giovedì 26 novembre 2015

Un incontro inaspettato: come un "nome" può risvegliare dolorosi ricordi




Non è mia abitudine durante il pranzo, alzarmi, spostarmi, ma appena bevuto il caffè, debitamente corretto, niente e nessuno mi trattiene più seduto. Così successe quella domenica di agosto, quando i coscritti della classe 1938, puntualissimi, festeggiarono il loro 77esimo compleanno, alla “Taverna Clara” ai Busatti, in territorio “imperiale”.





Mi alzai da tavola e mi diressi verso nord, per la strada della “Raut” che dopo qualche tornante, va a incrociarsi con quella del “Lancino“; passando per i Piccoli ed il Dazio portava, un tempo, in Allemagna.

Il pasto abbondante ed il peso degli anni, non mi permisero di fare un lungo percorso su quel pendio. Eppure pensai, che un po' più di due secoli fa, per questo erto selciato, i “Busattari” trasportavano i loro morti, sulle spalle, fino al cimitero di ... Lavarone. 
Essi, abitando tutti sulla destra dell'Astico, nel territorio di Venezia, quindi civilmente “veneti”, religiosamente dipendevano dalla parrocchia più vicina: Lavarone.

Ritornai dunque sui miei passi e mi sedetti per osservare quella decina di case che compone la contrada Busatti. 
Sono costruite sopra la sponda destra del torrente Astico. Le più grandi erano ex caserme della guardia di finanza e della dogana, adibite ora ad alloggi sociali. 
Fino al 1915 questa località fu confine di Stato. Fu distrutta durante la prima guerra mondiale e ricostruita. Come pure la Cappella fu distrutta, una prima volta dalla guerra, ed una seconda volta per allargare la strada statale e ricostruita nell'attuale sito. 
Fatto insolito e straordinario, questa piccola contrada possiede, in poche centinaia di metri, la bellezza, anche se corti, di sei ponti: tre nei vari torrenti e tre sull'Astico. Uno, il Prukar, a sud, fu costruito nei secoli, per il passaggio dei carretti. Il secondo, cinquanta metri sopra, di un metro di larghezza, per il passaggio delle carriole. Questo é il più antico, in pietra lavorata, e serviva per recarsi nelle tede e nelle stalle situate in territorio Austriaco. Il terzo, carrozzabile, all'entrata nord, fu, nel 1902, edificato dai “Pionieri del Tirolo” di teutonica stirpe.
Senza dimenticare il “Cippo” all'entrata nord, in onore del passaggio del confine nel 1916, dell'erede al trono d'Austria, Carlo d'Asburgo.

Chi avrà mai avuto l'idea di costruire una contrada in questo luogo, dove il torrente Astico ha dovuto lavorare secoli per scavarsi un varco nelle rocce ed il sole deve guerreggiare tutti i giorni con le cime per poter gettare sul fondo valle i suoi raggi luminosi???

Di che viveva questa gente nel passato???

Vivevano miseramente della poca agricoltura e pastorizia e, approfittando delle abbondanti acque, di due molini ed un maglio. 
Acquistavano granaglie e ferro laggiù nella lontana pianura padana e poi, dopo debita lavorazione, a dorso d'uomo, le trasportavano su negli altipiani. E, zona di confine, il contrabbando, sopratutto di sale e tabacco, doveva essere molto fiorente.


La storia degli abitanti dei Busatti e di quelli di Lastebasse, i Lastarolli, é molto dolorosa per non dire tragica e crudele.

Abitavano lassù, in montagna, sotto il forte Cherle. Il loro paese si chiamava San Fermo e Rustico. Un giorno di novembre del 1752, i Folgaraiti, austroungarici, secolari amici-nemici, approfittando dell'assenza degli uomini, si presentarono nel piccolo paese, in territorio della Repubblica di Venezia e con asce, con picchi e mazze, cominciarono a demolire case e chiesa, cacciando nella sottostante Valle dell'Astico bestie e popolazione... diseredata e derubata della propria terra dagli stessi fratelli, cattolicissimi, che per secoli avevano comunicato e pregato assieme, nella chiesa comune di Folgaria.

Scesi sulla strada asfaltata e mi diressi verso le Carotte. Le vecchie stalle sulla sinistra dell'Astico, sono ora una Taverna, e case di abitazione con garage e parcheggi.
L'asfalto non durò che duecento metri e dopo si presentò la vecchia e antica strada della “Raut”: il selciato ricoperto d'erba... abbandonata e deserta.

Mi giriai verso sinistra e vidi in un prato, non più grande di un fazzoletto, un anziano signore che con il gomito appoggiato su un tavolo, la testa reclinata sulla mano, contemplava le nuvole che passavano nel cielo. Istintivamente levai la mano come per salutarlo.

Lui si alzò e con passo claudicante si diresse verso di me; naturalmente io feci la stessa cosa. Arrivati l'uno in faccia all'altro, fu lui il primo a chiedermi: “Cerca qualcuno?“. Lì per lì volevo rispondere no, no, ma poi una luce si accese dentro di me. “Scusi, gli chiesi, lei é del paese?”.

Sicuro! anzi sono uno degli ultimi “veri” Busattari. Ora abito a Carré, con mia figlia, ma sono nato e cresciuto qui”.

In quell'istante,iniziai a ricordare uno dei primi eventi dolorosi della mia vita lavorativa. Era l'estate del 1954.

 
Lavoravo a Bessans, un piccolo paesetto della Savoia, al confine con l'Italia, situato a 1800 metri di altitudine. Stavamo ricostruendo le case che le barbarie teutoniche delle S.S. avevano bruciato, come qui da noi a Pedescala. Un mattino vediamo arrivare un bel giovanotto un po' rossiccio... “EZIO.” Era dai Busatti. Lo accogliemmo con grande calore, eravamo tutti della Val del'Astego!!!



Come ci spiegò, in realtà, lui non era venuto in Francia in cerca di lavoro, no, il lavoro lui lo aveva in Piemonte. Era venuto solo per qualche mese, il tempo di rinnovare la carta di soggiorno francese... perché nella vita non si sa mai di chi o di cosa si ha bisogno.

L'uomo propone... Dio dispone.

Pochi giorni dopo il suo arrivo, in una splendida giornata primaverile, era circa l'una del pomeriggio, la maggior parte degli operai stava mangiando il misero pasto, ”di propria fabbricazione”, quando si sentì un urlo provenire da una casa vicina, in costruzione.

Come un solo uomo ci precipitammo…

Uno spettacolo insopportabile si presentò davanti ai nostri occhi atterriti.

Il corpo esanime del giovane ventenne, giaceva supino per terra... solo un filetto di sangue usciva da un orecchio.

Immagine impressa per sempre nei nostri occhi, incancellabile!!!

Non si poteva toccarlo. L'ambulanza impiegò un tempo infinito prima di arrivare. Il dottore nel vederlo scosse la testa. Fu trasportato nell'ospedale più vicino che si trovava a settanta chilometri, con tutte strade di montagna. Rimase in vita forse qualche giorno.

Ho conosciuto nell'estate del 1954 in Francia un giovane, di qui, che si chiamava...”

Non mi lasciò finire... La sua faccia impallidì. “Ezio... era mio fratello mormorò“. “Sono stato io a ricevere il telegramma... Lavoravo in comune... sono io che ho dovuto annunziare la triste novella agli anziani genitori... e sempre io, qualche giorno dopo, sono venuto in Francia per riportare la sua salma in Italia.”

Si vedeva che il ricordo di quei giorni l'aveva commosso.

Nel frattempo, si era avvicinata la figlia con in braccio un bambino piccolo, che, vedendomi, non so perché, volle venire subito nelle mie braccia, intanto che il padre faceva le presentazioni e le raccontava la storia.

L'incontro finì alla “Taverna della Clara”, la sola cugina che gli restava. La sola donna nata qui e che aveva sempre abitato in questa contrada!!!

Lino Bonifaci

2 commenti:

  1. Pensa Lino come è importante parlare con le persone che incontriamo lungo la strada, a volte affiorano dolorosi ricordi a volte invece bellissimi ricordi ma comunque ci aiuta a non dimenticare il nostro e altrui vissuto e a socializzare anche con persone fino ad allora sconosciute e io penso che momenti così sono da annoverare tra i più belli del nostro cammino. Floriana

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  2. Mancomale che ogni tanto vedo anche il signor Lino che ultimamente lo vedo poco. I suoi racconti mi piaciono sempre. Mi piacerebbe i racconti del tempo della guerra anche se tanto tristi.

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