mercoledì 14 maggio 2014

La storia del poro nono (Fine dela storia. Forse!)



Ora mi permetto qui una divagazione personale sull'origine delle nostre popolazioni, che potrà lasciare il tempo che trova, ma anche suscitare qualche riflessione: 

I costumi e soprattutto la lingua germanica arcaica che ha caratterizzato le popolazioni di una vasta area compresa tra l'Adige ed il Brenta hanno sempre costituito un problema per gli studiosi a fissarne l'origine.  La scarsità, per non dire l'assenza di documenti in merito, ha lasciato spesso il campo libero alle ipotesi più varie, a volte banali, altre ardite, ma più spesso pregiudiziali.  

La cosa che mi lascia più perplesso è che si dia per assodato il fatto che le terre in questione siano state sostanzialmente spopolate e quindi pronte ad accogliere senza contese l'insediamento massiccio di coloni stranieri. 
Ecco quindi che si sostiene la migrazione dalla Baviera di queste genti in un periodo compreso fra i secoli XI° e XIII°.  Gente discesa alla chetichella dal nord e insediatasi indisturbata su un vasto territorio che le popolazioni indigene snobbavano. Oppure richiamata da vescovi o feudatari a corto di manovalanza. Si ritiene in buona sostanza che gli abitanti originari della cintura pedemontana da Cogollo a Bassano, ma anche da Schio a Vicenza, tutti insediamenti di origine venetica, romanica, celtica e più recentemente longobarda, non si curassero affatto delle poderose risorse in legname, pascoli e miniere delle montagne facilmente accessibili alle loro spalle (legno, lana, metalli e marmi, le uniche risorse non commestibili che avevano valore nel medioevo) e le lasciassero allegramente alla mercé dei primi venuti, e per giunta stranieri! 
Non è poi così facile insediarsi su un nuovo territorio e qui non eravamo in Australia o in Patagonia, ma nel pieno dell'Europa classica. 


Ma che ragione c'era di questionare a sangue già dal XIII° secolo per il possesso delle montagne e della terra se era così abbondante ed inutile da lasciarla al primo venuto? 

San Pietro contro Rotzo, Tonezza e San Fermo contro Folgaria e poi Cogollo e Roana, Strigno ed Enego, ecc., lotte antiche e plurisecolari e alcune le conosciamo bene.  
Mai ho trovato traccia di qualcuno che avesse obiettato che costoro fossero stranieri e non avessero pertanto il diritto di occupare quelle terre, essendo venuti dopo e non essendo omologati alle popolazioni contermini. 
Mai! 
Neanche nelle nostre tradizioni orali così inclini all'esasperata partigianeria localistica. 
Vi pare logico? 
Erano proprio così spopolate queste nostre terre da richiamare, come vuole la vulgata, coloni dalla Baviera? 
Perché questo avvenne solo qui e non in territori ben più appetibili ed ospitali? 
Se qui era spopolato, neanche la Pedemontana non dovette soffrire di tanta tensione demografica, dato che anche la demografia soffre di horror vacui. 
E allora? 
Perché non si sono stabiliti più comodamente nel piano, ma invece, dalla Baviera (che non è notoriamente un postaccio, ma una delle regioni più dotate e fertili d'Europa, ora come allora, dato che perlomeno la morfologia del territorio non è cambiata) si sono ridotti a sopravvivere stentatamente su montagne assetate,  in grado di garantire la sussistenza (previo arduo dissodamento) per neanche metà dell'anno e con meteorologia inclemente per buona parte dello stesso?

Risulta forse che ci siano evidenti differenze etniche fra gli abitanti della fascia pedemontana rispetto a quelli della montagna? Questo sarebbe del tutto logico se le origini delle rispettive popolazioni fossero diverse. Sfido chiunque a dimostrare che i caratteri somatici riconducibili a popolazioni nordiche (incarnato, capelli e occhi chiari, ecc.)  siano maggiormente diffusi nella fascia cosiddetta cimbra che non nel resto dell'area.  
Le tipizzazioni più o meno evidenti sono dovute più alla spiccata consanguineità delle popolazioni montane, piuttosto che ai fenotipi predetti, che fra l'altro paiono essere più dominanti nella fascia pedemontana che non nelle terre alte. Segno che forse qui ci fu una maggiore fusione fra invasori e preesistenti comunità retiche o celtiche già ridotte ad occupare quei territori marginali.

Quando dei coloni stranieri si insediano su un territorio montano e boscoso, impiegano secoli a consolidarsi. Le prime generazioni dovranno fare i salti mortali per disboscare, dissodare, costruire abitazioni, pozzi, argini, strade, ecc. 
Ci vuole tempo per dominare un territorio. Ci hanno raccontato che questi fantomatici coloni bavaresi siano capitati in zona dopo il mille e in un paio di secoli abbiano colonizzato un territorio che va dall'Adige al Brenta. Di più! Siccome l'unico documento che parla di immigrati teutonici (in tempore famis) è quello veronese datato 1053 del monastero di Santa Maria in Organo, allora hanno ipotizzato alcune alternative: 

1) Che è logico pensare che quello che ha fatto il monastero veronese l'abbia fatto anche quello di Campese, per colonizzare l'Altopiano e se non il monastero l'avranno senz'altro fatto i feudatari locali perché erano tedeschi anch'essi;


2) Che questi pochi coloni, inizialmente stanziati sui Lessini  abbiano via via colonizzato le alte valli di Alpone, Chiampo, Agno, Leogra, Posina e infine Astico per approdare dunque nei 7 Comuni; e questo nel giro di un paio di secoli. Ricostruzione che ritengo quantomeno ardita, ma che trova comunque credito ancor oggi nel sito del Kulturinstitut di Luserna.

Neanche Mandrake! Più veloci dell'orso Dino.

Onestamente non so come fossero le condizioni di vita nelle pertinenze del monastero benedettino di Benedikbeuren, nella Baviera dell'XI° secolo. Stiamo parlando di un posto ad un centinaio di Km da Monaco, ai piedi delle alpi bavaresi, benedetto da ogni grazia morfologica del territorio. Sarà stata anche la carestia (ma le carestie erano ricorrenti nell'Europa di allora), troverei però piuttosto originale l'idea di trasferirsi da li nelle montagne calcaree, arse e vegre dei Lessini a dover strappare letteralmente la  terra alla montagna con un lavoro che avrebbe dato frutti magri e assai differiti nel tempo. Un rimedio piuttosto strano per chi ha fame. Ma mi rendo conto che queste sono considerazioni in ritardo di mille anni e chissà cosa mai mi sfugge.

Tutto questo contemporaneamente a quando fra rossati e sanpieroti  e fra lastarolli e folgaraiti roteavano già le roncole. 
Che ragioni avevano i Lastarolli, stanziati allora sul Cherle, ad accapigliarsi con Folgaria per quattro magri prati in quota, quando tutt'intorno degli stranieri roncavano a man salva montagne incustodite? Che ragione avevano i rossati a contendere ai sanpieroti territori certamente più scomodi e distanti dal loro insediamento, quando avrebbero dovuto essere ancora alacremente impegnati a strappare dai pianori ben più prossimi, che vanno dal Bostel al Sabaus, le ceppaie degli alberi abbattuti per riuscire a seminarli e sopravvivere?

Nossignori, non sta in piedi! 



Supposizione per supposizione (perché di questo di tratta: ipotesi, teorie, che a volte confliggono con elementari criteri di logica), sono persuaso che quelle popolazioni occupassero queste terre da molto più tempo di quanto ritengono gli accademici, che ci siano arrivate conquistandosene il diritto sulla punta della spada, perciò nessuno gliel'ha mai contestato; che si siano gradualmente integrate con la popolazione romanica, celtica, retica, venetica o cos'altro fosse già stanziato in loco. 
E questo da Vicenza a Verona e fino a Trento, su per l'alta pianura, le valli e le montagne; tutte! 
Le differenziazioni e le particolarità vennero dopo, nel corso dei secoli. Il linguaggio originario si mantenne più a lungo nelle aree più marginali, anche in virtù del fatto che avevano un fortissimo spirito identitario e di coesione sociale, tale da permettere loro di negoziare fieramente le loro condizioni con tutte le amministrazioni statali che si sono succedute nei secoli.
Longobardi? Sì, ma non solo: anche gepidi, eruli, sassoni (narrano ci fossero 20.000 di questi ultimi al loro seguito) e di altre tribù vinte da questi ed aggregatisi nella loro discesa in Italia. Si stima che con l'invasione longobarda valicassero i confini orientali circa 150.000 persone (alcuni storici li valutano in 300.000 o più) stanziandosi a macchia di leopardo nei territori meno controllati dai bizantini (Vicentino e Trevigiano, fascia pedemontana piuttosto che  pianura costiera, per stare al solo Veneto). 
Allora l'Italia contava circa 4 milioni d'abitanti, prevalentemente stanziati al centro sud, già nucleo centrale dell'Impero Romano. 
Arrivò un intero popolo, con donne, vecchi, bambini, schiavi, armenti, carri e masserizie, non un manipolo di guerrieri assatanati. Erano solo in parte ariani e in prevalenza ancora pagani. 
Di questa orda non se ne andò nessuno, non fecero come le precedenti invasioni barbariche, non evaporarono, rimasero qui da dominatori condizionando lo sviluppo della nostra terra e la costruzione stessa della nostra nazione. Ci misero un po' a fondersi con la popolazione esistente, ma infine ne assorbirono la cultura e ne condizionarono lo sviluppo. Un'intera regione a noi vicina, la Lombardia, prese da loro il nome. Nomen omen, dicevano gli antichi.

Dopo I Longobardi arrivarono i Franchi che li sconfissero; ma in Italia fecero solo da padroni e non misero radici come loro. Poi, dal 900 cominciò il terribile periodo delle invasioni degli Ungari. Queste sì erano incursioni stagionali di predoni che miravano esclusivamente alla razzia e alla distruzione, non certo all'insediamento stabile. Gli Ungari terrorizzarono l'Italia settentrionale per circa mezzo secolo inducendo una grave crisi economica e demografica e costringendo la popolazione ad arroccarsi in castelli o in luoghi impervi e marginali per scampare. Pensiamo all'origine di Venezia e riflettiamo per un attimo dove si poté rifugiare la popolazione vicentina e veronese della pianura per sfuggire a questo flagello. Sulle montagne che le facevano da corona, con tutta ovvietà. Dove forse creò stanziamenti e occasioni di sussistenza temporanea che poi vennero via via abbandonati col cessare del pericolo e dove probabilmente rimasero parte di coloro che si erano adattati, o che vi preesistevano. 

Tutti bavaresi? Perché la lingua assomiglia all'alto tedesco parlato in Baviera nell'Alto Medioevo? Ma sarà pur logico vero, dato che la Baviera era Ducato prossimo a quelli longobardo di Trento e come pure lo era Vicenza nella medesima epoca, in un territorio che probabilmente non vedeva soluzione di continuità fra Germania meridionale e Venezie, con relativi scambi culturali che avranno certo influenzato anche la lingua. E non solo in origine, ma per tutto il medioevo; anche con possibili sporadici insediamenti successivi di immigrati dal nord, per prossimità culturale, ma non certo nella misura determinante che ci vorrebbero far credere.
D'altra parte non c'è nessuno che possa stabilire con certezza come effettivamente parlassero questi invasori e la lingua germanica continentale, poi, ha certamente molte meno varianti di quante ne abbia creato il latino nei secoli. I coloni bavaresi dell'XI° secolo erano già cristiani e sarebbero venuti ad abitare in un contesto che era cristiano da secoli. Figurarsi se i vescovi di Santa Romana Chiesa, dati per promotori di queste immigrazioni, avrebbero condotto nei loro possedimenti popolazioni pagane. Che fra l'altro sarebbero state serve di un monastero benedettino, mica di un tempio di Odino. Come si fa a discettare poi di toponimi locali derivanti dal pantheon nordico se si parte da questi presupposti?  Come si fa ad attribuire ad una colonizzazione raccogliticcia, misera, affamata e bisognosa, l'anelito di libertà e di originale autodeterminazione, peraltro inedito nell'Europa dell'epoca, che ha caratterizzato questi insediamenti ab ovo?


Immaginiamo per un attimo che in seguito al terremoto di Messina del 1908 il regio governo italiano avesse insediato stabilmente una comunità di sfollati sui Fiorentini, che era privo di insediamenti e magari con l'iniziale assenso dei vicini. Supponiamo che poi col tempo questa comunità si fosse fatalmente consolidata ed espansa venendo in urto con Tonezza, Arsiero, Folgaria o Lastebasse per questioni di confini e di risorse. 
Ve l'immaginate le argomentazioni che sarebbero volate e tramandate ai posteri per i secoli a venire? Incise nella roccia dei soji?
Suvvia, non scherziamo! Un conto è arrampicarsi su congetture costruite sopra frammenti di documenti antichi, altro è fare i conti con la mentalità che abbiamo e che sappiamo essere assai pervicace. 
Pensiamoci.
Gianni Spagnolo

9 commenti:

  1. buon giorno
    lei ha ragione quasi su tutto purtroppo nulla di ciò che afferma è dimostrabile attraverso l'uso di strumenti scientifici, ad esempio il confronto linguistico. Siamo certi che gran parte della parlata cosiddetta "cimbra" si può sovrapporre all'Antico Alto Tedesco, parlato, ma soprattutto scritto nei secoli XI e XII aldilà delle Alpi. Quei lazzaroni di Longobardi hanno fatto scrivere il loro maggior cantore e storico Paolo Diacono in latino... accidenti a loro. Vorrei anche farle notare una cosa buffa, lei parla di teutoni e di lingua teutonica esattamente come verso il 1500 qualcuno parlava di cimbri, tanto che a tutt'oggi uno scrittore importante come Sebastiano Vassalli in barba a tutti i soldi che noi cittadini abbiamo sprecato per ricerche genetiche e altre amenità, ancora ripete la favola dei Cimbri che entrarono in Italia nel I secolo AC. Poche sono le prove a sostegno di una continuità tra la prima popolazione di lingua germanica insediatasi, non di passaggio e rapina(come lei giustamente fa notare) aldiquà delle Alpi e le trentamila (30.000) persone parlanti l'antica lingua Thodesca che abitavano le terre comprese tra l'asta del fiume Brenta e quella del fiume Adige nel 1602 (anno della traduzione in "cimbro" del catechismo del cardinal Bellarmino). Poche, ad esempio lemmi che nell'AAT erano ormai dimenticati all'epoca delle migrazioni bavaresi e non più usati in nessuna lingua dell'areale tedesco attuale, esempio il verbo khön che significa semplicemente dire, usato centinaia di volte ogni giorno, in realtà è un'ape preistorica in una goccia d'ambra. Oppure parole latine che i bavaresi avrebbero dovuto imparare da non si sa chi, considerato che il latino negli anni della migrazioni era ormai solo la lingua dei dotti non certo di chi fuggiva alle carestie. Altra incongruenza, la grande e strana raccolta di racconti anch'essi improbabile bagaglio di venti famiglie di servi della gleba ridotti alla fame. Inoltre lo studioso tedesco Bruno Schweizer nelle sue mappe linguistiche recentemente pubblicate a cura di Stefan Rabanus nota la singolare coincidenza delle cosiddette chiese madri delle terre cimbre con le chiese degli insediamenti di sicura origine longobarda, non caso intitolate al santo guerriero per eccellenza Giorgio. Altre piccole luci si accendono qua e la, ma la versione di una germanizzazione da sud dei territori sino a Bolzano incontrano resistenze tali da far considerare eretico degno di rogo chiunque le sostenga per cui firmo solo con il mio nome. (tengo famiglia). Nel mio ultimo libretto che è un romanzo quindi posso scrivere ciò che voglio un accenno in proposito lo si può trovare.
    Buona giornata e scusate la lunga digressione.
    Andrea
    PS io che ho visto il documento (una cronaca del 1200) credo di poter dire che la data indicata della prima migrazione "in tempore famis" sia 1005 .

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  2. Riconosco che di scientifico non c’è niente, piuttosto è un processo indiziario; siamo nel campo delle personali opinioni, come ho precisato in premessa. Considerato però che non sono suddito dell’Impero Pangermanico, né temo l’anatema interessato dei Welschtiroler o ritorsioni parentali, posso anche sostenere che di scientifico nelle pubblicazioni e negli studi condotti in materia ho visto ben poco. Sopratutto non ho ancora letto (ma forse questo è un mio limite), qualcosa che esaminasse l’intero contesto e non solo parti di esso, utili magari ad avvalorare tesi preconcette o attirare interessate sovvenzioni. Fino alla metà del 1700, imperante i riferimenti della cultura classica, il cimbro era un paria, un barbaro troglodita, cosa di cui vergognarsi (un po’ come parlare dialetto stretto oggi in certi contesti à la page) e questo ha ampiamente contribuito a conculcarlo. Poi, dal secondo Reich per finire alla Merkel , hanno cercato di entrare nell’Heimat anche improbabili esiliati. Comunque discutiamo di quel “quasi” all’inizio del tuo commento. Qui sei in territorio amico, c’è la Torra che ti difende dai tentacoli della Provincia Autonoma, e puoi dire quello che vuoi come anonimo, tanto qui l’anonimato impera. Dai, forza!

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  3. Ah pulito ciò, l'argomento me intriga alkuanto. Sperén che i anomini spariseghi noi se tegne distante. Academici de tuto el mondo, vanti, dei, cavé la cìca e tachè a ribatare. Qua se no se fa siensa se farà semensa. Cossa crediu che le parlasse le anguane? La lingua de Dante?

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  4. Naturalmente il mio anonimato è il segreto di pulcinella avendo gia commentato su questo blog con nome e cognome (però attenzione in caso di torura: negare, negare sempre). Il quasi è legato solo al tentativo di sminuire del tutto l'importanza delle migrazioni bavaresi, che ci sono state, sono storicamente documentate anche in seguito non solo nella famosa cronaca di Benediktbeuern e non possono non aver influito sulla storia di questi territori. Per il resto sottoscrivo tutto così com'è.
    Andrea

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    1. Ah beh, se è solo per questo appianiamo subito la contesa. Non ho difficoltà alcuna a ritenere la circostanza di successivi stanziamenti di genti provenienti dal Tirolo/Alta Germania, forse più in area trentina che veneta. Basti solo la toponomastica a testimoniarlo. Dal Cismon al Leno il medioevo dovette essere parecchio trafficato al riguardo. Io ho enfatizzato un po’ la cosa per significare che queste siano state spesso facili scorciatoie per darsi ragione di un fenomeno che, a mio modesto parere, fu molto più antico, e complesso di quanto non lo si rappresenti. Sulla linguistica non ho titoli per confutare il lavoro di chi lo fa di mestiere, mi limito a considerare che il tedesco e i suoi dialetti alpini, per averli sufficientemente bazzicati in gioventù, non mi pare abbia avuto una genesi così articolata e complessa da escludere che radici comuni, in contesti così circoscritti, abbiano prodotto evoluzioni simili.

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  5. Bellissimo saggio di storia,degno di una tesi di laura,ma a mio umile avviso,( non ho studi per
    competere con i commentatori precedenti) fuori dalla realtà. Non siamo tutti buoni, tutti eguali.
    Ora é un po' cambiato,ma quando, meno di una ottantina di anni fa, mi sono recato a Luserna,
    per la prima volta, la gente mi guardava come un africano ed io vedevo loro come degli esquimesi.
    E non si puo' accusarmi di non conoscere questa "stirpe',perchè legato da parte di Mamma,
    suocera,cognati,e parenti vari Destra Torra serietà teutonica,sinistra Torra leggerezza tutta
    italiana,due mondi diversi!!!!


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    1. Lino, ti capisco, ma la stai mettendo su un piano più emotivo che oggettivo. Quand’ero piccolo io anche quelli di Valpegara mi sembravano alieni. Quando in terza elementare raggrupparono le frazioni, contavamo quante dita avevano sulle mani quelli delle Forme. Quando poi andai alle superiori a Schio mi sentivo un paria. Adesso che ho girato il mondo non mi sorprendo più di nulla, ma quando si vive in contesti ristretti ogni novità mette disagio.

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  6. Ipotesi suggestiva anche se eretica. In effetti sono sempre gli anelli mancanti a fregare. Sul fatto che l’alto vicentino sia stato longobardo credo non ci sono dubbi. E’ vero che erano loro ducati sia Vicenza che Trento. E’ documentato che si parlasse tedesco fin quasi a Vicenza ancora nel 1200 (Monte di Malo, Monteviale,..). Poi le pievi: San Giorgio di Velo, di Caltrano (matrice di tutto l’Altopianoi) , San Fortunato di Fara (Fara) ecc. Certo il primo millennio è assai avaro di testimonianze e non solo per i longobardi. Posso dire che in zona AV nel 1200 i nomi di persona erano per metà di origine germanici e per metà di origine latina.

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  7. Troppa cultura per il mio scarso sapere...complimenti Koskri

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