giovedì 31 ottobre 2024

Ex Canonica di Forni




"417.500 euro per un progetto senza fondamenta: chi paga? Noi!"

Ah, povera Italia! Terra di sole, mare e... lavori in ritardo.

Questa volta, il palcoscenico è la nostra "Ex Canonica di Forni", teatro di una nuova commedia all'italiana.

I lavori per trasformarla in una colonia per ragazzi sono iniziati con tutte le buone intenzioni. Eppure, dopo aver iniziato i lavori e tolto il tetto, ci si è resi conto che... sorpresa! Non ci sono le fondamenta!

Sì, avete letto bene: la canonica, costruita agli inizi dell'800, è rimasta lì per oltre due secoli senza uno straccio di fondamenta.
Ora, capisco che l'edificio sia antico e che all’epoca fosse normale costruire senza fondamenta profonde, soprattutto nelle case rurali. All'inizio dell'800, infatti, molte strutture rurali venivano semplicemente appoggiate sul terreno, senza fondamenta vere e proprie. Certo, oggi ci si aspetta che ingegneri e architetti conoscano queste differenze storiche, specialmente in un restauro. Perciò, qualcuno mi spieghi come mai, con tutte le loro misurazioni e i calcoli precisi, non si siano accorti prima che la struttura poggiava... sull'aria?
La burocrazia, ovviamente, ci mette il suo tocco magico: i lavori si fermano, i permessi si accumulano e il tempo passa.
Il tutto doveva essere consegnato il 22 agosto 2023. È passato oltre un anno e qualche mese, eppure eccoci qui, ancora in attesa.
E sapete quanto costa tutta questa meraviglia?

Ben 417.500,24 euro!

(sì, avete letto bene, non ho messo la virgola sbagliata). So che qualcuno avrà difficoltà a crederci, ma se avete qualche minuto libero e vi piace l'arte della contemplazione, fatevi un giro a Forni e date un'occhiata alla tabella dei lavori: è lì, come un monolite, a ricordarci che i sogni (e i cantieri) non hanno prezzo... o meglio, ce l’hanno eccome!

E intanto la "nostra" Ex Canonica aspetta pazientemente, magari sospirando e chiedendosi se, un giorno, potrà mai avere il suo nuovo abito di ostello.
Nel frattempo, aspettiamo anche noi, seduti comodi (perché, si sa, in Italia la pazienza è la prima virtù) e pronti a vedere come andrà a finire questa ennesima odissea. Che dite, per la prossima sorpresa, cosa troveranno? Forse una mummia sotto il pavimento? Un passaggio segreto verso qualche antico tesoro? O magari – ma non vorrei essere troppo ottimista – una soluzione veloce e senza ulteriori intoppi!
P.S.: Manderò all’amministrazione comunale una mail per chiedere a quando è fissata la fine dei lavori… a meno che non si parli di tempi biblici!

Riflessione finale: Chissà se i nostri amministratori riflettono mai sul fatto che i soldi che spendono per questi lavori sono i soldi di tutti noi cittadini. Forse varrebbe la pena chiedersi se, con le stesse modalità, userebbero anche i loro risparmi personali. Una piccola riflessione per ricordare l'importanza di una gestione attenta e responsabile, in modo che questi investimenti portino davvero valore alla comunità.
Gino Sartori

I viaggi della cicogna



In Contra' Lucca é arrivata AMELIA BONATO per la gioia di Mamma Elena Martini e Papá Fabio, della sorellina Anita, nonché dei Nonni!!!
Congratulazioni e Auguri a Tutti!

I consigli di Elettra

 


- Il profumo del bosco -

Avete presente quando entrate in una stanza chiusa, piena di persone o quando entrate in una camera dove delle persone hanno passato tutta la notte a finestre chiuse? 

Si sente l'aria pesante. 

Questa aria è la somma del respiro delle persone.

L'aria nel bosco è diversa, apre i polmoni, rilassa, calma, mette serenità. 

Quando passeggiamo nel bosco, respiriamo il respiro delle piante.

Questa aria non è solo ricca di ossigeno ma è composta di molecole diverse, emesse normalmente dalle piante, che hanno effetti profondi sulla nostra psiche e sul nostro corpo.

Passeggiare nel verde non ci si rilassa solo per il paesaggio e per i colori, ma anche per ciò che entra in noi.

Assorbiamo le molecole regalateci da esseri viventi antichi, tanto diversi, ma che ci nutrono: le piante.

Onore e rispetto a questi esseri silenziosi e maestosi che si colorano in autunno e ci donano casa, calore, abiti, carta, mobili, tetto, e molto altro.

Per ritrovare queste molecole e i loro effetti  annusando  gli oli essenziali, basta porli nel cuscino, nel diffusore, nella mascherina di chi lavora, in uno stick inalatore.

Gli oli essenziali più adatti sono:

Lavanda spigo

Eucalipto

Rosmarino

Timo volgare 

Ravintsara

Mirto

Esse contengono una buona parte di eucaliptolo: 1,8 cineolo che ha effetti espettoranti, mucolitici, decongestionanti, secretolitici, secretimotori.

(da Trattato di Aromaterapia - Red)


Elettra Erboristeria 

Cornedo Vicentino

Il valore




C'è la tendenza umana a non riconoscere o sottovalutare il valore delle cose, delle persone e delle situazioni che arricchiscono la nostra vita quotidianamente. 

E' importante riflettere su come, troppo spesso, ci concentriamo su altro, sulle mancanze o sugli aspetti che riteniamo negativi della nostra esistenza, trascurando di apprezzare ciò che, in realtà, rende prezioso ogni nostro giorno.

Bisognerebbe sempre ricordare che non c’è nulla di scontato.

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Tra le carte della storia


 

A caccia di ragnatele

In queste mattine di nebbia e rugiada, i ragni stendono grovigli di fili, annodati fra loro, sfidando l'arte del tessitore e la scienza del matematico. 








Franca Rocchetti



La vignetta


 

mercoledì 30 ottobre 2024

La strada del poi



Nella nostra vita quotidiana, spesso rimandiamo impegni meno piacevoli o decisioni difficili con la speranza che diventino più gestibili con il passare del tempo. 

Tuttavia, questa abitudine può trasformarsi in un ciclo di procrastinazione che ci impedisce la realizzazione dei nostri propositi.

La “strada del poi” simboleggia un percorso di rinvii continui, dove le intenzioni di agire vengono costantemente spostate in avanti nel tempo. 

Questo percorso può sembrare meno impegnativo nel breve termine, ma ci porta verso una “casa del mai”, ovvero a una situazione in cui le opportunità sono perse e gli obiettivi non vengono mai concretizzati.

Dobbiamo riconoscere il valore del tempo presente e sfruttarlo al meglio per evitare di ritrovarsi nella stagnante “casa del mai”.

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I consigli di Elettra


- Perché esistono 3 tipi di Lavanda? 
Quale scegliere? - 


Lavanda spigo, Lavanda vera, Lavandino, sono 3 tipi di Lavanda.

Hanno un aroma leggermente diverso, ma si possono usare nello stesso modo scegliendo quella che più ci piace?

E se  non è specificato il tipo, fa lo stesso?

No. Non è uguale, anche se sono intercambiabili se non c'è alternativa.

Come lo zucchero. Se si possiedono vari tipi di zucchero,  marrone di canna, bianco e un dolcificante a base di stevia si potranno usare a scelta per dolcificare il caffè, ma il risultato sarà totalmente diverso.

Per la Lavanda è uguale.

I tre tipi di Lavanda sono diversi perché vivono a latitudine diverse.

Sole, aria, terreno diverso, pianta leggermente diversa, crea molecole differenti.

La Lavanda spigo vive a livello del mare, fino a 1200 mt. (Lavanda spica)

La Lavanda vera (quella classica) vive dagli 800 fino ai 1800 mt. (Lavanda vera o angustifoglia)

Il Lavandino è un incrocio tra Lavanda vera e Lavanda spigo.

La Lavanda spica contiene chetoni, canfora, ossidi, alcoli, terpeni.

Ideale per problemi di pelle, punture di insetto, di medusa, ustioni, radiodermiti.

La Lavanda vera contiene alcoli ed esteri ed è ideale principalmente per ansia, nervosismo, migliora l'umore, antispasmi-dolori, insonnia.

Il Lavandino possiede le proprietà di entrambi in misura meno spiccata, ha un profumo più rotondo, produce più essenza delle altre 2 ed è quindi più economico.

3 tipi di Lavanda, simili ma con specificità diversa.

Saper scegliere con cura dona risultati eccellenti.

La Lavanda nel profumo è facilmente riproducibile chimicamente. Solo la presenza delle varie molecole ci assicura la qualità dell'olio essenziale.


Elettra Erboristeria 

Cornedo Vicentino

Storiella

 




La gomma chiese alla matita: Come stai amica mia?

La matita rispose arrabbiata: Non sono tua amica, ti odio.

La gomma, sorpresa e triste, replicò: Perché?

La matita rispose: Perché cancelli quello che scrivo.

E lei rispose: Io cancello solo gli errori.

E perché lo fai? Domandò la matita.

Sono una gomma e questo è il mio lavoro.

Questo non è un lavoro, ribatté la matita.

La gomma rispose: Il mio lavoro è utile tanto quanto il tuo.

La matita, con tono duro, disse: Ti sbagli e sei arrogante, perché chi scrive è migliore di chi cancella.

La gomma replicò: Rimuovere ciò che è sbagliato equivale a scrivere ciò che è giusto.

La matita rimase in silenzio per un po', poi, con un velo di tristezza, disse: Ma ti vedo ogni giorno più piccola.

La gomma rispose: Perché sacrifico un po' di me ogni volta che cancello un errore.

La matita, con voce rauca, disse: Anche io mi sento più corta di prima.

La gomma lo consolò dicendo: Non possiamo fare del bene agli altri, se non siamo pronti a sacrificare qualcosa di noi stessi.

Poi guardò la matita con affetto e chiese: Mi odi ancora?

La matita sorrise e rispose: Come potrei odiarti, quando ti sacrifichi così tanto?

Ogni giorno ti risvegli, e ti rimane un giorno in meno.

Se non puoi essere una matita per scrivere la felicità degli altri, sii una buona gomma che cancella i loro dolori e semina speranza e ottimismo nelle loro anime, ricordando loro che il futuro è più bello.

Sii sempre grato.

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La vignetta


 

martedì 29 ottobre 2024

Ritrovo classe 1959 per i 65 anni!!!

 






Si sono ritrovati insieme sabato 26 ottobre 2024, i coscritti di tutta la Valle dell’anno 1959 per festeggiare il traguardo dei 65 anni

Hanno ricordato i coscritti che non ci sono più con la Santa Messa perché  sono tante le persone che hanno perso durante il cammino della vita: 

Massimo, Maurizio, Dino, Joseph, Tiziano, Giuseppina Vittorio, Monica, Renzo, Franca, Carlo e Luigino; per loro un ricordo e una preghiera.

Si sono poi recati alla Pizzeria da Cioci's per trascorrere la serata in compagnia. 

È stato piacevole ritrovarsi, salutarsi, chiacchierare e trascorrere qualche ora insieme. Alla fine, per ogni partecipante, un piccolo ricordo con notizie particolari riguardanti l’anno 1959. 

Si sono ringraziati a vicenda per la piacevole serata e si sono promessi di ritrovarsi insieme ogni anno, perché il tempo passa troppo velocemente…

Lucia Marangoni (Dàmari)

28 /10/2024

Dal drone di Flores Munari - Foliage in Val delle Lanze

 


Per gli Estimatori del "foliage"...

Dal drone di Flores Munari - Forte Lisser

 


Le Puche

 




Questa è una parte del Sentiero delle Puche (in zona Sambugari-Melette di Gallio) percorso e fotografato, qualche giorno fa dal mio amico Mauro Saterini.
A parte la grande bellezza che l'autunno regala al bosco in questi giorni, le foto evidenziano una specificità nel panorama della silvicoltura del Veneto e cioè vi mostrano le Puche, vere e proprie magie della natura.
Le puche (dall'antico cimbro=faggi), in molti casi sono simili a enormi candelabri.
La particolarità della loro forma è dovuta alla pratica della capitozzatura, tecnica ora completamente abbandonata, che consisteva nel taglio del tronco (all'altezza di 2-3 m) per stimolare la pianta all'emissione di nuove fronde e polloni nella parte bassa del faggio.
In questo modo, mucche e altri animali potevano nutrirsi più facilmente di foglie.
Detto ciò, il sentiero presenta ancora testimonianze tristi della tempesta Vaia, si incontrano spesso tronchi, rami e massi che bloccano il passaggio e si deve ricorrere a deviazioni che potrebbero portarti fuori strada. Il mio amico Mauro consiglia massima attenzione a chi volesse fare questo sentiero.
GRAZIE MAURO!
da Franca Rocchetti

Grazie!


 

CONAD Cerati


 

Antica sagra di San Martin


 

La vignetta


 

lunedì 28 ottobre 2024

A te schisso come on bao!

[Gianni Spagnolo © 24L24]

L’attuale impari lotta con le cimici, che hanno ormai capillarmente colonizzato ogni più recondito angolino delle nostre case, mi riporta agli inizi, quelli dei tempi belli, dove schissare el bao rappresentava il primo gradino del nostro imprinting criminale. 

Questa era, infatti, un’attività gratificante e alla portata anche del bocéta pì baùco. Il bao non emetteva alcun grido o suono di disappunto per l’operazione, per cui anche la nostra imberbe coscienza ne era sollevata. Inoltre, i bai erano criminalizzati nel mondo rurale per il danno, vero o presunto, che arrecavano all’agricoltura, dunque la loro soppressione, ancorché cruenta, beneficiava dell’incondizionata approvazione sociale. Di bai, allora, ne avevamo anca pai pai, dato che la nostra categoria para-scientifica di “bao”, includeva miriadi di creature delle più diverse specie. Che strisciassero, volassero o si arrampicassero, qualsiasi piccolo animaletto era catalogato come “bao”, salvo ragni e poeje, che erano considerati a parte.

La goduria dello schissaménto spaziava tra varie esperienze, a seconda della conformazione del bao stesso. Si andava dal voluttuoso splosc delle gatte pelose, per finire allo scrocchio dell’esoscheletro per gl'insetti che ne erano dotati. D’altra parte, allora di bai ce n’erano talmente tanti che la nostra attività schissatoria non avrebbe certo compromesso l’ecosistema. L’effetto catartico dell’operazione, poi, era talmente radicato, che la minaccia più efficace nelle nostre baruffe di boce era di dire all’avversario: Vara ca te schisso come on bao! 

I bai che davano più soddisfazione erano, oltre ovviamente alle gatte pelose, quelli da patata, Questi, infatti, al par delle prime, erano piuttosto insulsi e facili da ciapàre, oltreché ampiamente diffusi in stagione e parecchio odiati per i danni che causavano ai raccolti dei preziosi tuberi. C’erano tuttavia alcune categorie di bai che non sollecitavano le nostre brame baicide: le coccinelle e i maggiolini. Le prime perché portavano fortuna e sono anche carinucce, i bronbùi perché ci servivano per i riti di maggio.

Passati gli anni belli, industrializzata l’agricoltura e arrivato il cambio climatico, ci troviamo ora alle prese con un insetto tanto invadente quanto insulso: la cimice. Ma non è più la cimice nostrana di quel bel colore verde fosforescente, ma una più sobria e prolifica cimice asiatica dal mantello marroncino, che la rende anche più mimetica e sfuggevole. Il problema è che le nostre case ne sono infestate, dato che s’intrufolano dappertutto, ma sulle quali non possiamo certo esercitare le tecniche di schissamento apprese e sperimentate in gioventù. 

Inutile, carimìe: schissare la cimice non è affatto consigliabile per l’odore repulsivo che emana e ti s’attacca addosso senza remissione. L’effetto punitivo, ancestrale e liberatorio della schissada, non è compensato dal trovarsi addosso quel penetrante e persistente odore. La cimice apparterrebbe a pieno titolo alla nostra vecchia categoria dei bai insulsi, dato che è facile acchiapparla, ma non così la sua eliminazione. Infatti, non ha praticamente predatori proprio per il suo mefitico olezzo. Odore caratteristico, che non ha un nome specifico, ma viene chiamato banalmente: spussa da bao verde.

Per sopprimere l’invadente e ronzante insetto, bisogna infatti ricorrere ad artifici che non danno proprio nessuna soddisfazione, anzi, sono fonte di stress. Buttar la cimice nel water, per esempio, non serve; ci sguazza allegramente e consumiamo una valanga d’acqua per niente. Andrebbe messa in una contenitore con dell’acqua saponata, così da eliminare la tensione superficiale del liquido che le permette di galleggiare dispettosamente, ma è una bella struma. Inoltre è uno spettacolo troppo sadico per la sensibilità moderna, l'aspettare che l'insetto si dibatta nell'annegamento e dispieghi infine le alette a riprova dell'avvenuto decesso.  L’alternativa, che permette di applicare appieno la pena capitale ed esercitare così un congruo effetto punitivo, è di buttarla nella stufa. Lì dovrebbe essere pianto e stridore di denti, come una moderna Geenna, ma dobbiamo considerare che, tutto sommato, l’unico peccato della cimice è invadere i nostri spazi vitali e la pena non sarebbe cristianamente proporzionata. Quindi, per conciliare coscienza e igiene, sarà meglio ricorrere all'aspirapolvere. Attenzione però! la cimice non emette quello sgradevole odore solo quando schiacciata, ma pure se si sente minacciata, per cui occorre agire sempre con fulminea circospezione.

Vabbè, mi pare che comunque non ne andiamo fuori!

Ognuno, nell’omertoso silenzio della sua coscienza, avrà senz’altro escogitato qualche misura di contenimento di questo invadente insetto. Misure più o meno efficaci e più o meno umane a seconda degli strumenti e della sensibilità di cui dispone. Dopo tutto è pur sempre una creatura supposta senziente, che la natura, nella sua sapienza, ha dotato di una pestilenziale arma olfattiva proprio per difendere la sua insulsaggine dall'egoismo e dagli istinti criminali di noi umani.









Finalmente un'idea intelligente


 “Niente smartphone a scuola”  

Gli studenti del Liceo scientifico Statale "Alessandro Volta" di Torino si sono visti costretti a rinunciare al cellulare e a ogni altro dispositivo elettronico durante le ore di lezione. 

D’ora in poi i ragazzi e le ragazze del biennio saranno tenuti a consegnarli ai docenti che li custodiranno in appositi armadietti chiusi a chiave, come quello in foto.

E se qualcuno si rifiuta di accettare la regola, si beccherà una nota o un servizio pomeridiano di volontariato in caso di un secondo rifiuto.

L’obiettivo? 

Evitare distrazioni durante le attività didattiche, ma non solo: senza smartphone, i giovani sono incoraggiati a coltivare i rapporti umani, senza alienarsi in momenti come la ricreazione. 


GreenMe 

(Foto: Marika Bononi)

Paesaggi bucolici

venerdì a Pedescala.
Foto rubate a Lucia

Sono un po' sporcaccione😌
però si ammirano
sempre volentieri😊

 

La vignetta


 

domenica 27 ottobre 2024

La solitudine

 


La solitudine non è la mancanza di persone con cui parlare, mangiare, passeggiare o fare l’amore.

Quella si chiama carenza.

La solitudine non è ciò che sentiamo per l’assenza di coloro che amiamo, e che non torneranno.

Quella si chiama malinconia.

La solitudine non è il ritiro volontario che le persone, a volte, impongono a se stesse nel tentativo di ricostruire i propri pensieri.

Quello si chiama equilibrio.

La solitudine non è il claustro involontario che il destino ci infligge affinché possiamo riappropriarci della nostra vita.

Quello si chiama principio di natura.

La solitudine non è il vuoto intorno a noi.

Quella si chiama circostanza.

La solitudine è molto più di questo.

La solitudine è ciò che arriva quando smarriamo noi stessi e girovaghiamo invano alla ricerca di quella che una volta… 

è stata la nostra Anima… 


Fatima Irene Pinto  

da Ecos da Alma


Tristi realtà...

 



- Ciao mamma, sono arrivata un po' tardi, ma volevo passare per un saluto.

- Io sono sempre contenta di vederti, sto aspettando tuo fratello, non è rientrato ancora da scuola, ma appena arriva vedrai!

- Non ti conviene aspettarlo mamma, si sarà trattenuto con i suoi amici. 

Che lavoro a maglia stai facendo?

- Questo? È un maglione per mia figlia, le piace l'arancione, la sto aspettando, anche lei non è ancora arrivata.

In silenzio la osservo mentre fa qualche punto e poco dopo con un espressione dubbiosa lo disfa, sono passati dieci minuti e non ha più detto niente e nemmeno io. Ogni tanto alza la testa, dirige lo sguardo in fondo al vialetto e con un movimento del capo contrariato seguito da un sospiro continua "il maglioncino". Sembra quello per una bambola, forse mi immagina ancora piccola nella sua testa. Mi alzo e le do un bacio, ritrovo i suoi occhi sorridenti dentro ai miei, ma poi mi sento gelare quando mi dice: "arrivederci", anche se in fondo me lo aspettavo.

Lei non sa chi sono, solo a tratti mi riconosce, per tutto il tempo rimane lì in attesa di un bambino che non c'è più. Vorrei spazzare via il grigiore della sua memoria, ma non posso, così ogni volta l'abbraccio e respiro un po' del suo profumo prima di darle un bacio e lasciarla a quelle attese e al suo mondo fuori tempo...


Autore sconosciuto

L'asino di Buridano

 



Questo è un pensiero su cui riflettere... e non è uno scherzo.

Immagina questo: un asino affamato e assetato si trova di fronte al dilemma più assurdo della sua vita. Alla sua sinistra, un mucchio di fieno dorato e invitante. Alla sua destra, un secchio colmo di acqua fresca. Il povero animale è esattamente a metà strada tra i due, incapace di decidere di cosa ha più bisogno. Il suo stomaco brontola, la sua gola è secca, e la sua mente... beh, la sua mente è completamente bloccata.

Questa scena, apparentemente comica, nasconde una profonda riflessione filosofica che ha affascinato i pensatori per secoli. La questione, nota come il "paradosso dell’asino di Buridano", non riguarda semplicemente un animale indeciso: è un simbolo di come un'eccessiva razionalità possa condurci all'inazione totale.

Ecco il punto cruciale: l'asino, nel tentativo di prendere la decisione "perfetta", finisce per non prenderne nessuna. La sua logica impeccabile diventa la sua rovina. Mentre dibatte internamente sui meriti del fieno rispetto a quelli dell'acqua, il tempo scorre inesorabilmente. E il risultato è tanto tragico quanto assurdo: 

Ma prima di ridere di questo asino filosofico, chiediti: quante volte ti sei trovato in una situazione simile? Magari non tra fieno e acqua, ma tra due lavori, due case o persino due gusti di gelato. L'indecisione, alimentata dalla paura di sbagliare, può paralizzarci tanto quanto il nostro amico a quattro zampe.

La morale è chiara e diretta: la vita non aspetta che prendiamo la decisione perfetta. A volte, qualsiasi decisione è meglio di nessuna. Non lasciare che la tua vita diventi una versione umana del dilemma dell' “asino di Buridano”. 

Ricorda, mentre tu esiti, il fieno marcisce e l'acqua evapora.

Quindi, la prossima volta che ti trovi bloccato tra due opzioni, pensa al nostro amico asino. Prendi una decisione, fai un passo avanti, e se sbagli, almeno lo avrai fatto in movimento. Dopotutto, la vita è troppo breve per passarla fermo a metà strada tra il fieno e l'acqua.

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Mostra Mercato a Posina


 

Festa di San Prosdocimo


 

La frase


 

sabato 26 ottobre 2024

La coerenza




L’autenticità e la coerenza personale come base per creare relazioni sincere e stabili. 

Essere fedeli a se stessi significa vivere in accordo con i propri valori, principi e desideri più profondi, senza cedere continuamente alle pressioni esterne o adattarsi a convenzioni che contraddicono la propria natura.

Questa coerenza è importante perché consente di costruire relazioni fondate sulla sincerità e la trasparenza. 

Inoltre, la fedeltà a se stessi spesso richiede coraggio, poiché può significare fare scelte difficili o impopolari per rimanere in linea con i propri principi. Tuttavia, queste scelte sono essenziali per sviluppare e mantenere relazioni autentiche nel tempo.

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Sua Maestà "il pollice"


Il nostro salto evolutivo è digitale, cioè in un dito: il pollice. Il «pollice opponibile» è infatti una prerogativa quasi solo umana: seppur comune ad altri primati, solo noi lo usiamo per azioni molto complesse. La nostra infatti non è una zampa, ma la mano con cui abbiamo potuto accendere il fuoco, costruire case e arnesi, pizzicare corde o guance, curare ferite...

Un filosofo greco del V sec. a.C. diceva che l’uomo pensa perché ha la mano (chi non lo fa «pensa con i piedi»), e aveva ragione, come hanno dimostrato gli studi sulla sorprendente estensione delle zone cerebrali dedicate all’arto. La mano infatti implica la parola. A differenza dei versi degli animali che esprimono emozioni, noi con le parole articoliamo anche istruzioni: la trasmissione di ciò che serve per vivere. 

La voce umana non è solo espressione, ma anche e soprattutto istruzione: spiega e racconta. La scuola in fondo nasce dalla mano, per questo gli animali non ci vanno, hanno l’istinto, noi invece dobbiamo «imparare» a vivere. Il pollice opponibile è la chiave della scuola permanente della vita: da come lo usiamo dipende quanta vita sappiamo. Come sta il nostro pollice oggi? Spesso incollato al telefono fa scorrere immagini pilotate dall’algoritmo, più che opponibile è diventato disponibile, e così anche il nostro pensiero, che diventa più passivo e manipolabile (ancora la mano...). Che cosa comporta questa «maniera» (altra parola che viene da «mano»: è dappertutto!) di vivere? 

Quando Ulisse deve partire dall’isola di Calipso dove si trova ormai da sette anni, non ha la minima idea di come raggiungere Itaca: piange di fronte al mare infinito, oltre il quale, non sa dove, c’è la sua amata terra. L’unica cosa che sa? Costruire una barca. E così l’eroe trasforma, con le mani, il dolore in azione: creare rimane la più efficace risposta ai momenti bui. 

La descrizione della costruzione della barca è dettagliata proprio perché in una cultura orale come quella omerica, le istruzioni erano conservate nei poemi per essere ricordate e trasmesse, una vera e propria enciclopedia sociale. Ulisse è l’eroe dell’ingegno multiforme perché «pensa con le mani» e «maneggia con il pensiero». Sa cucire una vela e manovrarla nei venti, sa indirizzare il timone seguendo le stelle. Tutto ciò è meticolosamente descritto nei versi sulla sua partenza dal luogo che lo trattiene «nell’ombelico dell’oceano» da sette anni, un’isola (e un isolamento) in cui non è necessario costruire nulla, perché tutto è dato spontaneamente dalla natura, senza bisogno di tecnica e lavoro. 

Su quell’isola, Ulisse è inumano (mi torna utile che in italiano «mano» sia casualmente dentro «umano»): non usa le mani e, mangiando il cibo degli dei, è immortale. Utopia che sempre ci accarezza: poter vivere senza bisogno del lavoro e della tecnica per sopperire all’assenza di mezzi specializzati come pinne, zanne, corna, corazze... La mano infatti non è specializzata, ma si specializza, grazie al pollice opponibile. Quel pollice oggi sembra non voler «opporsi» al flusso, naviga a caso sulla superficie liscia dello schermo, dimentica la resistenza del mondo, e così anche il pensiero e la parola diventano disponibili, cioè dipendenti. La rete non è infatti solo la nostra enciclopedia sociale come lo erano i poemi antichi, ma il mare in cui ci abbandoniamo a ondate di dopamina, scariche di gioia per un cervello, individuale e collettivo, sempre gratificato. E l’intelligenza, senza resistenza, diventa meno multiforme, l’ingegno meno attivo: l’uso dei tablet in classe al posto della scrittura a mano si è già rivelato «perdente» per lo sviluppo cerebrale. 


Insieme alla cosiddetta Intelligenza Artificiale, a scuola, oggi servirebbe altrettanta Intelligenza Artigianale: allenare la manualità per bilanciare l’eccesso di superfici lisce e senza resistenza degli schermi, sui quali, come sull’isola di Calipso, tutto è dato senza sforzo. 


Il pensiero non sa man-tenere la realtà, gli sfugge tutto, ha le mani bucate. Ciò anche a causa della «perdita della noia»: oggi un bambino/adolescente con un cellulare in mano può non sentirne più il morso. «Girarsi i pollici» obbligava a tornare al mondo, perché la noia è un promemoria: «non stai vivendo abbastanza, hai dimenticato le mani». Il bambino esplora e scopre, diventa intelligente, proprio a partire da: «Che noia! Non c’è niente da fare...». È quel «da fare» che lo costringe a usare il pollice secondo la sua millenaria evoluzione: invenzioni, collezioni, lavoretti, modellini, esperimenti, libri, guai... 

Montessori diceva che «i bambini non giocano, lavorano», infatti una manualità che si confronta con il mondo, sviluppa l’intelligenza (memoria più immaginazione) che viene dall’esperienza, con molti benefici collaterali: capacità di concentrazione e gestione delle emozioni, efficacia creativa e quindi autostima/autonomia, eliminazione dello stress, arricchimento del linguaggio attraverso il racconto dell’esperienza fatta... L’evoluzione del sapiens si ripete in ogni vita: scrivere a mano, costruire qualcosa, curare una pianta, dare una carezza sono gesti che restituiscono una «maniera» di vivere più ricca perché meno passiva. 


Un pollice che non gira a vuoto sullo schermo, da disponibile torna opponibile, rende l’intelligenza esplorativa, creativa, tecnica, e il pensiero critico, autonomo, indipendente. Il digitale non è solo nel bit ma nel pollice. Il pollice della gioia e del rischio, non il numero di pollici dello schermo, ma il pollice che permette a Ulisse di navigare verso casa facendo diventare poesia persino il suo «da fare»: «Tagliava i tronchi e lavorava veloce. Li sgrossò con la scure, abilmente li levigò livellandoli dritti col filo. Fece buchi e li congiunse gli uni agli altri. Rinsaldò la barca con chiodi di legno e ramponi. E come un falegname esperto così fece Ulisse per la sua zattera. 

Alzò poi il cassero, con molti travicelli fra loro connessi, lo completò con assi lunghissime. E fece l’albero e, attaccato ad esso, il pennone, e aggiunse il timone, per poterla guidare. Intorno la cinse con stuoie di vimini, a riparo dalle onde del mare, coprì il fondo di frasche. Allora la divina Calipso portò dei drappi per fare le vele: ed egli fabbricò anche quelle. Legò infine le sartie le drizze e le scotte e, con rulli di legno, trasse la barca sul mare lucente. Era il quarto giorno, e tutto era finito. Al quinto partì dall’isola». Ulisse naviga in mare verso casa, noi in rete verso dove? 

Difendiamo il pollice dei bambini, passando del tempo insieme a costruire, riparare e curare qualcosa, allenare la sua «opponibilità» li renderà più intelligenti e felici. Umani.


Alessandro D'Avenia 

21 ottobre 24

Corriere della Sera

Inviato da Piero Pettinà

Potenza del nome

[Gianni Spagnolo © 25A20] A ben pensarci, siamo circondati da molte cose che non conosciamo. Per meglio dire, le vediamo, magari anche frequ...