In Italia ci sono circa 12 milioni di immobili che valgono quasi
mille miliardi di euro ma sono completamente ignorati dal nostro Fisco.
Un numero enorme, che aiuta a spiegare come mai le tasse sul mattone
sono così drasticamente aumentate negli ultimi anni. Per chi le paga.
Le cifre
A questi numeri si arriva scorrendo le ultime statistiche sugli
«Immobili in Italia», diffuse dal Governo qualche giorno fa. Nella nuova
edizione del volume, realizzato dal dipartimento Finanze e dall’agenzia
delle Entrate, c’è scritto che il tax gap, cioè l’evasione fiscale
misurata come differenza fra il gettito reale e quello potenziale,
nell’Imu e nella Tasi vale 4,2 miliardi di euro all’anno. Le due
imposte, nel 2014, hanno portato nelle casse di Stato e Comuni 23,9
miliardi, cioè 100 milioni in più rispetto alla sola Imu del 2012 (il
2013 non fa testo perché quasi tutta l’Imu sull’abitazione principale fu
“pagata” dallo Stato). In pratica, quindi, il 22,6% del gettito
potenziale di Imu e Tasi sfugge al Fisco: detto in modo più brutale,
significherebbe che in media più di un italiano su cinque si è
disinteressato delle infinite contorsioni subite in questi anni dalle
tasse sul mattone, che sono state al centro del dibattito politico ma
non delle preoccupazioni degli evasori.
La geografia del «nero»
Il quadro ovviamente non è così lineare, perché un solo grande
evasore può pesare statisticamente quanto centinaia di fedeli pagatori.
Quando il dato però è così ampio, non è difficile supporre che il
panorama degli immobili nascosti agli uffici tributi sia simile a quello
delle case, dei negozi e dei capannoni perfettamente conosciuti al
Fisco. Questo parallelo comincia a zoppicare però quando si guarda la
classifica territoriale dei mancati pagamenti: il primato italiano delle
tasse pagate spetta ai contribuenti lombardi, con 2,47 miliardi di Imu e
Tasi versati nel 2014, ma il bottino più sostanzioso sottratto al Fisco
sparisce nel Lazio, dove il gettito reale si ferma 689 milioni sotto
quello potenziale.
Se si passa alle percentuali, poi, lo squilibrio punta con ancora più
decisione verso sud: ogni 100 euro di gettito teorico, cioè quello che
arriverebbe in cassa se tutti pagassero con puntualità, in Calabria
l’incasso effettivo si ferma a 66,2 euro, in Campania è di 67,5 euro e
in Basilicata non supera i 70,1. Il Lazio fa poco meglio, con 72,7 euro
pagati ogni 100 dovuti, in Lombardia il dato sale a 81,3 euro e in Valle
d’Aosta raggiunge il picco, superando di un soffio i 90 euro. Il
primato valdostano è figlio di due fattori: una fedeltà fiscale molto
più alta della media italiana (il tasso di evasione Imu-Tasi fra i
contribuenti della Vallée è inferiore alla metà di quello che si
incontra in Trentino Alto Adige, tanto per rimanere sulle Alpi), ma
anche la totale assenza di città medio-grandi.
Le cause
L’evasione delle imposte sul mattone, infatti, cresce insieme alle
dimensioni delle città. Nei paesi che contano meno di 500 abitanti è più
difficile che un immobile sfugga all’ufficio tributi del Comune, e
ciononostante il tax gap medio di questi mini-Comuni è del 10,59%, ma
quando i residenti sono 10-20mila il tasso di evasione arriva al 19,98% e
vola al 27,24% nelle città con più di 250mila abitanti. Ovvio: più il
Comune è grande, più sono difficili le verifiche, e quindi aumenta la
propensione all’evasione. Questi dati, però, restano sorprendenti,
soprattutto se si pensa che gran parte degli immobili che non producono
Imu o Tasi non sono per nulla sconosciuti al Fisco, perché l’agenzia del
Territorio (ora “incorporata” nelle Entrate) ha appena concluso una
maxi-operazione che l’ha impegnata per anni e che ha fatto emergere più
di due milioni di immobili “fantasma”.
Basterebbe incorciare sistematicamente le banche dati fiscali,
quindi, per riportare alla cassa una buona fetta di proprietari, tranne
ovviamente quando a spiegare i mancati pagamenti è la crisi che ha
moltiplicato le imposte proprio mentre crollavano le entrate (tipico è
il caso delle imprese in crisi o fallite che però devono pagare l’Imu
sul capannone). Perché non si fa? A spiegare una certa pigrizia comunale
nella caccia all’evasione c’è il meccanismo seguito fin qui dalla
distribuzione dei fondi di «perequazione».
Queste risorse sono andate dai Comuni più ricchi a quelli più poveri
seguendo i dati sui gettiti effettivi, per cui di fatto le mancate
entrate da Imu e Tasi sono state in parte compensate per questa via e
hanno disincentivato le amministrazioni dal “disturbare” i propri
contribuenti-elettori. Dal 2015 non dovrebbe essere più così, perché a
guidare almeno in parte la distribuzione dei fondi sarà la «capacità
fiscale», cioè il gettito potenziale e non quello effettivo. - segnalata da Odette -
(il sole 24 h)