Forràtar = traditore.
Mhm...!  Etimologia fantastica, …. o reconditi retaggi?

Vediamo di farci sopra un po’ di analisi critica. L’aggettivo scorlaforéte, che credo sia tipico della nostra zona, non avendolo mai sentito altrove, pare essere di antica origine. Se il verbo scorlàre, (nel senso di agitare, scuotere), nel dialetto locale ha il suo perché, il sostantivo foréte solleva invece qualche perplessità. La foréta (federa, in italiano) è un corredo da letto un po’ sfizioso e moderno, che era poco diffuso fra la nostra gente fino alla fine dell’1800; men che meno fra i più poveri, che non disponevano spesso nemmeno di coperte, per non dire di cuscini o lenzuola. Pensare che si usassero le federe dei cuscini per andare a chiedere l’elemosina mi pare perciò improbabile. Saco, sachèto o sachéta sarebbero stati termini più appropriati per rendere questa idea. Foréta, infatti, non mi pare che da noi sia sinonimo di sacco; è un termine piuttosto moderno che rimanda alla sua funzione tipica di biancheria da letto, non di generico contenitore flessibile. 
Se scorlaforéte aveva quindi il significato di povero, di qualcuno costretto a chiedere la carità, va detto che stiàni la povertà era una condizione piuttosto comune (chi più e chi meno) e non un marchio di disprezzo. Poro, poaréto (povero), nella nostra parlata, aveva infatti un senso di condivisione, di compassione, non di esclusione: poro can;  poro cristo; me poro nono;  poaréto el me toso….. Allora i casi della vita, come carestie, disgrazie, malattie e morte di congiunti, ecc. potevano facilmente gettare nel bisogno estremo anche chi prima non lo era. La riprovazione sociale non colpiva quindi la povertà in sé, ma la mancanza di voglia di lavorare: era questo lo stigma sociale più grave. Altro fatto strano è che gli "scuotitori di federe" si concentrassero nella parrocchia di Forni in modo così esclusivo da generare questo singolare neologismo. Forni non era certo terra ricca, anzi, ma verosimilmente non tanto più disgraziata delle contermini; le condizioni di vita in valle allora erano dure per tutti. Lì peraltro abitarono i Cerato, che furono per secoli i maggiorenti dell'Alta Valle.
Se però tornassimo a quel rigido inverno di cinque secoli fa, quando quel gruppo di fedeli pedescalesi di ritorno dalla messa ai Forni, …. scivolarono sul ponte ghiacciato andando con le balanse par aria, ….? (*)
Beh,… forse allora, il conio di questo epiteto nell’antica lingua ci sarebbe stato a pennello; tale da perpetuarsi nei secoli, pur alterandone la comprensione. 
A Pedescala, si sa, hanno la memoria lunga.
Gianni Spagnolo
XVI-IV-MMXVI


(*)  Al tempo in cui non avevano ancora la loro chiesa, gli abitanti di Pedescala dovevano recarsi nelle chiese vicine per assistere ai riti, ovvero in quella di  S.M. Maddalena di Forni, che era la più comoda; per farlo bisognava però attraversare l'Astico su una passerella di legno. 
Pare dunque che la domenica di San Biagio del 1521, un gruppo di infreddoliti e intabarrati fedeli ritornassero ca me stoan dopo aver assistito alla messa presso la chiesa di Forni. Nell'attraversare la passerella parecchi di loro scivolarono sul legno ghiacciato finendo nelle gelide acque del torrente. La causa non fu ritenuta affatto naturale, anche perché all'andata erano transitati senza incomodo, ma bensì opera deliberata di quegli irresponsabili dei Forni.  San Biagio provvide tosto a preservare i malcapitati dalle conseguenze del tuffo, com'era nel suo mandato, ma i pedescalesi se la legarono comunque al dito e fecero poi di tutto per ottenere la concessione di costruirsi una chiesa propria e non aver parte con quei vicini inaffidabili e marpioni. 
Come siano andate effettivamente le cose in quella circostanza e quali imprecazioni e maledizioni siano volate e in quale lingua, non lo sa ormai nessuno, ma un'antica seleghéta  posata su una fronda di salgaréla lì nei pressi....

Potenza del nome

[Gianni Spagnolo © 25A20] A ben pensarci, siamo circondati da molte cose che non conosciamo. Per meglio dire, le vediamo, magari anche frequ...