lunedì 27 agosto 2018

Restarà i fighi



Quando salgo qualche strodo che dal paese porta in luoghi un tempo vissuti, mi si stringe il cuore. Tolta la Singéla, pur con la brutta cementificazione dei primi tratti, gran parte del resto è imboscamento e abbandono. Mi sa che anche la cicatrice della maldestra strada del Priòn non ci metterà ancor molto a rimarginarsi. In molti punti a ridosso del paese le vanede collassano e i declivi si riappropriano pian piano del loro originario profilo. Sui terreni più aperti e drenati l’invasivo e selvaggio vigore delle robinie soverchia le piante più lente ed antiche. Russe, visùni ed édare collaborano alacremente al medesimo scopo.  
Questo naturale rigoglio dà innegabilmente luogo a qualche scorcio pittoresco; chi ha però ancora negli occhi com'erano quelle rive e nella memoria la fatica, la dedizione e i volti chi se ne prendeva cura, non può restare indifferente. 
Le lodevoli iniziative di pulizia e ripristino di alcuni sentieri recentemente attuate, pare non siano state sufficienti a convincere la Montagna, che si sta caparbiamente riappropriando di tutti i prestiti faticosamente concessi ai nostri padri. Mi auguro che il neonato circuito degli “Anelli delle Anguane” serva a rivitalizzare un po’ le cose. 
L’intento è ammirevole, l’iniziativa vigorosa, l’impegno forte. Speriamo porti bene. Pensavo si potesse accedere alla ferrata anche dalla piazza del paese, attraverso il Crearo, visto che è da lì che si è sempre saliti alle Joe e ai Salti. E invece no. Lassù il sentiero s’imbosca già alla prima curva, proprio davanti all’orto che mio nonno teneva come na relichia
Ormai non riesco più neanche a vergognarmi. Avevo provato un paio di volte a pulire e disboscare quella rivéta da dove scendevamo d’estate col carton soto al culo, a liberare il contorto cornolaro dei primi bàiti e a recuperare l’ultima visela che ancora resisteva pervicacemente strisciando sotto le russe. Niente da fare, ho lasciato perdere. Non ci si può fare niente. Il mondo va così! Quando vien meno l’interesse, l’energia e soprattutto la continuità, ogni cosa lentamente muore.  Muore o rinasce, a seconda dei punti di vista, dato che la Natura sa sempre cosa fare e persegue imperterrita i suoi fini.  No la se perde mai de animo, Éla. 
Anche le Jare, sull’opposto lato dei Soji han cambiato aspetto; non c’è più l’assolata sassàra della nostra giovinezza, stravolta dalle opere di contenimento e colonizzata dalla caotica vegetazione pioniera. Resiste invece il ponte sulla Val dei Chèstele, sbrecciato dagli urti degli strossi e vegliato da un vecchio fico.
Quel fico è una presenza cara: è forse l’unica pianta da frutto originale rimasta di quelle Rive che un tempo ne erano rigogliose (se sbaglio mi corrigerete..).
Il suo incombere sulla valle ne faceva l’albero di nessuno e perciò di libero accesso per noi bociasse, ancora soggetti ai molti divieti di quella morente agricoltura. Nei suoi rami teneri intagliavamo i sigoloti; i suoi frutti ligàva, perché non era mai la stagione giusta, con la sua linfa lattiginosa e caustica giocavamo a petàrse le brode. D'inverno supervisionava la partenza della mitica pista delle Jare. (Le scrivo così per vezzo, alla vecchia maniera; come le chiamavano i veciòti quand'ero bambino, quand'ero ancora Jani o Janìti, quando la G dolce dell'italiano non era del tutto entrata nelle abitudini).
Lui è ancora là, a presidiare il ponte e l’area di sosta che vi è stata da un po’ allestita. Vabbè, lo so che non è proprio il tronco d'allora bensì i più giovani polloni gettati dal suo vecchio ceppo, ma fa lo stesso. Lui l'ha vista passare un po' tutta quella folla di volti conosciuti che hanno attraversato questa valle e sono andati avanti nel sentiero della vita. Lo fronteggia un carpine ormai vigoroso, che mi ricordo tenero virgulto e ai cui piedi campeggia un bel ciuffo di ciclamini, da sempre i signori di questi luoghi.
Chissà quanta gente passerà ora accanto a quel varco per godersi la ferrata e la vista della valle dall’alto. Il Sojo e la sua Scafa, incombente ed arcana, che per secoli hanno affollato di storie ed angosce i filò del paese, si sveleranno a nuova vita e a nuova gente. È giusto, va bene così!
Non sia mai che qualche dispettoso salvanelo superstite e disturbato si diverta ancora ad intrecciare le corde, come faceva stiàni nelle stalle con le code dei muli: era la sua specialità. Vuoi vedere che qualche vecchia anguana riprenderà forse a scendere alle fontane usando l'attrezzatura a mo' di deambulatore; perché, si sa, l'età e la dimenticanza pesano un po' a tutti. Chissà! 
Non so a quanti dirà qualcosa quel fico. Non so se avrà voglia di parlare. Non so neanche se a qualcuno potrà interessare ciò che avrebbe da raccontare.
Gianni Spagnolo
18/8/2018

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