venerdì 31 ottobre 2014

La notte di Halloween

La notte di Halloween e la festa cristiana dei santi: opposizione o continuità? Appunti in  chiave educativa per la scuola e la catechesi in forma di recensione a La notte delle zucche. Halloween: storia di una festa di P. Gulisano e B. O’Neill di Andrea Lonardo

Il nome Halloween è indiscutibilmente termine di origine cristiana; è parola composta da hallow, ‘santificare’, ed eve, abbreviazione di evening, ‘sera’. Halloween, insomma, deriva da All Hallow's Eve e vuol dire semplicemente ‘Sera della festa dei Santi’, ‘Vigilia della festa dei santi’.
La chiesa cattolica fa memoria, infatti, l’1 novembre di tutti i santi e la sera del 31 ottobre è appunto la vigilia della festa.
Ma l’1 novembre
era il giorno della festa celtica di Samhain ed alcune delle tradizioni dell’odierna Halloween vi rimandano.
Cosa è avvenuto? Perché questa coincidenza?
Halloween è una festa pagana o cristiana? Siamo dinanzi ad una espropriazione cristiana o ad un camuffamento sincretista di riti magici? Cosa è bene fare in campo educativo? Incoraggiare o opporsi alla celebrazione di Halloween?P.Gulisano e B.O’Neill tracciano con il loro libretto La notte delle zucche. Halloween: storia di una festa (Ancora, Milano, 2006, pp.96, euro 7.00) la traiettoria storica che permette di rispondere a queste domande.

Il passaggio da Samahin ad Halloween manifesta un atteggiamento tipico del cristianesimo che non disprezza mai quanto gli preesiste storicamente, ma ne sa cogliere il valore per riproporlo alla luce della pienezza di vita che proviene dal vangelo. I due Autori invitano così a raccontare alle nuove generazioni come avvenne che questa antica festa divenne cristiana:

“Si trattò di qualcosa che poteva avvenire in quello straordinario
crogiolo di popoli, culture, tradizioni che fu il Medioevo, dove il Cristianesimo agì come forza eccezionale per unire, salvare, selezionare, elaborare tutto ciò che proveniva da prima di sé, vagliando ogni cosa e trattenendo ciò che aveva valore. Fu un'opera colossale, con la quale, alla fine, la giovane Chiesa non edificò soltanto se stessa, ma l'intero edificio della civiltà europea, fatto di culture, lingue, usi, costumi e, naturalmente, celebrazioni. Per quanto possibile si cercò di ricondurre tutto ad un'unità, seppur rispettosa delle particolarità, delle specificità. Fu il caso delle feste, dove si giunse ad impiantare la liturgia cristiana sul terreno delle tradizioni precedenti, tenendo conto di quelle che erano i tre grandi elementi costitutivi del mondo europeo: la tradizione romana, quella celtica e quella germanica”.

La festa celtica di
Samhain “era un momento di contemplazione gioiosa, in cui si faceva memoria della propria storia, della propria gente, dei propri cari, in cui si celebrava la speranza di non soccombere alle sventure, alle malattie, alla morte stessa, che non era
l'ultima parola, se era vero che i propri cari, almeno una volta l'anno, potevano essere in qualche modo presenti. Nella magica notte di Samhain non erano le oscure forze del caos che riportavano nel mondo i morti, ma il ricordo e l'amore dei vivi che li celebravano gioiosamente.

L’annuncio del vangelo nel mondo celtico si misurò con questa tradizione che manifestava il desiderio che la morte non fosse l’ultima parola sulla vita umana e
testimoniava, a suo modo, la speranza nell’immortalità delle anime. Il cristianesimo comprese che la propria convinzione della costante presenza ed intercessione della chiesa celeste, della comunione dei santi che già vivono in Dio, poteva rinnovare dall’interno l’attesa ed il desiderio che la tradizione di Samhain celebrava. La resurrezione di Cristo era l’annuncio che la presenza benedicente dei propri defunti non era pura illusione, ma certezza dal momento che noi, i viventi di questa terra, viviamo accompagnati dal Cristo e da tutti i suoi santi. Samhain divenne così Halloween.

P.Gulisano e B.O’Neill prendono per mano il lettore e gli fanno conoscere, innanzitutto, alcuni aspetti dell’antico modo celtico di scandire con le feste il tempo:
Samahin era “il capodanno celtico posto all'inizio dell'inverno, anche se in realtà a metà strada tra l'equinozio d'autunno e il solstizio d'inverno; si differenziava nettamente da altre antiche culture europee, in particolare quelle delle civiltà mediterranee, per le quali l'inizio dell'anno era posto all'equinozio di primavera. Chiari echi di questa tradizione si sono conservati nel nome stesso di questa stagione (primum vere in latino significa ‘prima stagione’) o nel nome del mese di aprile, letteralmente il mese che apriva l'anno”.

Era legata a questo periodo dell’anno l’immagazzinamento delle provviste che dovevano servire per i mesi invernali, che erano la garanzia della continuità della vita.
L’uomo ripeteva così il ritmo della natura che sembrava morire con i suoi semi che scomparivano sotto la neve, ma che sarebbero tornati a dare nuova vita. Nei villaggi si accendeva nella notte il nuovo fuoco e la sua luce veniva poi portata in tutte le case. Ma i simboli della vita che si preparava nascostamente a rinascere toccavano anche i morti.

Infatti, “
si credeva che le anime di coloro che erano venuti a mancare durante l'anno avessero il permesso di tornare sulla terra, nel giorno di Samhain.



“Il significato di Samhain per gli antichi Celti era dunque quello di un vero e proprio ‘passaggio’, il sostituirsi di un tempo e di un ordine all'altro.
Le feste dedicate ai defunti e agli antenati, quindi alla fecondità garantita da chi ha già affrontato il ciclo naturale della morte e della rinascita, sono comuni a molti sistemi etnoreligiosi. E,
nelle ‘feste dei morti’, è abbastanza comune che essi rechino anche dei doni ai vivi: il morto appartiene all'immaginario dell'eterno ciclo naturale del nascere e dello spegnersi, del letargo e del rifiorire della natura. La grande festa autunno-invernale di Samhain era dunque anche dedicata ai morti e principalmente agli antenati”.

Il passaggio da questa antica tradizione a quella rinnovata di
Halloween avvenne nell’VIII secolo, ad opera dei vescovi e dei monaci del regno dei Franchi ed, in particolare, per iniziativa di Alcuino di York:

“Se il culto dei singoli martiri e santi risale ai primissimi secoli, a partire dalla fine del IV secolo si sentì in Oriente l'esigenza di celebrare tutti i santi, conosciuti o ignoti, in un'unica festa: la Chiesa siriaca durante il tempo pasquale, la bizantina la domenica successiva alla Pentecoste... Ogni chiesa locale manteneva tuttavia il proprio calendario e venerava i propri santi. Nelle aree d'Europa di più forte tradizione celtica il ricordo di
Samhain era ancora vivido e così si decise di coniugare il culto dei santi all'antica ricorrenza.
Così l'episcopato franco istituì nell'VIII secolo la festa di
Ognissanti: il principale promotore di tale iniziativa fu Alcuino di York, monaco sassone di formazione irlandese, che era uno dei più autorevoli consiglieri di Carlo Magno. Egli, che ben conosceva le forme di religiosità precristiana delle isole britanniche, sapeva quanto fosse stata importante per le popolazioni dell'area celtica la festa di Samhain, e quanto fosse necessario cristianizzarla, sottolineando l'aspetto della santità e della comunione dei santi, legame tra le generazioni di cristiani, dei presenti e di coloro che ci hanno preceduti.
Questa felicissima intuizione teologica ebbe seguito: pochi anni dopo, l'imperatore Ludovico il Pio, su richiesta di papa Gregorio IV, ispirato a sua volta da consiglieri come il vescovo di Fiesole e il missionario irlandese Donagh (conosciuto in seguito come san Donato di Fiesole), estese tale festa a tutto il regno franco.
Fu circa alla metà del IX secolo dopo Cristo che la ricorrenza di Ognissanti venne ufficialmente istituzionalizzata, collocata alla data del 1° novembre e quindi estesa a tutta la Chiesa, per opera del Papa Gregorio IV.Ci vollero tuttavia ancora diversi secoli, perché la festività di Ognissanti fosse obbligatoria in tutta la Chiesa Universale, il che avvenne grazie al pontefice Sisto IV nel 1475.


P.Gulisano e B.O’Neill raccontano come ben presto si decise di legare alla festa dei Santi anche la commemorazione di tutti i Defunti, di coloro che non erano morti in piena santità di vita, perché si pregasse per loro e perché si coltivasse la speranza certa della loro salvezza e della loro intercessione per i loro cari in terra:

La stretta associazione con la commemorazione dei defunti, celebrata il giorno successivo, fu istituita solo nel 998 dopo Cristo, trovando slancio nell'ambiente monastico benedettino.Fu infatti Odilone di Cluny a dare l'avvio a quella che sarà una nuova e longeva tradizione delle società occidentali. In quell’anno egli diede disposizione affinché i cenobi dipendenti dall'abbazia celebrassero il rito dei defunti a partire dal vespro del 1° novembre. Il giorno seguente era invece disposto che fosse commemorato con un'eucaristia offerta al Signore, pro requie omnium defunctorum. Un'usanza che ben presto si diffuse in tutta l'Europa cristiana, per giungere a Roma più tardi”.

Era così compiuta la piena valorizzazione dell’antica tradizione celtica nella fede cristiana.
Le due celebrazioni cristiane dei Santi e dei Defunti annunciavano ora che non era stato un errore credere che i morti potessero visitarci. Il Cristo era venuto a rinnovare questa fiducia su di una base molto più salda, dando agli uomini un dono che superava ogni loro desiderio, la comunione reale e continua della chiesa della terra e di quella del cielo.


È utile a questo punto soffermarsi a cogliere le conseguenze educative di questa ricostruzione storica:
il binomio Samhain-Halloween può sempre di nuovo essere raccontato in primo luogo perché i bambini non abbiano paura dei santi e dei morti, ma imparino a confidare nell’assistenza di coloro che sono già in cielo, in secondo luogo perchè sappiano che esiste un modo per amare chi non è più su questa terra e che esso consiste nel pregare per loro, in terzo luogo perché i piccoli possano riflettere sui desideri profondi del cuore umano che non si rassegna a vedere scomparire nel nulla i propri cari e sulla bellezza del vangelo che mostra che questi desideri non restano inappagati, ma vengono realizzati dalla misericordia di Dio, in quarto luogo perchè possano comprendere la ricchezza della storia della chiesa e l’atteggiamento del discernimento che sempre la deve caratterizzare.

Una questione si impone, però, ancora, secondo le ricerche dei due Autori, e non può essere elusa: se questo è il percorso storico che ha portato alla nascita di
Halloween, da dove viene, allora, l’aspetto macabro che caratterizza i modi celebrativi che il marketing economico sta imponendo alle nuove generazioni?



Tutto ciò, magari anche sotto la forma del gioco, può essere frutto di profonda riflessione e, perché no, di conversione. In fondo, non c’è nessuno che di fronte alla morte non si senta mettere in questione il proprio stile di vita, fosse pure per una volta all’anno… all’inizio di novembre.
I due Autori, nel prosieguo della loro ricerca, mostrano come sia avvenuto che la festa sia stata svuotata sia della speranza che animava il mondo celtico pagano, sia del suo compimento che aveva caratterizzato la sua rilettura cristiana:

Nella corrente letteratura esoterica ed occultistica si danno delle fantasiose e infondate versioni della festa di Samhain che sono poi quelle che fanno da riferimento alle moderne celebrazioni stregonesche e neopaganeggianti e che hanno creato agli occhi di molte persone l'immagine inquietante di Halloween.
Secondo queste versioni,
Samhain sarebbe stato il nome di una oscura divinità, ‘Il Signore della morte’, ‘Il Principe delle Tenebre’, che in occasione della
sua celebrazione chiamava a sé gli spiriti dei morti, facendo sì che tutte le leggi dello spazio e del tempo fossero sospese per una notte, permettendo agli spiriti dei morti e anche ai mortali di passare liberamente da un mondo all'altro. Per questo
Samhain viene considerato dai moderni e fantasiosi esoteristi come un momento dedicato alla divinazione, in cui cioè si può facilmente prevedere il futuro e predire la fortuna.
In realtà ciò che gli antichi Celti celebravano a
Samhain era la sacra relazione della vita con la morte. Niente a che vedere dunque con il terrore di morti, in cerca di nuovi corpi da possedere, o di spiriti maligni e terribili divinità dell'oscurità venute a soggiornare sulla terra e ad imprigionare e uccidere il sole. Samhain era invece la festa della comunione, dell’unità tra i vivi e i morti, dei quali non si aveva paura, ai quali si portava rispetto. Si pensava che in questo giorno i morti potessero tornare nella terra dei vivi per festeggiare con la propria famiglia, tribù o clan. Samhain era l'occasione sacra in cui la barriera che separa il mondo dei vivi dal mondo dei morti poteva venir meno e a questi ultimi era concesso un fuggevole ritorno sulla terra... Si spiegano così alcuni gesti tradizionali, come far trovare le luci, perché i morti potessero ritrovare la via, far trovare cibo nelle tavole, perché gli antenati trovassero i loro cari ancora vivi felici e, non avendoli dimenticati, si preoccupavano ancora di far trovare loro cibo (da qui il trich-or-treat, scherzetto o dolcetto)”.

Il passaggio a questa visione non più religiosa della festa avvenne in età molto recente, nascondendo a bella posta l’antica tradizione celtica
:

In epoca vittoriana furono gli strati più elevati della società ad impadronirsi della festa: era di moda, in America, organizzare feste, soprattutto a scopo benefico, la notte del 31 ottobre. Era necessario tuttavia, perché Halloween fosse bene accetta in società, eliminare ogni riferimento di tipo religioso, in particolare la visione della morte, amplificando i giochi e la parte scherzosa e ludica della festa.
Poi, contrariamente alla tradizione macabro-romantica del gusto e della letteratura, la ‘festa dei morti’ di ancestrale tradizione celtica, perduta la sua giustificazione cristiana, si trasformò in una specie di celebrazione dell'oscurità, della magia, con contorno di streghe e demoni.
La solidarietà tra le generazioni, tra i morti e i vivi, aveva lasciato posto ad un terrore cupo e gotico della morte.
Halloween subì un processo di ‘de-cattolicizzazione’, e anche di ‘de-celtizzazione’. Gli antichi miti celtici di rigenerazione erano stati spazzati via dalla nuova visione orrorifica, estremamente moderna nel suo essere allo stesso tempo scientista, positivista e affascinata dall'elemento magico-occultistico”.



Qui è necessario il discernimento educativo. I due Autori non propongono, al termine della loro analisi, una scelta educativa di opposizione alla festa. Essa può essere, invece, occasione per una riscoperta degli antichi motivi che hanno dato origine a questa tradizione, “liberandola dalla dimensione puramente consumistica e commerciale e soprattutto estirpando la patina di occultismo cupo dal quale è stata rivestita. Si faccia festa, dunque, una festa a lungo attesa, e si spieghi chiaramente che si festeggiano i morti e i santi, l'avvicinarsi dell'inverno, il tempo di una nuova stagione e di una nuova vita. Si festeggi san Martino, si mangino zucche, fave e dolci. Oratori, scuole e famiglie si impegnino in modo positivo e perfino simpatico affinché i bambini vengano educati a considerare la morte come evento umano, naturale, di cui non si debba aver paura.
(segnalata da Lucia)

Una visita da... brivido!

Domenica scorsa, sono andata con mio marito a trovare dei parenti ad Avio, vicino a Rovereto (TN) e visto che mia nipote gestisce per il FAI (Fondo Ambiente Italiano) il Castello di Avio, sono andata come sempre a fare un saluto. 
Il castello situato sopra il paese è raggiungibile in auto fino a un certo punto, poi un sentiero e la strada selciata che si snoda nel verde dei vigneti, conducono alle mura e quindi al grande portone. E’ un imponente manufatto che conserva al suo interno anche lati artistici come gli affreschi che riescono a far rivivere un’epoca  tanto lontana; tra le stanze vengono periodicamente allestite mostre e eventi. Già all’arrivo al parcheggio ci siamo accorti che doveva esserci qualcosa di strano: solitamente ci sono auto, ma quel pomeriggio  tante erano parcheggiate lungo la strada e all’entrata dei vigneti sottostanti. Poi percorrendo il sentiero alcune  persone che scendevano erano travestite da streghe, diavoletti, fantasmi, vampiri … ma cosa stava succedendo in quel tranquillo castello?  
Abbiamo poi saputo che era la giornata di “Una visita da brivido” che viene organizzata sempre la domenica prima dei Santi e che richiama tanti visitatori, specialmente famiglie con bambini. Castagne e vin brulè accompagnato da musiche medioevali accoglieva le persone all’entrata, rendendo ancor più reale l’atmosfera che si era creata. Abbiamo così deciso di fare anche noi una visita, ma abbiamo dovuto attendere più di un'ora perché la visita era guidata, ogni gruppo partiva distaccato dall’altro e tutti avevano la propria guida vestita con abiti medioevali.  
Una guardia ci ha fatto entrare nella prima sala dove abbiamo assistito a un tipico ballo in onore della  giovane castellana che attendeva il suo promesso; poi i suonatori, il cattivo della situazione, il principe … E poi fuori, via per il sentiero dove abbiamo incontrato una strega che ci consigliava di andarcene; ancora avanti un cimitero e i morti viventi che si alzavano dalle bare…; tre streghe e un pentolone e le loro pozioni magiche; fantasmi che al battere delle mani prendevano vita e inscenavano  duelli con spade… Per finire un balletto: il bene contro il male impersonato da  quattro ballerine vestite di bianco e quattro
di nero. Era ormai scesa la notte e con le luci di scena che cambiavano colore, si era creata un’atmosfera magica; alcuni bimbi piccoli erano un po’ spaventati, mentre altri più coraggiosi, erano sempre in prima fila.  Nel contesto di un castello, la rappresentazione è stata ben interpretata dagli attori e ha assunto un che di teatrale nonostante richiamasse un po’ alla festa che ormai ha preso piede anche in Italia: Halloween. Devo dire che io non sono a favore di tale festa perché ci tengo a ricordare e rispettare coloro che non sono più tra noi, ma devo ammettere che ho gradito la sceneggiata forse perché è stata proposta una settimana prima della fatidica notte . Bisogna ammettere che queste rappresentazioni attirano tanti visitatori così il castello può essere conosciuto e si contribuisce a salvaguardare questi manufatti che conservano tra le proprie mura, in ogni sasso, un pezzo di storia che merita di essere conosciuta.
Credo che il castello, dopo una giornata così animata da personaggi e visitatori, giunta la sera abbia gradito la pace che regna tra le sue mura, ma abbia anche provato un po’ di gioia nel sentirsi ancora “vivo”, abitato, ammirato…  e si sarà addormentato sognando tempi lontani….
                                                                     
Lucia Marangoni

giovedì 30 ottobre 2014

Le vacche che bevono alla fontana? Cose d’altri tempi!


Ebbene sì, se qualcuno mi avesse detto che avrei visto ancora vacche che si dissetano alla fontana della piazza di Pedescala, avrei sicuramente risposto che per vederle almeno su una foto, sarebbe servito un fotomontaggio!
Invece è accaduto veramente e la piazza si è animata: sembrava che arrivasse un personaggio importante, invece da Castelletto, scendendo per la “strada vecia” sono arrivate in un sabato mattina di ottobre, 2 vacche e 2 vitelle di proprietà di Marcello Toldo, accompagnate da alcuni famigliari che per l’occasione hanno rivissuto qualcosa di un tempo passato. Sì perché da noi, a Pedescala, erano veramente tanti anni che non si vedevano vacche in piazza e questa è stata senza dubbio una cosa inusuale, ma allo stesso tempo gradita. 
Si sono fermate ad abbeverarsi, mentre la nonna Fausta ha rifocillato i “Vacàri” con un buon caffè; hanno poi proseguito alla volta di Settecà, dove sono state poste in un prato recintato. Ho osservato le tante persone accorse: gioia, ricordi, nostalgia, curiosità, queste le emozioni che ho potuto scorgere nelle parole che ho sentito. A volte basta poco per animare un po’ il paese e anche un semplice passaggio di pochi animali, può dare un colore diverso alla giornata. Comunque, a parte l’abbeverare delle mucche, il “cocòn” è servito a far vedere che la fontana perde da più parti, cosa che un tempo non sarebbe mai accaduta perché le fontane erano sempre piene d’acqua e dai rubinetti si sentiva un lieto gorgoglìo che ormai abbiamo scordato…
Lucia








E aggiungo anche, visto che siamo in tema di animali che ci han onorati della loro visita, le foto del recinto delle pecore con gli agnellini appena partoriti ed allattamento in diretta, fotografati a Setteca'.


Le interessanti segnalazioni di Odette

l Museo dell’Emigrazione “Pietro Conti”, con la collaborazione dell’Isuc, bandisce un Concorso per la migliore testimonianza video sul tema dell’emigrazione italiana all’estero. Lo scopo dell’iniziativa è quello di favorire il recupero e la sensibilizzazione della memoria storica dell’emigrazione italiana nel mondo dalla fine dell’Ottocento ai nostri giorni, nonché favorire un’attività di ricerca ...e di studio sugli aspetti storici, sociali ed economici legati all’esodo. I video dovranno essere diretti ad illustrare il fenomeno migratorio attraverso storie individuali e/o familiari e/o comunitarie, considerando la possibilità di muoversi all’interno di un tema variegato e ricco di sfaccettature (i motivi della partenza, il viaggio, i lavori, l’emigrazione femminile, le comunità italiane all’estero, l’integrazione, gli scontri e gli incontri culturali, il ritorno, ed altro).

Il Concorso prevede l’ideazione e la produzione di un audiovisivo che tragga spunto dalla tematica migratoria italiana. I video dovranno essere diretti ad illustrare il fenomeno migratorio attraverso storie individuali e/o familiari e/o comunitarie, considerando la possibilità di muoversi all’interno di un tema variegato e ricco di sfaccettature: i motivi della partenza, il viaggio, i lavori, l’emigrazione femminile, le comunità italiane all’estero, l’integrazione, gli scontri e gli incontri culturali, il ritorno.





mercoledì 29 ottobre 2014

Aggiornamento


In tanti chiedono lo stato avanzamento lavori...


El quiss de Piero - andò sémo?


A volte il fondovalle... sparisce...


(Succede non raramente durante le fredde giornate invernali, 
con il sole da noi  e la nebbia in pianura.
Parte di quest’ultima (io la definisco “umidume”) sale su per le valli nel pomeriggio,
apparendo a noi come umida foschia  mentre, se fotografata  dall’alto, 
sembra invece nebbia. by Riccardo Stefani)

Gli scatti di Federico


E si insiste...




L'ecostazione è aperta il mercoledì e il sabato, ma pare che qualcuno non lo sappia... 
Siamo davanti ancora una volta a un fatto di inciviltà e nessun rispetto per l'ambiente che ci circonda? 
Questa vergogna l'ho fotografata in Val d'Assa, poco lontano dalle "7 nogàre". 
Lucia







(mi verrebbe da dire che Lucia sia la predestinata testimone di questi... quadretti...)   :-)))
Tento di spezzare una lancia: Non è che stavolta dobbiamo dare la colpa al forte vento???

martedì 28 ottobre 2014

Un delizioso dolce dai sapori di montagna






INGREDIENTI
Per la base:
300 gr. di farina - 120 gr. di burro - 150 gr. di zucchero - 1 uovo + 1 tuorlo
Per la farcia:
300 gr. di ricotta - 50 gr. di zucchero - 3 cucchiai di liquore - miele - marmellata di mirtilli

 

Unire lo zucchero alla farina, Aggiungere le uova ed il burro freddi. Lavorare il meno possibile e lasciare riposare l’impasto in frigo per almeno mezz’ora.
Stendere la pasta e rivestire una teglia a strappo ricoperta di carta forno bagnata e strizzata creando anche un bordo di circa un centimetro.
Infornare a 180° per 10 minuti, ed utilizzare i rebbi della forchetta per bucare la pasta se tende a gonfiarsi.
Togliere dal forno e ricoprire la base con uno strato di marmellata.
Unire il miele, la ricotta ed il liquore e stendere sulla marmellata il composto ottenuto.
Informare a 180° per circa 45 minuti. A fine cottura quando la ricotta comincia ad imbiondire ricoprire con altra marmellata ed infornare 5 minuti.
Lasciar raffreddare e riporre almeno 12 ore in frigo. Servire fredda.
(segnalata da Odette)

Erasmus: riduce la disoccupazione 23%, e fa trovare anche l'amore

BRUXELLES - Erasmus funziona. Chi studia o si forma all'estero ha maggiori speranze di trovare lavoro. Cinque anni dopo la laurea, il tasso di disoccupazione degli studenti Erasmus è inferiore del 23%, ma non solo: aiuta a trovare non solo una buona occupazione, ma anche l'amore della vita. 
Si stima che sin dall'esordio di questo fortunato programma, era il 1987, sono nati circa un milione di bambini da coppie 'erasmiane'. E' quanto emerge da uno studio a cura della Commissione europea, il primo così corposo, sulla cosiddetta 'Erasmus generation', descritta già nel 2002 dalla gustosa commedia franco-spagnola 'L'appartamento spagnolo', ma che ormai è diventata grande e si è fatta strada: esempio per tutti, il ministro Federica Mogherini, designata Lady Pesc, che scrisse la sua tesi di laurea sul rapporto tra religione e politica nell'Islam durante il suo Erasmus a Aix-en-Provence. 

Insomma, un successo, minacciato tuttavia dai rischi di tagli di budget, un incubo che si ripresenta ogni anno, come ha ricordato alla sua presentazione alla stampa, Androulla Vassiliou, commissaria all'Istruzione e la Cultura. "In un contesto europeo segnato da livelli inaccettabili di disoccupazione giovanile - sottolinea - i risultati di questo studio sull'impatto di Erasmus sono estremamente significativi". Lo studio mostra infatti che il 92% dei datori di lavoro cerca nei candidati i tratti della personalità che sono potenziati dal programma, quali la tolleranza, la fiducia in se stessi, l'abilità a risolvere problemi. Quanto al tema del reperimento delle risorse, a fronte di nuovi tagli dei Paesi membri al bilancio Ue, Vassiliou osserva che si tratta di un "problema costante, generale che coinvolge tutti".

"L'abbiamo vissuto due anni fa in modo grave, l'anno scorso in misura minore e ora si ripropone. Tuttavia confidiamo di farcela. Quanto a me ho fatto di tutto per ricordare ai governi l'importanza del programma: tre mesi fa ho scritto a tutti i ministri della Cultura europei perché spingano i rispettivi Paesi a evitare questi tagli. Accanto al programma tradizionale - ricorda la Commissaria - esordisce il nuovo Erasmus Plus che offrirà sovvenzioni Ue a quattro milioni di giovani entro il 2020, dando loro la possibilità di sperimentare la vita in un altro paese con studi, formazione, insegnamento o volontariato". 

Ma Erasmus, per tanti milioni di giovani, non è stata solo un'eccezionale opportunità dal punto di vista lavorativo, ma anche privato, personale. Secondo lo studio, circa il 33% degli ex studenti Erasmus ha un partner fisso di un'altra nazionalità e addirittura il 27%, più di uno su quattro, ha incontrato il proprio partner fisso durante il suo soggiorno di studio all'estero. In base a questi dati, la Commissione stima che dal 1987, l'anno in cui è partito il progetto, siano nati circa un milione di bambini figli di 'coppie Erasmus'. Inoltre, il 40% di chi ha vissuto questa esperienza s'è trasferito in un altro Paese dopo la laurea, quasi il doppio di quel 23% che invece non ha seguito questo programma. Infine, il 93% dei ragazzi 'Erasmus' non fa fatica a immaginare di vivere in futuro all'estero, 20% in più rispetto a chi non ha mai studiato fuori. Un bel vantaggio a fronte delle richieste di un mercato sempre più globalizzato.
(fonte ansa.it)
(segnalato da Odette)

lunedì 27 ottobre 2014

Il Parroco don Antonio Fontana - “grande edile"

Correva l'anno 1895...
Il 28 novembre Carlo Righele vede arrivare dalla strada nuova di Pedescala un viandante, alquanto robusto di corporatura, vestito da prete e con un fagotto sulle spalle.
"Bongiorno", el ghe dise lo sconosciuto... Dime bon omo... "Quel paese che se vede là... xelo San Piero?" Sì sì, el ghe risponde Carlo, guardandolo con aria inquisitoria. Ma lu chi xelo? "Mi a son el novo prete". Oh el me scusa salo, el me daga a mì el fagòto ca lo compàgno fin in paese, ma xe mejo ca lo avérte prima, el sarà obbligà a dormire in te la casa del capelàn parchè la canonica xe tuta na rovina!
Fu così che arrivò in incognito, seppur atteso, il miglior parroco ed il più longevo che la parrocchia di Sanpietro abbia mai avuto. Colui che, con le sue opere, uomo normale, ma posseduto da un grande carisma, da un immenso coraggio e da un'inflessibile volontà del fare, con l'aiuto del popolo "unito e concorde" cambiò l'aspetto edilizio di San Pietro, costruendo opere essenziali ed utili ad un paese civile.
Don Antonio Fontana era nato a Zugliano nel 1857, ordinato sacerdote nel 1888 fu nominato parroco di San Pietro nel 1895.
La notizia del suo arrivo si sparse come un lampo fino ai Lucca dove, ventenne, abitava Gigio con i suoi fratelli e i genitori Basilio e Catina.

Prima dell'arrivo dei liberatori-devastatori francesi: ”il territorio della Spettabile Reggenza dei Sette Comuni o Lega delle Sette Terre Sorelle non era proprietà privata e nemmeno proprietà pubblica demaniale, ma proprietà collettiva mani unite ossia proprietà degli antichi abitanti riuniti in colonelli. 
Napoleone nominatosi re d'Italia, nel 1807 mette fine a questi privilegi abolendo la Spettabile Reggenza dei Sette Comuni. Cessò così di vivere, dopo cinque secoli di vita, la più piccola delle Federazioni politiche d'Europa e la più antica assieme alla Svizzera.

Scomparsi i Francesi si passò sotto il dominio austriaco. Il contrabbando che tanto aveva contribuito al benessere dei Bonifaci, in Contra' Baise, a causa dell'abolizione delle frontiere, era praticamente scomparso o non più redditizio. Ma la peggior disgrazia che arrivò loro fu l'opera “buona” compiuta dagli Austriaci che un anno appena prima della loro cacciata dal Veneto (1866), decisero, approffitando delle leggi abolite da Napoleone, di dividere il territorio della Proprietà Collettiva in tanti “lotti” quante erano le famiglie del paese, tenendo conto sia del numero dei membri, sia della posizione dell'abitazione. 
Le famiglie Bonifaci ai Baise, furono così “espropriate” della montagna situata sopra le loro case che serviva loro per far vivere gli animali. La difficile situazione così creatasi costrinse le famiglie a scendere nelle case che possedevano sotto la Contra' Lucca, che prima usavano solo per passare l'inverno.
Nel 1870 mio bisnonno Stefano e mio nonno Basilio furono i primi ad abbandonare le case natali, immaginate con quale tristezza, dopo tre secoli di permanenza! Gigio, (Luigi) mio padre, era fin da piccolo molto affezionato al parroco d'allora don Carlo Bonomo che gli aveva insegnato non solo la religione, ma anche a leggere e scrivere, cosa ancora abbastanza rara per quei tempi.
Conscio delle gravi difficoltà in cui doveva trovarsi il nuovo prete, appena arrivato, con l'aiuto della mamma riempì un “prosac” di viveri: pane, formaggio, salame, vino e passando per la strada delle fontanelle e i Checa si recò nella casa del Cappellano dove trovò don Antonio intento a sistemare un po' alla meglio le poche cose che possedeva. Si videro, si parlarono e si stimarono a vicenda.

Don Antonio, vista la situazione di povertà materiale e morale i cui viveva la popolazione, volle subito mettersi all'opera per portare un po' di progresso e far avanzare il paese un po' verso la civiltà.
La vista dei moltissimi bambini, sotto i sei anni, “arlevà” molto spesso dalle vecchie nonne,
mentre le mamme erano nei campi con i più grandicelli a ”metter do patate“ o tor sù granghe, lo colpì profondamente.
Vedere quelle povere creature correre e giocare seminudi, estate ed inverno, coperti da uno straccio di grembiulino che non copriva loro neppure le nudità … (a quei tempi non esistevano i pannolini, gli slip o le mutande e ... manco ai miei tempi...) sconvolse quell'animo generoso che decise di costruire loro un locale.
Fu con un piccolo Asilo (l'attuale, ora ingrandito inutilmente, perchè privo di bambini) che cominciarono le opere edilizie del nuovo Parroco nel 1897.
Per poter costruire bisognava avere conoscenze; Gigio, legato per parentela con quasi tutto il paese, conosceva la strada giusta. Fu così istituita una ”Società Operaia di Mutuo Soccorso” ed una “Cooperativa“ che diventarono presto il centro propulsore delle nuove opere. 
Nello stesso tempo il nuovo Parroco insisteva con il Comune per avere la canonica nuova. 
E fu fatta, ed é quella attuale, un tantino rimodernata. 

Nel 1900 fu costruito, con l”aiuto di tutta la popolazione, il grande Sacello della Gioa in onore di Cristo Re e di cui mi ricordo di aver visto tracce di pittura all'interiore della nicchia, ora completamente scomparse. 
Nel visitare le varie case per la benedizione pasquale si rese conto in quali deplorevoli situazioni si trovavano certi anziani soli, ammalati e spesso lasciati morire in miseri giacigli di scartossi. Si commosse e come prima aveva pensato per i bambini ora pensò pure per gli anziani. Fu così che in un'ala del nuovo Asilo istituì un piccolo Ricovero per una decina di persone. Per poter far vivere queste due opere, (a quel tempo lo Stato, per il sociale, non esisteva) in primis dedicò l'Asilo, con il suo augusto assenso, alla Regina Margherita di Savoia, la quale si compiacque di inviare un piccolo obolo di L. 500. 
Utile, ma non sufficiente, così il buon Parroco nel 1902 pensò bene di costruire una casa per il Medico Condotto della Valle, costringendolo a vivere in paese, e con l'affitto, pagare la manutenzione dell'Asilo e del Ricovero. Questa casa del Medico fu più tardi venduta al Comune di Rotzo (a quel tempo nostro comune) per ricavare soldi per finire la costruzione della nuova chiesa. Nel 1940 divenne ed è tuttora sede del nuovo Comune di Valdastico.

Nel 1910 mise corona a questa multiforme attività edilizia con la costruzione del Ricreatorio S. Barbara, delle dimensioni di 8 per 18 m. (chiediamogli perdono per il suo stato attuale!). Nel 1908 da parte del Comune ci fu la costruzione del Cimitero degli Alzere.
Ma l'assillo maggiore di don Antonio era di costruire una nuova chiesa perchè quella esistente ancor nuova, non aveva neppure un secolo, era incapace di contenere tutte le persone che si recavano a messa, essendo la popolazione della parrochia più che triplicata in cento anni. La parrocchia a quel tempo faceva più di duemila anime. 
Nel 1911 fra mille contrasti si cominciò la sua edificazione. Il paese sembrava un alveare... tutta la popolazione partecipò alla prepararazione del necessario.
La disgraziata guerra del 1915 - 1918 ne interruppe i lavori...

a seguire: Il profugato e la nuova Chiesa
Lino Bonifaci

Raccolta firme contro il calcificio


Informiamo 
che per chi non è stato trovato a casa, 
per chi ha chiesto 
un po' di tempo per pensarci ecc... 
dalle ore 18.00 alle 20.00 
presso la casa di Romina e Silvia 
a San Pietro in Via Rotzo, 8 
c'è il PUNTO DI RACCOLTA FIRME 
CONTRO IL CALCIFICIO. 
RECAPITO TELEFONICO: 

0445 - 74.53.41 - 

IN CASO DI IMPEDIMENTO, 
CHIAMATE PURE IL SUDDETTO NUMERO 
CHE GLI INCARICATI VERRANNO 
DIRETTAMENTE A CASA VOSTRA.
PASSATE PAROLA - GRAZIE - 

La stazione ferroviaria di Velo


Questa arriva dal Portogallo - palazzo de la Regaleira -



Potenza del nome

[Gianni Spagnolo © 25A20] A ben pensarci, siamo circondati da molte cose che non conosciamo. Per meglio dire, le vediamo, magari anche frequ...