domenica 30 aprile 2023
L'angolo della Poesia
sabato 29 aprile 2023
Filosofia, cultura e...
Come attrarre i turisti e far conoscere l’Italia al resto del mondo? Prendiamo la testa della Venere, la schiaffiamo sul corpo di una modella plastificata, una pessima imitazione di Chiara Ferragni, e il gioco è fatto. «La pubblicità all’Italia la fanno le opere d’arte, senza bisogno di travestirle,» ha sbottato Vittorio Sgarbi. E stavolta ha ragione.
Non c'è nulla di male nel promuovere il nostro Paese. Non è questo il problema, anche se per realizzare questi illustri fotomontaggi il governo ha speso nove milioni di euro. Avete capito bene: nove milioni. Certo, qualsiasi quindicenne che sa usare Photoshop in un pomeriggio avrebbe potuto fare altrettanto, ma lasciamo stare questa questione. Queste vignette sono brutte, non esito a dirlo. Sono volgari.
Ecco, c’è in realtà una parola precisa per definirle: sono «kitsch». Cos’è il kitsch? È quel cattivo gusto infarcito di banalità e luoghi comuni, quelle cose sentimentali che vogliono a tutti i costi piacere. Le statuette di Lady Diana, la lettera strappalacrime di Luciana Litizzetto al piccolo Enea, i quadretti smielati di un’Italia «pizza e mandolino», questo è il kitsch. Accostarsi all’arte in questo modo significa ucciderla. L’arte è un’esperienza mistica. Accende i cuori, i cervelli. Pensate a Caravaggio, a Leonardo, a Michelangelo che una volta mandò al diavolo il Papa perché insisteva troppo nel voler vedere il suo lavoro, ecco... come pensate avrebbero reagito davanti a questa mercificazione triviale dell’arte italiana?
Qualcuno obietterà: ma è per i turisti. Va bene, ma allora poi non meravigliamoci se i turisti suggeriscono che servirebbe un bel restauro alla basilica di San Marco «perché gli arazzi sono tutti sbiaditi.» Non sorprendiamoci se un turista insoddisfatto scrive del Colosseo: «L'ho visto per la prima volta nel film "Il Gladiatore", ma quando siamo arrivati, siamo rimasti stupiti. È tutto rotto. Non possono ripararlo e farlo funzionare di nuovo?» Lo ripeto, l’Italia è la terra che diede i natali a Michelangelo, a Galileo, a Leonardo, e diavolo... erano uomini fieri.
Forse dovremmo semplicemente ricordarcelo.
Le rondini: quanto le adoro e quanto mi mancano!
venerdì 28 aprile 2023
Cucòto
[Gianni Spagnolo © 23424]
Sta arrivando anche maggio, con i suo più caldo abbraccio e la primavera che esplode al suo meglio. Chissà cosa ci riserverà il quinto mese dell'anno in quest’epoca di strane cose; stamattina ho visto il primo maggiolino e anche il cuculo non ha ancora mancato il suo annuale appuntamento.
Le sere di maggio, nei nostri anni verdi, portavano primariamente due cose: la caccia ai maggiolini e star fuori alla sera a giocare a cucòto. Dei bronbùi abbiamo già scritto in un vecchio post: https://bronsescoverte.blogspot.com/2014/06/i-bronbui.html?view=snapshot, mentre sul cucòto val la pena tornare.
"Un du tri cuatro…" Gridati ad alta voce,.. "Tana liberi tuti! A te go fregà, aha!"
Non era nient’altro che il comunissimo gioco del nascondino, verosimilmente il passatempo di tutti i bambini di ogni luogo ed epoca, ma da noi si chiamava cucòto. Si iniziava al tempo del cùco, ma non aveva niente a che spartire con quel volatile misterioso e approfittatore. O forse si?
Perché cucòto? Un nome strano e cacofonico, certamente adatto a noi bociasse, che spesso s’inventava vocaboli nuovi o storpiati. L’origine parte invece da più lontano, verosimilmente da quella antica lingua madre che ha lasciato retaggio solo nelle anse più recondite del linguaggio, quelle più familiari e care.
Nel cimbro, il verbo kukhan significa infatti sbirciare, guardare di nascosto, proprio quello che si faceva in questo gioco, dove ci si nascondeva nei posti più impensati (si credeva), ma in modo da osservare di soppiatto le mosse del compagno incaricato di snidarci e degli altri nascosi nei pressi. Bisognava infatti riuscire a dominare il territorio di caccia, saltando fuori all’improvviso per raggiungere in velocità il posto della conta e gridare quel liberatorio “Tana liberi tuti!” che azzerava le penalità e dava quell’impagabile soddisfazione di essere il migliore della coà.
Forse anche il nome del cùco, l’uccello che in italiano si chiama cucùlo, ha qualche attinenza con questa origine; anche se l’onomatopea del suo caratteristico e ripetitivo richiamo lo ha codificato similmente un po’ in tutte le lingue. Il cùco, infatti, non è del tutto nascosto, si sa che c’è; è che non si riesce quasi mai a vederlo. Lui, peraltro, non si preoccupa certo di nascondersi, anzi, si manifesta attivamente col suo monotono canto. In più è l’archetipo dell’opportunista e del parassita, di quello che si prende gioco di quelle insulse delle averle delle capinere, usandole come inconsapevoli balie. In ogni caso, era più facile fare tana a cucòto che riuscire a vedere il cùco. Anche perché, dicevano i vecchi, che chi si soffermava a contare i singulti del cùco, gli sarebbero restati da vivere tanti anni quanti ne riusciva a contare prima che l’inafferrabile uccello tacesse. E allora noi di anni davanti ne avevamo (sperabilmente) tantini. On bruto bàgolo, ciò!
Oggi, invece, è una conta che possiamo anche fare con una cera nonchalance, ca taré ca se sbalién de poco!
L'angolo della Poesia
Bisogna allontanarsi
dai dolori già vissuti,
non possono più fare male,
ma lo fanno lo stesso,
occorre tenerli fuori
dalla luce del mattino,
dagli occhi gioiosi,
dalle speranze
ancora tutte da spendere,
dagli inviti a restare
o quelli per andare
verso nuove strade.
Bisogna sfrattare
il buio dal cuore,
tenère le tenerezze,
le cose gentili
e farsi abitare
dalle forti emozioni
che ti scuotono,
ma solo per sentirsi vivi.
Bisogna aprire
quell'angolo di mente
dove restano accatastati
i ricordi peggiori,
la polvere non riesce
a farli sparire
né i pensieri a non pensarli,
ci vorrebbe qualcuno
capace di ascoltare senza reagire,
silenzio tombale.
Che bello vederli morire
e sentirsi liberi...
Francesca Stassi
giovedì 27 aprile 2023
L'angolo della Poesia
I consigli di Elettra
La bella stagione porta a passare il proprio tempo fuori casa.
Dopo i lunghi giorni bui invernali, la luce primaverile e la temperatura mite ci invita a uscire e passeggiare nei boschi.
Ma bisogna fare attenzione alle zecche.
Le zecche sono portatrici della malattia di Lyme, che può creare problemi articolari con dolori migranti, problemi neurologici e cardiaci.
È facile essere morsi senza accorgersene, ma nella zona della puntura se la zecca è infetta, si forma un cerchio rosso che si allarga nel tempo fino a scomparire.
Se siamo stati punti e togliamo la zecca, dobbiamo osservare per almeno 40 giorni la parte colpita per cogliere le manifestazioni di infezione.
Se non abbiamo visto la zecca, ma si presentano macchie circolari sulla pelle, è urgente andare dal medico e valutare la cura.
Quando si accusano dolori articolari migranti, senza marcatori dell'artrite che non migliorano con il cortisone è da valutare un'infezione da borrelia.
La borrelliosi si può manifestare anche 5-10 anni dopo la puntura, ed è per questo che è di difficile diagnosi.
La prevenzione è la migliore medicina, attuata con i consigli adatti:
- usare pantaloni lunghi
- calzini dentro le scarpe
- indossare abiti chiari
- spruzzare gli spray protettivi
- controllare la pelle una volta tornati a casa.
La malattia di Lyme è presente in Italia solamente dal 1980 .
Elettra Erboristeria
Cornedo Vicentino
mercoledì 26 aprile 2023
Filosofia, cultura e...
Galimberti aveva ragione. Ma anche torto. Non è vero che la gente non legge. Il vero problema è un altro: è che molta gente non capisce cosa legge. L’analfabeta funzionale sa leggere. Sa scrivere. Ma non sa comprendere il senso di un testo, interpreta in modo letterale. Qualche giorno fa lessi un articolo che parlava di depressione e tanti, troppi, con mio grande sconcerto hanno commentato l’aspetto della donna usata nella fotografia. E alle volte anche a me è capitato di partire da alcuni esempi per parlare di problemi più ampi, «ma quando indichi la luna, lo stolto guarda il dito».
Ma c’è un aspetto ben più grave. Vedete, l’analfabeta funzionale non sa riconoscere le intenzioni di chi scrive.
Essere un lettore consapevole significa riconoscere i meccanismi linguistici, logici, formali che vengono usati per plasmare e orientare le nostre opinioni. Se non capisci dove vuole arrivare a parare chi scrive, qual è il suo pensiero, a che linea politica appartiene, è un bel problema! Perché quasi sicuramente ti limiti ad assorbire in modo acritico tutto ciò che leggi!
Sapete qual è la cura per l’analfabetismo funzionale? Leggere! Leggere tanto, ma proprio tanto! Io amo leggere i classici, ma amo leggere anche quei libri che mi insegnano a capire il mondo: saggi di filosofia, di storia, libri su Stalin, sulla Russia, sull’evoluzione del linguaggio. Leggete, perché facendovi amici i libri svilupperete la capacità di riconoscere i parolai, gli scribacchini come li chiamava la Fallaci, ma soprattutto prestate attenzione a cosa leggete, domandatevi sempre: «perché X ha scritto questo? Dove vuole arrivare?» Partite sempre dai «perché». Sono i perché che fanno la differenza.
martedì 25 aprile 2023
Filosofia, cultura e...
Gli idoli dell’uomo moderno sono la produzione, il consumo, la tecnologia, lo sfruttamento della natura. Quanto più ricchi sono i suoi idoli, tanto più l’uomo si impoverisce. Invece della gioia, egli va in cerca di piacere e di eccitamento; invece di crescere, cerca possesso e potere; invece di essere, egli persegue avere e sfruttamento; invece di ciò che è vivo sceglie ciò che è morto.
Ed ecco perché nella nostra civiltà è rara la concentrazione. Si fanno molte cose alla volta: si legge, si ascolta la radio, si chiacchiera, si fuma, si mangia, si beve. Siamo i consumatori con la bocca aperta, disposti a inghiottire qualsiasi cosa: quadri, liquori, esperienza.
Questa mancanza di concentrazione trapela chiaramente dalla nostra difficoltà nel restar soli con noi stessi. Sedere in silenzio, senza bere, leggere o fumare è impossibile per la maggior parte delle persone.
Esse diventano nervose, inquiete, e devono assolutamente fare qualcosa con la bocca o con le mani.
Erich Fromm
Essere o avere-L'arte di vivere
I consigli di Elettra
Quello strano mal di gola
Quando è pungente
Quando se tocchi una parte del collo senti dolore
Quando a ingoiare fa male, sembra un mal di gola classico, da problemi infettivi o respiratori.
Ma...
Quando il dolore è nell'arcata superiore della gola
Quando non è un punto specifico che fa male
Quando è un dolore diffuso
Quando si presenta al mattino e poi non si tramuta mai in raffreddore o altro, non è un mal di gola da problemi respiratori.
È causato dal *Reflusso*
Avere il reflusso non significa che si ha il cibo che torna su.
Quello che sale sono i vapori acidi dello stomaco, perché la valvola superiore dello stomaco è incontinente, non si chiude bene.
I gas acidi dello stomaco, salgono nella trachea, arrivano fino alla gola e irritano tutte le mucose.
Per migliorare il disturbo, la cura non dovrebbe essere fatta con i protettori dello stomaco, che diminuiscono l'acidità, perché da proteggere sono le mucose dell'esofago e della gola.
I protettori sono un approccio immediato, che tampona il problema, ma non lo risolve.
Serve riattivare la valvola Cardias.
Un approccio completo alla salute dello stomaco è indispensabile.
Serve un professionista competente perché bisogna controllare:
- la riserva di basi nel sangue
- il livello di vitamine B nel sangue
- la composizione della dieta nel rapporto tra proteine e carboidrati
- lo stato ansioso
- l'idratazione.
Ripristinare una funzione è un lavoro complesso che non si esaurisce con l'assunzione di una pastiglia.
Bisogna ricordare che i problemi di stomaco tendono a ripresentarsi ciclicamente in primavera e nell'autunno.
A volte anche forme allergiche, intolleranze alimentari e residui di infezione da virus creano il mal di gola, ma anche un'insufficiente lavoro della tiroide.
Elettra Erboristeria
Cornedo Vicentino
lunedì 24 aprile 2023
L’angioléto dal deéto
[Gianni Spagnolo © 2348]
Abituati ai “memory” con memoria di forma, a quelli costosetti delle dimostrazioni casalinghe, o a quelli super economici delle promozioni televisive, ci siamo dimenticati dei materassi che ci hanno visto nascere e crescere. Quelli di lana dai bordi cordati, per intenderci, ricondizionati periodicamente in piazza dalla Cicci con lunghi aghi e trapuntati con quei curiosi ciuffi di cotone. Dal tessuto rigorosamente a rigoni nelle tonalità del marrone e del verde, il tradizionale tarliso, imbottiti con fiocchi di lana e periodicamente rifatti. Prima ancora, per l’imbottitura, si usavano i scartossi, ossia le cariossidi del granoturco; decisamente freschi e traspiranti d’estate, ma che scrocchiavano ad ogni movimento.
Erano collocati sopra reti di ferro dalla flessibilità resa sempre eccessiva dal ripetuto riciclo, che ti facevano dormire in modalità amaca. Salvo non irrigidirle con delle tavole di legno, perché così s'indrissava la schéna, dicevano! Ma secondo me era una scusa. Sopra, almeno d’inverno, coperte di lana antibalistica che ti comprimevano a bozzolo.
Vabbé, … andava bene così e abbiamo sempre dormito di gusto. Anche perché, prima di entrare nel letto bisognava dire le preghierine. Il rito iniziava immancabilmente con l’intingere el deéto nell’acquasantiera di ceramica fatta a mo' di angioletto appesa sopra il capezzale del letto di ogni famiglia timorata. Era infatti questa una ritualità iniziale che convinceva anche i più riottosi o assonnati; una sorta di complicità con quell'angelico essere alato che doveva proteggerti il sonno. Come dire: téndeme ti che mi a go sono!
L’angioletto era importante perché bisognava iniziare con l’Angele Dei (.. qui custos es mei, me, tibi commìssum pietàte supérna, illùmina, custódi, rege et gubérna), oppure l’Angelo di Dio, per i meno datati post-Concilio. Anche se allora le devozioni tradizionali stavano già scomparendo, così come quelle ingenue acquasantiere appese ai lati del letto che, prima vuoti addobbi, finirono infine disperse in qualche cassetto dei granari paesani. Quella del mio letto aveva il bacile scheggiato, a differenza di quella di mia sorella che era bella integra, e questo mi faceva rabbia! Non so che fine hanno fatto, probabilmente quella comune a tutti gli arredi di quegli anni.
La comparsa delle prime acquasantiere domestiche risale al XVI secolo. All’inizio erano diffuse in prevalenza fra il clero e i membri di comunità e ordini religiosi. A partire dal secolo successivo entrano a far parte dell’arredo delle cappelle private domestiche delle famiglie aristocratiche, laddove nel corso del Millesettecento diventano parte irrinunciabile dell’inventario delle camere da letto di tutti i ceti sociali fino alla prima metà del secolo scorso. Di solito venivano poste accanto al letto in modo che al mattino e alla sera i fedeli potessero segnarsi e recitare le preghiere.
Come forme e soggetti le acquasantiere domestiche seguivano l’andamento della moda e del gusto delle varie epoche storiche, facendosi così documento delle caratteristiche stilistiche del loro tempo e rivelando nel contempo qualcosa della personalità del proprietario, della sua religiosità e devozione, nonché il suo status sociale.
Svariati i temi iconografici che le adornavano, e che di solito occupavano la parte centrale dell’alzata. Le scene più frequenti erano ispirate alla vita di Gesù, specie alla Natività, alla Passione e alla Crocifissione. Ricorrenti erano pure immagini della Madonna, ma anche di santi. Motivi frequenti erano inoltre gli angeli, ma anche simboli vari come la croce, gli strumenti della Passione di Cristo, il monogramma cristologico IHS, il Sacro cuore sovrastato dalla fiamma, il monogramma mariano.
L'upupa: non è meravigliosa?
domenica 23 aprile 2023
La Terra un granello di polvere? Forse anche meno...
Astronomia ti adoro!
Sai portare la mia curiosità e il mio stupore alla massima potenza, ma contemporaneamente mi mandi in crisi... tu non sai quanto...😌😖
E alòra ciacolèmo...
Chiacchiere... perché servono?
La nostra storia di animali senza pelliccia che camminano su due gambe, inizia all'incirca 2 milioni di anni fa.
"Uomini" di almeno 9 tipi diversi che hanno camminato su questo pianeta 1 milione e 800 mila anni.
Poi succede qualcosa di strano, improbabile che non si è più ripetuto, il cranio si modifica, diventa più tondo e nasce il genere Homo Sapiens.
Noi.
I nostri 5 ultimi cugini piano piano si estinguono e rimaniamo solo noi.
L'homo sapiens disegna, inventa, fa musica, mostra un mondo interiore ricco e complesso, sviluppa un senso etico e morale, mai visto prima.
Ma cosa ha permesso questo profondo cambiamento?
Non certo le dimensioni del cervello, perché anche l'Homo di Neanderthal aveva una scatola cranica di pari volume.
Non sembra la manualità più fine, anche se è correlata.
Il nostro sviluppo ed inventiva è stato dato dalla capacità di interazione sociale, dal bisogno di riconoscere volti e persone, ricordare comportamenti ed episodi e infine comunicare emozioni, sentimenti e scegliere il partner.
L'Homo sapiens si sviluppa in una struttura di gruppo dove la coppia è la base, affiancata da altre coppie e da individui singoli.
Era fondamentale sapere chi stava con chi, cosa faceva.
Ecco che nella nostra società moderna, il "chiacchierare" delle persone che conosciamo, vicine o lontane, osservare ed essere curiosi su cosa stanno facendo... non è solo "perdere tempo" è iscritto nelle nostre cellule.
Forse i social, sono il nostro modo moderno di vivere questa spinta antica.
Farne buon uso è imperativo, ma riconoscerne la funzione sociale è pure importante.
La velocità, l'isolamento, la famiglia nucleare isolata, ha bisogno di ritrovare questo "contatto sociale" da cui siamo nati.
(tratto da: L'ultimo Neanderthal - Giorgio Manzi).
sabato 22 aprile 2023
Ma allora, ha ragione l’uomo o l’orso?
La natura stupisce sempre
Questa è la fioritura dell'acero negundo, forse l'unico che cresce sul bordo del lago.
Potenza del nome
[Gianni Spagnolo © 25A20] A ben pensarci, siamo circondati da molte cose che non conosciamo. Per meglio dire, le vediamo, magari anche frequ...