sabato 31 dicembre 2022

Ci mancherete... e non poco...

 


Tradissiòn da no trar dò😊Soio alto







Foto di Michele Toldo

 

E con questa significativa foto... salutiamo anche il 2022

 


Qualche bilancio di fine anno

Innanzitutto un GRAZIE a LUCIA, KEKKO, GINO e FLORES che hanno collaborato con il blog. Se altri desiderano aggregarsi sono sempre i benvenuti.

Un grazie anche a chi tollera qualche innocuo furtarello di foto o altro che poi condivido😊





Un GRAZIE anche a tutti i nostri fedeli Lettori che giornalmente ci seguono. Nel 2022 siete pure aumentati e questo non può farci che piacere. 

Il podio dei 3 post con maggiori visualizzazioni



Qualche "triste" numero:

23 le Persone purtroppo "andate avanti" (10 uomini e 13 donne)
2 i nati: 1 bambina a San Pietro e una a Pedescala
0 matrimoni


2019 = 23
2020 = 26
2021 = 18
2022 = 23

Numeri che intristiscono...😞.

Sono 40 anni che vivo stabilmente a San Pietro e la media è quasi sempre stata un meno 15/20 l'anno tenendo conto anche dei nati. 
Va da sè che a mio ricordo manchino nel Comune all'incirca 700/800 persone e sono tantissime. La chiesa di San Pietro, bella piena, contiene all'incirca 200 persone. Pensate... sarebbero ben 4!

Un GRAZIE anche a tutte quelle Persone disponibili che a titolo gratuito si prodigano per il bene del Paese cercando di mantenerlo vivo!

Avvisi funebri (FC)

 (della pizzeria King kong)


venerdì 30 dicembre 2022

Avvisi funebri (FC)


 

Spettacolari immagini delle montagne di Arsiero

Il Toraro, il monte Campomolon con l'omonimo forte, la forcella Molon, Cima Valbona, il Valico di Valbona, il Rifugio Rumor e il Rifugio Valbona.

I colori di un magnifico tramonto a 360 gradi dai quasi 2000 mt. del monte Toraro.
Prendetevi 10 minuti del vostro tempo per ammirare lo spettacolo delle nostre montagne viste dal volo di un drone.



MIX: di tutto un po'...

L'anno vecchio sta cedendo il passo a quello nuovo e tendenzialmente si è soliti fare qualche bilancio... 
Penso sia abbastanza canonica per tutti la frase: 
"dal primo de l'anno bion ca comìnsie a..."
Ripropongo questa lettura, che rileggerla ogni tanto non penso faccia male...


Cinque sono le cose che un uomo rimpiange quando sta per morire. Non saranno i viaggi confinati nelle vetrine delle agenzie che rimpiangeremo, e neanche una macchina nuova, una donna o un uomo da sogno o uno stipendio migliore. 

La prima sarà non aver vissuto secondo le nostre inclinazioni ma prigionieri delle aspettative degli altri. Cadrà la maschera di pelle con la quale ci siamo resi amabili, o abbiamo creduto di farlo. Ed era la maschera creata dalla moda. La maschera di chi si accontenta di essere amabile. Non amato.

Il secondo rimpianto sarà aver lavorato troppo duramente, lasciandoci prendere dalla competizione, dai risultati, dalla rincorsa di qualcosa che non è mai arrivato perché non esisteva se non nella nostra testa, trascurando legami e relazioni.

Per terzo rimpiangeremo di non aver trovato il coraggio di dire la verità. Rimpiangeremo di non aver detto abbastanza ”ti amo” a chi avevamo accanto, ”sono fiero di te” ai figli, ”scusa” quando avevamo torto, o anche quando avevamo ragione. Abbiamo preferito alla verità rancori incancreniti e lunghissimi silenzi.

Poi rimpiangeremo di non aver trascorso tempo con chi amavamo. Non abbiamo badato a chi avevamo sempre lì, proprio perché era sempre lì. E come abbiamo fatto a sopportare quella solitudine in vita? L’abbiamo tollerata perché era centellinata, come un veleno che abitua a sopportare dosi letali. E abbiamo soffocato il dolore con piccolissimi e dolcissimi surrogati, incapaci di fare anche solo una telefonata e chiedere come stai.

Per ultimo rimpiangeremo di non essere stati più felici. Eppure sarebbe bastato far fiorire ciò che avevamo dentro e attorno, ma ci siamo lasciati schiacciare dall'abitudine, dall'accidia, dall'egoismo, invece di amare come i poeti, invece di conoscere come gli scienziati. Invece di scoprire nel mondo quello che il bambino vede nelle mappe della sua infanzia: tesori.

Alessandro D'Avenia


Il principio della rana bollita

Di tanto in tanto la ripropongo perchè di questi tempi rileggerla fa solo bene... 

Anche nell'ultima settimana dell'anno...




Il principio della rana bollita è un principio metaforico raccontato dal filosofo e anarchico statunitense Noam Chomsky, per descrivere una pessima capacità dell’essere umano (zombie) moderno: ovvero la capacità di adattarsi a situazioni spiacevoli e deleterie senza reagire, se non quando ormai è troppo tardi. 
Viviamo, infatti, in una società nella quale il popolo è letteralmente schiacciato dall’economia, dalla politica, dai media, e accetta passivamente il degrado, le vessazioni, la scomparsa dei valori e dell’etica che derivano da questo continuo subire, in silenzio, senza mai reagire.
Questo principio può essere, tuttavia, calato in realtà diverse tra loro e ad esempio può essere usato per descrivere il comportamento delle persone inerti, immobili, remissive, rinunciatarie, noncuranti, che si deresponsabilizzano di fronte alle scelte quotidiane di vita. 
Ma vediamo cosa racconta questo principio della rana bollita:

Immaginate un pentolone pieno d’acqua fredda nel quale nuota tranquillamente una rana. Il fuoco è acceso sotto la pentola, l’acqua si riscalda pian piano. Presto diventa tiepida. La rana la trova piuttosto gradevole e continua a nuotare. La temperatura sale. Adesso l’acqua è calda. Un po’ più di quanto la rana non apprezzi. Si stanca un po’, tuttavia non si spaventa. L’acqua adesso è davvero troppo calda. La rana la trova molto sgradevole, ma si è indebolita, non ha la forza di reagire. Allora sopporta e non fa nulla. Intanto la temperatura sale ancora, fino al momento in cui la rana finisce – semplicemente – morta bollita. Se la stessa rana fosse stata immersa direttamente nell’acqua a 50° avrebbe dato un forte colpo di zampa, sarebbe balzata subito fuori dal pentolone.” 

In verità il fenomeno della rana bollita risale ad una ricerca condotta dal “John Hopkins University” nel lontano 1882. Durante un esperimento, alcuni ricercatori americani notarono che lanciando una rana in una pentola di acqua bollente, questa inevitabilmente saltava fuori per trarsi in salvo. Al contrario, mettendo la rana in una pentola di acqua fredda e riscaldando la pentola lentamente, ma in modo costante, la rana finiva inevitabilmente bollita.

Questo principio viene applicato quotidianamente nella società moderna attraverso delle subdole tecniche di manipolazione di massa e delle coscienze. Tecniche travestite da “benessere”, apparentemente a favore dell’umanità, come il vivere meglio, la salute, il prolungamento della vita, sempre più prodotti, più servizi, progresso, tecnologia, nuove morali, ma dove ci sta portando tutto questo?

“L’obiettivo è rendere la massa inoffensiva, talmente anestetizzata e confusa da non rendersi nemmeno conto della gabbia in cui è rinchiusa. 
Siamo rane messe a bollire dentro un pentolone a fuoco lento, siamo bravi soldatini che marciano sincroni senza sapere dove stanno andando, né tanto meno perché.”

In verità il principio della rana bollita ci dimostra che quando un cambiamento si effettua in maniera sufficientemente lenta, da diventare pertanto invisibile, sfugge alla coscienza e non suscita, per la maggior parte dell’umanità, nessuna reazione, nessuna opposizione, nessuna rivolta. Questo accade perché il permanente ingozzamento di informazioni da parte dei media satura i cervelli che non riescono più a discernere, quindi a pensare con la loro testa, e diventano alienati di un sistema che li governa a proprio piacimento.

Ci sono persone che credono ancora che questa crisi economica, politica e sociale, sia momentanea e non strutturale, ci sono persone che sperano ancora che le soluzioni arrivino dall’alto, convinti che nel frattempo possono tranquillamente lasciarsi avvolgere dal comfort della vita quotidiana. Un po’ come la rana apprezzava il momento in cui l’acqua si riscaldava pian piano. La verità è che queste persone sono già mezze bollite, sono i dormienti, i zombi di questa società. La loro fine sarà identica a quella della rana bollitaBisogna saltare! E badate bene, non si tratta di fuggire, ma di affrontare la situazione ed esaminare le possibili soluzioni, prima che sia troppo tardi.

Se guardiamo ciò che succede nella nostra società da alcuni decenni, ci accorgiamo che stiamo subendo una lenta deriva alla quale ci abituiamo. Un sacco di cose, che ci avrebbero fatto orrore 20, 30 o 40 anni fa, a poco a poco sono diventate banali, edulcorate e – oggi – ci disturbano solo leggermente o lasciano decisamente indifferenti la gran parte delle persone. In nome del progresso e della scienza, i peggiori attentati alle libertà individuali, alla dignità della persona, all’integrità della natura, alla bellezza ed alla felicità di vivere, si effettuano lentamente ed inesorabilmente con la complicità costante delle vittime, ignoranti o sprovvedute.” 

(di Noam Chomsky)


E anca l'ultima boteghèta al 31.12.2022 la sara...



Era il lontano primo settembre del 1980 quando una giovanissima Marina (aveva solamente 15 anni) iniziò ufficialmente il suo lavoro da "fruttaròla". 

Per noi tutti divenne ben presto semplicemente la "Marina fruttaròla". Per la verità aveva iniziato un paio di mesi prima ad approcciarsi al nuovo lavoro. Affiancava la Emma e la Lionella, timorosa, ma attenta ad imparare tutte le malizie per affrontare al meglio, di lì a breve, la nuova avventura. 

Sia Emma che Lionella capirono ben presto che la ragazza era ben scaltra ed affidabile e le consegnarono la totale gestione della boteghèta ancora prima della fine del rodaggio concordato. Passavano solamente la sera a ritirare il guadagno della giornata. 

Marina confessa che all'inizio era molto emozionata ed insicura, paura di sbagliare soprattutto i conti che a quel tempo erano fatti a mano e per contenere i costi, venivano fatti direttamente sul sacchetto di carta che poi veniva riempito della frutta e verdura acquistata. 

A Marina, ragazzina perfettina, già amante delle cose fatte "comesideve" non piacevano tutti quegli scarabocchi di conti sui sacchetti di carta e si portò da casa una calcolatrice che le dava più sicurezza e senso dell'ordine. Quando però la Emma la vide... bonariamente l'apostrofò: "varda che i cunti va fati a mente, no con quela roba lì"... 

Chissà se la "Ema lussa" fino allora aveva visto una calcolatrice! Era però una realtà di tutte le botteghe del tempo! Bilance digitali e registratori di cassa erano ancora sogni lontani! Vi ricordate quando chi faceva di conto metteva la penna o la matita dietro l'orecchio?


Il primo settembre dell'inizio ufficiale non tardò ad arrivare e questa giovane e timida ragazzina si era già fatta velocemente le ossa. Sentì da subito che quel lavoro le piaceva, ci metteva passione e i risultati non tardarono ad arrivare. Si è fatta in breve tempo benvolere da tutti i Clienti che apprezzavano la sua bravura, la sua pazienza, la sua gentilezza, il suo sorriso. Mai ha fatto pesare al Cliente un suo stato d'animo negativo. Cercava di assecondare, per quanto le era possibile, ogni nostra richiesta. Sempre attentissima che il prodotto che metteva sulla bilancia, fosse senza "magagne" e anche se aveva la boteghèta piena... lei non aveva mai fretta, ti dedicava il tempo che ci voleva!



Sempre il primo settembre del 1980, iniziò il lavoro di ambulante con il camion rosso, acquistato da Tarcisio Fontana (pota), anche il fratello Luciano. Anche Luciano, nelle estati antecedenti il 1980, dava già una mano a Tarcisio per vedere se il lavoro gli sarebbe poi piaciuto. Luciano serviva le zone di Lavarone, non solo famiglie, ma anche alberghi, da Nosellari a fr. Magrè, e poi in Valle al Soglio, Forme Cerati, e a San Piero le frazioni di Costa e Lucca. Provvedeva altresì ad acquistare la frutta al mercato di Bassano tre volte la settimana. 

Marina è rimasta nella boteghèta della Emma per 5 anni fino al 1985 per poi trasferirsi in quella di Piazza Roma, un po' più ampia e più comodo per parcheggiare le auto. 


Due anni dopo, nel 1982, anche il fratello Giorgio iniziò il lavoro di ambulante con il camion rosso di Luciano e Luciano ne acquistò uno nuovo. Lui serviva la zona di Lastebasse, Pedemonte e tutta la Vallata: Barcarola, Pedescala, Forni, Valpegara, Sella.

Nel 1996, quando Rosanna chiuse l'adiacente boteghèta di mercerie, la presero i F.lli Pesavento e così ebbero modo di allargarsi di un altro pochino. Successivamente è venuta loro comoda per inserire, in aggiunta alla frutta e verdura, anche altri prodotti alimentari e non, pane compreso, e questo dopo la chiusura del panificio di Bonifaci Marco.


Nel 1997 iniziò a lavorare nella boteghèta anche la cognata Luisa, moglie di Giorgio. Luisa la trovavamo di mattina e Marina il pomeriggio e a turno un mercoledì ciascuna. Nei momenti di particolare lavoro servivano i Clienti assieme e Luisa aveva l'appannaggio della pulitura carciofi. Solo dopo il 2020 i turni furono invertiti. Tutto questo fino ai giorni nostri.



Dai nostri Veciòti si sentiva spesso dire: "ogni pan gà la so grosta" e trovo che veramente sia così per tutti i lavori. 


I f.lli Pesavento avranno sì raccolto tante soddisfazioni, ma non tutto era rose e fiori. I sacrifici erano anche per loro tanti! Sappiamo ben tutti come il lavoro di ambulante abbia anche dei risvolti negativi. Basti pensare al freddo d'inverno (30-40 anni fa erano molto rigidi con neve che rimaneva per tanto tempo, specie nella zona di Lavarone) o al caldo d'estate o a scaricare tre volte la settimana la merce acquistata al mercato e preparare i camion e la merce per la bottega... su e giù con pesanti cassette, noncuranti degli orari fino a tarda notte. 
Un dolce ricordo è dovuto anche ai Genitori Tino e Lena che tanto si son prodigati ad aiutare i figli per quello che era a loro possibile fare e fin quando han potuto farlo.

Nel 2020 sappiamo tutti come sono poi cambiate repentinamente le cose... purtroppo... e via via la decisione maturata lentamente per una chiusura definitiva al 31.12.2022 della boteghèta. (lasciatemi chiamarla così).


Certamente è la chiusura di uno spaccato di vita. Una realtà che contribuiva a dare un po' di "luce" ad una piazza già agonizzante di suo.

Sappiamo che col tempo, dovremo fare l'abitudine anche a questo "vuoto", come l'abbiamo già dovuta fare per altre realtà, ma sia di consolazione a Marina, Luciano, Giorgio e Luisa che rimarranno un ricordo piacevolissimo per tutti i loro Clienti.

(in zona si vocifera che la Mary abbia pronto lenzuolo e valium) 

Luisa e Marina desiderano ringraziarla pubblicamente per tutti i caffè e i cappuccini che ad una certa ora portava...

Ognuno di noi li ricorderà a modo suo, in base al rapporto che gli stessi erano riusciti ad instaurare. 

Luisa, per esempio, ama ricordare che è certa che Giorgio non era solamente "el fruttaròlo", ma anche "uno psicologo", "un confessore"... 


Per le donne, sapere che arrivava Giorgio, con il quale potevano "confessarsi" o chiedere anche qualche consiglio... era un appuntamento irrinunciabile. Aveva una parola per tutti, disponibile, sempre allegro con quel sorriso accattivante e la battuta scherzosa sempre pronta. Era anche l'amicone e il "Babbo Natale" dei bambini che li faceva salire sul camion e non scendevano mai a mani vuote... qualche fragolina, una pesca, qualche bagigio, una banana...

Non era solo "el fruttaròlo". Era l'Amico che si provava gioia nell'attenderlo. Era diventato un'istituzione! 




Chissà ora con la Fausta ad esempio, quante cose sospese avranno da terminare, ora che anche lei da poco è passata a miglior vita! E a conferma di quanto afferma Luisa, basta ricordare con quante testimonianze d'affetto lo hanno salutato a Pedescala e non solo... quando è transitato per l'ultimo saluto! Commovente veramente! 


Se lo incrociavi per strada, mai mancava di farti i fari o una strombazzata. Ci riconosceva tutti e noi lui, specie negli ultimi tempi che aveva il camion bianco con la centina gialla... inconfondibile! I colori del Vaticano! Il colore giallo gli si addiceva, perchè lui era veramente un "Essere solare".



Luciano, rispetto al fratello Giorgio, era di carattere più riservato e schivo, ma era lui il perno dell'attività ed è stato lui ad iniziarla. Insomma era lui "il Boss"... Marina e Luisa, amano definirlo "un Orso buono" sempre educato e rispettoso del prossimo al quale non faceva mai mancare un sorriso specialmente all'Anziano o a un bimbo.


Marina mi ripeteva molto spesso: "Varda... a gò du Fradèi che i zè diversi fra luri, ma i zè tanto bravi e boni come el pan e se volèmo tanto ben!" 

E anche Luisa, poco prima di Natale, parlando di striscio di Luciano aveva la voce rotta dalla commozione e mi esaltava la bontà d'animo, la disponibilità e l'aiuto che sempre da lui riceveva!

Mi sia consentito di aggiungere (e non è una sviolinata) che la frutta e verdura che vendevano era veramente di qualità con prezzi contenuti. Tante volte mi sono trovata assieme a persone da fuori paese che facevano buona scorta di frutta e verdura osannandone qualità e prezzo. Credo si meritino che sia sottolineato anche questo importante aspetto! 

I fratelli Pesavento sempre attenti alla qualità!


Giorgio e Luisa presenti al mercatino di Forni


Tramite il blog, Luciano, Marina e Luisa desiderano ringraziare TUTTI I CLIENTI che in questi 42 anni hanno accordato loro fedeltà e fiducia.

Inevitabile che pure loro non stiano facendo "i salti di gioia"... il dispiacere che provano è tangibile, ma spesso la vita impone delle scelte e si è costretti a seguire il suo fluire...


(Carla Spagnolo)


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giovedì 29 dicembre 2022

MIX: di tutto un po'...



Non saranno i diplomi o le lauree a rendervi migliori, non vi regaleranno né l’intelligenza, né la cultura e tantomeno la saggezza. 

Conosco persone che ostentano i loro titoli di studio, che “mettono in mostra” ciò che sanno per umiliare il loro prossimo. Persone che hanno una conoscenza sterminata, enciclopedica di nomi, fatti storici, date…, ma non importa quante lauree e quanti altisonanti titoli di studio hanno accumulato: sono poveri di spirito. 

Sapete dove si trova il ritratto perfetto di tali uomini? Nei Promessi sposi. Ricordate l’Azzeccagarbugli? L’avvocato da strapazzo al quale Renzo si rivolge in cerca di aiuto? 

L’Azzeccagarbugli è il simbolo dell’arroganza della persona che ha studiato. È il saccente per eccellenza, l’uomo che non può fare a meno di ostentare la propria cultura, che per il fatto di sapere determinate cose crede di essere superiore agli altri. Migliore degli altri. Fateci caso: a scuola, nei luoghi di lavoro, nei salotti televisivi… c’è sempre un Azzeccagarbugli di turno pronto a farvi sentire piccoli, inferiori. 

L’Azzeccagarbugli però è anche l’intellettuale che è abituato a servire i potenti, a mettersi al loro servizio. Quando Renzo gli chiede aiuto, l’avvocato, per non sfidare Don Rodrigo, si rifiuta di aiutarlo. 

Come Don Abbondio, l’Azzeccagarbugli è indifferente alle ingiustizie che vengono compiute sotto i suoi occhi. Usa volutamente un linguaggio colto, forbito, eccessivamente tecnico per confondere il suo interlocutore, per intorbidare le acque. 

Vi è mai capitato di ascoltare un politico parlare per ore e ore e alla fine del suo discorso non avere idea di cosa ha detto? 

Politici, burocrati, capi di stato sono andati a scuola dall’Azzeccagarbugli. Anzi, in alcuni casi, hanno perfino superato il loro maestro. 

E poi c’è chi vorrebbe farvi credere che i classici non sono attuali. 

G. Middei

Valle dell'Astico: Un inverno di oltre 100 anni fa 1916/1917


Suggestiva istantanea invernale della Valle dell'Astico scattata dal settore difensivo austro-ungarico "Winterstellung" di Tonezza del Cimone denominato "Tiger-Stellung" (caposaldo Tigre).
In primo piano l'abitato di Forni con il suo ponte a corde, poco più in alto un altro ponte sospeso sull'Astico con sulla dx Setteca', più a nord la contrada di Forme Cerati, la prateria di Bellasio e San Pietro. A dx foto in alto Cima Paile, a fondovalle l'abitato di Soglio e sullo sfondo troneggiante, il monte Krojer.
[Delmo Stenghele]



Stress del periodo natalizio



I regali. I parenti. Le lucine. Le cene. 

Diciamocelo: il peggio sta per passare. Perché sì, le Vacanze di Natale sono potenzialmente un momento piacevole: intanto perché dovrebbero essere appunto vacanze, ossia vacanti, vuote, svuotate da oneri, doveri, lavori e preoccupazioni. Poi perché a Natale si dovrebbe essere tutti più buoni o quantomeno, tra pranzi e cene, più sazi, e quindi meno affamati e pericolosi per il prossimo. 

Ma le Vacanze di Natale sono per molti un momento strapieno, traumatico e doloroso: si parla a proposito di Christmas Blues, ossia quel senso di tristezza profonda che colpisce sempre più persone durante il periodo natalizio. Come mai, si dirà, questa malinconia a fronte di cotanta gioia diffusa sulle note degli Wham? 

Il fatto è semplice: siamo sempre più costretti a esternare la nostra felicità, a vetrinizzare le nostre giornate, a mostrarci allineati e sorridenti a lavorare nella grande catena di montaggio sociale, e le vacanze sono diventate il palcoscenico del nostro saggio di fine anno.

Vivere le vacanze natalizie come una performance infinita non può che essere una fucina di disperazione.

Tutto, in questi giorni, concorre alla produzione di stress: pulire, in primis. Non “pulire come atto sacro”, gesto rituale di pulizia esteriore che rispecchia una pulizia interiore, ma pulire con l’ansia dello sguardo critico del parente.

Non “cucinare come atto trasformativo” per eccellenza, strumento di cura e metamorfosi, unione sacra di estro e disciplina. Cucinare come se si fosse i protagonisti di un talent show culinario, con l’ansia da prestazione ai livelli di Gordon Ramsay.

E poi, non “fare i regali come atto relazionale”, come ringraziamento per il fatto di esserci l’uno per l’altro, ma fare i regali immersi in strade intasate di altri umani immersi nel fare regali, con l’ansia di perdersi i pezzi migliori, di ridursi all’ultimo, di sbagliare colore, sbagliare regalo.

Insomma, il peggio è passato. 

Ma ci vorrebbe proprio una vacanza da certe vacanze.

(Tlon)

Una stranezza di nebbia al paesello...in breve scomparsa

 

foto di Michele Toldo

mercoledì 28 dicembre 2022

Fiaccolata dell'Amicizia


 

E dopo i vol fare el ponte...



Il 28 dicembre 1908 un terremoto di magnitudo 7.1 colpì le città di Messina e Reggio Calabria. Si registrarono 80 mila vittime e, ad oggi, resta uno degli eventi più tragici del nostro Paese.

A cura di Stefano Gandelli-geopop

credit: INGV

Il 28 dicembre 1908 alle ore 05:20:27 del mattino, una scossa di magnitudo 7.1 fece tremare per circa 40 secondi le città di Messina e Reggio Calabria. È stato il terremoto più potente mai registrato in Italia in epoca strumentale.

Quel sisma non solo distrusse buona parte del tessuto urbano delle due città e dei paesi limitrofi, ma fu seguito anche da un maremoto che non fece altro che peggiorare una situazione già tragica. Si stima che in questo triste evento morirono circa 80.000 persone. Ma cosa sappiamo oggi di questo terremoto? E quali furono i danni?

Il terremoto, registrato dall'Osservatorio di Messina, durò tra i 30 e i 40 secondi e (secondo le testimonianze dell'epoca) fu caratterizzato da due/tre fasi distinte, di cui l'ultima più violenta. Come confermato anche da INGV Terremoti, le aree più colpite fecero registrare un valore della scala Mercalli (per essere più precisi, scala MCS) tra il grado X e XI, cioè tra il disastroso e il molto disastroso. L'area colpita copriva circa 600 km2 e le due grandi città furono quasi completamente rase al suolo: secondo i dati del Ministero dei Lavori Pubblici dell'epoca, a Messina soltanto un paio di case risultarono illese. La scossa fu così intensa da essere avvertita in un'area estremamente ampia: dall'isola di Ischia alla provincia di Campobasso, raggiungendo anche Albania, Montenegro e Grecia.

Le cause del sisma

Nonostante per anni ci sia stata incertezza in merito a quale faglia nello specifico abbia innescato il sisma, uno studio del 2021 (Barreca et al., 2021) ha identificato la probabile struttura che causò il terremoto di Messina. Questa faglia è lunga circa 34,5 km e attraversa lo stretto di Messina per poi andare verso NE nell'entroterra calabro. Da un punto di vista geologico, si tratta di una faglia di tipo trastensivo… Per dirla in modo "pop", è una faglia caratterizzata sia dall'allontanamento reciproco tra i due blocchi, sia dal loro scorrimento laterale. Possiamo dire che si allontanano l'uno dall'altro in obliquo. Più nel dettaglio, il blocco sul quale si trova la costa siciliana si muove verso Nord-Ovest, mentre quello calabro verso Sud-Est.

La notizia del sisma fece rapidamente il giro dello Stivale, in particolare a causa della quasi totale distruzione di Reggio Calabria e Messina. Quest'ultima, in particolare, rivestiva all'epoca un ruolo di primaria importanza strategica, essendo un porto commerciale lungo le rotte che collegavano il Tirreno e il Mediterraneo centrale con il canale di Suez. Il sisma coinvolse 76 località della provincia di Reggio Calabria e 14 della provincia di Messina e si stima che furono distrutte tra il 70% e il 100% delle costruzioni presenti sul territorio. Complessivamente in tutta l'area colpita dal terremoto vennero distrutte 40 mila abitazioni, quelle gravemente danneggiate furono 33 mila e quelle lesionate 68 mila.

Questa distruzione così tragica dipese da più fattori. Sicuramente la magnitudo del sisma (e il successivo maremoto) comportarono già di per sé un elevato grado di distruzione, ma bisogna anche considerare che la qualità degli edifici all'epoca era piuttosto povera: i palazzi erano troppo alti, i muri troppo sottili, i tetti troppo pesanti e le fondamenta troppo fragili. A questo, come confermato dal ricercatore INGV Dante Mariotti in un'intervista, bisogna aggiungere il fatto che i danni di questo sisma si aggiunsero in buona parte a quelli dei terremoti precedenti. Le stesse aree, infatti, furono interessate da altre scosse nel 1894, nel 1905 e nel 1907 e all'epoca non si riuscì ad effettuare le adeguate riparazioni.

Oltre ai danni quantificabili in termini umani ed economici, il terremoto-maremoto di Messina provocò grandi cambiamenti anche a livello ambientale. Prima di tutto, si registrò un abbassamento del suolo, particolarmente visibile nelle città di Messina, Reggio Calabria e Villa San Giovani (RC). Lungo entrambe le sponde dello stretto si registrarono poi arretramenti della linea di costa fino a 50 metri circa e in una vasta area di Sicilia e Calabria si documentarono frane e smottamenti.

Come se il terremoto non fosse già abbastanza, tra i 5 e 10 minuti dopo la scossa (stando alle testimonianze dell'epoca) un maremoto estremamente potente si scagliò su entrambe le coste dello stretto di Messina. Dalla parte siciliana si stima un'altezza delle onde compresa tra i 6 e 9,5 metri, anche se in alcune città il valore registrato fu (fortunatamente) inferiore: a Catania si raggiunsero massimo i 5 metri, mentre a Messina i 3 metri. Anche sulla costa calabrese le onde si abbatterono con estrema violenza, raggiungendo picchi compresi tra i 6 e gli 11 metri circa, con un valore massimo di 13 metri rilevato a sud del comune di Pellaro.

Come è facile immaginare, lo tsunami non fece altro che peggiorare una situazione già estremamente tragica e precaria, contribuendo ad aggravare il bilancio di vittime e di danni alle infrastrutture. Il numero di vittime legate unicamente allo tsunami, secondo le ricostruzioni, è di circa 2000, nonostante in queste circostanze sia estremamente complicato distinguere tra i danni del terremoto e del maremoto.



L'alberello

 

foto di Francesca Toldo

lunedì 26 dicembre 2022

MIX: di tutto un po'...


«L'italiano ha un tale culto per la furbizia, che arriva persino all'ammirazione di chi se ne serve a suo danno. La vittima si lamenta della furbizia che l'ha colpita, ma in cuor suo si ripromette di imparar la lezione per un'altra occasione.»

Sapete dove si trova il più perfetto ritratto di tale uomo? Nei Promessi Sposi. Sì, il tanto criticato romanzo di Manzoni, quello che alcuni hanno definito inutile, obsoleto, non più attuale insomma, ci ha invece consegnato un personaggio che è ancora dannatamente attuale. Un personaggio che alla fine vince su tutto e su tutti, che grazie al suo servilismo nei confronti dei potenti di turno riesce sempre a cavarsela: Don Abbondio

Don Abbondio è l’uomo che gli antichi greci chiamavano idiotes, l’uomo cioè interessato a coltivare il suo piccolo orticello, che ha fatto dell’omertà una virtù, dell’indifferenza alle ingiustizie uno stile di vita. Non che egli sia necessariamente malvagio o corrotto, magari ha anche pena delle sofferenze altrui, è solo che mette al primo posto un’altra cosa: il proprio tornaconto. 

Sono tanti i Don Abbondio della storia. 

Li si trova sempre appiccicati alla gonnella di un potente, sempre pronti a onorarlo e innalzarlo con l’eterna arte del servilismo. Ieri servivano i tribunali dell’Inquisizione o erano uno dei tanti zelanti funzionari del Terzo Reich, oggi servono questo o quel partito, questo o quell’altro apparato governativo, «lasciano promulgare quelle leggi che poi solo la rivolta farà abrogare, salire al potere quegli uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare.» 

Nei Promessi Sposi viene descritto per filo e per segno il vero male d’Italia, quella forza gattopardesca che trionfa nell’indifferenza generale. Serve saperlo? Non posso rispondere al posto vostro, ma da parte mia sento che sì, in quest’epoca di ignoranza e indifferenza generale, forse non è tempo sprecato rispolverare la nostra letteratura. 

Se sia ancora attuale, decidetelo voi. 

G. Middei

domenica 25 dicembre 2022

Natale


 Un lieto Natale 
e serene Festività 
a tutti Voi 
e alle vostre Famiglie



È Natale ogni volta
che sorridi a un fratello
e gli tendi la mano.
È Natale ogni volta
che rimani in silenzio
per ascoltare l'altro.
È Natale ogni volta
che non accetti quei principi
che relegano gli oppressi
ai margini della società.
È Natale ogni volta
che speri con quelli che disperano
nella povertà fisica e spirituale.
È Natale ogni volta
che riconosci con umiltà
i tuoi limiti e la tua debolezza.

(Madre Teresa di Calcutta)




Natale è...

 


Che ne è del Natale, dopo il disincanto di un anno di barbarie infinita e di dolori, dispiegati davanti ai nostri occhi, giorno dopo giorno senza soluzione di continuità.

E' davvero giunto il momento della rinascita?

Corriamo il rischio che l'assuefazione al dolore porti all'indifferenza, che non è un sentimento positivo.

E invece abbiamo bisogno di far rifiorire questa nostra umanità ammaccata, sconsiderata, sorda. 

Di credere in un altro mondo possibile, senza soccombere alla rassegnazione, perché è possibile, se si va alla ostinata ricerca, tra le pieghe della vita quotidiana, di una realtà che costruisca ponti, incontri, dignità.

Per questo siamo un valore nel mondo.

Abbiamo bisogno di ritrovarci nelle semplici ed appaganti azioni e scoperte quotidiane, nella gentilezza di un gesto gratuito, nella cura delle nostre relazioni, alla costante ricerca di una sobrietà e di una frugalità nel nostro modo di vivere, senza lasciarci cambiare nel profondo dal consumismo imperante.

Abbiamo necessità di riscoprire il ritmo lento, come è in natura, così anche nella nostra vita di relazione, che sappia altresì "ascoltare" senza sopraffare.

E credere nella forza semplice e rivoluzionaria dell'amore, che vuol dire accoglienza, ampliamento dell'orizzonte, trovare parole che non feriscano, ma che curino, e che abbiano il sapore del rispetto e della pace.

Credere. Perché siamo fatti di speranza e il crederci sempre ci fornisce dei mattoni per costruire il futuro.

Pur con i nostri limiti e le nostre fragilità. 

Se troviamo ogni giorno la forza per difendere la dignità e combattere contro i pregiudizi, allora sì, sarà rinascita.

E si rinnoverà Natale. 

Ancora.

Fabiola



Potenza del nome

[Gianni Spagnolo © 25A20] A ben pensarci, siamo circondati da molte cose che non conosciamo. Per meglio dire, le vediamo, magari anche frequ...