VERONA «O si va in gita senza cellulare o salta la gita». A proporre il
rigido «aut - aut» è Paolo Crepet, psichiatra e sociologo, che si
occupa, tra le altre cose, di educazione nell’età dello sviluppo. «Ho
assistito a una scena del genere: c’era una comitiva di studenti delle
medie in gita a Venezia: erano talmente assorti a controllare il
cellulare che il prof si era preso il compito di avvertire della
presenza di ostacoli. “Scalino”, “buca”, e così via… ma come ci siamo
ridotti? ». Un’uscita, quella di Crepet, che non è arrivata casualmente.
Ieri lo psichiatra è stato ospite del convegno organizzato, in
Vescovado, dall’ufficio scuola della Diocesi, dal titolo «Cyberbullismo e
Scuola», al quale hanno partecipato molti addetti ai lavori, tra cui
diversi presidi delle scuole veronesi. È stata la docente di un
comprensivo di un paese della Bassa, istituto che comprende anche le
medie, a denunciare questo fatto, accaduto di recente. «La nostra
politica - ha fatto sapere la docente - è quella di vietare l’uso del
cellulare in ogni attività didattica. Viaggi di istruzione inclusi».
Nulla di strano, dunque, se nella circolare che annunciava la gita di un
giorno, fosse sottolineato il fatto di tenere il cellulare a casa. Cosa
che era l’assoluta normalità, del resto, fino a qualche anno fa. Ma la
reazione dei genitori ha assunto i connotati di una vera e propria
rivolta. «Hanno fatto subito una raccolta firme, alla quale hanno
aderito quasi tutti i genitori. Alcuni hanno minacciato di coinvolgere
l’Ufficio scolastico provinciale, di creare un caso… alla fine abbiamo
accettato, a testa bassa ». Il risultato? «Gli insegnanti ce l’hanno
descritto così: un incubo. I ragazzi non hanno fatto altro che chattare,
ascoltare musica e perdere tempo con gli smartphone ».La questione, per
Crepet, non è secondaria rispetto a quella del cyberbullismo, fenomeno
che spesso «viaggia» attraverso gli smartphone. «Parliamoci chiaro: non
agire sull’uso dei cellulari a scuola significa rifiutare di prevenire
le conseguenze più spiacevoli - è la sua posizione - lasciare che i più
giovani utilizzino il cellulare sempre, quando vogliono e come vogliono
significa che poi ci si riduce a fare “i pompieri”, a intervenire cioè
sempre sull’emergenza. I segnali preoccupanti già ci sono. Alcuni
docenti mi hanno detto che i bambini di prima elementari faticano
addirittura a tenere un foglio di carta in mano: manca loro la capacità
prensile. Serve una reazione culturale, non possiamo ridurci così solo
perché qualcuno della Silicon Valley ha deciso che questo è il
futuro». Cosa possono fare, allora, concretamente le scuole? «Lavorare
sull’offerta formativa - è la risposta di Crepet - e anche adottare un
regolamento ben preciso fa parte dell’offerta: gli istituti potrebbero
differenziarsi. E quelli più severi venire premiati dai genitori, a
lungo andare». Più severità, secondo Crepet sarebbe necessaria anche in
altri sedi: «Non è accettabile vedere in piazza Erbe, come è capitato a
me, tredicenni completamente ubriachi. Su questioni del genere dovrebbe
intervenire il sindaco ».La situazione sul fronte del cyberbullismo
resta delicata anche nelle scuole del Veronese. Secondo Giuliana
Guadagnini, psicologa dell’Ufficio scolastico, intervenuta ieri al
convegno, l’utilizzo dei social per prendere di mira qualcuno finisce
per colpire anche quanti sono riluttanti a crearsi profili su internet.
«Il fatto grave - sostiene - è che con questi strumenti il bullismo
arriva ovunque, non solo nei soliti luoghi noti, come il percorso da
casa a scuola. In alcuni casi si arriva alla fobia scolastica già da
giovanissimi, in altri all’isolamento sociale».
Davide Orsato-corriere veneto
Davide Orsato-corriere veneto
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