martedì 30 aprile 2019

Fra luci e ombre

(Massimiliano Fontana)

30 aprile - per non dimenticare


Non sono piú tra noi


Stipendi alti, autista e benefit: gli arabi a "caccia" di medici veneti


PADOVA. La valigia di cartone è un ricordo da film, la usavano i contadini del Sud in cerca di fortuna altrove. 
I decenni sono passati, ma gli italiani continuano a emigrare: non ne sono immuni i medici, che tra i camici bianchi europei rappresentano il 52% di quelli che espatriano. Secondo i dati della Commissione Ue è la percentuale europea più alta, seguono a distanza i tedeschi con il 19%. La regione con il maggior numero di medici che si trasferiscono è il Veneto, con 80 professionisti sui 1.500 che vanno via ogni anno.

Secondo Daniele Giordano, Segretario Generale Fp Cgil, i professionisti della sanità veneta sono tra i meno pagati d’Italia: è la quart’ultima regione nella classifica delle retribuzioni medie, ultima regione del Nord Italia, sottolinea il sindacalista. Proprio in questi giorni, raccontano dall’Azienda sanitaria di Padova, gli Emirati Arabi stanno contattando specialisti italiani e offrono dai 14 ai 20 mila euro al mese, l’interprete, la casa, la scuola per i figli, assistenza e autista. Tornando invece ai Paesi europei, le richieste di camici bianchi arrivano soprattutto da Gran Bretagna, Svizzera, Germania, Francia, Belgio, Olanda. La ricerca avviene attraverso Linkedin o società di cacciatori di teste straniere specializzate. E a quanto pare l’età non importa: nel giro di poche settimane all’ospedale di Padova una nefrologa esperta ha avuto un’offerta di lavoro dalla Francia, un altro specialista di 55 anni ha ricevuto un invito in Svizzera e uno in Sudtirol direttamente dall’assessore ai servizi sanitari.

«La situazione italiana è paradossale: da una parte alcune regioni decidono di assumere neolaureati, medici in pensione o specialisti dalla Romania perché nelle corsie c’è carenza di medici. Dall’altra ci sono 10 mila medici specializzati in attesa di chiamata, e altri 6 mila che stanno frequentando l’ultimo anno di specializzazione, ma nessuno li assume per via del blocco del turn over e del contratto fermo da dieci anni. In tanti vanno via, anche per fare la specializzazione visto che da noi non ci sono borse di studio sufficienti», spiega il segretario nazionale del sindacato Anaao Assomed Carlo Palermo. «I motivi che inducono tanti camici bianchi a lasciare l’Italia? All’estero c’è un accesso alla professione più meritocratico, prospettive di carriera migliori e retribuzioni molto più alte che in Italia», elenca Adriano Benazzato, segretario Anaao in Veneto. E non solo: «Qui ci sono condizioni di lavoro disastrose, turni massacranti e rischio collegato - aggiunge Palermo - mettiamoci pure il fatto che lavorare nel privato è decisamente più allettante: un medico che fa intramoenia nel pubblico viene tassato al 45%, chi invece lavora nel privato grazie alla flat tax per la stessa attività verserà il 15%».

Tuttavia c’è anche chi non ci sta, e nonostante offerte più che vantaggiose decide di restare. È il caso di Andrea Rossi, 41 anni, geriatra presso l’Azienda ospedaliera universitaria di Verona: «Mi ha contattato un’agenzia di cacciatori di teste, la Global executive solutions offrendomi un posto di consulente medico geriatrico di zona al Queen Elizabeth Hospital di Norfolk. Mi hanno trovato su Linkedin. L’offerta era di 150 mila sterline l’anno lorde, pari a 170 mila euro. In Italia ne guadagniamo 71 mila». E conclude: «Se mi avessero trovato prima, quando ero precario e lavoravo con un contratto a gettoni pagato a ore, 10 euro lordi all’ora, avrei detto certamente di sì. Adesso ho un contratto a tempo indeterminato, faccio ricerca e ho tre figli piccoli. Ho deciso di restare».
Silvana Logozzo Giornale di Vicenza

lunedì 29 aprile 2019

25 aprile Malga Trugole - "la simpatica marmottina"



Per la gioia di Alago... anche quest'anno la meravigliosa upupa è ritornata nel suo giardino




La Meneghina da Valpegara



Leggendo il meraviglioso racconto di Lino, 
subito mi è venuto alla mente la "Sàntola Meneghina" 
e l'idea di ricordarla con un post.



Toni della Meneghina, o anche Toni de Toni (come lo chiamava Don Bortolo), il più piccolo di tre fratelli, mi racconta sempre che sua mamma lo alzava alle tre di mattina, per partire a fare el fènsui sentieri al chiaror della luna erano ore di salita, con la idola sulla schiena, false, coaro eccetera appesi... ed alla idola si appendeva anche lui, povera Meneghina! 





Il marito ed i due figli maggiori all'estero a lavorare, lei a casa ad accudire il figlioletto (aveva tre anni allora) e governare vaca e cavra, e riempire la teda per l'inverno e fare provviste di formaggi. Era pieno di sonno, strapparlo ai sogni doveva essere come tortura.


Una mattina, appeso alla idola, come sempre lasciandosi trascinare, è ruzzolato sul sentiero: si era riaddormentato camminando! La idola veniva lasciata alla base del fero, verso i giarùni, e proseguivano sui sentieri più erti,  verso i Siròccoli.


A fine giornata i fassi de fèn, dell’erba tagliata nei giorni precedenti, venivano caricati e lasciati scendere lungo il filo. Li legava bene, la Meneghina, poteva accadere che qualche fasso non arrivasse in fondo, si... sciogliesse lungo il percorso. 



Tornati alla base del fero caricavano la idola, e via a casa ripercorrendo all'imbrunire quel sentiero che la mattina avevano percorso al chiaro della luna; e se non bastava, tornavano al fero a fare un altro carico. 
Per quante delle nostre nonne era così, allora, la giornata?  Eppure quanta allegria ho sempre visto nel viso e nello sguardo della sàntola Meneghina. Non l'ho mai sentita lamentarsi, mai! 



Poi Toni è andato a lavorare anche lui all’estero; e quando la mamma è rimasta vedova, se l’è portata con lui, in Francia.




Ecco, allora si è lamentata, ma io non la sentivo: si lamentava per non essere a casa sua, nella sua Valpegara, dove avrebbe potuto continuare a lavorare e portare allegria nelle case dei paesani; la vita da “pensionata” proprio non era per lei... e Toni, con coscienza ammirevole, e della quale ancora lo ringrazio, l'ha riportata a Valpegara.

Alago

domenica 28 aprile 2019

La pagina della domenica




LA RIFLESSIONE 

Il Maestro e i suoi discepoli intrapresero un lungo viaggio durante il quale attraversarono diverse città. Un giorno in cui faceva molto caldo, avvistarono un lago e si fermarono stremati dalla sete. Il Maestro chiese al suo giovane discepolo, famoso per la sua natura impaziente:
– Ho sete. Puoi portarmi dell’acqua di quel lago?
Il discepolo andò al lago, ma quando arrivò, vide che proprio in quel momento lo stava attraversando un carro trainato da buoi. Di conseguenza, l’acqua era diventata molto torbida. Il discepolo pensò: “Non posso dare da bere al maestro quest’acqua fangosa”.
Così tornò e disse al Maestro:
– L’acqua del lago è molto fangosa. Non penso che possiamo berla.
Dopo mezz’ora,il Maestro chiese allo stesso discepolo di tornare al lago e portargli dell’acqua da bere. Il discepolo tornò al lago.
Però, con suo sgomento, vide che l’acqua era ancora sporca. Tornò e lo disse al Maestro, questa volta con un tono conclusivo:
– L’acqua di quel lago non si può bere, faremmo meglio a raggiungere il villaggio dove gli abitanti possono darci da bere dell’acqua pulita.
Il Maestro non gli rispose, ma non si mosse neanche lui. Dopo un po’, chiese sempre allo stesso discepolo di tornare al lago e portargli dell’acqua.
Il discepolo andò di nuovo al lago perché non voleva sfidare il Maestro, ma era furioso perché questo lo mandava avanti e indietro dal lago, quando sapeva già che l’acqua fangosa non poteva essere bevuta.
Ma questa volta, quando arrivò sulla riva del lago l’acqua era limpida e cristallina. Così ne raccolse un po’ e la portò al Maestro.
Il Maestro guardò l’acqua, e poi disse al suo discepolo:
– Cosa hai fatto per pulire l’acqua?
Il discepolo non capiva la domanda, era evidente che non aveva fatto nulla.

Il Maestro quindi gli spiegò:
Aspetta e lasciala stare. 
Quindi il fango si deposita da solo e tu hai dell’acqua pulita. 
Anche la tua mente è così! 
Quando è disturbata devi solo lasciarla stare. 
Darle un po’ di tempo. 
Non essere impaziente. 
Troverà l’equilibrio da sola. 
Non devi fare alcun sforzo per calmarla. 
Tutto passerà se non ti affanni.


LA POESIA

Lo so
tralascio sempre qualcosa
degli attimi che mi piovono addosso
alcuni pungono come aghi
altri passano per altre vite
senza sfiorare la mia

Continuo a disegnare fiori
nelle lunghe telefonate
la penna si diverte
a ripassare sui petali
piccoli e grandi
sino a coprire gli appunti
le idee imprigionate sul foglio

Lo so
tralascio sempre qualcosa
e qualcosa mi manca
senza averla perduta
cos'è che fa chiaro il giorno
io che lo vedo confuso ...

Francesca Stassi


LA FRASE

L'insegnamento giunge solo per indicare la via e il viaggio,
ma la visione sarà solo per colui che vorrà vedere. 



PROVERBI & non solo... 

Dal buio alla luce


In quest'ultima settimana trascorsa, la settimana Santa, abbiamo avuto più occasioni per soffermarci sulla morte e resurrezione di Cristo, di sostare in preghiera, di stare in silenzio, ognuno a suo modo. Tra gli appuntamenti che ogni parrocchia propone, ci sono state due serate interessanti dove rivivere alcuni momenti del Triduo Pasquale in modo diverso ma comunque profondo. Domenica 14 aprile 2019, presso il Santuario dell’Olmo a Thiene e martedì 16 aprile presso la chiesa di Maria Ausiliatrice in Conca a Thiene, si è svolta una sacra rappresentazione che ha narrato la passione, la morte e resurrezione di Gesù Cristo. Iniziata con l’ingresso di Gesù a Gerusalemme, osannato dalla folla la domenica delle palme e terminata con la resurrezione il giorno di Pasqua. Il filo conduttore della narrazione è stato affidato alla lettura dei passi salienti del Vangelo che riguardano tali avvenimenti, ai quali sono stati inseriti parti recitate e brani cantati in forma corale e solistica. Questa rappresentazione è stata ideata e scritta da Giuseppe Valletta con la collaborazione di Eleonora e Daniela Donà e Matteo dal Ponte. Il lettore/narratore, Luigi Poggetta, ha portato dentro a un tempo passato, il grande numero di persone presenti nella chiesa, mentre sul presbiterio allestito con cura, si alternavano i vari personaggi che con i loro dialoghi facevano rivivere scene sentite tante volte dal Vangelo. Anche gli abiti di tutti i personaggi, cuciti con cura, sono stati importanti per mettersi a fianco di chi recitava o cantava e percorrere quel pezzo di strada. Momenti veramente “pieni” che intervallati dai canti e laude della Corale Madonna dell’Olmo, diretti dal maestro Giuseppe Valletta, accompagnati al pianoforte da Massimo Zulpo, all’oboe da Luca De Franceschi, alle percussioni da Giambattista Faccin, hanno proposto brani meditativi, mentre il soprano Eleonora Donà con la sua voce, ha espresso completamente i sentimenti di Maria di Nazareth. Ogni persona che ha interpretato una parte, sia recitata sia cantata, è stata coinvolgente e ha fatto in modo che ci si sentisse partecipi di quello che si stava narrando. Musica, voci, atteggiamenti, comandi, dolore, disperazione, gioia…. Tante emozioni che hanno aiutato a entrare ancora di più nei giorni più importanti per la Cristianità. In questa rappresentazione Gesù non era presente fisicamente, non era interpretato da nessuno e mi ha fatto pensare… narrare Gesù ai suoi tempi senza di lui è un messaggio: Lui può essere comunque dentro ognuno di noi, non serve rappresentarlo con un personaggio; Lui, centro della narrazione, non ne aveva bisogno perché ogni persona poteva vederlo a modo suo, pensarlo, pregarlo, soffrire con lui e con sua madre dilaniata dal dolore, ma poi gioire alla sua resurrezione come ha fatto Maria Maddalena quando con il sudario in mano ha capito dove era il suo Signore. Momenti veramente intensi, personalmente mi hanno fatto rabbrividire le urla della folla che gridava contro Gesù davanti a Pilato: mi sembrava di essere dentro quella folla, tanto sentivo vibrare con violenza, le voci dentro di me.. Sono certa che chi ha partecipato a una delle due serate, abbia avuto modo di meditare e di entrare nel mistero della morte e resurrezione di Cristo, in modo completo: ascoltando e facendosi trasportare dalle emozioni che arrivavano, è stato come pregare con tutto il corpo, è stato senza dubbio un motivo per essere dentro a una storia che spesso ci trova spettatori passivi e poco attori, ma che è la storia della nostra fede e trasmetterla anche in questo modo vuol dire testimoniare. Un ringraziamento a tutti quelli che si sono impegnati per realizzare questo momento che può essere proposto anche in altri periodi dell’anno liturgico, perché merita di essere portato in altri luoghi non solo per il messaggio, ma anche per il grande lavoro di preparazione che c’è stato da parte di tante persone.
Lucia Marangoni

Personaggi
Ponzio Pialato – Matteo Dal Ponte
Caifa – Luca Rossi
Claudia, moglie di Pilato- Anna Rossi
Maria di Nazareth- Eleonora Donà
Maria Maddalena- Marta dal Santo










La rondine


Potrebbe sembrare una foto già pubblicata, ma sono classi diverse. Me la invia Francesco Lorenzi con alcuni nomi (da confermare)







Quando avrò più nomi possibili aggiornerò. Intanto porto avanti il post

Val di Ledro… il meraviglioso arcobaleno dopo il vento e la grandine del 26 aprile fa capolino in Val di Ledro uno splendido arcobaleno - foto di Angelo Gidiuli -

(foto inviata da Domenico Giacon)

La fuga dei giovani dall'Italia

Alcuni dei governi europei più ostili all’immigrazione hanno dietro di sé elettori impensieriti da un fenomeno un po’ diverso: i loro amici e i loro familiari che, anno dopo anno, gettano la spugna e vanno all’estero. Per numeri crescenti di italiani, polacchi, ungheresi — ma anche di spagnoli o rumeni — l’emigrazione dei propri connazionali preoccupa più dell’arrivo degli stranieri. Nel caso dell’Italia, sono due su tre gli abitanti che vedono nella fuga dei propri giovani all’estero una minaccia superiore o almeno altrettanto grande rispetto all’immigrazione. Qualcosa si sta muovendo in profondità negli umori del Paese e dell’intera fascia di fragilità sociale lungo il fianco sud e orientale dell’Unione europea.
Ma la politica, di governo e opposizione, per ora non sembra in grado di capirlo e non riesce a dar voce alle nuove paure dei cittadini. Almeno questo emerge in un sondaggio che, per la prima volta, pone agli elettori in Italia e in altri tredici Paesi dell’Unione una domanda impensabile fino a pochi anni fa: è più l’immigrazione o l’emigrazione che li tiene svegli la notte? L’indagine è condotta fra fine gennaio e fine febbraio su 46 mila europei (dei quali 5 mila italiani) da YouGov per conto dello European Council on Foreign Relations. E i risultati fanno emergere ragioni di stress fra gli elettori che non rispecchiano gli slogan della campagna elettorale per le europee. In Italia il 32% degli elettori è più preoccupato dall’emigrazione dei connazionali, mentre solo il 24% lo è per l’ingresso di sempre nuovi stranieri. In Romania, che vede ormai un quinto della popolazione all’estero, il rapporto è di 55% a 10%. In Ungheria il 39% è più impensierito dall’emigrazione dei propri figli e solo il 20% lo è dall’immigrazione: poco importa che dell’ostilità agli stranieri Fidesz, il partito al potere, faccia ormai la propria ideologia ufficiale. Persino in Spagna, malgrado anni di ripresa, coloro che sono più impensieriti dalla fuga all’estero dei propri connazionali sono il doppio rispetto all’altro gruppo. E in Polonia, anch’essa guidata da un governo dagli accenti xenofobi, la dinamica è simile. È come se gli elettori in Italia e altrove stessero cercando di dire ai loro politici che le linee di frattura non sono quelle fra sovranisti e liberali di cui molti parlano. Emergono paradossi invisibili al dibattito fra partiti, assenti dai talk show della sera.
La fuga dei giovani dall’Italia: il sondaggio
Gli stessi leader che in Europa si sono imposti promettendo di «chiudere le frontiere» oggi si vedono chiedere dai cittadini di fare esattamente quello. Solo, per la ragione opposta: impedire ai giovani di andarsene altrove, tenerli vicino a sé. Il 52% degli italiani, il 50% dei polacchi e il 49% degli ungheresi si dichiara a favore di «misure che impediscano ai connazionali di lasciare il Paese per lunghi periodi come risposta all’emigrazione». Vorrebbero fermarli, chiuderli dentro, non essere lasciati indietro in periferie urbane sempre più popolate di anziani e di appartamenti vuoti. Gli ultimi dieci anni evidentemente hanno lasciato il segno nella coscienza degli elettori. Secondo l’istituto statistico Istat sono 738 mila gli italiani emigrati all’estero fra il 2008 e il 2017. Secondo dati di Eurostat riportati dal Centre for European Policy Studies, il 3,1% della popolazione italiana adulta vive e lavora altrove nel mondo. È praticamente certo però che i numeri reali siano molto più alti, per il semplice fatto che molti italiani non cancellano la residenza prima di espatriare e dunque non sono catturati nelle statistiche. Nel 2017 secondo l’Istat 14.200 sono andati in Germania, ma l’istituto statistico tedesco Destatis ne ha registrati in arrivo quattro volte e mezzo di più. Sempre secondo l’Istat 22 mila italiani sono andati in Gran Bretagna due anni fa, ma il governo di Londra ne ha contati più del doppio. Per la Spagna, i numeri degli emigrati italiani del 2017 sono ottomila fotografati dall’Istat e più di ventimila contati dalle autorità a Madrid. Anni di opportunità scarse e malpagate — o di maggiore dignità sul lavoro altrove — stanno scavando così un trauma non solo nei giovani: anche negli amici e nei genitori che restano ad aspettarli. Rispondere proibendo i deflussi non ha mai funzionato e infatti nel 1989 innescò il collasso l’intero blocco del socialismo reale. Ma mettere la testa nella sabbia di fronte alle paure reali degli italiani e di tanti milioni di europei non è sicuramente una ricetta migliore. 
ilcorriere.it

La foto curiosa: un salame a forma di maialino... quando la fantasia sconfina...


sabato 27 aprile 2019

L'Arena di Verona

L’Arena di Verona è uno dei simboli della città, molto conosciuta e frequentata per i moltissimi eventi che ospita. In pochi, però, conoscono davvero la sua storia e sanno quali siano le sue origini e le sue caratteristiche.
L’Arena è il terzo anfiteatro per dimensioni in Italia e ha una storia molto antica, risalente dal I secolo dopo Cristo. Non esistono documenti e testimonianze precise sull’anno di costruzione, quello che si ipotizza è che avvenne nel primo secolo sotto l’imperatore Augusto. Ai tempi della costruzione, l’anfiteatro, dalla struttura molto imponente, era situato fuori dalla cinta muraria, alla periferia della città. Questo perché era un periodo tranquillo, in cui non si temevano attacchi e invasioni: fa quindi un certo effetto, oggi, vederlo sorgere in pieno centro storico.
Già nel 256 dopo Cristo, però, l’imperatore Gallieno la inglobò nelle mura, rendendola baluardo difensivo a Sud della città, contro le invasioni del III secolo.
Lo scopo dell’arena era quello di offrire ai cittadini spettacoli quali ludi e giochi, tra cui anche gli scontri tra gladiatori. Dalle testimonianze sembra, però, che qui non avvenissero massacri di cristiani.
In epoca romana la capienza era di circa 30000 persone, oggi circa 25000. Poteva contenere l’intera popolazione della città di Verona, ma accorrevano cittadini da tutto il Veneto per assistere agli spettacoli.
Nel corso degli anni l’arena subì molti danni, per via delle invasioni e degli scontri, che si verificarono nel periodo di decadenza dell’impero romano.
L’anfiteatro fu restaurato da Teodorico, re dei Goti, e la sua cavea fu utilizzata come cava di petre di marmo per costruire case ed edifici nelle vicinanze, che si possono vedere ancora oggi.
Durante il Medioevo l’anfiteatro veniva utilizzato come piazza per l’esecuzione delle pene capitali.
A partire dal 1600 l’Arena fu utilizzata come sede di giostre e giochi, tra cui per esempio la caccia dei tori.
Una testimonianza interessante è quella di Goethe, celebre autore tedesco, che alla fine del Settecento, durante il suo viaggio in Italia, assistette, in Arena, a una partita di pallone con bracciale, uno sport molto popolare in quel periodo. Lui stesso ha lasciato scritto che in quell’occasione erano presenti oltre quattromila persone.
Solo a partire dal 1800 si cominciò a rappresentare spettacoli e opere liriche, tra cui famosa la Santa Alleanza, le cui musiche sono di Gioacchino Rossini.
La prima vera e propria stagione lirica risale, però, al 1913. Da quell’anno l’Arena è, a tutti gli effetti, il più grande teatro lirico all’aperto del mondo.


venetoa360°

Un sereno fine settimana a tutti voi



Anche le forti piogge sanno offrirci paesaggi mozzafiato... le foto della Val Civetta sono di Cinzia Giacomelli e le altre di mamma Lucia





La leggenda del "bòccolo di San Marco"


Questa leggenda (Festa del 25 aprile a Venezia) risale ai tempi del Doge Orso I Partecipazio (864-829), la cui figlia Maria divenne la protagonista femminile. Maria aveva occhi così splendenti e meravigliosi che fu soprannominata Vulcana. Ella si innamorò di un trovatore, Tancredi, ma le umili origini dell’amato non permettevano ai due di coronare il loro sogno d’amore. Allora Vulcana suggerì a Tancredi di partire per combattere contro gli infedeli, con la speranza che tornasse glorioso e famoso. Tancredi partì e ben presto le notizie delle sue gloriose imprese si diffusero in tutti i territori Cristiani fino ad arrivare a Venezia, che ormai aspettava il ritorno del giovane in patria per accoglierlo con tutti gli onori riservati agli eroi. Ma un brutto giorno Tancredi perì in battaglia e si accasciò su un rosaio, macchiando con il proprio sangue un bòccolo di rosa. Privo ormai di forze riuscì a consegnare il fiore ad un messo che lo portò a Vulcana. Straziata dal dolore, la giovane si ritirò nelle sue stanze: la mattina seguente venne trovata morta con il bòccolo di rosa posato sul cuore. 
Era il 25 aprile, giorno in cui a Venezia si festeggia San Marco.
venetoa360°

Potenza del nome

[Gianni Spagnolo © 25A20] A ben pensarci, siamo circondati da molte cose che non conosciamo. Per meglio dire, le vediamo, magari anche frequ...