giovedì 31 maggio 2012

Mese di maggio dedicato alla Madonna


“La Mama béla”



Me ricordo ancora, co gèro putéla
che i me insegnava a pregar la “Mama béla”
che i fiùri nei prà, me diséva me Nona,
i se ciamàva “ocìti dela Madona”.

                      


Nele cese e nei capitéi, gò imparà a vardarla,
                   fermandome un àtimo par saludàrla,
                   con nà preghiera e un pensiero,
                  par mì, i me cari e par el mondo intiéro.






La veste ciàra, o color del cielo,
un  viso bélo, de drìo al so velo,
le man giunte, con el rosario,
tuto l’insieme, straordinario!

                    
 

E nei dipinti, fati con arte,
                   angeli e Santi da tute le parte,
                 in testa de stelle na gran corona
                sora na nuvola, el Bambinélo e la
Madòna!


Massi de  fiùri, piante e lumìni,
che i sia nele piasse o nei confini,
man che se insegna, co i passa davanti
la Bela Signora,  benedisse tuti quanti!
                  

E nele feste, a ela dedicà,
                 preghiere, canti e tuta adornà,
                paesi e contrà  la porta in processiòn
               e tuti ghe domanda la so intercessiòn!

 
La xé l’immagine del vero amore,
la xé Mama de tuti e de nostro Signore,
e  par chi che la sa pregare,
ancor le grassie la sa mandare… 
                   

 Dal cielo la ne varda e la ringrassiémo,
                     par ogni bisogno, col cuore la invochémo,
                     la gà tanti nomi,  ma la xè sempre quela…
                    mi la ciamo ancora,  la Mama bela!

Lucia Marangoni

mercoledì 30 maggio 2012

Non lamentarti




Non incolpare nessuno, 
non lamentarti mai di nessuno, 
di niente,
perché tu hai fatto quello che volevi nella vita.
Accetta la difficoltà di costruire te stesso
ed il valore di cominciare a correggerti.
Il trionfo del vero uomo 
proviene dalle ceneri dei suoi errori.
Non lamentarti mai 
della tua solitudine o della tua sorte,
affrontala con valore ed accettala.
In un modo o nell’altro 
è il risultato delle tue azioni
E la prova che tu sempre devi vincere.
Non amareggiarti del tuo fallimento 
né attribuirlo agli altri.
Accettati adesso 
o continuerai a giustificarti come un bimbo.
Ricordati 
che qualsiasi momento è buono per cominciare
e che nessuno è così terribile per cedere.
Non dimenticare 
che la causa del tuo presente è il tuo passato,
come la causa del tuo futuro sarà il tuo presente.
I tuoi problemi, senza alimentarli, moriranno.
Impara a nascere dal dolore 
e ad essere più grande,
che è il più grande degli ostacoli.
Guarda te stesso allo specchio 
e sarai libero e forte
e smetterai 
di essere una marionetta delle circostanze,
perché tu stesso sei il tuo destino.
Alzati 
e guarda il sole nelle mattine
 e respira la luce dell’alba.
Tu sei la parte della forza della tua vita.
Adesso svegliati, combatti, cammina, 
deciditi e trionferai nella vita.
Non pensare mai al destino, 
perché il destino è il pretesto dei falliti.

martedì 29 maggio 2012

El Fioréto











Il mese di Maggio, dedicato dalla Chiesa alla Madonna, era celebrato con pratiche di devozione e piccoli sacrifici chiamati "Fioretti" da compiere in suo omaggio; era infatti usuale l'invito a "farghe un fioréto ala Madòna"...
Fioréto era anche il rito che si teneva in chiesa ogni sera al quale tutti erano chiamati. La Chiesa era sempre piena, c'erano certamente più abitanti in Paese, ma la pratica religiosa era molto più sentita di adesso. Mi ricordo che fra noi ragazze il: tégneme el posto era una classica frase e sta a dimostrare la massiccia partecipazione. Si recitava il rosario seguito dalle Litanie alla Vergine Maria, la benedizione del Prete e il canto corale di un inno alla Madonna.
Le note di mira il tuo popolo o bella Signora si diffondevano all'aperto e non di rado succedeva di risentire questo o altri canti religiosi intonati in alternanza a canti popolari per le strade, nei campi, nei cortili.
(se invece sentiamo oggi cantare qualcuno per le strade...il primo pensiero è che non sia in bolla...come cambiano i tempi...).
Ogni sera dopo el Fioréto, le Suore ci consegnavano un foglietto che stava a testimoniare la nostra partecipazione. Li si conservava molto gelosamente perchè alla fine del mese c'era il premio partecipazione che solitamente consisteva in caramelle, ma a quel tempo erano apprezzate pure quelle.
Chi abitava lontano dalla Chiesa si recava a recitare il Rosario al Capitello della Contrà dedicato alla Madonna che per tutto il mese era adornato di fiori a turno fra le famiglie.
Bisogna anche dire che spesso non era un'autentica devozione alla Madonna che faceva andare al Fioréto le ragazze. Esso infatti costituiva anche un'occasione d'incontro fra coetanei, sul far della sera, in luogo pubblico dove potevano sbocciare e crescere nuovi amori.
Il mese di maggio si concludeva con la processione al Capitello della Torra con la statua della Madonna portata a spalle da uomini o ragazzi volonterosi, di solito 8 perchè spesso si davano il cambio in quanto la statua era pesante e il tragitto non proprio corto.
All'oggi questa tradizione persiste, ma con molto meno entusiasmo e partecipazione. Purtroppo.

Carla Spagnolo

sabato 26 maggio 2012

Cose moderne



     “Su fógo Maria ca brusémo anca la miseria!
Butémo su un copertòn vecio del camio ca fémo prima e manco fadìga!”.
Tita parlava reggendo in equilibrio un vecchio copertone del camion che da anni era buttato da parte nell’orto.
Si intravedevano le tele e qualche lumaca si era attaccata nella cavità interna, protetta dal sole e dall’umidità.
Il fuoco vigoroso in un angolo della cantina riempiva di calore e di fumo la piccola stanza interrata e lambiva il soffitto a volto di quarei.
La finestrella in alto, a livello del piano terra, era diventata il camino e anche la rampa di scale era invasa dall’acre cortina di fumo.
Le fiasche con il vino erano allineate sul pavimento e la stanga di salami e di sopresse pendeva attaccata a due ganci dal soffitto.
Tita, aiutato dalla moglie, fece rugolare in fretta il grosso pneumatico giù per le scale trattenendo il respiro e in fretta lo gettarono tra le fiamme che lo avvolsero rapidamente con un crepitio sordo.
Le ragnatele attaccate al soffitto e ai muri erano diventate dei merletti scuri che sventolavano alle ondate di calore e davano un’aria sinistra all’ambiente.
Gli occhi dei due cominciarono a lacrimare e la gola a bruciare, mentre il respiro si faceva difficoltoso.
Uscirono in fretta all’aperto mentre dalla finestra adesso usciva un fumo nero e denso che appestava l’aria.
Danzavano falive nere confuse con le fiamme e col rantolo del fuoco che veniva amplificato dalle volte della stanza.
Tita si sedette sul sedile di marmo sotto il portico e con il fazzoletto si asciugò il sudore.
Sputò per terra per togliersi quel gusto di gomma bruciata che gli era entrato in gola, sul pavimento chiazze di escrementi rinsecchiti di rondini che d’estate popolavano il cortile e nidificavano sotto le travi del tetto.
Era affaticato, ma soddisfatto, finalmente i salami potevano asciugare in fretta.
“Cossa vùto métare con la fadìga de prima” disse alla moglie che mostrava qualche perplessità su quella scorciatoia trovata dal marito.
“Ma,… se te lo disi ti…” esclamò la Maria ponendosi a sedere poco lontano.
Poi ci fu il silenzio rotto solo dal crepitio del fuoco e dallo squittire di un topo che, come un razzo, guadagnava la corte uscendo mezzo arrostito da quella specie d' inferno.
Il fuoco durò qualche tempo, poi piano piano calarono il fumo e il crepitio; ormai si era fatta sera e la luce nell’angolo della strada si accese.
Tita, assorto, con i pensieri tra le volute del fumo, ricordava gli anni passati quando verso dicembre si ammazzava il maiale.
Quanto lavoro e quanta fatica drìo el mas-ciaro! Si cominciava la mattina presto, con l’alba, a far bollire l’acqua e si finiva un paio di giorni dopo quando il mas-cio era stato trasformato in salami, sopresse, pansette, luàneghe, mortandéle, lardo, sanguéta e colà.
Non si buttava via niente, nemmeno le unghie e il pelo.
Era un rituale antico e preciso che teneva conto della luna e del tempo, meglio se i giorni andavano via secchi e freddi.
Bisognava anche stare attenti che il maiale fosse sano e che, se femmina, non fosse in calore.
Bastava poco per rovinare tutto il lavoro di un anno.
Poi seguiva la fase di stagionatura nelle cantine, dopo aver asciugato col fuoco di legna nelle grandi cucine, gli insaccati.
Di solito si sceglieva del legno buono e resinoso che nel bruciare conferiva al fumo l’aroma che poi in parte veniva assorbito dai salumi.
Costava fatica tutto questo, costanza e pazienza.
Negli anni ’60 i tempi stavano cambiando in fretta, la televisione aveva dato una svolta rapida alla vita e tutto quello che era vecchio o in odore di passato, era da buttare o da bruciare.
Si accettava il nuovo come la frontiera che avrebbe dato benessere e felicità.
I nostri paesi uscirono malconci e spogliati da questa rivoluzione e si ritrovarono svuotati e stravolti nell’anima e nel corpo.
A Chiuppano, via la vecchia chiesa, sacrificata a un municipio insipido, via le fontane per ricavare spazi per nuove costruzioni o barattate per qualche stupido posto macchina, via la buca del ghiaccio, via gli archi, via le mura via, via….
Via il dialetto, via i vecchi modi di dire, via le credenze di legno, via le vecchie ricette, via tutto… via la miseria.
Via la miseria, deve aver pensato bene Tita nel suo piccolo, mentre si adoperava a parare la manovella del tritacarne per ridurre la carne al giusto vaglio.
In via Longa questo voglia di nuovo e di tribolare men, era passata come un vento e aveva tirato dentro il vortice, persone e famiglie, con soluzioni a volte grottesche e con risultati spesso ridicoli.
I Burinei, vicini di casa, di pochi mezzi, non potendosi permettere una lavatrice elettrica come quelle della pubblicità, avevano portato a casa una grama alternativa: la lavatrice a manovella.
Che spettacolo! Una specie di ovo da far vorticare rapidamente carico di indumenti e di acqua con un po’ di detersivo.
Al sabato, quando di solito veniva adoperata, dall’esterno si avvertiva una specie di tremolio ai vetri delle finestre: le prime volte la Nena Trapuja pensava spaventata al teramoto.
Era la fase della centrifuga, con il padrone di casa che parava come un mato e i figli, uno per gamba che tenevano ferma la tóla; la moglie invece provvedeva a trattenere la macchina.
Questa famiglia nel suo piccolo non si era fatta mancare nulla: aveva anche un mezzo di trasporto, non una bicicletta né la moto, nemmeno l’automobile, ma un incrocio tra una motocicletta e un missile.
L’abitacolo era coperto da una rabalsa di vetro che veniva calata sul guidatore dopo che questi aveva guadagnato il posto di guida da un pertugio laterale.
Quando tutto fiero dava il via per partire, un nugolo di ragazzi della contrà si badanava a urtare drio quella specie di proietto che pareva sparato da una bombarda.
Avevano anche uno dei primi mangiacassette, ordigno mai visto prima, che sostituiva il vecchio giradischi.
Dunque Tita, pensando a queste novità, si convinse che i salami doveva trattarli in maniera diversa.
Niente legna, tempo e casin in cucina, l’alternativa rapida e meno faticosa erano le rue del camio che bruciavano così bene.
Allora al momento opportuno tirò fuori quell’asso dalla manica.
Ecco il perché di quel rogo in cantina che aveva arroventato l’aria seccato e affumicato i muri e i salumi.
Quando il fuoco fu spento, quel posto sembrava un bivacco in una caverna con i salami che pendevano anneriti dalla stanga.
Apparentemente non si poteva giudicare il risultato,…solo tra qualche mese si sarebbe potuto dire.
I vecchi che abitavano in quella via, si grattarono la testa quando seppero di quell’espediente.
“A són promòso da védare” disse Toni Volpe quando passò a vedere il risultato.
Checo Frate si grattò la testa e si portò la pipa sulla bocca forse per non dire niente. Era un uomo selvatico, ma buono, lontano dai venti di novità e di cambiamento.
Viveva tra i boschi, la terra e gli animali; forse quell’esperimento lo faceva inorridire.
Tita guardava quei budelli rinsecchiti con non poca apprensione, forse aveva esagerato e la moglie non aveva visto troppo sbagliato.
Dopo due mesi tagliarono il primo salame, in cucina.
Tutti intorno, tutti promòsi de sajàre.
Plastica s-céta: Mopren!... fu il responso della Nena, come quela in televisòn!
Il giorno dopo, in fretta, quasi furtivamente, Tita staccò i salami dalla stanga e li depositò malamentre nel carioòn da stala.
Poi li svodò sul luamàro.
Fine triste di un esperimento.
Gli tornò in mente quando a metà degli anni ’20 aprì il primo molino elettrico del paese mosso dalla corrente, più o meno in uno stabile dove si trova ora la nuova chiesa.
Durò poco, perché la gente si era messa in testa che la farina, che usciva da quei cilindri, sapeva da létrico.
Una suggestione collettiva, una roba da mati.
Ma i salami sapevano proprio da plastica.

Maurizio Boschiero

martedì 22 maggio 2012

Papà Wilma e Lucia

L'uomo a dx è il Papà della Wilma e della Cia polacca: sembra una donna, ma in realtà è il grembiule da "casolìn". E' assieme ad un "viaggiatore" come si chiamava una volta l'attuale rappresentante. Siamo in cima la pontara e si intravedono sia la tabella Valdastico che un pezzettino di fontana

lunedì 21 maggio 2012

la gaméla



Non sapevo che la nostra "gaméla" derivasse dal francese...quanto avrebbe anche lei da raccontare...




venerdì 18 maggio 2012

Patate consà


Per 4 persone:

na siòla
dù eti de lardo
oto patate


 

 Mitì a lessàre le patate e intanto che le se cusìna mitì el lardo in te na padéla chel se desfe finché no se forma i sòssoli...
Butéghe rento la siòla finchè no la devénta maronsìna...
Co zé cote le patate tignì da parte un biciére de la so àcua e schisséle col schissapatate.
Missié le patate col lardo e la siòla come fusse un puré. Se vien un fià massa suto, dontéghe el bicére del'àcua dele patate ca ghì tegnù prima da na parte.
Se sposa ben col radìcio invernale e formàjo stajonà de quel che pìssiga...
Bon apetìto...

(a cura di Nico Sartori... che cussì le faséa so Nòna Bepa)

giovedì 17 maggio 2012

La mostarda vicentina




LA  MOSTARDA VICENTINA

   I Romani la chiamavano “mustum ardens”, mosto ardente e la ottenevano pestando semi di senape con aceto e vino nuovo, ma nei secoli la mostarda verrà preparata con le basi più disparate, dal miele al grasso di cappone.
   Il Veneto, che è una delle Regioni dove se ne fa ancora largo uso, ha scelto per tradizione il tipo che si ricava dalla mela cotogna, frutto tanto avverso al palato da fresco, quanto profumato di rosa una volta cotto e denso di sapore se portato a marmellata. Il merito di tale specificità sarebbe da attribuire ai mercanti veneziani, che importarono il frutto dal Medio Oriente.
La prima citazione scritta della mostarda vicentina, in un ricettario di casa Breganze, risale alla seconda metà dell’ottocento. Famose, come riferisce il Candiago, erano a Vicenza quelle del farmacista Valeri e del pasticcere liquorista Mardini. Dal punto di vista commerciale, tuttavia, la mostarda vicentina è indissolubilmente legata al nome di un’azienda storica, la Boschetti, che aveva il suo stabilimento a Mintecchio Maggiore fino al recente trasferimento in quel di Ronco all’Adige.
La ricetta codificata risale al 1918: mele cotogne (pelate, macinate, raffinate e cotte), frutta candita (ciliegie, albicocche, fichi, pesche e mandorle, che rendono perlinata la mostarda), zucchero e olio essenziale di senape per dare il giusto contributo di piccante al prodotto. La polpa di mela cotogna viene fatta cuocere, sottovuoto in recipiente d’acciaio per alimenti a doppio fondo a 60° C per circa 45 minuti, con un 40% di zucchero. Successivamente si lascia raffreddare e si mescola minutamente;infatti le mele cotogne contengono pectine addensanti e gelificanti. Quindi si aggiunge la senape in giusta quantità (essa varia a seconda del fatto che si utilizzi la senape pura o quella supportata per esempio da alcool buongusto) e la frutta candita, di qualsiasi genere, in piccola quantità. Si confeziona in contenitori per alimenti di tuttele dimensioni non necessariamente sottovuoto; la mostarda è di per sé un conservante e non ha bisogno di protezione antimicrobiche. La consuetudine ancor oggi è quella di accompagnarla al bollito o al più cremoso dei formaggi, il mascarpone, ma non mancano accostamenti che suscitano la curiosità dei forestieri come il pandoro e la panna montata durante le feste. La città di Montecchio Maggiore conserva un rapporto indissolubile e particolarmente caro con la mostarda vicentina: tale rapporto è legato, non solo alle sue pregevoli caratteristiche gastronomiche, ma al ricordo degli anni molto difficili e tristi a cavallo della seconda guerra mondiale, quando una storica e grande azienda alimentare “LA Boschetti”, dava lavoro, seppur stagionale, ad una gran parte della popolazione femminile del luogo aiutando a risolvere i non pochi problemi di sopravvivenza quotidiana. Oggi della grande fabbrica resta la monumentale ciminiera, recentemente restaurata, che svetta all’ombra dei castelli di Giulietta e Romeo, testimone anche dei tempi in cui la sua sirena, con il lugubre e potente suono, scandiva le ore non solo per i dipendenti, ma per tutta la popolazione. In un recentissimo passato, nel dicembre del 2008, l’amm.ne com.le ha dato vita alla fiera della mostarda vicentina apprezzabile idea volta alla riscoperta delle nostre tradizioni gastronomiche.

mercoledì 16 maggio 2012

Inaugurazione chiesa - demolizione della stessa e la posa dei due cippi nella piazza


1927 - Inaugurazione della Chiesa - La folla attende di entrare

I due cippi che segnarono il confine tra l'Italia e l'Austria, 
prima del 1915 al ponte di Casotto sulla Val Torra, 
vengono collocati con una solenne cerimonia 
nella piazza di San Pietro

lunedì 14 maggio 2012

La fugassa de pan vecio


El pan séco nol se buta...



La Fugàssa de pan vécio



Dose par un litro de late intiéro:

2 ciòpe de pan vécio
150 sùcaro
2 uvi
2 pumi
1 pero
meda busta de uéta
na scorséta de limòn
na bustina de vanilina
mì no ghe dònto nè lievito, né òio, né farina

dopo chel pan se gà mojà fora, missio sù tuto e in te na técia antiaderente la cusìno na ora a 180°. Dopo smorso el forno e la lasso là.
Ghe narìa el late de burcio, ma...andò nemo a tòrlo?
Ghe narìa i fighi sichi, ma no i me piase.

E valtri come la feu?

domenica 13 maggio 2012

13 maggio - festa della Mamma


A tutte le Mamme...



Cosa c’è di più grande , immenso e caldo
del cuore di una mamma?
Niente è paragonabile, nulla gli può assomigliare,
in nessun posto si può trovare…

Una mamma è un universo d’amore,
è una distesa verde che ristora,
un mare calmo che tranquillizza,
una brezza leggera che accarezza,
un raggio di sole che riscalda,
una pioggerellina che disseta,
un luogo sicuro dove sempre si trova riparo…

Una mamma  insegna, guida, comprende, aiuta, consola, condivide.
Un cuore di mamma sa contenere tanto amore,
da non poterlo misurare,
da non saperlo quantificare,
e a volte, da non saperlo comprendere fino in fondo…

Solo quando una figlia diventa madre,
 solo allora, le si apre davanti
 un altro modo di vedere, di capire...
Ed è allora che, se ti senti finalmente compresa,
solo allora puoi veramente sentirti in sintonia
e la parola “mamma” acquista la giusta importanza…

In questo giorno penso a quanti cuori di mamma sono feriti, trafitti,
straziati, distrutti, annientati,colmi di dolore…
Specialmente a quelle mamme che hanno perso
il loro figlio o la loro figlia…hanno perso un pezzo del loro cuore..
e ogni istante di vita sembra essere una continua agonia…

A loro, 
con tutto il mio cuore, 
in questo giorno speciale,
 va un pensiero particolare 
e una preghiera…
                                                                                   Lucia Marangoni





   “A TE, MAMMA”



 


A te, o Mamma che la vita mi hai dato,
i miei primi passi, con pazienza hai guidato,
che mi hai insegnato a parlare
e molte altre cose che so fare!

                   A te…, che con il tuo sudore
                    mi hai dato tanto amore,
                   e quando ero insicura
                   accanto a te non avevo paura.

A te…che sempre mi vuoi bene,
che allievi le mie pene
e so che nel tuo grande cuore
non finirà mai l’amore…

                   A te…che non sei mai stanca,
                   la voglia non ti manca,
                   e tanto coraggio  sai dare
                  per poter gli ostacoli superare…

A te…che senza parlare
il sole fai  brillare,
sai rendere importante,
ogni giorno , ogni istante…

                   A te, Mamma…
                   una  parola…
                   semplice, piccola…
                   una sola……GRAZIE

Lucia Marangoni






venerdì 11 maggio 2012

Vicentini a Melbourne



Picnic annuale 
del Circolo Vicentini 
di Melbourne
       


   





  Il picnic annuale del Circolo Vicentini di Melbourne quest’anno è stato dedicato ai bambini. All’incontro vi hanno partecipato circa 380 soci ed amici e  40 bambini, un numero consistente che non si registrava da anni.



 
    Vi erano molte attrazioni, ha affermato il segretario del Circolo, Duilio Stocchero,
originario di Recoaro,  come: la rottura delle pignatte, il palo della cuccagna, la ruota della fortuna. 
     





      E’ stata una scampagnata in allegria nel parco del Veneto Club, in una zona
conosciuta con il nome di “Baracca”, sulle rive del fiume Yarra. 
Tutti insieme, papà e mamme, nonni e nipotini, si sono divertiti un mondo.


 
 

   

     I cibi nostrani: polenta e baccalà, cotecchino, coniglio, sono andati a ruba. 
E dopo aver mangiato... e ben bevuto... il Coro Furlan ha eseguito canzoni
del repertorio popolare, con un entusiastico gruppo di improvvisati cantanti 
che ha rinverdito i nostalgici canti di montagna e delle nostre vallate.

 
      Le tradizioni vicentine sono in questo modo mantenute vive da un Ente molto attivo.
 

Per la seconda metà del 2012 sono in programma gite e pranzi sociali. 

 
      

     L’appuntamento più importante  sarà per la prima domenica di settembre 
quando verrà festeggiata la Madonna di Monte Berico:
appuntamento religioso e conviviale  immancabile  per i vicentini di Melbourne.




Germano Spagnolo

Potenza del nome

[Gianni Spagnolo © 25A20] A ben pensarci, siamo circondati da molte cose che non conosciamo. Per meglio dire, le vediamo, magari anche frequ...