sabato 31 agosto 2013

Ersipoint




Nel video di Gino sulla gita a Guardia di Folgaria, il paese dipinto, ho postato questo messaggio: 

avrei un sogno: poter fare un copia-incolla per il nostro Paese. 

Io adoro i murales!
Stamattina ho ripreso le mie camminate dopo il gran caldo ed immancabile devo percorre il sentiero che dal Maso Stefani porta alle Giare, il mio preferito. Con grande sorpresa, a fianco della casa di Ersilia vedo questo murales (la data porta il 15 agosto 2013) commissionato ad un amico di famiglia per ricordarla. Incontrando poi Patrizia, un'amica di Ersilia, ne abbiamo parlato e mi ha detto che quel murales significa:

la vita è un viaggio...

Per me una originalissima e simpatica idea per ricordarla.

Ciao Ersy...

Il raponzolo




IL RAPONZOLO DI ROCCIA 
è uno dei più caratteristici 
e rari fiori alpini.

Sopravvissuto probabilmente all'era glaciale, crescendo nelle alpi meridionali, emerge dalle fessure umide delle pareti rocciose calcaree, comunemente al di sopra dei 1.400 mt.
Il primo, con un'infiorescenza di 16 fiori, lo scoprii personalmente trent'anni fa al forte di Campolongo (1.730 mt.), senza più trovarne sulle nostre montagne, fino a quando non lo individuai, assieme all'amica Annamaria Slaviero, sulla parete soprastante la strada San Pietro-Castelletto in località "pissavacca".
Consci della sua rarità, anche per la bassa quota (500 mt.), per parecchio tempo ne fummo, lei più di me, gelosi custodi, controllandone di anno in anno la presenza, e che nessuno lo estirpasse.
Da un po' di tempo, l'ho individuato lungo la Singéla (vedere foto, infiorescenza con 11 fiori) e con stupore sembra volersi riprodurre col passare del tempo in più esemplari. 
by Riccardo Stefani





E aggiungiamo pure l'orchidea selvaggia 
e la negritella, 
se magari qualchedùn se domandasse: 
e quali sarìssele? 

Le grappe (non da bere)

Esiste un luogo assai affascinante che stimola in particolare la mia curiosità, forse perchè, a prima vista, sembra difficile da esplorare,  ma con un po' di coraggio e una buona dose di fortuna è diventato con il tempo una meta abituale delle passeggiate in compagnia della mia amica Gelinda. 
Entrambe siamo abbastanza spericolate e salire sui ferri scivolosi delle "Grappe"  è per noi una sfida troppo golosa per potervi rinunciare. All'inizio affrontiamo qualche gradino e poi scendiamo, così tante volte ancora sino a che un giorno decidiamo di arrivare in alto; la salita è abbastanza snella, ma il problema, arrivate lassù, è come staccarsi dalla parete di sasso senza cadere e allora escogitiamo questo sistema: appoggiamo la pancia sul terreno misto erba e sassi  e con la potenza dei nervi e muscoli delle adolescenti ci trasciniamo un po' avanti in posizione orizzontale e al sicuro da ogni pericolo. Non abbiamo il coraggio di guardare indietro e ci addentriamo nel vallone attirate dalla frescura e dalla scoperta di luoghi nuovi. Qui si sta molto bene, il sibilo del vento ci accompagna come una dolce musica di sottofondo, gli uccellini sembrano cantare in modo più concitato del solito, forse disturbati  dal nostro schiamazzare e urlare, si perchè ci divertiamo pure a fare la gara con l'eco delle nostre voci. 
In lontananza si sentono le campane di Casotto che battono le ore e questo ci aiuta a tenere conto del tempo trascorso. Quando ne abbiamo abbastanza decidiamo di affrontare la via del ritorno; arrivate alla discesa delle "Grappe" si presenta di nuovo il problema sicurezza e perciò ci distendiamo di pancia, afferriamo il primo ferro sporgente e con i piedi cerchiamo i gradini sottostanti, naturalmente tenendo gli occhi chiusi per evitare vertigini e sbandamenti; una volta posizionate saldamente iniziamo a scendere senza guardare in basso e...  oplà un saltino e siamo sane e salve ben piantate sul terreno. 
Nelle settimane successive affrontiamo svariate volte questo percorso, ogni volta con più dimestichezza, fino a dimenticarci della pericolosità che ciò comporta. E' per questo che qualche anno dopo... passeggiando in quei luoghi con la mia sorellina di cinque anni mi è saltato in mente di farle vedere le meraviglie del vallone. Me la sono appoggiata sul cuore raccomandandole di stare aggrappata con le gambe alla mia vita e con le braccia al mio collo ed ho iniziato spavaldamente la salita; arrivata in alto ho posizionato la bambina sul terreno pianeggiante e con il solito sistema mi sono issata al sicuro nel vallone. Dopo pochi metri di cammino mi rendo conto che forse non sarei riuscita a scendere con Margherita in braccio, la paura incomincia a minare la mia sicurezza, cammino verso la Val Torra cercando di non pensare e per distrarmi raccolgo foglie insignificanti  raccontando un sacco di balle sulla natura di quella flora, in questo momento non so distinguere nemmeno un ciclamino da un'ortica. Comunque di scendere da dove siamo salite non se ne parla proprio, meglio andare avanti e da qualche parte arriveremo!!! 
Camminando camminando intravedo a destra un sentierino in salita sulla costa della montagna, è molto stretto ma pur sempre un sentiero, Margherita non vuole  camminare dice che l'erba punge e inizia a piangere,  ma se la prendo in braccio non posso controllare dove metto i piedi e allora le  stringo forte le manine e la guido davanti a me con le braccia alzate in modo da poterla sollevare in qualsiasi momento. Non ho idea di quanto tempo abbiamo impiegato a percorrere quel sentiero, io mi concentro  solo ad andare avanti, ad un certo punto attraversiamo un fazzoletto di prato pianeggiante (immaginate il sollievo) per poi ricominciare  a salire ed è qui che ci troviamo di fronte delle masiere (buon segno), camminiamo ancora un po', ma non siamo più nella gola della Val Torra. 
All'improvviso incrociamo una stradina ben tenuta, alzo lo sguardo e vedo alla mia destra  Contra' Valeri e alla mia sinistra Contra' Baise. 
Evviva siamo a casa!!! 
Qualcuno in seguito mi spiegherà che avevo percorso un sentiero chiamato la Nora della Volpe. 
Ho sempre pensato che anche gli animali hanno un'anima e forse proprio la regina di quel sentiero, impietosita, ha guidato i miei  passi per trovare la strada del ritorno.
Floriana Ferrarini

venerdì 30 agosto 2013

Il ladro di gelati


       Tanti anni fa intorno al 1930, le distanze tra i nostri paesi sembravano infinite; era un avventurarsi in sentieri di campagna che seguivano con rispetto il profilo dei campi e delle colture di grano, di vite o semplicemente di erba. Grandi alberi di gelso e di ciliegio, gettavano la loro ombra tra i filari, di cui qualche viandante approfittava per stemperare la fatica del cammino. Le strade erano bianche, percorse da carri lenti tirati da buoi o cavalli, che lasciavano i solchi profondi delle ruote di ferro. Profonde buche come piaghe  e sassi costringevano a degli improbabili zig zag. La polvere si alzava d’estate tra il ronzare delle cicale e lo sguardo attento di timidi ramarri. D’inverno il ghiaccio cicatrizzava quelle ferite con un velo spesso e resistente. Ai bordi di questi “fiumi secchi”, grandi siepi ed alberi tagliavano la vista dell’orizzonte e costringevano gli occhi in un tunnel di verde riposante, colorito di fiori e dipinto di voli di uccelli , di nidi, di bacche e di profumi. Le stagioni cambiavano questo scenario, rendendolo scarno e povero d’inverno per poi imperlare quei rami, di fiori e di profumi verso primavera. Le foglie coloravano l’estate, finchè di nuovo l’autunno diradava la selva per filtrare il debole sole. 
Il lunedì era giorno di mercato a Thiene, per questi sentieri e strade si muovevano dai paesi e dalle contrade, da soli, o a piccoli gruppi, i contadini con le loro mercanzie. Dentro grandi ceste di salice intrecciato tenevano qualche capo di pollame, verdure appena colte, frutta di stagione,  sementi,  forme di ricotta o di formaggio. Povere merci che  venivano vendute o barattate con ciò che più serviva in casa: sale, zucchero, qualche scampolo di stoffa, quasi mai con cose che non fossero necessarie all’economia della famiglia. 
Mia nonna Francesca partì di buon’ora  dal paese, da Fara, a piedi, in quel mese di luglio, prima che il caldo le imperlasse la fronte di sudore. Contava di essere a Thiene verso le otto, un’ora di poco affollamento, per  trovare un posto in cui esporre la merce e di buone occasioni per vendere le sue cose: due polli e qualche cartoccio di fichi e di prugne. Discese svelta l’erta del paese, tra i campi e le siepi, presto si trovò all’imbocco del ponte sull’Astico in quel di Zugliano.  Passò lesta tra le assi sconnesse di legno, gettò una sguardo giù.  Poca acqua , la stagione era secca, come poche negli ultimi anni; il torrente era un rigagnolo fiacco, che a malapena spingeva il suo andare tra i sassi. Verso Centrale, colse qualche mora selvatica per “sgarbarsi” la bocca, si fermò un attimo per la pipì dietro un cespuglio, poi via ancora, spostando ora a destra ora a sinistra il suo fardello che diventava sempre più pesante. Arrivò a  Thiene che dal campanile udì otto rintocchi di campana: “Come previsto” pensò. Si infilò lesta  tra le viuzze del centro e si diresse all’angolo di piazza “Umberto primo”, ora Chilesotti; non c’era ancora ressa, depose la sua mercanzia, dando un pò di sollievo alle sue braccia stanche e formicolanti. I polli si agitavano forte, coperti dal telo rosso e bianco e la nonna cercava di tenerli fermi; per fortuna li vendette in fretta, come in fretta vendette il resto della cesta, i fichi e le prugne. Giornata fortunata, pensò ringraziando Iddio. Né ricavò un gruzzoletto di grossi soldoni in rame con l’effigie del re, li racchiuse nel fazzoletto con un nodo e lo fece sparire nelle tasche ampie del lungo grembiule nero. Si recò in una piccola drogheria che vendeva un pò di tutto e comprò un cartoccio di sale, un cartoccio di zucchero e  dell’olio per lampade da illuminazione. Le rimase qualche centesimo, pochi spiccioli. A casa aveva quattro bambini, due maschi e due femmine. Pensò a loro con tenerezza, con dolcezza. Proprio in quel momento passava un carrettino colorato, spinto da un signore che gridava a voce alta:” Gelati, gelati buoni, gelati per i vostri bambini”. Ecco, disse tra sé, comprerò i gelati ai miei bambini, saranno contenti, non li hanno mai assaggiati, roba da signori in quel tempo. Sì avvicinò all’uomo del carretto, acquistò quattro coni con due palline ciascuno, i gusti non erano tanti, cioccolato e panna, uno bianco, uno scuro. Li mise sulla cesta in equilibrio  tra i cartocci di sale e di zucchero, coprì la cesta con lo straccio che s’era portata per i polli, perché nessuno vedesse quelle rarità e s’incamminò lesta ed orgogliosa.  Ripercorse in fretta la strada, superò dei gruppetti di donne, che pian piano tornavano con le loro mercanzie, non vide le more, la pipì la tenne. Ormai s’erano fatte le undici, il caldo colava la fronte di sudore e l’afa tagliava il respiro, ma non vedeva l’ora di dare quel ben di Dio ai figli. Ritagliò i campi della mattina, riguadagnò il ponte sull’Astico, l’acqua le fece ricordare che aveva una sete feroce e la gola secca dalla polvere, ma via, via. Arrivò trafelata, rossa in viso in prossimità del paese che la campana rintoccava dodici colpi. Quando affrontò l’ultima salita che la portava a casa si vide correre incontro i bambini, chiassosi ed ignari della sorpresa. I più piccoli davanti, Lina e Virginio, dietro Giovanni e Maria. Erano contenti, facevano salti di gioia . “Venite, venite, ho una sorpresa per voi, chiudete gli occhi”, disse la nonna. Entrarono subito nella grande cucina, era fresca, fuori si soffocava, posò la cesta sul grande tavolo, aspettò che tutti fossero intorno prima di scoprire la mercanzia. Poi con un gesto repentino tolse il telo. Tutti gettarono lo sguardo bramoso dentro il contenitore, ma non videro che i due cartocci e quattro coni vuoti, la cialda desolatamente secca; delle palline bianche e nere nemmeno l’ombra. Erano scomparse. Grande fu lo sgomento dei bimbi, ma ancor di più quello della nonna, che raccolto il fiato che le restava dalla stanchezza e dalla delusione gridò al marito: “Omo, omo, (così chiamava il marito Giovanni) mi hanno rubato i gelati e non me ne sono accorta, ma quel che è peggio, quei villani mi hanno lasciato le sgusse”. Il nonno arrivò lesto, guardò, un sorriso gli dipinse il viso e disse: “I gelati se li è mangiati luglio, col suo calore”. “Chi è questo maleducato di luglio, lo conosci per caso?” “No, è il calore di questo mese che ha fatto sparire i gelati”. Si sciolsero tutti in un sorriso, dolce come il gelato che non avevano mangiato, come l’ingenuità della nonna.  Dolce, ingenua nonna, gente di altri tempi, che vive nella tenerezza del ricordo.



Maurizio Boschiero



una - cinque - dieci lirette...


Qualche rimpianto... che sia giustificato?

mercoledì 28 agosto 2013

I quiss de Giani



Un giorno imprecisato della seconda metà dello scorso secolo, il nuovo parroco padovano appena insediato, si accinse a visionare l'anagrafe parrocchiale per impratichirsi dei nomi delle anime che gli erano state affidate in cura. S'accorse ben presto che era impresa improba districarsi fra le numerosissime omonimie, così chiese all'anziana zelatrice di aiutarlo nell'impresa, redigendo una lista dei nomi corredata dei soprannomi familiari o personali dei parrocchiani, dato che s'era reso conto che solo questi avevano corso effettivo in paese. 
La pia donna, orgogliosa del compito affidatole, si pose diligentemente all'opera, ma non tardò a realizzare che l'elenco assumeva via via connotati un po' irriverenti e poco consoni ad essere presentati al nuovo serioso e compìto Reverendo.
Soprattutto si vergognava: come avrebbe potuto spiegare all'erudito Sacerdote della pianura gli arcani meccanismi dell'anagrafe sanpierota? Che idea si sarebbe fatta del paese? E di lei medesima, dato che il suo di soprannome era particolarmente distante dall'aura mistica e ieratica della quale amava circondarsi.
Fu dopo una notte travagliata, scandita dai rosari, che le venne l'ispirazione. Fece appello alle reminiscenze dei pochi studi prematuramente interrotti e decise di buttarla in prosa vernacolare. Confidava che il prete, esercitandosi sulla novella, avrebbe capito e dato l'incarico per assolto.

Quell'incerto manoscritto è tornato recentemente alla luce e ora ve lo proponiamo come quiz: 
quanti paesani sapete riconoscere estrapolandoli dal testo?
Il premio per chi li indovina tutti sarà un grappolo d'uva autentica di San Piero a Km zero.
La soluzione al prossimo quiz.
Gianni Spagnolo

1^ Primo foglio:
For dala porta a cato na vedeléta che la borla cussìta forte da far tremar la batùa, dato che la speta el toro ch’el jen sù dala capéla a passìti de gànbaro rénte al  so buci. A ghe domando se la ga visto la volpe e la me dise che la zé péna scapà soto la baraca del boja parvia che la ga sentìo cantare el gòdele da sora el gnaro dela merla.  El tenpo zé in burasca, el sejita a boti e stciantisi,  ma nol se decide a piovare. Mancomale che no giassa, dato che carnevale zè passà da on toco. Eco che riva el conte parmàn dela contessina che i va dal canpanaro a  portarghe on galo e na galina par creansa che i jera sta iutà in te na facenda de avocati. Ma secondo mi zé massa lusso, bastava na fortaja, na polenta o massima na bondola. Un bocia con fare garbato el me domanda se me piase nare in giostra, ma mi ghe digo che go pì caro fumare on sigaro o on toscàn. Passa el prete in capelo col mocolo a portare i oji su par la strada nova; el prete monta un sauro e l’altro na cavalina. Chechìn spaca le legne co la menara e la péndola, rincurando na steca par far le sìcole, fin ch'el vede che vissìn al soco ghe zé on serpente moro. Lora el brinca on bastòn e el ghe mola na palossà, che dal sforso ghe bala tuta la barbéta. La so cagnéta dala pelicia spenotà la se spaùra e la scapa via sbaiando cai..cai co la coa fra le ganbe!

martedì 27 agosto 2013

4 - Il Capitello della Madonna delle Grazie sulla Cingella (Capitélo de Daniele)


Più che un capitello vero e proprio, si tratta di un quadro con l’effige della Madonna delle Grazie, collocato in un tabernacolo naturale sulla parete rocciosa sulla sinistra della Singéla (per chi sale) dopo il primo tornante dell'ultimo tratto del percorso.
L’icona venne collocata da Daniele Spagnolo Lusso nel 1935, in ringraziamento alla Madonna per essere uscito illeso da un incidente che lo coinvolse proprio in quel luogo.

Daniele era cavalàro e stava scendendo in paese da montagna conducendo il suo mulo che trainava il pesante barosso carico di bóre, quando la bestia scivolò, cadendo nel tornante sottostante con il carico. 

Subito accorsero in suo aiuto altri cavalàri che riuscirono a tagliare in tempo l’imbragatura del basto e così liberare la bestia, che si salvò.  

Anche Daniele uscì illeso da quell’esperienza e sicuramente fu altrettanto sollevato dal non aver perso il mulo che rappresentava lavoro e reddito per la famiglia in quegli anni duri. Fu così che applicò un quadro raffigurante la Madonna delle Grazie su quell’anfratto di roccia, in alto sopra la strada, che ben si prestava allo scopo.
Allora si aveva ancora il coraggio di ringraziare, non si dava tutto per scontato.



L’icona che ora si vede, ben protetta entro una bacheca di acciaio inossibabile e vetro,  non è evidentemente l’originale, che dovette essere sostituita più volte per l’ingiuria del tempo. Furono i nipoti Daniele e Moreno a prendersi cura della memoria del nonno e fare le necessarie manutenzioni.

Daniele era del 1881 e all’epoca del fatto aveva già 54 anni. Era emigrato negli Stati Uniti ai primi del secolo e poi era rimpatriato causa la guerra. Ebbe l’originalità di dare alle figlie i nomi degli stati americani che aveva visitato o che gli erano rimasti impressi: Florida, Nevada e Nebraska. Con la crisi del dopoguerra anch’egli dovette arrangiarsi alla maniera degli avi, chiedendo alla montagna il sostentamento per la famiglia.



Il lavoro dei cavalàri era duro e pericoloso. Dovevano alzarsi all’una di notte, alcuni anche prima, per essere in montagna a tempo debito per caricare il legname e tornare in paese entro mezzogiorno. E questo tutti i giorni della settimana, salvo il giovedì, che era di riposo. Formiche infaticabili, loro e anche le loro bestie.
Solo i muli infatti, erano adatti a quel duro lavoro e a quei percorsi impervi, non i cavalli; non ne avevano la forza e la pazienza indomita.
Allora i muli erano come gli uomini e gli uomini come i muli.


Basti, finimenti, calzature e abiti, madidi di sudore e umidità,  dovevano spesso essere messi ad asciugare appesi sopra focolari e stufe per poter essere convenientemente impiegati il giorno successivo.
Lavoravano anche d’inverno andando a strossàre le bore per prepararle in cataste col favore della neve che facilitava lo scivolamento degli strossi. In primavera si caricavano le cataste e si portavano a valle con i barossi. Non era raro dover prima spalare la neve che in montagna poteva restare a lungo, specie nelle zone al postèrno.

Quando ora si percorre la Singéla si fatica a comprendere cos’abbia significato quella via per i nostri Padri. Ogni vólta, ogni lastra, ogni bocarólo, ogni sasso, ogni capitello, ogni posta, ne avrebbe di cose da raccontare, di memorie impresse. 

Quella strada è un santuario, il nostro santuario! Forse, ogni tanto, sarebbe bene ricordarselo.


Gianni Spagnolo 9/7/13

24 agosto - il pranzo della "Contrà Campagna"





Era in programma per venerdì sera, 
ma a causa di una imprevista scrosciante pioggia,
 è stato rinviato al mezzogiorno di sabato.
Come potete vedere dall'abbigliamento...
 era veramente... caldo...
Sono belle iniziative da sostenere!
Un grazie alla promotrice Francesca 
e a tutti quelli che, a vario titolo, 
si sono adoperati per la buona riuscita.






















lunedì 26 agosto 2013

2° concorso Valle Fiorita

Ecco i nominativi del 2° concorso 
VALLE FIORITA 
promosso e sostenuto dal Blog di Gino


PRIMA CLASSIFICATA: GILDA SERAFINI



La medaglia d’oro del concorso “Valle Fiorita 2013” è vinta da Gilda Serafini, con la sua casa traboccante di allegria a Pedescala! Merito delle cascate di fiori che si susseguono alle finestre in un gioco festoso e delle aiuole a terra che impreziosiscono l’elegante giardinetto con panchina. Poco più in là, oltrepassato il portico, Gilda si è presa cura anche di una casa disabitata, dimostrando come qualsiasi particolare abitativo possa essere valorizzato grazie ad una sapiente collocazione dei fiori, in questo caso all’ingresso e lungo l’antica scalinata. 
Complimenti Gilda!


      
     

SECONDA CLASSIFICATA: ADELINA BRAZZALE

 

                                                                                                               
La medaglia d’argento del concorso “Valle Fiorita 2013” è  assegnata meritatamente ad  Adelina  Brazzale di Pedescala, per il suo lungo balcone ricolmo di fitti gerani rosa che adornano la casa, a cui si richiama il simpatico gioco di simmetria floreale sul balconcino laterale. Completano il bel quadro le rose del giardino che si snodano lungo la colonna e che abbelliscono il giardino antistante l’abitazione. Congratulazioni!  




                                       


 TERZA CLASSIFICATAFRANCA SLAVIERO
 


























La medaglia di bronzo del concorso “Valle Fiorita 2013” va a Franca Slaviero, per aver ridato vita alla contrada  “Fozati” di San Pietro valorizzando non solo la propria abitazione, ma anche l’unica via di transito lungo la quale ha voluto collocare parte dei suoi fiori. Sotto l’antico portico, una scala e una pannocchia appesi al muro creano un’atmosfera d’altri tempi, e i fiori profumano di nostalgia. Il premio è stato assegnato anche per il nobile quanto faticoso lavoro di risistemazione delle “masiere”,  con cui Franca e il marito Remo hanno dato esempio di grande attenzione alla salvaguardia del territorio. Bravi!






Ringraziamo calorosamente tutti coloro che hanno partecipato alla seconda edizione del concorso "VALLE FIORITA", che ci auguriamo di ripetere l'anno prossimo. Chi vi ha aderito con la sua iscrizione ha dimostrato di aver colto pienamente lo spirito del concorso, che nulla più vuole essere che un gioco estivo atto a richiamare l'attenzione sulla bellezza della nostra valle e sulla possibilità di valorizzarla anche con singole iniziative. Come sempre la scelta della rosa dei vincitori non è stata facile: ogni fiore nascondeva la cura e la passione di chi l'aveva scelto e coltivato. 
Tra tutti, però, oltre ai tre vincitori ufficiali, abbiamo voluto rendere un simbolico omaggio non previsto dal regolamento anche a due persone che, per motivi diversi, meritavano di essere segnalate:





 




































Flora, ispirata anche dal suo bel nome, è un’anziana signora che, nel centro del paese, in assenza di un prato antistante la casa, compie ogni anno il miracolo di creare un meraviglioso giardino grazie ai fiori e alle piante che coltiva con devozione.”   







Anna Maria riserva da un’intera vita le sue cure a un bene non privato ma comune: la fontana di Contra’ Costa, da lei adornata di fiori e contornata di piante e fiori, tra i quali spiccano per impareggiabile bellezza le sue mitiche stelle alpine.”




A TUTTI INDISTINTAMENTE 
VA IL NOSTRO GRAZIE E...
ARRIVEDERCI ALL'ANNO PROSSIMO!

gli Organizzatori

Potenza del nome

[Gianni Spagnolo © 25A20] A ben pensarci, siamo circondati da molte cose che non conosciamo. Per meglio dire, le vediamo, magari anche frequ...