giovedì 30 aprile 2020

E anche il Monte Cengio ha la sua storia (triste) e la sua bellezza - foto di repertorio di Flores Munari















Impensabile... incredibile…


Vivere una giornata tanto importante
in un modo così vuoto.
Oggi il ricordo diventa silenzio, solo silenzio…
Per tante persone, tornare ai propri paesi per il 30 aprile,
è sempre stata una priorità, invece quest’anno…
Ricordare, commemorare, pregare,
lasciando solo spazio alla voce del silenzio,
che porta con sé tante voci…
Oggi, l’omaggio più grande,
a chi ha subito quel terribile eccidio,
ai superstiti la comprensione e la preghiera.
Senza discorsi o saluti,
senza esternare nulla in pubblico…
Nel silenzio del proprio cuore,
ognuno può ricordare, pregare e sperare,
lasciando spazio ai pensieri più veri e profondi.

Lucia Marangoni

Pedescala, 30 aprile 2020

Piero Pettinà m'invia questa foto di repertorio della Piazza deserta di Forni... oggi più che mai attuale...


Fiori della Singéla fotografati da Riccardo


Lettera al Corriere della Sera

Caro direttore,
per ora si contano circa 200.000 vittime di coronavirus. Poniamo che a fine estate possano essere, diciamo, 350.000. Poniamo che non fosse stato preso alcun provvedimento di isolamento, o lockdown come preferisce dire chi non conosce l’italiano, e che di conseguenza le vittime si fossero decuplicate, raggiungendo i tre milioni e mezzo. Si tratterebbe comunque dello 0,05% della popolazione umana, stimata intorno ai 7 miliardi (le attuali 200.000 vittime rappresentano lo 0,0028 dell’umanità). Ora mi chiedo e le chiedo se di fronte al «flagello» del coronavirus abbia avuto senso distruggere dal 20 al 30% dell’economia mondiale e precipitarci in una crisi che non sappiamo quando e con che conseguenze umane si risolverà. Di coronavirus si può morire, di fame si muore con certezza.
Antonino Ulissi


Caro signor Ulissi,
Devo dirle che ho sentito spesso questo ragionamento nelle ultime settimane. Accompagnato dai raffronti con il numero di morti provocati da altre malattie o dagli incidenti stradali. Certamente quando si hanno davanti cifre e percentuali tutto ci sembra razionale. Perché non sacrificare qualcuno per evitare conseguenze più pericolose per tanti? La prospettiva diventa però completamente diversa se quei numeri diventano persone: nonni, papà, mamme, vicini di casa, medici e infermieri impegnati a curare gli altri. Esseri umani che in foto tremende, come quelle scattate nel Bronx, vediamo venir sepolti dentro fosse comuni o rinchiusi in bare portate via in una drammatica sfilata di camion dell’esercito.
Credo che sia stato giusto fermarci e isolarci per impedire al virus di diffondersi ancora più pesantemente. Possiamo rimproverarci, come sistema di governo nazionale e locale, di essere stati impreparati, di non aver capito come fosse importante individuare subito i focolai e arginare il contagio (ad esempio rendendo impenetrabili le residenze per gli anziani). Oppure di aver ridotto sia la presenza dei medici sul territorio sia il numero dei posti nelle terapie intensive. Lo scenario che lei descrive avrebbe, tra l’altro, fatto esplodere gli ospedali. Avremmo avuto persone abbandonate nelle loro case e lasciate morire senza tentare di curarle. Le difficoltà economiche che stiamo subendo, e che subiremo ancora di più nei prossimi mesi, sono molto gravi. Non le sottovaluto. Ascolto ogni giorno le preoccupazioni di tanti imprenditori grandi e piccoli, di tanti lavoratori e di molti giovani che un’occupazione non la troveranno.
Ma se riusciamo a fare le cose bene (meglio di come abbiamo fatto finora come governi nazionali e regionali) sono certo che riusciremo tutti in tempi brevi a tornare alle nostre attività. I nostri nonni e genitori hanno saputo risollevarsi da un dopoguerra durissimo. Sono fiducioso che gli italiani di oggi sapranno affrontare questa prova con lo stesso spirito. I problemi economici si possono fronteggiare. Speriamo con la guida di leader che guardino agli interessi del Paese e non al gradimento generato da promesse facili.

La dea Ansia



«Ansia» è stato il nome scelto da una bambina di quinta primaria, quando una collega ha chiesto alla classe di inventare una divinità, dopo aver spiegato loro che gli antichi divinizzavano ciò che ha potere sulla vita: Destino, Invidia, Bellezza... La decenne ha così giustificato la scelta: «Mia madre mi dice sempre che, se non mi impegno, non troverò lavoro». Gli dei contemporanei non sono meno crudeli ed esigenti di quelli antichi. I sempre più diffusi disturbi alimentari e di apprendimento sono in parte ribellioni alla vita come «concorso» basato sulla «prestazione», anziché «percorso» centrato sulla «presenza». Abbiamo rinunciato alla lettura vocazionale della vita, che è pur evidente in ogni elemento del creato, mai statico ma sempre proteso verso un compimento che lo ispira e lo guida come scopo. Dire che qualcuno è in «formazione» è come dire che è in «vocazione»: riceve istante per istante una chiamata che comporta una risposta. Ma al rispetto per la vita delle e nelle cose, che richiede tempo e cura, preferiamo più sicuri standard esteriori che danno l’impressione del compimento, ma mortificano l’originalità. Ci dicono chi essere invece di chiederci chi siamo e di aiutarci a diventarlo, come fa un giardiniere dando a ogni seme ciò che gli serve. Dice l’adagio: «Un seme nascosto nel cuore di una mela è un frutteto invisibile», perché la vita (frutto) e la sua fecondità (frutteto) è nella vita stessa (seme).

Educare è mettere l’invisibile in condizioni di rendersi visibile, ma richiede attenzione, pazienza e rischi. In questo periodo siamo «costretti» a guardare bambini e ragazzi da vicino, il che comporta più fatica del solito, ma è un’occasione da non perdere.

Mia madre, in preda alla quarantena, sta mettendo in ordine cassetti dimenticati da Dio e uomini, e ha trovato le pagelle delle elementari dei figli. Uno dei miei fratelli, in terza, era così descritto: «Mostra interesse particolare per la storia. È molto sollecito nella ricerca di documentazione che serve come spunto di conversazione». Quel bambino di 8 anni, a 18 decise di studiare Storia, e ora la insegna all’università. Di un altro fratello si diceva: «Attenzione costante e selettiva, intuizione immediata, osservazione acuta, riflessione critica. Approfondisce le ricerche personali e di gruppo». C’era già il filosofo che è diventato. Nella mia pagella di quarta si leggeva: «I temi sono esaurienti, ben strutturati, corretti e scorrevoli. Legge con espressione, spiegando i vocaboli difficili», e sapete che fine ho fatto. Nel secondo quadrimestre una nuova maestra, a cui mi ribellavo per i metodi coercitivi, aveva scritto con distacco: «Promette abbastanza per il futuro», perché non stavo mai fermo, parlavo sempre e con un compagno avevamo lasciato una finta multa per divieto di sosta sul suo parabrezza, scritta con grafia infantile su una pagina strappata dal quaderno... (ribellarmi era parte della mia vocazione). Ci ha colpito sia la «profezia» di quei giudizi sia lo sguardo attento di maestre capaci di vedere già il frutteto nel seme: erano concentrate sui bambini, scrivevano i giudizi a mano, uno diverso dall’altro, senza barrare caselle precompilate o descrittori standard di competenze. La scuola è sempre nello sguardo dei maestri, rivolto al concreto e irripetibile darsi della vita, e non solo nelle soluzioni tecnico-organizzative. Il fine della vita è la bellezza: un seme di rosa o un bruco di farfalla lo dimostrano. Ciò che è vivo non ha copie, e una pedagogia priva della stella polare della bellezza da compiere, a partire da quella che gradualmente e fragilmente si manifesta, fa violenza all’originalità e spegne la vita, consegnandola alla crudele dea Ansia.

Una buona relazione educativa raggiunge tre fini: cultura, autonomia, vocazione. Siamo forti sul primo, infatti l’attenzione ai programmi sovrasta quella prestata alle vite; fatichiamo sul secondo (i ragazzi diventano capaci di fare da soli o li «addestriamo»?); sul terzo ci si affida al buon cuore dei singoli docenti (e alla paternalistica domanda finale della maturità: che farai?). Dalla scuola infatti escono spesso ragazzi che sanno o sanno fare, ma faticano a prendere iniziative e decisioni autonome, seguendo le aspettative familiari o ciò che fan tutti. Non resiste alle pressioni chi non ha vocazione, le energie sono ingabbiate o disattivate e, prima o poi, entra nella crisi di chi non vive la propria vita. Così, da quando le scuole sono chiuse, ho deciso di pubblicare sui social brevi video sulla vocazione e sono stato travolto da domande a cui dovrebbe rispondere chi segue quei ragazzi. La quarantena è un’occasione per guardare bambini e ragazzi, e cogliere nelle loro fissazioni, passioni, parole, paure, slanci, fragilità... l’origine che li rende originali. Potremmo magari provare a redigere giudizi diversi e unici — come è ogni figlio, ogni ragazzo — per affidarlo alla dea Vocazione.
(segnalato da Piero Pettinà)

SNOOPY e angolino relax

mercoledì 29 aprile 2020

"Oscar" Il film vicentino che sbarca a Hollywood




30 aprile 2020



Si avvicina il 30 aprile, giorno di ricordo, di tristezza, di preghiera per Pedescala, Forni, Settecà e i suoi abitanti.

Quest’anno la giornata sarà ancora più triste e mesta, vista l’impossibilità di poter ricordare pubblicamente, ma come ha detto il sindaco Claudio Sartori in un comunicato, la liturgia a suffragio delle vittime e la deposizione della corona nei luoghi di memoria, sarà fatta in modo semplice e con la partecipazione indispensabile. Quel giorno non passerà di certo senza che ci sia un ricordo, un fiore, una preghiera, un lume per chi ha subito quell’atroce eccidio. È la giornata dedicata al ricordo da portare avanti, perché nulla sia dimenticato, ma che rimanga la memoria da tenere viva, per noi tutti e specialmente per le generazioni che verranno.

Vorrei provare a lanciare un’idea perché ci sia un segno visibile del nostro ricordo e della nostra preghiera. Un lume in ogni finestra accompagnato dal pensiero e da una supplica per un fatto tremendo che ha colpito i nostri paesi. Questo è un gesto che si può fare anche a distanza, sentendoci in questo modo, parte di una comunità che non dimentica il 30 aprile 1945.

Chi lo desidera può deporre anche davanti ai monumenti, un cero acceso così che all’imbrunire ci siano tante fiammelle che ardono, come tante preghiere che salgono al cielo. (Il Sindaco ha dato il consenso per questo segno).

Sentiremo così che questa giornata triste e dolorosa, si è riscaldata con tanti pensieri e invocazioni.

Magari, proviamo a raccontarci, a riferire ai nostri figli o nipoti, quello che a nostra volta ci è stato raccontato: il pericolo grande che corriamo è che questi fatti storici, siano dimenticati. Ricordare per imparare, sempre…



Lucia Marangoni Damari


Apprezziamo la sensibilità d'oltre oceano dimostrata da San Pedro Encantado... (segnalato da Mario Pesavento)

Girano in rete da ieri, le ho trovate simpatiche e le condivido.... ;-) So che da ridere c'è ben poco, ma l'ironia, a cui si prestano certe situazioni, aiuta a smussare gli spigoli...

Cari amici, vi informo che è stata appena rilasciata un’APP rivoluzionaria per la Fase 2
Non parlo ovviamente di IMMUNI, ma di un’app ben più potente e sicura: NEURONI.
Sviluppata da Madre Natura, Neuroni è un’app gratuita che non sfrutta la tecnologia Bluetooth, bensì la ben più collaudata tecnologia Sinapsi. Si tratta di una tecnologia per nulla invasiva della privacy e che rende l’app comunque utile anche quando il 60% della popolazione non ne fa uso.

Le due app (una non esclude l’altra) funzionano in modi differenti. Facciamo un esempio:
La app Immuni vi dice se il tizio che era con voi in ascensore vi ha infettato.
La app Neuroni: per fare due piani potete prendere le scale, ultimamente non è che avete fatto tutta questa attività fisica.
La app Immuni vi dice se la signora con cui avete litigato al supermercato per l’ultima confezione di lievito vi ha infettato.
La app Neuroni vi suggerisce invece, di non litigare per una confezione di lievito e di non infilarvi nella corsia del supermercato dove sono presenti ben dodici provetti panificatori manco fosse il festival del pane di Altamura.
Il grande vantaggio di Neuroni è che è già installata in ogni scatola cranica e non richiede quindi uno smartphone.
Neuroni è di facile utilizzo anche se per tenerla operativa è necessario aggiornarla costantemente. Esistono vari modi per tenere la app Neuroni aggiornata: studi scientifici dimostrano che leggere è il metodo più efficace.

Dal momento che non tutti sono consapevoli della potenzialità di questa app, permettetemi di tirar fuori l’Aranzulla che c’è in me per darvi qualche suggerimento sul settaggio.
Un primo test che potete fare per vedere lo stato di salute della vostra app è questo:
Avete tifato per il poliziotto che inseguiva il runner solitario sulla spiaggia con l’appoggio di elicotteri, droni e satelliti e non vi hanno per nulla infastidito le numerose task force create per risolvere lo stesso problema?
Ecco, in questo caso avete dei problemi di settaggio. Può essere anche che le parole della D’Urso abbiano in qualche modo hackerato il vostro sistema operativo.

Purtroppo non è possibile resettare il tutto, ma qualche rimedio proprio in vista della Fase 2 è possibile. Ora vi spiego come fare (Aranzulla scansati proprio). 
Accedete al menù principale. Cercate le funzioni “hater”, “delatore” “caccia-alle-streghe” e togliete la spunta. Mettete invece la spunta a “spirito critico”, “buon senso”, “prudenza”, “empatia” e “solidarietà” e salvate le nuove impostazioni premendo ok.
Ecco, così facendo avrete a disposizione la più potente arma per affrontare la Fase 2.

P.S. Se nel frattempo ascoltando il consiglio di Trump vi siete iniettati o avete ingerito della candeggina, sappiate che la vostra app non è stata danneggiata. Semplicemente, per un errore di fabbrica, non vi è mai stata installata. Capita!
(dal web)


Allora, vediamo se ho capito:

1) il virus non attacca le prime 15 persone che partecipano ad un funerale. Il 16mo é fregato;

2) il virus non attacca i prossimi congiunti: per la definizione di “congiunto”, il virus applicherà le definizioni contenute nel codice civile. Quindi non fate i cretini: se dite di andare dai nonni e invece andate a casa di amici, ovvero a casa della moglie di vostro cugino di secondo grado, il virus se ne accorge e vi contagia;

3) da nonna, sì; dalla fidanzata, il virus ti contagia;

4) le 15 task force e i 450 super esperti che salveranno il Paese dalla catastrofe socio-economico-sanitaria non sanno neanche leggere un calendario... o avrebbero evitato di riaprire i parrucchieri lunedì 1 giugno, giorno di loro chiusura (non fosse altro per evitare di essere preso in giro da oggi sino alla suddetta data); si riaprirà il 2 giugno, che non sarà più festa, atteso che la Repubblica parlamentare é stata soppressa (ve n’eravate accorti, sì?);

5) le udienze civili e penali e, in genere, l’intera attività giurisdizionale riprenderanno il 12 maggio, ma i cancellieri, i funzionari e il personale amministrativo tutto dei Tribunali (compresi i magistrati fuori sede?) continueranno con presidi, turnazioni e Smart working sino al 30 giugno. Quindi, tribunali vuoti, assenza di personale, ma avvocati al lavoro... a far che?!

6) Giuseppy & Rocco sono stati capaci di fare arrabbiare pure il Papa... fantastici!

7) “L'Inps ha evaso in un mese quello che normalmente evade in 5 anni”...  (Churchill de noaltri, testuale): Traduzione dal Propagandese all’Italiano: all’Inps solitamente non fanno un bel niente, atteso che normalmente impiegano 5 anni per evadere ciò che potrebbero fare in un mese... l’importanza di avere un grande addetto stampa che sa scegliere le parole;

8) in sintesi, non é cambiato nulla, tranne l’aver autorizzato e disciplinato i funerali...  ci vogliono far capire qualcosa? 🤔🤔🤔

9) "l’Europa ci invidia"... ha detto proprio così. Questa deve avergliela dettata Grillo, che non ha saputo rinunciare a rendere onore al suo passato comico.

(dal web)

e ancora...

Incollo e condivido sorridendo... per non cedere allo sconforto...
Quindi, ricapitolando:
Dal 4 aprono i grossisti che devono rifornire i negozi che resteranno chiusi 🤔
Si può uscire a correre, se vai veloce devi tenerti a due metri di distanza da chi ti precede, se vai piano è sufficiente un metro 🤔
Puoi allontanarti da casa solo per necessità e per correre (vedi sopra)
Puoi girare nella tua regione con autocertificazi
one e quindi, a regola, puoi fare la spesa dove ti pare e non nel supermercato più vicino. Se sei in giro, giri!
Puoi andare dai nonnini e bisnonnini che stanno sclerando, ma non li puoi abbracciare e devi star distante un metro da loro. Con guanti e mascherina.
Puoi andare a lavorare se hai sempre un lavoro e quindi sei fortunato.
I parchi saranno aperti, ma si farà la fila per entrarci come al supermercato oppure in ordine alfabetico come alle poste.
I bambini (non nominati) potranno uscire perché, se i parchi sono aperti, è sottointeso che i ragazzini possano stare fuori, sempre a distanza e con le protezioni.
La scuola? Boh! È argomento troppo complesso per essere nel contesto del decreto. Fate come vi pare, ma tenetevi i figli a casa.
Le mamme che lavorano e sono fortunate perché lo fanno ancora, non possono lasciare i bimbi ai nonni perché abitano altrove e non si possono avvicinare, (ricordatevi che i focolai peggiori sono nei nuclei familiari), possono però pagare una babysitter che, a regola, non potrebbe stare in casa perché non fa parte del suddetto nucleo.
Sempre sottointeso e mai menzionato, le lezioni saranno online, compiti da scaricare dal portale, eseguire e ricaricare sul medesimo. Se hai un figlio ce la puoi fare, con due puoi usare un ansiolitico, con tre o più è consentito il suicidio. Non di massa, mi raccomando, da soli per non fare assembramento e non più di 15 persone al funerale che deve essere all'aperto, tanto non piove.
Gli sportivi non in squadra possono riprendere gli allenamenti a porte chiuse. Quelli in squadra lo potranno fare dal 18 maggio se non ci sarà un nuovo impestamento.
I negozi strariforniti dai grossisti settimane prima, potranno riaprire dopo il 18, forse...
Riapriranno anche i musei e le biblioteche che, comunque, erano già aperte.
Tutti gli altri poveracci, se non saranno scoppiati, compresi parrucchieri ed estetisti... riapriranno forse a giugno, e dopo aver investito i soldi che non hanno in sanificazioni locali e acquisto accessori di autoprotezione.
Non si pagherà l'IVA per questa volta!
Se le casse integrazioni non arrivano è colpa dei commercialisti che non hanno inviato la documentazione alle regioni che non l'hanno recapitata al governo che non l'ha girata all'Inps che al mercato mio padre comprò.
Il turismo sarà aiutato perché fa crescere il Pil, come non si sa.
Le mascherine compratevele!
Tutto il resto è noia.
Si ringraziano i 350mila esperti, virologi, economisti, dottori, tuttologi e tutti i santi del Paradiso per aver partecipato all'emissione del nuovo decreto!
Ricordatevi che tutto il mondo ci invidia e vuole i nostri decreti.
Amen

(dal web)

Storiella di Stalin e la gallina

In una delle sue solite riunioni, Stalin chiese che gli venisse portata una gallina.
La prese e la strinse forte con una mano mentre con l’altra iniziò a spennarla.
La gallina urlava dal dolore e tentava di scappare in ogni modo senza riuscirci, la presa era troppo forte per lei.
Stalin riuscì a toglierle tutte le piume senza grandi problemi e una volta terminato disse ai suoi aiutanti: "Adesso guardate cosa accadrà”.
Mise la gallina per terra e si allontanò da lei, andò a prendere del grano mentre i suoi collaboratori la osservavano meravigliati mentre, dolorante e sanguinante, correva da lui che tirava delle manciate di grano per terra facendo il giro della stanza.
Ad ogni passo di lui ne corrispondevano
altrettanti della gallina che non si allontanava.
A questo punto Stalin si rivolse ai suoi aiutanti, sorpresi di ciò che stavano osservando e disse loro: 
"Così facilmente si governano gli stupidi".
Avete visto come la gallina mi inseguiva nonostante tutto il dolore che gli ho procurato. La maggior parte dei popoli sono così, continuano a seguire i loro governanti e i politici nonostante tutto il dolore che provocano loro, con il solo scopo di ricevere un regalo da niente o semplicemente un po’ di cibo per qualche giorno”...

martedì 28 aprile 2020

Riflessioni di un Driver



Ciao Pinuccia



... mi passano davanti come in un film,
immagini che ci hanno viste insieme
nei tre anni delle medie.
Sempre solare e sorridente,
con la tua semplicità, sapevi farti voler bene.
Poi la vita ci ha divise, ognuna per la sua strada,
ma ci siamo ritrovate dopo tanti anni
e con la stessa semplicità di allora, ci siamo raccontate…
Le feste dei coscritti del 1959 in compagnia,
fino a quando la malattia ti ha colpito
allontanandoti da tutto.
Sono passata a trovarti all’ospedale lo scorso anno,
ti ho fatta anche ridere, ma nei tuoi occhi
ho letto tanta paura.
Ho pregato che andasse tutto bene, invece...
Ci hai lasciato in un periodo difficile e complicato,
dove ci viene tolta la possibilità di un ultimo saluto,
di una preghiera insieme, di un abbraccio ai tuoi Cari
che devono andare avanti con un grande vuoto,
con un’enorme mancanza.
Cara Pinuccia, resterai per sempre nel mio cuore,
con i tuoi occhi dolci, il tuo sorriso, la tua semplicità.
Da dove ora tu sei, se puoi, proteggi chi ti ha amato e chi ti porta nel cuore.
Ciao Lucia


28 aprile 2020

L’epidemia è un evento formativo. Quando scomparirà, si presenteranno nuove possibilità - di David Grossman

Questo è uno degli articoli più intensi che abbia letto sulle conseguenze umane e sociali della pandemia che stiamo vivendo. Se avete un quarto d'ora vi consiglio di leggerlo e meditarlo.
Alberto Leoni




Proponiamo di seguito la riflessione di David Grossman, pubblicata su Haaretz.

Quando finirà la pandemia di coronavirus, alcuni non vorranno più tornare alla propria vita precedente, scrive David Grossman.
È più grande di noi, questa epidemia. È più forte di qualsiasi nemico in carne e ossa che abbiamo mai incontrato, più potente di qualsiasi super eroe che abbiamo immaginato o visto in un film. Di tanto in tanto si fa strada nel nostro cuore un pensiero straziante, che forse stavolta, nella lotta a questa epidemia, perderemo, perderemo davvero. Una sconfitta mondiale. Come ai tempi dell’ “influenza spagnola”. È un pensiero che scartiamo subito, perché come è possibile perdere? Dopotutto, siamo l’umanità del 21° secolo! Siamo avanzati, informatizzati, dotati di innumerevoli armi e mezzi di distruzione, protetti dagli antibiotici, immunizzati... Eppure, c’è qualcosa, qualcosa che riguarda questa epidemia, che ci suggerisce come stavolta le regole del gioco siano diverse da quelle cui ci siamo abituati - a tal punto, in effetti, che si può dire che per ora non ci sia alcuna regola. Con terrore contiamo ogni ora i malati e le vittime in ogni angolo del mondo. Mentre il nemico che si è scagliato contro di noi non mostra segni di stanchezza o di rallentamento, mentre imperversa fra di noi senza sosta e utilizza i nostri corpi per moltiplicarsi.
“Un flagello non è fatto su misura dell’essere umano; perciò ci diciamo che il flagello è una semplice creazione della mente, un brutto sogno che passerà”, ha scritto Albert Camus nel romanzo “La Peste”. "Invece non sempre passa e, di brutto sogno in brutto sogno, sono gli uomini a passare… [Pensavano] che tutto per loro fosse ancora possibile; il che presumeva che i flagelli fossero impossibili. Continuavano a fare affari, programmavano viaggi e avevano opinioni. Come avrebbero potuto pensare alla peste che sopprime il futuro?”.
Lo sappiamo già: una certa percentuale della popolazione verrà infettata dal virus. Una certa percentuale morirà. Negli Stati Uniti, si parla di un milione di persone. La morte è molto tangibile adesso. Chi può farlo, reprime questa idea. Ma chi ha un’immaginazione molto vivida - come questo scrittore, per esempio: pertanto prendete ciò che scrive con dubbio e scetticismo - diventa vittima di elucubrazioni e scenari che si moltiplicano a una velocità non inferiore al tasso di contagi provocato dal virus. Quasi ogni persona che incontro fa previsioni lampo sulle varie possibilità sul proprio futuro dettate dalla roulette dell’epidemia. E sulla mia vita senza di loro. E sulla loro vita senza di me. Ogni incontro, ogni chiacchierata, potrebbe essere l’ultimo.
L’anello si stringe sempre più. All’inizio ci hanno detto: “Stiamo chiudendo i cieli” (che termine!). Successivamente sono stati chiusi i tanto amati bar, i teatri, i campi sportivi, i musei. Gli asili, le scuole, le università. Una dopo l’altra, l’essere umano sta spegnendo le sue lanterne.
Improvvisamente, nella nostra vita è entrata una catastrofe di dimensioni bibliche. “Allora il Signore mandò una piaga sul suo popolo”. E il mondo ne fu afflitto. Ogni persona al mondo sta partecipando a questo dramma. Nessuno ne è esente. Non c’è nessuno la cui intensità di partecipazione sia inferiore a quella degli altri. Da un lato, a causa della natura del massacro di massa, i morti che non conosciamo sono solo un numero, sono anonimi, senza volto. Ma d’altro canto, quando guardiamo oggi coloro che ci sono vicini, i nostri cari, sentiamo quanto ogni persona sia un’intera cultura, infinita, la cui scomparsa allontanerebbe dal mondo qualcuno che sarà ora e sempre insostituibile. L'unicità di ogni persona si fa sentire improvvisamente a gran voce partendo dal profondo, e proprio come l’amore ci porta a distinguere una persona dalle masse che scorrono attraverso la nostra vita, ora vediamo che anche la consapevolezza della morte ci porta a farlo.
E che sia benedetto l’umorismo, il modo migliore per resistere a tutto questo. Se riusciamo a ridere del coronavirus, in realtà stiamo dicendo che non ci ha ancora portati alla paralisi totale. Che dentro di noi c’è ancora libertà di movimento nell’affrontarlo. Che stiamo continuando a combatterlo e che non siamo solo la sua vittima indifesa (più precisamente, in realtà siamo la sua vittima indifesa, ma abbiamo inventato un modo per aggirare l’orrore di tale consapevolezza e persino per divertirci con essa).
Per molti, l’epidemia potrebbe diventare l’evento fatale e formativo nel prosieguo della loro vita. Quando finalmente finirà e le persone usciranno dalle proprie case dopo una lunga chiusura, si potrebbero presentare possibilità nuove e sorprendenti: forse aver toccato le fondamenta dell’esistenza promuoverà tutto questo. Forse la tangibilità della morte e il miracolo di salvarsi da essa scuoteranno e risveglieranno donne e uomini. Molti perderanno i loro cari. Molti perderanno il lavoro, il proprio sostentamento, la propria dignità. Ma quando l’epidemia finirà, potrebbero esserci anche persone che non vorranno tornare alla propria vita precedente. Alcuni - quelli che possono farlo, ovviamente - lasceranno il lavoro che per anni li ha soffocati e repressi. Alcuni decideranno di lasciare la propria famiglia. Separarsi dal proprio partner. Far nascere una nuova vita, oppure astenersi dal farlo. Alcuni usciranno dall'armadio (da tutti i tipi di armadi). Alcuni inizieranno a credere in Dio. Ci saranno credenti religiosi che rinunceranno alla propria fede. Forse la consapevolezza della brevità e della fragilità della vita spingerà uomini e donne a stabilire un nuovo ordine di priorità. A insistere molto di più nel distinguere il grano dalla paglia. A capire che il tempo, non il denaro, è la loro risorsa più preziosa.
Alcuni si porranno per la prima volta domande sulle decisioni prese, su ciò che hanno lasciato e sui compromessi che hanno fatto. Sugli amori che non hanno osato amare. Sulle vite che non hanno osato vivere. Uomini e donne si chiederanno - per un breve periodo, probabilmente, ma la possibilità si presenterà comunque - perché hanno sprecato i propri giorni con relazioni che rendono la loro vita una sofferenza. Ci saranno anche alcuni cui il proprio credo politico sembrerà improvvisamente sbagliato, basato solamente su paure o valori che si sono disintegrati nel corso dell’epidemia. Forse alcuni metteranno improvvisamente in dubbio i motivi che hanno indotto la loro nazione a combattere il nemico per generazioni e a ritenere che la guerra fosse un editto divino. Forse vivere un’esperienza umana così difficile indurrà le persone a detestare le visioni nazionalistiche, per esempio, e a respingere atteggiamenti che promuovono la separazione, la xenofobia e l’autosufficienza. Forse alcuni si chiederanno per la prima volta, per esempio, perché israeliani e palestinesi continuino a combattere gli uni contro gli altri, affliggendo le loro vite da oltre cento anni con una guerra che si sarebbe potuta risolvere molto tempo fa.
L’atto stesso di esercitare l’immaginazione dal profondo della disperazione e la paura che ora prevale ha una forza propria. L’immaginazione non può solo vedere il destino, può anche sostenere la libertà della mente. In tempi paralizzanti come questi, l’immaginazione è come un’ancora che gettiamo dal profondo della disperazione verso il futuro, verso la quale iniziamo a spingerci. La capacità stessa d’immaginare una situazione migliore significa che non abbiamo ancora permesso all’epidemia e allo sgomento che provoca, di nazionalizzare tutto il nostro essere. In quanto tale, è possibile sperare che forse, quando l’epidemia finirà e l’aria si riempirà di sentimenti di guarigione, ripresa e salute, uno spirito diverso pervaderà l’umanità; uno spirito di semplicità e di nuova genuinità. Forse le persone inizieranno a rivelare, per esempio, segnali coinvolgenti d’innocenza che non possono essere contaminati neppure da un briciolo di cinismo. Forse la morbidezza diventerà d’improvviso, per un certo periodo, corso legale. Forse capiremo che questa letale epidemia omicida ci ha dato la possibilità di tagliarci di dosso strati di grasso, di avidità suina. Di pensiero denso e non discriminatorio. Di abbondanza che è diventata un eccesso e che ha già cominciato a soffocarci. (E perché nel mondo abbiamo raccolto così tanti oggetti? Perché abbiamo accumulato nelle nostre vite fino a quando la vita stessa è rimasta sepolta sotto montagne di oggetti che non hanno alcun oggetto?).
Può darsi che le persone, guardando ogni sorta di contorto artigianato della società dell’abbondanza e dell’eccesso, non abbiano altro che voglia di rimettere. Forse saranno improvvisamente colpiti dalla banale e ingenua consapevolezza che è assolutamente abominevole che ci siano persone così ricche e altre così povere. Che è assolutamente abominevole che un mondo così ricco e sazio non dia a tutti i bambini che nascono le stesse opportunità. Di certo, siamo tutti un tessuto umano infetto, come stiamo scoprendo ora. Di certo, il bene di ogni persona è in definitiva il bene di tutti noi. Di certo, il bene del pianeta su cui viviamo è il nostro bene, è il nostro benessere e il nostro chiaro respiro e il futuro dei nostri figli.
E forse anche i media, la cui presenza è quasi totale nello scrivere la storia della nostra vita e della nostra epoca, si chiederanno onestamente quale sia stato il loro ruolo nel sentimento di disgusto generale in cui ci trovavamo impantanati prima dell’epidemia. Perché siamo rimasti con la sensazione che le persone con interessi inestimabili ci stessero manipolando senza sosta, facendoci il lavaggio del cervello e saccheggiando le nostre tasche. E che i nostri media ci raccontavano la nostra complicata e tragica storia in modo cinico e volgare. Non parlo della stampa seria, investigativa, coraggiosa, ma dei “mass media” che da tempo si sono trasformati da media mirati alle masse a media che trasformano gli esseri umani in una massa. E non di rado, anche nel popolino.
Si verificherà qualcosa di ciò che è stato descritto finora? Chissà? E anche se dovesse accadere, temo che svanirà in poco tempo e che le cose torneranno a ciò che erano prima che fossimo afflitti dall’epidemia, prima del diluvio. Ciò che subiremo fino a quel momento è estremamente difficile da indovinare. Ma faremo bene a continuare a fare domande, come una sorta di farmaco, fino a quando non verrà trovato un vaccino per questa epidemia.
 
Traduzione di Valentina Gianoli
Analisi di David Grossman, scrittore

Se non hai fretta



Se non hai tanta fretta
potresti renderti conto di molte più cose.

Se sei un uomo
scopriresti
che la donna che porti dentro 
sogna di poter mettersi a piangere
e se sei una donna
che l’uomo che porti dentro 
sogna di poter rendere conto
della tua fragilità sprecata.

Scopriresti
che quasi tutto quello che rimproveri agli altri
è un rimprovero che hai evitato di farti.

Se ti dessi il tempo di contemplare
il tappeto del paesaggio che hai tessuto con la tua vita
potresti scoprire molti sentieri che hai saltato
ai quali non potrai tornare.

E forse grazie alla tua scoperta
smetteresti di far correre il giorno
per raggiungere velocemente la notte.

Smetteresti di scavalcare l’inverno
per arrivare in fretta all’estate
e con questo sapere
allungheresti in modo considerevole la tua vita.

Maria Wine

lunedì 27 aprile 2020

Umberto Galimberti, riflessioni ai tempi del coronavirus sul senso del futuro



Dove credeva di essere arrivato, l'essere umano? Perché, costretto a fermarsi, non sa più chi è? E cosa pensa di fare davanti alla negatività della vita? Ecco il pensiero, spiazzante e urticante, del filosofo Umberto Galimberti.


Umberto Galimberti, filosofo, sociologo, antropologo culturale, psicanalista e accademico: allievo di Emanuele Severino e Karl Jaspers, di cui traduce le opere, è un assoluto divulgatore. 78 anni il 2 maggio, cresciuto con altri nove tra fratelli e sorelle, sta lavorando a un nuovo libro (rigorosamente con la macchina per scrivere). Per GQ ha scritto questa riflessione.

«Il cambiamento imposto dal corona virus sembra una sofferenza difficile da sopportare, anche se l’umanità ha superato di molto peggio. Succede perché ci troviamo nella condizione in cui tutta la nostra modernità, la tutela tecnologica, la globalizzazione, il mercato, insomma tutto ciò di cui andiamo vantandoci, ciò che in sintesi chiamiamo progresso, si trova improvvisamente a che fare con la semplicità dell’esistenza umana. Siamo di fronte all’inaspettato: pensavamo di controllare tutto e invece non controlliamo nulla nell’istante in cui la biologia esprime leggermente la sua rivolta. Dico leggermente, perché questo è solo uno dei primi eventi biologici che denunceranno, da qui in avanti, gli eccessi della nostra globalizzazione.
Se questo è il quadro, c’è forse un’incapacità di evolverci, come esseri umani? Il Cristianesimo ha diffuso in Occidente un ottimismo che ci ha insegnato a pensare in questi termini: il passato è male, il presente è redenzione e il futuro è salvezza. Questa modalità di considerare il tempo è stata acquisita dalla scienza, che a sua volta dice che il passato è ignoranza, il presente è ricerca e il futuro è progresso. Persino Karl Marx è un grande cristiano quando predica che il passato è ingiustizia sociale, il presente farà esplodere le contraddizioni del capitalismo e il futuro renderà giustizia sulla Terra. E Sigmund Freud, che pure scrive un libro contro la religione, sostiene che i traumi e le nevrosi si compongono nel passato, che il presente sia magico e che il futuro sia guarigione. Non è così. Il futuro non è il tempo della salvezza, non è attesa, non è speranza. Il futuro è un tempo come tutti gli altri. Non ci sarà una provvidenza che ci viene incontro e risolve i problemi nella nostra inerzia. Speriamo, auguriamoci, auspichiamo: sono tutti verbi della passività. Stiamo fermi e il futuro provvederà: non è così.
Quindi cosa dobbiamo fare? Non c’è niente da fare, c’è da subire. Accettiamo che siamo precari: ce lo siamo dimenticati? Rendiamoci conto che non abbiamo più le parole per nominare la morte perché l’abbiamo dimenticata. Ammettiamo che quando un nostro caro sta male lo affidiamo all’esterno, a una struttura tecnica che si chiama ospedale, e da lì non abbiamo più alcun contatto. Una volta i padri vedevano morire i figli quanto i figli vedevano morire i padri. C’erano le guerre, le carestie, le pestilenze. Esisteva, concreta, una relazione con la fine. Oggi l’abbiamo persa. Quando qualcuno sta male, mancano le parole per confortarlo. Diciamo: vedrai che ce la farai. Che sciocchezza. Che bugia. Perché abbiamo perso il contatto con il dolore, con il negativo della vita. E quindi come facciamo ad avere delle strategie quando il negativo diventa esplosivo?
Mi chiedete: il timore di cambiare è un limite valicabile? Facciamo prima un punto sulla realtà. Sono trent’anni che il Paese non è governato: accorgerci ora che abbiamo cinquemila letti in terapia intensiva quando la Germania ne ha 28 mila, scoprire che le carceri sono in subbuglio e che è possibile scappare sui tetti, ammettere adesso che andavano costruite altre strutture perché i detenuti potessero vivere in condizioni almeno vivibili; è il conto che stiamo pagando per essere stati distratti, per non aver preteso una guida vera. Per non parlare del debito pubblico: un macigno che si farà ancora più pesante per sopperire alle difficoltà economiche di questi mesi. È questo il limite, reale. E se lo troveranno davanti soprattutto i giovani, che al momento sembrano non morire con la stessa velocità e intensità dei vecchi: poi toccherà a loro, se non si ammalano, continuare a esistere in questo mondo.
È un momento di sospensione, specie dalla frenesia quotidiana. Mi dicono: per molti è un valore positivo, per altri un monito del fato. Io penso che la sospensione ci trovi soprattutto impreparati: ci lamentiamo tutti i giorni di dover uscire per andare a lavorare, ma se dobbiamo fermarci non sappiamo più cosa fare. Non sappiamo più chi siamo. Avevamo affidato la nostra identità al ruolo lavorativo. La sospensione dalla funzionalità ci costringe con noi stessi: degli sconosciuti, se non abbiamo mai fatto una riflessione sulla vita, sul senso di cosa andiamo cercando. Siccome non lo facciamo, poi ci troviamo nel vuoto, nello spaesamento. E allora chiediamoci: il paesaggio era il lavoro? L’identità era la funzione? Fuori da quello scenario non sappiamo più chi siamo? Questo è un altro problema. Non basta distrarsi nella vita, bisogna anche interiorizzare e guardare se stessi. Finora siamo scappati lontano, come se noi fossimo il nostro peggior nemico. I nostri week end non erano l’occasione per volgere lo sguardo a noi, ai nostri figli. Erano fughe in autostrada. Perché conosciamo due modalità dell’esistenza: lavorare e distrarci. Fuori dal quel cerchio, è il nulla.
Un quarto della popolazione italiana è estremamente fragile: il virus lo ha dimostrato. C’è chi si sorprende del relativismo della società rispetto ai più deboli. Ma è inevitabile. So bene che se mi dovessi ammalare io passerei in secondo piano, perché sono da salvare prima i giovani. Il problema è perché siamo arrivati a dover affrontare questo tipo di scelta, perché non abbiamo provveduto a creare le condizioni, e le strutture, per fronteggiare il dilemma. Moriremo per inefficienza. Se un virus si propaga con un numero di vittime paragonabile ai morti in guerra è chiaro che andrà tracciata − netta − la linea tra chi deve vivere e chi morire.
Ora: l’egoismo non sta diventando adesso un valore primario. È già il valore primario nella nostra cultura. La solidarietà è andata a picco in questi anni. Individualismo, narcisismo, egoismo: sono tutte figure di solitudine. La socializzazione si è ridotta alla propria parvenza digitale. E se anche l’istruzione, superata questa fase sperimentale, costretta dai tempi, dovesse poi venire diffusa via internet? I ragazzi hanno bisogno di imparare ma anche di guardarsi in faccia, di ridere, di capire attraverso lo sguardo se l’altro dice la verità o sta mentendo. Hanno bisogno di esperienze fisiche. Nell’isolamento e nelle avversità, gli esseri umani hanno bisogno di sentire di non essere soli a lottare. I cinesi di Wuhan se lo gridavano dalle finestre. Quindi se la rete digitale ha reso possibile la connessione là dove non c’è possibilità di incontro, mi viene da pensare: bene, ottimo, ha dimostrato la sua utilità. Ma per come ha funzionato fino a ora, Internet ha anche isolato i nostri corpi. Un conto è dirsi le cose in rete, un conto è dirsele di persona. Il problema, da qui in poi, è di continuare ad avere una relazione sociale secondo natura, in cui un uomo incontra un uomo, e non l’immagine di un uomo in uno schermo.
Quando potrà risollevarsi l’animo umano? E come? Il degrado è stato significativo. Secondo me l’animo umano era più all’altezza di queste situazioni all’epoca dei nostri nonni, quando la fatica e la penuria e la povertà erano le condizioni della solidarietà. Nelle società opulente abbiamo sviluppato invece l’egoismo, perché ci era consentito, non avendo più bisogno del nostro prossimo. Che l’umanità occidentale sia a perdere mi sembra evidente: siamo costretti in casa con le nostre scorte alimentari e il nostro letto caldo, l’unica pena che ci è inflitta è non poter uscire. Siamo il popolo più debole della Terra, il più assistito dalla tecnologia: se manca la luce per dodici ore andiamo nel panico. Mi spingo oltre: il razzismo di noi italiani, al di là di come viene indotto, ha una ragione radicata nell’inconscio. Abbiamo paura degli africani perché capiamo che quei signori capaci di attraversare i deserti, sopravvivere alle carceri e attraversare il mare sono biologicamente superiori a noi. Bios vuole dire vita. 
Ed è la biologia, accettiamolo, che vincerà.

Giorni sprecati


Una strana sensazione rispetto ai primi giorni della quarantena. 
Si continua a morire, ma nell'aria non c'è nulla di tragico. 
Molte persone sentono una sorta di delusione: anche questa volta non cambierà niente. E tornare nel mondo fa quasi paura. Non siamo attesi da nessun fervore collettivo, ma da diffidenza. 
Ognuno può portare la malattia agli altri, non si sente la vigilia di una grande svolta epocale. La verità è che c'è una minoranza di persone che credono al mondo, credono ancora alla luce dei corpi. Per troppi, il corpo ormai è diventato un semplice mezzo di trasporto. E' il mezzo per andare al lavoro, per andare dal parrucchiere, per andare al bar, per andare al mare. Alla fine il corpo è il mezzo di trasporto del telefonino, è la carrozza in cui trasportiamo il giocattolo degli adulti e dei bambini. Non so se facciamo ancora in tempo a ravvivare la situazione. Siamo dentro una tragedia abortita, attutita. Da una parte il dolore dei parenti delle vittime, dall'altra un'umanità che ha perso anche l'appuntamento col panico. Più si fa concreta la possibilità di non ammalarsi e più si avverte l'evanescenza del sacro, la fessura in cui lentamente si sta svuotando l'eccezionalità di questi giorni.
I morti continuano a essere un dettaglio in questa vicenda, un numero. Siamo dentro un mondo sfiatato, la fine del virus ci porterà piano piano alle beghe della politica, riporterà un fiume di macchine nelle strade. L'umanità non ha guide, non ha maestri. Non ha neppure voglia di piangere, di fermarsi veramente a riflettere. Forse qualcuno avrà la tentazione di cambiare la sua vita, ma la maggioranza sembra pronta a riprendere la via delle merci sul binario produzione e consumo. Erano giorni preziosi e li abbiamo sprecati, ormai comincia a essere penosamente chiaro.
Franco Arminio

Picchio verde (dal boschetto di Alago)


Un vizio che non uccide

In questo periodo d'ozio forzato per molti, se è vero che l'ozio è il padre dei vizi,  almeno coltiviamo un vizio che ci arricchisce invece di danneggiarci. 

domenica 26 aprile 2020

La pagina della domenica




IL VANGELO DELLA DOMENICA

In quello stesso giorno, il primo della settimana, due dei discepoli erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo. Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?». Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?». Domandò loro: «Che cosa?». Gli risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l'hanno visto». Disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. Ed essi dissero l'un l'altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?». Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!». Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l'avevano riconosciuto nello spezzare il pane.

LA POESIA

Guardaci.
Siamo noi, guardaci,
rifugiati nelle case
a guardarci da lontano
salutarci dai video senza carne
né profumo di figlio, o padre,
né mano di madre
che stringe carezzando.

Siamo noi, guardaci,
in questa immobile battaglia
senza terra o corpo da combattere
davanti a un nemico fatto d’aria
che si mangia il tuo respiro
troppo piccolo per sparargli
infame divoratore di nonni
mai più tornati dall’ospedale
senza dargli nemmeno un addio.
Siamo noi, guardaci,
medici che fino a ieri
non potevamo sapere, no,
di quanta furia è capace
un virus quando esplode
di quanti se ne porta via
che non bastano a contarli
queste mani chiuse a preghiera,
ma nessuno è scappato, nessuno,
chi poteva immaginare
di quanta forza, quale coraggio,
si porta nel petto lei, l’infermiera
che non smette l’accoglienza
che da giorni non si ferma
e lavora pure mentre piange.
Sono io, guardami,
sono italiano,
un popolo di terre e colori,
fatto di paesi lanciati nell’azzurro
e d’artisti del sorriso
del buon vino da brindare
d’arte profusa per le strade
di primavera l’aria già impazzita.
Mio stivale, altare
di bellezza e d’amore
tornerai a correre per le strade,
nell’abbraccio d’uno sconosciuto
con la tua voce di canto
mi dirai che tutto è finito.
web

LA FRASE 

Ogni giorno sia per te l’occasione di seminare fiducia
e serenità nel cuore di chi incontri
perché ciò che semini germoglierà anche nel tuo cuore:
e se riuscirai a consolare chi soffre
e alleviare il suo dolore,
grande sarà la pace in te e attorno a te.

Enzo Bianchi


IL PROVERBIO

Mejo morire in ostaria che in farmacia



E un giorno torneremo a farci le coccole...
 
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Potenza del nome

[Gianni Spagnolo © 25A20] A ben pensarci, siamo circondati da molte cose che non conosciamo. Per meglio dire, le vediamo, magari anche frequ...