lunedì 30 novembre 2020

Riccardo Stefani invita stasera verso le 22 ad ammirare una luna particolare.


 

Splendida lettera di un Insegnante trovata in rete e che condivido dalla prima all'ultima parola!

 



IO VI ACCUSO

Barbara D’Urso, Maria De Filippi, Alfonso Signorini, Alessia Marcuzzi e tutta la schiera della vostra bolgia infernale… io vi accuso.

Vi accuso di essere tra i principali responsabili del decadimento culturale del nostro Paese, del suo imbarbarimento sociale, della sua corruzione e corrosione morale, della destabilizzazione mentale delle nuove generazioni, dell’impoverimento etico dei nostri giovani, della distorsione educativa dei nostri ragazzi.

Voi, con la vostra televisione trash, i vostri programmi spazzatura, i vostri pseudo spettacoli artefatti, falsi, ingannevoli, meschini, avete contribuito in prima persona e senza scrupoli al Decadentismo del terzo millennio che stavolta, purtroppo, non porta con sé alcun valore ma solo il nulla cosmico.

Siete complici e consapevoli promotori di quel perverso processo mediatico che ha inculcato la convinzione di una realizzazione di sé stessi basata esclusivamente sull’apparenza, sull’ostentazione della fama, del successo e della bellezza, sulla costante ricerca dell’applauso, sull’approvazione del pubblico, sulla costruzione di ciò che gli altri vogliono e non di ciò che siamo.

Questo è il vostro mondo, questo è ciò che da anni vomitate dai vostri studi televisivi.

Avete sdoganato la maleducazione, l’ignoranza, la povertà morale e culturale come modelli di relazioni e riconoscimento sociale, perché i vostri programmi abbondano con il vostro consenso di cafoni, ignoranti e maleducati. Avete regalato fama e trasformato in modelli da imitare personaggi che non hanno valori, non hanno cultura, non hanno alcuno spessore morale.

Rappresentate l’umiliazione dei laureati, la mortificazione di chi studia, di chi investe tempo e risorse nella cultura, di chi frustrato abbandona infine l’Italia perché la ribalta e l’attenzione sono per i teatranti dei vostri programmi.

Parlo da insegnante, che vede i propri alunni emulare esasperatamente gli atteggiamenti di boria, di falsità, di apparenza, di provocazione, di ostentazione, di maleducazione che diffondono i personaggi della vostra televisione; che vede replicare nelle proprie aule le stesse tristi e squallide dinamiche da reality, nella convinzione che sia questo e solo questo il modo di relazionarsi con i propri coetanei e di guadagnarsi la loro accettazione e la loro stima; che vede lo smarrimento, la paura, l’isolamento negli occhi di quei ragazzi che invece non si adeguano, non cedono alla seduzione di questo orribile mondo, ma per questo vengono ripagati con l’emarginazione e la derisione.

Ho visto nei miei anni di insegnamento prima con perplessità, poi con preoccupazione, ora con terrore  centinaia di alunni comportarsi come replicanti degli imbarazzanti personaggi che popolano le vostre trasmissioni, per cercare di essere come loro. E provo orrore per il compiacimento che trasudano le vostre conduzioni al cospetto di certi personaggi.

Io vi accuso, dunque, perché di tutto ciò siete responsabili in prima persona.

Spero nella vostra fine professionale e nella vostra estinzione mediatica, perché solo queste potranno essere le giuste pene per gli irreparabili danni causati al Paese.

Marco Galice

Io, incredula, per i sindaci che non hanno voluto firmare per difendere la nostra sanità violata

 



Riceviamo e pubblichiamo la lettera integrale ricevuta da Ada Agostini, che l’ha inviata a tutti i sindaci dell’Altovicentino per sfogare la sua delusione per quanto sta accadendo all’interno della conferenza dei sindaci, dove una buona fetta di primi cittadini viene accusa di ‘non esporsi’ dinanzi ai problemi evidenti della sanità dell’Altovicentino. Un contributo che la dice tutta su cosa ne pensa la gente che vota e che vorrebbe essere rappresentata da chi poi, una volta acquistato il ruolo e la poltrona, si lascia condizionare dalla politica.

Altovicentinonline

Ecco il testo

Ho iniziato a scrivervi (a voi o ai vostri predecessori) ancora in tempi per la maggioranza delle persone “non sospetti” in contemporanea all’apertura dell’ospedale di Santorso. L’ho rifatto il 20 novembre 2016 (se cercate nei vostri archivi di certo trovate quanto scrivevo); ieri ho letto quanto scritto dal Sindaco di Santorso, presidente di quella che un tempo si chiamava “conferenza dei Sindaci” sottoscritto da dieci altri sindaci (Thiene – Zugliano – Sarcedo – Salcedo – Breganze – Carrè – San Vito di Leguzzano – Marano Vicentino – Valli del Pasubio – Lugo di Vicenza – che ringrazio di tutto cuore),  ma la profondissima tristezza che mi ha colta è inesprimibile. Ho letto anche le “motivazioni” della non sottoscrizione addotte dal sindaco di Schio e da quello di Malo, ma accidenti non reggono, non possono reggere! Non sono una sprovveduta, una rompiscatole magari sì ma non passatemi da sprovveduta, vi prego. Conosco la storia di questa nostra violata sanità come pochi altri, per motivazioni che non ho intenzione di ripercorrere. Quello che so, che sostengo, che nessuno può smentire mai è che la preoccupazione per la salute dei cittadini deve collocarsi al al di sopra di ogni , e ripeto ogni, schieramento politico, anzi, con la politica non dovrebbe avere nulla a che fare. Stiamo pagando (e siamo 185.000 cittadini/e) sulla nostra pelle quanto sta accadendo per scelte fatte da chi già da vent’anni regge i fili della sanità in questa regione, e la sanità è fondamentalmente e squisitamente di carattere regionale ricordiamocelo! Stiamo raschiando il fondo dei nostri risparmi, ed anche indebitandoci, per cure necessarie  e non certo per chirurgie estetiche o bazzecole, ma per qualcosa che spesso non può attendere e ci costringe o a pregare Dio (ma Dio non può sostituirsi a chi ci governa eh!) o a ricorrere agli aborriti centri privati che mai come ora prosperano. Chissà perchè là i medici non mancano mai?

Santorso è stato quasi nuovamente del tutto smembrato ma non è che il Covid 19 annulli tutte le altre patologie, anzi! Come volete metterla voi che non avete sottoscritto la lettera, voi che siete stati eletti per fare il bene dei vostri cittadini? Dove si va? A Bassano che è “fuori della porta” tanto adesso la Pedemontana è stata aperta per un terzo? Solo che noi, e da Arsiero, Valdastico, Tonezza, Pedemonte, Torrebelvicino ecc. , da dove mai la imbocchiamo? E per arrivare quanto ci mettiamo? Anche quest’opera direi  dissennata ci ha tagliati fuori, non lo volete capire? Fiumi di soldi nostri spesi per cosa? E’ un’ingiustizia di una portata intollerabile quella che sta accadendo a noi dell’Alto Vicentino, ma per carità, non esponetevi eh! E’ che le persone non sanno, o non vogliono sapere, o fanno finta di non sapere, ma spetta a voi renderle edotte e spiegare loro cosa e come fare per un percorso di cura di questi tempi perchè ovunque ci si giri ci sono muri di gomma, telefonate senza risposta, e poi il computer ha sostituito ogni voce, impossibile fissare appuntamenti senza questo mezzo, tanto gli anziani ne son tutti provvisti ed esperti!

Che Dio ci aiuti, veramente, stia vicino a chi non sa dove sbattere la testa o gli metta accanto qualcuno che la sbatta per lui…Non aggiungo altro, sono davvero incredula e, ripeto, infinitamente triste. Ma ringrazio nuovamente gli undici sindaci firmatari ed a loro una preghiera: non mollate, non mollate mai!

Ada Agostini – Schio


domenica 29 novembre 2020

La pagina della domenica


In quel tempo Gesù disse alle folle: Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare. Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all'improvviso, non vi trovi addormentati. Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!».

Oggi, ultimo giorno del tempo ordinario, Gesù ci avverte con molta chiarezza sul destino del nostro passaggio in questa vita. Se ci impegniamo, ostinatamente, a vivere assorti nell'immediatezza degli affanni della vita, arriverà l’ultimo giorno della nostra esistenza terrena così repentinamente, che la stessa cecità della nostra avidità ci impedirà di riconoscere lo stesso Dio, che verrà (perché noi qui siamo di passaggio, lo sapevi?) per portarci alla intimità del suo Amore infinito. Sarà come ciò che succede a un bambino maleducato: così concentrato nei “suoi” giocattoli, che alla fine si dimentica dell’affetto dei suoi genitori e della compagnia dei suoi amici. Quando si rende conto, piange sconsolato per la sua inaspettata solitudine.

L’antidoto che ci offre Gesù è ugualmente chiaro: «Vegliate in ogni momento pregando» (Lc 21,36). Vegliare e pregare... Lo stesso avviso che diede ai suoi Apostoli la notte in cui fu tradito. La preghiera ha un componente ammirabile di profezia, tante volte dimenticato nella predicazione vale a dire, di passare dal mero “vedere” al “guardare” la quotidianità nella sua più profonda realtà. Come ha scritto Evagrio Pontico, “la vista è il migliore di tutti i sensi; la preghiera è la più divina di tutte le virtù”. I classici della spiritualità la chiamano “visione soprannaturale”, guardare con gli occhi di Dio. Vale a dire , conoscere la Verità: di Dio, del mondo, di me stesso. I profeti furono , non solo coloro che “preannunciavano cosa sarebbe successo”, ma anche coloro che sapevano interpretare il presente nei suoi giusti termini, dimensione e densità. Risultato: sono stati in grado di ricondurre la storia, con l’aiuto di Dio.

Tante volte ci lamentiamo della situazione nel mondo. –Dove andremo a finire?, diciamo. Oggi, che è l’ultimo giorno del tempo ordinario, è anche giorno di decisioni finali. Chissà sia arrivato il momento che anche qualcun altro sia disposto ad abbandonare la sua ebrezza di presente e si dia da fare per un futuro migliore. Vuoi essere tu? Allora, coraggio!, e che Dio ti benedica.




I video di Gino Sartori: la via francigena - 4° tappa






Io arrivo fin qua, oltre non mi riesce, però è uno spettacolo da favola, specie con le giornate che ci ha regalato novembre















 

Burro sì o burro no?



Chissà quale sarà la verità. A periodi demonizzato, in altri osannato... 

Sposiamo il " di tutto un po' ", così non sbagliamo. 😊

Sembra irreale, ma...

 


sabato 28 novembre 2020

MONTANELLO [6] Scalzeri - Luserna – Masetti – Brancafora

【Gianni Spagnolo © 201116】
Montanello rimane in Val d’Astico proponendo un giro classico, almeno nella parte di salita. Si tratta infatti di percorrere il Sentiero dell’Origine che parte dagli Scàlzeri* (446 mslm) conducendo in Luserna (1333 mslm), mentre il ritorno scende sulla Val del Rio Torto passando per i Masetti. Ascendiamo quindi la maggior via di collegamento che in passato conduceva a Luserna dalla Valle dell’Astico, lungo il tragitto più comodo ed agevole.
Luserna infatti dipese a lungo dalla pieve di Brancafora, dove in antico seppelliva i suoi morti, finché non ottenne di staccarsi in curazia autonoma nel 1711. Va da sé dunque che questo fosse un collegamento assai trafficato in tutte le epoche e relegato alla marginalità solo in tempi moderni. Non solo come via di transito, ma soprattutto per lo sfruttamento delle risorse della montagna per entrambe le comunità di valle e di monte, che vissero un rapporto simbiotico pur animato da periodici contrasti. Il tracciato sale il costone compreso fra il Rio Torto ed il Riosolo posto sulla sinistra orografica della valle dell’Astico e lo fa con parecchi tornanti che si susseguono con pendenza regolare su traccia evidente e ben segnalata. 
Si raggiunge dunque la Frazione Scalzeri di Pedemonte, attraversando il ponte di Posta sulla curva a gomito della statale; si svolta quindi a sinistra in direzione dei Longhi e si parcheggia l’auto sull’ampio posteggio situato subito a sinistra in riva all’Astico, proprio di fronte alle suggestive cascate del Gorgo Santo. Il sentiero CAI con segnavia 601 parte a margine del piccola area di sosta accanto alla Cooperativa, appena alla destra del ponte, dov’è infissa la tabella di partenza che indica Luserna ed il tempo di percorrenza in 2:30 ore. Il sentiero può essere intercettato anche salendo direttamente la traccia che monta le cascate del Gorgo Santo dirimpetto al parcheggio, potendo così ammirare quelle fresche, impetuose e perenni acque.
Il sentiero sale con continui tornanti per un lungo tratto entro un bosco ceduo di latifoglie tipiche di questi versanti, dove predomina l'ostrieto e il nocciolo, costellato da qualche pino silvestre. In stagione lo colorano anche stupendi ciuffi di ciclamini. A quota 840 slm si raggiunge una balconata rocciosa e la vista s'apre sull’orizzonte verso la parte terminale della valle dell'Astico: l’antenna del Belvedere, l’Oltresommo di Folgaria, e sullo sfondo, il poderoso promontorio proteso a Nord del Cornetto-Becco di Filadonna. Ora ci troviamo sul versante si S-O del Monte di Luserna ed entriamo in un bosco più arioso dominato dalla faggeta. Si notano le tracce dell’intenso sfruttamento della montagne nei secoli passati nelle ricorrenti “are”, cioè radure del bosco costituite da fondi prativi circondate da maestosi faggi, oppure nei minuscoli slarghi circolari delle carbonare o di qualche evanescente sedimento di bàito.  La Pro Loco di Pedemonte ha ben curato la toponomastica, apponendo tabelle identificative delle varie località che s'incontrano lungo il percorso e che dal veneto della partenza virano al cimbro man mano che ci approssimiamo al sovrastante altopiano. Questa differenziazione linguistica è tuttavia relativamente recente, dato che fino alla prima metà del Milleottocento, anche nelle località di valle si parlava l'antica lingua. 
Superata quota 1000 mslm, c’inoltriamo verso la parte terminale della salita, dove il fondo del sentiero si fa roccioso e sconnesso e i tornanti continuano ad incalzare. Inizia a vedersi la costa di monte antropizzata dagli abitanti di Luserna, con i caratteristici terrazzamenti sostenuti da murature a secco che noi chiamiamo vanéde. Sono vecchi orti abbandonati e ormai invasi dai rovi e da ogni sorta di vegetazione pioniera di queste quote. Vediamo che ogni possibile spazio è stato strappato alla montagna con un secolare e meticoloso lavoro.  Sconcerta un po’ riflettere che quel che fu ragione di vita e diligente impegno di tante generazioni è per noi oggi solo luogo di passeggero svago; consola un po' l’ancor viva consapevolezza di ciò che è stato. Immersi in questi pensieri raggiungiamo il ciglio dell'altopiano a quota 1250 slm, dove appare l'esile profilo  del campanile della chiesa di Sant’Antonio di Padova, parrocchiale di Luserna. Ci affacciamo dunque in contra’ Tezze, l’avamposto del paese verso la valle, dopo due ore e mezza dalla partenza ed aver superato un dislivello di circa 830 m. Proseguiamo ora sulla strada asfaltata fino al centro di Luserna, dove si può visitare il locale museo o comunque fare una sosta ricreativa e fotografica su questa balconata, dove lo sguardo può spaziare all’intorno senza limiti. 
Ritorniamo ora alle Tezze e imbocchiamo, sulla destra dopo il caratteristico pozzo coperto, la strada tagliafuoco  che conduce ai Masetti (1156 mslm), che è già frazione di Lavarone. Anche questa località, con il su accogliente fontanone sulla piazzetta e le abitazioni affiancate con le scale esterne ed i porticati alla foggia antica, merita una visita. Non guasta neanche una riflessione sull’equilibrata interazione della presenza umana con l'ambiente naturale, quando i bisogni si limitano all'essenziale.  C’inoltriamo ora per un viottolo verso le case più in basso della piccola contra’, dove i prati digradano verso il ciglio dell’altopiano, per intercettare il sentiero CAI 600, che si stacca a sinistra lungo il margine d'un prato, poco dopo una casetta di nuova costruzione. In estate trovare l’abbrivio potrebbe essere reso difficile dall’erba alta, ma in ogni caso è proprio dal ciglio che divalla il sentiero e non sarà difficile intercettarlo comunque. Questo non è un percorso molto frequentato e lo s’intuisce dalla labile traccia, a tratti evanescente, che scende molto ripidamente zigzagando sul costone orografico sinistro del Rio Torto, costringendo a coprire i 400 m di dislivello a velocità imposta. Attraversiamo così il bosco magro e diradato di questo pendio scosceso, dominato da carpini e roverelle dalla vegetazione sofferta e contorta, raggiungendo a quota 700 mslm l’alveo del Rio Torto e congiungendoci con il sentiero CAI 599 che sale dalla valle dell’Astico verso Monterovere. Prendiamo a sinistra sul questo tracciato in direzione di Brancafora, stretti fra le pareti imponenti di questa valle, anch'essa importante via di comunicazione del passato, dato che collegava la valle dell'Astico alla Valsugana attraverso quel valico. Il percorso si tramuta via via in strada sterrata, e poi addirittura cementata, per contrastare gli effetti delle ricorrenti alluvioni che tendono a devastare i tracciati delle basse valli. In prossimità del Sas dela Crose, un evidente masso a lato del sentiero, merita fare un sosta rinfrescante, stagione permettendo, nel suggestivo e fresco bojo del torrente. Si prosegue in discesa fino a sbucare sulla valle dell’Astico, presso la piazzola di sosta attrezzata e al capitello accanto al bivio che sale a Brancafora. Attraversiamo quindi la provinciale per raggiungere la nuova ciclabile che corre lungo l’Astico e che ci porta, in circa un chilometro di percorso pianeggiante, proprio al punto di partenza.

Anche questo è un anello di che si percorre in circa 5 ore con un dislivello altimetrico netto di neanche 900 metri e che si può fare agevolmente in giornata permettendosi anche svariate soste. Consente di esplorare e concatenare vie di comunicazione che un tempo erano trafficate strade di lavoro e di fatica per la nostra gente, riscoprendo quelle aree di media montagna che stanno diventando sempre più selvagge e solitarie e perciò più suggestive di molti altri luoghi di maggior richiamo e blasone.

*Preferisco indicare così, secondo la nostra parlata, i masi e le località della Valle: gli Scalzeri, non Scalzeri; i Masetti, non Masetti; in Luserna, non a Luserna.

Giorgio "Africa" desidera ricordare Ermanno così


 

SNOOPY


 

giovedì 26 novembre 2020

Altro che B&B

San Pietro Valdastico - Albergo alla Vittoria - Anni '50 
Foto gentilmente concessa da Gianna Lucca 

Ai tempi in cui Berta filava certamente meno, il nostro paesello aveva una sua decorosa ricettività alberghiera e il viandante di passaggio, il commesso viaggiatore o il sensaro di turno poteva alloggiare all'Albergo alla Vittoria, situato proprio in centro, comodo a tutti i servizi. Volendo apprezzare qualche genuino sapore nostrano, bastava voltar l'angolo e raggiungere la Bastiana, dove concedersi un sapido piatto di trippe per cui andava famoso il Tones.

Ecco come appariva negli anni '50 l'Albergo sulla piazza, con la Dina a far gli onori di casa podà ala batùa dell'ingresso principale. Meno chiara è l'identità e l'attività del giovanotto che appare inquadrato furtivamente nella porta della cucina, che allora era ancora trafficata. In seguito al restauro del fabbricato e al cambio di gestione, quell'accesso venne dotato di scalini con massicce spallette di cemento, ma rimase inesorabilmente chiuso per il resto del secolo. 

Chiuso, ma non impresidiato, dato che quegli scalini funsero per decenni da panchina e punto d'osservazione privilegiato dei Gemelòti.



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martedì 24 novembre 2020

Case de na volta


(Poesia di Liviana Cunego)

Le case de na volta
le xera tute un fià storte:
na porta e do finestre, pontesèi rari
e na pèrgola de ùa davanti, sora la porta
e là in fondo ala corte
un cesso in comunion.

Case de poarìti,
siore de puteléti.
Do càmare e cusina
cuando che la nava ben.

La carta ciapamosche
ligà ala trave de la cusina,
la machina del flit
sempre pronta sula vetrina,
la sporta par el pan
tacà de drìo ala porta.
Freschi i seci de rame
inpienà ala fontana
tacà via sora al seciàro.

Sù in càmara, l'acua santa
messa vissìn al leto,
la banbola ciapà ala sagra
sentà in medo sul coprilèto
e sconto dale covèrte
o rento al buféto
aspeta el bocaléto.

Ti te rivavi ala finestra,
profumo de menestròn,
la lissia ben distesa.
Na dona che intassèla
le braghe de so marìo
a na tola larga e longa,
tante careghe intorno
e un bel camin che fuma
incontro a stelle e luna.

Le case de na volta
le gavéa un sasso sula porta
se se podéa sentàre
e gòderse a guardare
la vita dela corte
scandìa dal canpanile.

Le done, le putèle
lavarme le brentèle,
le None sule porte
col grenbiàle nero
pelàrse le galine,
scolàrse l'insalata
fracà rento na strassa,
a sponciàr calsìti
par grandi e picolìti.

Coréa i putelìti
sora na vecia bici, in tri,
o drìo a un balòn de strasse
sentendose xà canpioni.
Più in là, le putelète
dale dresse in testa
le inparava a far le Mame
cole banbole de pessa
e cunète de cartonsin.

E sù dala càneva,
insieme a cualche rato,
scapà l'odore del vin.

D'inverno xera un fredo...
se ingiassava parfìn la tera,
a gara le gorne se vestéva
de lustri candeloti.
No ghe xera un can par strada,
la gente incrutìa
la se inmuciava in cusina
par superare l'inverno
tacà al fogolare
dove na soca dura
par ore la brusàva,
e sghinse s,ciopetanti
che saltava sù par el camin
a iluminare la note
convinte de èssar stelle
ma le piovéa xo tute
in mille falive nere.

De là dale tendine
fiocava la neve
e tuti i putelìti
coi oci spalancà
e i nasi tacà ai veri,
i vedéa so Nono
in meso ale falìve
fato sù nel tabàro
co la fassina in spale
e la lanterna in man.
El fumo dela so pipa
el vento lontan portava,
le peche de drìo a lù
subito le se inbiancava
e cuando el xè entrà in cusina
insieme a vento e neve,
supiando, el fogo el minaciava
de smorsàrse nel camin.
“Sarè su la porta in pressa
prima che se ingiassèmo”.

Na vosse comandà,
coréa i putelìti
a mètare el caenasso e dopo,
pronti in fila al rito dela sera:
lavarse via la rufa
specie de drìo le rece,
da man, colo e pìe
co l'acoa dela fornèla
un toco de saòn
nel caìn del seciaro,
tuti nela stessa acua
sensa cavarse xò
e sensa far danàre
e, dite le orassiòn,
infine tuti in leto
col giasso ale finestre,
però soto le covèrte
nel leto de scartossi
e el caldo dela mònega
e fra i nissùi candidi
al gusto de lissia e odore de brusìn
i sòni i xera fondi
e i sogni vagabondi.

Fora la neve intanto
la scomissiava a calare
finché nel fredo cielo
tornava a brilar le stelle.
“Stanote farà un bel giasso, eh!”,
la mama la pensava
serando i balcuni dele finestre,
e tolte su le fanèle
distese sora la fornèla,
ale stanghe del tubo,
la caricava la sveglia
e dopo finalmente
la andava a dormire anca ela
con la retìna in testa
vissin a so marìo.

Le bronse le se smorsàva
pian pian nel fogolare,
la gradèla tacà in parte
la se podéa arsorare,
infine anca la casa
la se podéa sognare.

Adesso, adesso semo siuri,
gavèmo du cessi in casa
e l'acua la vien xò
da tuti i rubinìti.
Le case de adesso
le xè tute case siore,
bele, drite, lussuose
con al massimo un putelèto o du.
Adesso no se pol miga de più.

Adesso se laòra
par mantegnère la casa
e anca le Mame
contente o malcontente
le sara su tuto
e le core a laorare.
Ma... ma la casa de na volta
la xera senpre vèrta.
Se te ciamavi to Mama,
là, la ghe xera senpre,
la ghe xera senpre!
Tre casette insieme
le faséa xà marcà,
no come cuele de adesso
che le xè senpre sarà!
 
(inviata da Augusto Giacomelli che ringraziamo)

(foto di Flores Munari)

I video di Gino Sartori - la via Francigena - 3° tappa


Un racconto in foto, video e musica del nostro cammino. 

La terza tappa da Gambassi Terme a San Gimignano

28 Settembre 2020

La prima motofalciatrice di Valdastico

Da sx: Gelindo Pesavento (Fióssaro), Toni Rìghele, Mario Pesavento (che ci ha inviato la foto) e Franco Lorenzi (figlio di Secondo). 
 

Non sono più tra noi - n° 21 - 11/20 - Pretto Angela

 



L'angolo della poesia





Ci vorrebbe la neve
sulle mura di confine
e sugli alberi soli,
smarrire la strada
per farne una nuova,
non sentire il dolore.
Ci vorrebbe la neve
sulle alture del cuore
dove non entra nessuno,
col fiato fare calore
e spianare il sentiero.
Ci vorrebbe la neve
per un po' di poesia...


Francesca Stassi
 
(chissà se per domani che è Santa Caterina... se no la ghe xè ala sera la ghe xè ala matina)...😕

La foto curiosa: e mi sunti in zona rossa o arancione?



E lù picinìn... par no saère nè lègere, nè scrìvare... 

el se gà messo in medo...


Potpourri




Manzoni non l’aveva vista, la peste, ma aveva studiato documenti su documenti. E allora descrive la follia, la psicosi, le teorie assurde sulla sua origine, sui rimedi. Descrive la scena di uno straniero (un “turista”) a Milano che tocca un muro del duomo e viene linciato dalla folla perché accusato di spargere il morbo. Ma c’è una cosa che Manzoni descrive bene, soprattutto, e che riprende da Boccaccio: il momento di prova, di discrimine, tra umanità e inumanità. Boccaccio sì che l’aveva vista, la peste. Aveva visto amici, persone amate, parenti, anche suo padre morire. E Boccaccio ci spiega che l’effetto più terribile della peste era la distruzione del vivere civile. Perché il vicino iniziava a odiare il vicino, il fratello iniziava a odiare il fratello, e persino i figli abbandonavano i genitori. La peste metteva gli uomini l’uno contro l’altro. Lui rispondeva col Decameron, il più grande inno alla vita e alla buona civiltà. Manzoni rispondeva con la fede e la cultura, che non evitano i guai ma, diceva, insegnavano come affrontarli. In generale, entrambi rispondevano in modo simile: invitando a essere uomini, a restare umani, quando il mondo impazzisce.

Errico Buonanno


domenica 22 novembre 2020

La pagina della domenica


In quel tempo Gesù disse alle folle: Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: «Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi». Allora i giusti gli risponderanno: «Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?». E il re risponderà loro: «In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me». Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: «Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato». Anch'essi allora risponderanno: «Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?». Allora egli risponderà loro: «In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l'avete fatto a me». E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».
 
*§* 
 
Oggi, Gesù ci parla del giudizio finale. Con questa illustrazione metaforica delle pecore e delle capre, ci fa vedere che si tratterà di un giudizio d’amore. «saremo esaminati sull’amore», dice San Giovanni Della Croce.

Come dice un altro mistico, San Ignazio di Loyola nella sua meditazione “contemplazione per raggiungere l’amore”, bisogna mettere l’amore più nelle opere che nelle parole. Il Vangelo di oggi è abbastanza illustrativo. Ogni opera di carità che facciamo, la facciamo allo stesso Cristo, «(...) perché avevo fame e mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, ero nudo e mi avete vestito, ero malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi» (Mt 25, 34-36). «In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40).

Questo passaggio evangelico, che ci fa toccare con i piedi per terra, mette la festa del giudizio di Cristo Re al suo posto. La realtà di Cristo è una cosa ben distinta dalla prepotenza, è semplicemente la realtà fondamentale dell’esistenza: l’amore avrà l’ultima parola.

Gesù ci mostra che il senso della realtà —o potestà— è il servizio agli altri. Egli affermò di se stesso che era Maestro e Signore, (cf. Gv 13,13), e anche di essere Re (cf. Gv 18,37). Però esercitò come maestro lavando i piedi ai discepoli (cf Gv 13, 4 ss) e regnò dando la sua vita. Gesù Cristo, regna prima da una umile culla e poi, da un trono molto scomodo, ossia, la croce.

Pilato compose anche l’iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto: «Gesù il Nazareno, il re dei Giudei» (Gv 19,19): ciò che l’apparenza negava era confermato per la realtà profonda del mistero di Dio, giá che Gesù regna sulla sua croce e ci giudica nel suo amore. «saremo esaminati sull’amore».
 

“Vieni a vivere a Luserna” diceva così il motto del nostro progetto che abbiamo chiamato: Coliving – collaborare condividere abitare.


Vieni a vivere a Luserna, semplicemente, senza promesse, senza illusioni, vieni a vivere qui attorno ai 1400 metri, abbiamo quattro mura e un tetto da darti senza pagare l’affitto e null’altro, il resto lo devi trovare da te, fuori e dentro di te. (¹)

Vieni a vivere a Luserna e poi abbiamo incrociato le dita, ci sono quattro alloggi, se arrivano cinque domande, ce l’abbiamo fatta. Le domande alla fine sono state trentotto, gli ammessi al progetto ventitré.
E poi di corsa, da lasciare basiti quelli che pensano che l’ente pubblico ci metterà degli anni per arrivare al dunque, così di corsa che la prima famiglia è già qui davanti a me, sono in quattro e i loro anni, sommati, non arrivano a fare i miei, neppure sessant’anni in quattro.

Denise e Nicola, lei lo chiama il mio compagno e mi scruta per capire se la mancanza di certificati possa in qualche modo creare ostacoli all’ultimo momento, la tranquillizzo per noi il nucleo familiare è quello che prenderà la residenza qui, non chiediamo altro, il bando era chiaro. Denise con la sua bambina di due mesi e l’altra di un anno attaccata alla giacca e Nicola che fa l’operaio. Sarebbe facile dire che Nicola ha le mani da operaio, che ha il volto, gli occhi da operaio, ma non è così, gli operai nell’anno del Signore 2020 si confondono. Però, Nicola, se non ha la faccia e le mani da operaio, ha pensieri da operaio, quelli non si potranno mai confondere: «Fino a due anni fa ti avrei detto che ero in una botte di ferro, la nostra fabbrica esportava in tutto il mondo, poi l’hanno comprata gli americani e quelli vogliono solo fare schei e già si parla di ridusion del personal», lo dice così con la cadenza dell’alto vicentino.

Non sa Nicola, nato al crepuscolo del secondo millennio, di aver usato le parole di una vecchia canzone operaia, una di quelle nate davanti agli stabilimenti occupati, una vecchia canzone cantata da Gualtiero Bertelli: “Da trenta giorni semo de bando, par ridusion del personal”.
Non sa Nicola di quegli anni settanta del ’900 di pane duro, difficili da sopportare, ma pieni di vigore e vite come altri forse mai, non sa, ma i pensieri di un operaio sono ancora gli stessi di allora e io so bene cosa pensa un operaio e accolgo di buon grado su di me la diffidenza antica di chi lavora con le mani nei confronti di chi siede dietro una scrivania. Potrei dire loro che sono stato operaio per venticinque anni, che sono e rimarrò per sempre un operaio, ma mi tradisce la camicia bianca e loro non capirebbero il mio disagio nel portarla.

È puntiglioso Nicola, è quasi un interrogatorio il suo e poi guarda Denise e lei annuisce, capisco che ne hanno discusso a lungo prima di segnarsele sulla carta quelle domande, infatti, a volte sorprendo Denise a ripetere con le labbra le parole di Nicola.

Sono puntigliosi sì, Denise e Nicola, sono puntigliosi perché le montagne da sempre sono rifugio per sognatori e anarchici e acchiappa nuvole di ogni foggia, ma da sempre sono la terra madre delle persone di puntiglio, di quelle persone che sanno andare in fondo alle cose, che non si accontentano di un’alzata di spalle, perché sanno che la montagna non dà troppo spazio ai ripensamenti che occorre fare le cose per bene sin dall’inizio. Denise e Nicola sono fatti così, puntigliosi, e penso che siano fatti bene per la mia montagna.

Penso che dove hanno fallito i grandi progetti di monumentali alberghi di lusso, dove ha fallito il turismo di massa, dove ha fallito la chimera dell’industria portata di peso quassù, dove tutto ha fallito lasciando la mia montagna sempre più sola e disperata, penso che adesso potrebbero riuscire a cambiare la sorte quattro famiglie portate a occupare alloggi pubblici che nessuno voleva. Quattro nuove famiglie, che tra un po’ saranno già sei, nove bambini di età scolare, che in un paese di duecento anime sono una rivoluzione gioiosa.

Li guardo andar via, Denise con la bimba attaccata al seno, torneranno presto con i mobili, sono davvero felice? Non so dirlo, sento una grande responsabilità, e se poi non dovesse andare bene? Mi fermo sino a quando il sole non se ne è andato giù oltre la cresta delle montagne, ascolto le mie voci dal passato, guardo il mio paese che piano cede alle ombre; il mio paese che ho tradito, che mi ha tradito così spesso che tante volte ho creduto di non amarlo più. Il mio paese un amante così difficile forse avrà nuovi e più duraturi amori.

_____
(¹)
Il progetto di “Coliving” nasce con l’obiettivo d’invertire la tendenza allo spopolamento della Magnifica Comunità degli Altipiani Cimbri. Nel Comune di Luserna, quattro alloggi di proprietà di Itea spa (Istituito Trentino Edilizia Abitativa) sono stati concessi a titolo gratuito per un periodo di 4 anni ad altrettante famiglie. In cambio gli assegnatari devono contribuire con attività di volontariato a favore della comunità di Luserna.
Gli obiettivi generali del “Coliving” sono: favorire il ripopolamento del territorio, sostenere l’autonomia dei giovani, utilizzare la forma del “Coliving per la valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico, rinsaldare o dare vita a nuove reti sociali che condividono l’idea di un welfare generativo mettendo al centro politiche giovanili, abitative, sociali e lavorative, che insieme concorrono alla costruzione di patti fiduciari tra nuove generazioni e abitanti dei territori.


Andrea Nicolussi Golo

Andrea Nicolussi Golo

Responsabile dello sportello Linguistico della Magnifica Comunità degli Altipiani Cimbri, collabora con l’Istituto Cimbro di Luserna/Lusérnar Kulturinstitut. Ha pubblicato il libro di racconti Guardiano di Stelle e di vacche (2010), e i due romanzi Diritto di Memoria (2014) e Di roccia di neve di piombo (2016), quest’ultimo finalista e segnalato ai Premi ITAS, Rigoni Stern e Leggimontagna. Nel 2011 è stato insignito del premio “Ostana scritture in lingua madre”. Ha vinto numerosi concorsi di poesia sia in lingua cimbra che in italiano e nel 2013, su autorizzazione Einaudi, ha dato alle stampe la traduzione in lingua cimbra del capolavoro di Mario Rigoni Stern Storia di Tönle. Nel 2016 ha pubblicato la traduzione in cimbro de Il piccolo principe e nel 2018 la versione integrale di Pinocchio. Per l’Istituto Cimbro di Luserna ha pubblicato varie favole per bambini.


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