giovedì 4 maggio 2017

I Viaggi di Marco Pollo: Reperti bellici


Quand’ero bambino mi dilettavo a giocare nel baito dietro casa con gli attrezzi del nonno.  La maggior parte degli utensili e delle cose che c’erano là erano di provenienza militare. Reperti della prima guerra mondiale, che aveva distrutto il paese. Oggetti racimolati sulle montagne intorno e riciclati per gli usi agricoli e boschivi; come nella mia, così era probabilmente in molte case del paese. 
Sono cresciuto svuotando bossoli e lucidando pallottole, raccogliendo palle di schrapnel, culi di bomba e schegge d’ogni tipo e foggia. Facevo i miei primi lavoretti battendo sullo schermo graduato di una mitragliatrice Schwarzlose fissata al banco da falegname, con un curioso attrezzo, mezzo martello e mezzo menaròto, del Genio Imperiale. Casse di munizioni, bossoli, fibbie, finimenti, tenaglie da reticolati, gavette, borracce, picchi e mazze, elmetti, canne da fucile, ecc.; tutto era stato dotazione degli eserciti di entrambi i fronti.  

L’incamiciatura in maillechort del piccolo proiettile calibro 6,5 dell’M91 italiano si prestava ad una bella pulitura, ma non reggeva il paragone con la filante ogiva 7,92x57 del Mauser tedesco, peraltro quasi introvabile. Non mi piaceva granché, invece, la munizione dello Steyr-Mannlicher M.95 austriaco, il famoso ta-pum dei canti di naja. Va però detto che i suoi quadretti di balistite, davano migliori risultati della nostrana solenite per i nostri scopi pirotecnici.
Le guerre erano allora onnipresenti nel nostro immaginario di bociasse, alimentate con dovizia di particolari dai reduci ancora viventi e dalla retorica patriottica. 
Questa passione per le cose militari sfumò rapidamente una volta che prestai a mia volta servizio di leva.  Fra marce, assalti a fuoco e esercitazioni di ogni tipo, anche lo sparare mi venne a noia, così come in genere le cose riconducibili ad attività belliche. Cominciai un po’ a capire l’assoluta avversione che aveva mio Padre per le armi e che tanto aveva tarpato i miei entusiasmi negli anni piccoli. Lui aveva certo vissuto esperienze e maturato convinzioni che solo ora iniziavo a comprendere.
Questo imprinting, per così dire, mi tornò poi utile in qualche mio viaggio fatto in Ucraina e Russia in tempi più recenti.

Mi trovavo infatti nell’immensa piana del Donbass, nell’Ucraina orientale, non ancora vittima della recente e disastrosa guerra civile.  Ragioni di lavoro mi portano spesso in posti e regioni remote, lontano dai percorsi turistici e dove normalmente un viaggiatore occidentale non mette piede. Per un curioso inveterato come me, la cosa è però sempre interessante perché mi permette di approfondire aspetti di vita locale che altrimenti non avrei modo di conoscere. Quelle cittadine non hanno tuttavia particolari attrattive, se non il tradizionale mercatino domenicale delle pulci, dove i locali espongono le loro merci più disparate. Elemento predominante di queste esposizioni, oltre alle anticaglie e cianfrusaglie che si trovano un po' dappertutto, sono le cose militari: reperti di quella seconda guerra mondiale che qui ha lasciato un segno profondo.

Poco più ad oriente, infatti, scorre il Don, nome assai evocativo anche nei nostri ricordi. A sud-est s’elevano le montagne del Caucaso, dov’erano inizialmente destinati i reparti Alpini di quella scellerata campagna dell’ARMIR. Più a nord, oltre il confine con la nuova Russia, c’è Nikolaevka, altro nome che ci è familiare. L’offerta di reperti militari è impressionante: oltre ad una ovvia vasta rassegna di quelli russi, parti di uniformi, documenti, colbacchi, caschi, distintivi, medaglie, baionette e ogni sorta di accessori, c’è una miniera di reperti dell’esercito nazista. 
Distintivi della Waffen SS "Viking" e del III Panzercorp, che qui combatterono, cartoline e lettere, fotografie, documenti ed effetti personali, ruolini di reparto, parti di munizioni e di uniformi di ogni foggia e grado che da noi sarebbero assai ambite. Mi attardo ad analizzare quei frantumi di storia, a leggere quei documenti scritti in caratteri gotici e le cartoline spedite dal fronte e mai arrivate ai destinatari: il lato più umano di ogni guerra. 
Osservo avidamente se trovo qualcosa di familiare, di riconducibile al nostro Corpo di Spedizione. L’occhio allenato mi porta verso qualche caricatore dell’M.91, delle giberne grigioverdi, una mantellina tarmata con le inconfondibili mostrine fiammate e, ... ruscando in una scatola piena di varie cose,  … una consunta ma inconfondibile nappina verde. 
Di quello stesso colore la portò mio nonno sull’Ortigara e più di recente anch'io!
Me la rigiro, un po' incredulo, fra le mani, nello stupore del vecchio venditore che probabilmente si chiederà cosa mai mi possa attrarre in quello strano battuffolo arruffato e scolorito. 
Qui siamo un po’ più a sud dell’area della Sacca del Don; i nostri reparti combatterono più a nord, a ridosso dell’attuale confine con la Russia. In questa zona agirono principalmente le divisioni corazzate tedesche che puntavano ai ricchi giacimenti petroliferi del Caucaso e che rasero al suolo Stalino. Chissà chi era e che fine avrà fatto quell’alpino dell’Edolo, del Saluzzo, ma più probabilmente del battaglione Cividale della Divisione Julia, immolatosi a Kalitva. L'avrà portata orgoglioso inastata con la sua penna nera. 
Furono necessarie 200 tradotte per trasportare in nostri soldati in Russia; ma ne bastano solo 17 per rimpatriare i superstiti. 
La mente vaga. 
Cosa avranno pensato i nostri alpini all’andata, calpestando questa terra nera e grassa, soffice coperta di una pianura fertile e dall’orizzonte libero e infinito? 
Loro, avezzi alla terra magra e sassosa delle nostre vanéde, agli orizzonti limitati dalle montagne e alla quotidiana fatica del salirle? 
Cos’avranno pensato i pochi che ritornarono, a calpestarla ghiacciata verso un orizzonte bianco e ormai, per troppi, irraggiungibile? 
La giornata è triste e uggiosa, il freddo pungente e mi pervade una strana angoscia. Preferisco distogliere lo sguardo ed il pensiero verso cose più amene, come le splendide bambole ucraine costruite con prodotti agricoli locali, i lavori di artigianato con la scorza di betulla e le colorate icone dell'arte bizantina. 
Ce ne sono di vario tipo e foggia e alcune di esse sono dipinte su vecchi pezzi di porte delle isbe; i colori sono sbiaditi, ma la fattura è spesso notevole e l’effetto struggente. 
Materne Madonne con Bambino, simili alle molte appese un tempo a capoletto nelle nostre case. Chissà cos’avranno pensato quei nostri soldati che a quelle porte bussarono per trovare un po’ di calore e ristoro nella, spesso inutile, marcia di ritorno a baita.  
Eccoli, ... i pensieri che ritornano….
Gianni Spagnolo

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